Scientia - Vol. X/Dell'Attenzione

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Eugenio Rignano

Dell’Attenzione ../Die Bedeutung der Paläontologie für die Erdgeschichte ../Esiste una filologia indiana? IncludiIntestazione 3 novembre 2011 75% Scienze

Die Bedeutung der Paläontologie für die Erdgeschichte Esiste una filologia indiana?

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DELL’ATTENZIONE



Parte I. — Contrasto affettivo e unità di coscienza.


Per quanto l’attenzione sia fra tutti i fenomeni psichici quello che può forse vantarsi della letteratura più copiosa, pure è ben lungi ancora dall’essere stato completamente «spiegato», cioè a dire rapportato e collegato in qualche modo a questi altri fenomeni psichici, in ispecie a quelli maggiormente suoi affini. Sebbene, anzi, come rileva giustamente il Titchener, l’attenzione costituisca il perno di tutta la psicologia, il problema dell’intima sua natura non potrebbe essere a tutt’oggi maggiormente lontano dalla sua soluzione; con quanto danno per tutta questa branca scientifica è facile quindi d’immaginare.

La colpa di questo stato arretrato delle cose rispetto alla attenzione è quella stessa che vale anche per gli altri fatti psichici. Cioè si è attaccato lo studio di tutti questi fenomeni in quello stadio in cui essi si presentano nella loro maggiore complessità, invece di rifarsi dalle loro forme più semplici. Così il problema dell’attenzione è stato attaccato per lo più per via d’introspezione e nell’atto di meditazione del filosofo, invece di rifarsi, p. es., dalla belva che guata bramosa la preda in attesa di potere balzarvi sopra o magari dal bambino che prima di mettersi in bocca una pastiglia bianca si arresta dubbioso se si tratta della pallina solita di zucchero o di un’amara pillola somministratagli il giorno prima.

Dall’utilità di cominciare l’investigazione dalle forme più semplici deriva quella di procedere per via filogenetica, risalendo quanto più si può il corso dell’evoluzione, affinchè il [p. 327 modifica]fenomeno ci si appalesi appunto nel momento della sua prima formazione. È il cammino che abbiamo percorso per cercare di scoprire l’intima natura d’un altro fenomeno psicologico, di non minore importanza fondamentale, quello delle tendenze affettive; e la ricerca filogenetica svelandocene l’origine e la natura mnemonica è venuta a rischiarare di subita luce questa categoria di fenomeni parimente fino ad ora oltremodo oscuri1.

Lo stesso ci sembra possa avvenire per l’attenzione, la quale, del resto, come vedremo, non è che una formazione secondaria e un derivato diretto delle tendenze affettive stesse.

Nello studio ora rammentato sull’origine e natura mnemonica delle tendenze affettive, vedemmo che quest’ultime non sono, originariamente, che altrettanti aspetti dell’unica tendenza dell’organismo a conservare o a ristabilire il proprio stato fisiologico stazionario attuale, oppure a riattivare qualche altro sistema fisiologico antico, già stato determinato in passato da date condizioni ambientali, le quali, ripresentandosi ora magari parzialmente, «svincolano» l’accumulazione mnemonica che aveva lasciato di se questo sistema fisiologico antico. Da queste tendenze aftettive ad origine mnemonica diretta, rivolte a ristabilire dati rapporti ambientali, nascono poi, per la legge ben nota del «trasferimento affettivo» dal tutto alla parte, tutte le altre ad origine mnemonica indiretta, rivolte a ristabilire solo porzioni ben determinate e particolari di tali rapporti ambientali. In aggiunta ai rapporti ambientali più fondamentali, che continuano ad essere intensamente appetiti nella loro integrità originaria, si ha così, negli animali superiori e sopratutto nell’uomo, un aumento nella quantità e varietà di rapporti ambientali secondari, magari particolarissimi, suscettibili in tal modo di divenire alla loro volta oggetti di desiderio.

Ciò che qui preme di mettere subito in rilievo è che ciascun sistema fisiologico, una volta che venga interrotto dalle [p. 328 modifica]mutate condizioni d’ambiente e sia così ridotto allo stato potenziale sotto forma di accumulazione mnemonica, non potrà più riattivarsi completamente e permanere attivo in istato stazionario se non nel caso che l’ambiente, tanto esterno che interno, torni esattamente e totalmente nelle condizioni stesse in cui era (piando lo stato fisiologico stesso veniva da esso determinato. Così, il sistema fisiologico d’un infusorio, che abbia vissuto sin’ora ad una data temperatura o in una soluzione d’un dato tenore salino, costituirà, trasportato che sia l’animale in condizioni ambientali diverse, una tendenza affettiva verso l’ambiente antico; e questa tendenza si manifesterà colle reazioni negative dell’animaletto ad ogni cambiamento ambientale che lo allontani vieppiù da tale ambiente antico e colle reazioni positive ad ogni cambiamento che invece ve lo avvicini (Jennings); ma lo stato fisiologico originario non potrà riattivarsi completamente e mantenersi normalmente attivo se non (piando l’animale, grazie ai suoi movimenti, sarà riuscito a tornare effettivamente nell’ambiente preciso di prima. Parimente, l’impoverimento delle sostanze istogeneticbe nel sangue, che impedirà la continuazione dello stato metabolico stazionario fino allora attivo, darà luogo alla tendenza affettiva della fame e a tutti gli atti di ricerca e di prensione del nutrimento che ne derivano; ma lo stato metabolico normale non potrà ristabilirsi completamente se non quando la fame sia stata «soddisfatta», cioè a dire se non (piando gii atti di ricerca e di prensione del nutrimento ed i processi digeritoli del medesimo abbiano ricondotto l’ambiente interno del sangue allo stesso tenore di prima di sostanze istogeneticbe.

Come per tutte le evocazioni mnemoniche in genere, basta però anche una piccola frazione d’una data antica coudizione ambientale complessa, se non a «soddisfare», tuttavia a «svincolare» la tendenza affettiva relativa a quest’ultima. Ed è per questo che le sensazioni, in (pianto rappresentano rapporti ambientali parziali, costituiscono le «svincolataci» per eccellenza delle tendenze affettive. Ma sotto questo rispetto notevole è la differenza fra i sensi «non a distanza» (non-distance-receptors) e i sensi «a distanza» (distance-receptors), sulla quale giustamente insiste lo Sherrington, e massima è l’importanza del passo filogenetico quando dai primi si sono a poco a poco formati e sviluppati i secondi.

I sensi «non a distanza», o di immediato contatto, per [p. 329 modifica]mettono, infatti, per lo più, la soddisfazione immediata o quasi immediata delle tendenze affettive che essi svincolano: sensazione svincolatrice d’una data tendenza affettiva e soddisfazione di quest’ultima sono spesso una sola e medesima cosa. Quelli «a distanza» danno per lo più luogo, invece, a quello stato particolare di tendenza affettiva svincolata e mantenuta in sospeso, che fra breve dovremo appunto analizzare accuratamente:

«Fra sensazione tattile ed assimilazione, scrive lo Spencer, sussiste, negli organismi inferiori, un’intima connessione. In molti Rizopodi la superfìcie di contatto e quella di assorbimento coincidono. L’ameba, un grumo gelatinoso privo d’alcuna forma stabile, manda fuori, in (presta o quella direzione, prolungamenti della propria sostanza. Se uno di questi prolungamenti incontra qualche piccolo frammento di materia organica, a poco a poco vi si espande sopra e lo avviluppa colla, sua porzione estrema, poi lentamente si contrae e attira così il piccolo frammento entro la massa del corpo, la (piale unisce col richiudersi al disopra di esso e col disciogJieiio completamente. Cioè a dire, la medesima porzione di tessuto ci mostra la funzione tattile e quella assorbente riunite in una funzione sola2».

«Il modo di comportarsi degli animali, scrive alla sua volta lo Sherrington, mostra chiaramente ehe (pianto ai due sensi, il gusto e l’odorato, l’uno non fa che determinare il genere di immediata reazione da tenersi verso il materiale già trovato e introdotto in bocca, p. es. se inghiottirlo o rigettarlo. L’altro, il senso a distanza, l’odorato, inizia e determina una serie di reazioni complesse a lunga portata anticipanti quella di inghiottimento, cioè a dire tutta quella serie di atti che può essere comprensivamente denominata la ricerca del nutrimento. Questa sorta di reazioni precede e conduce a quelle governate dai sensi non a distanza. Questo rapporto di preeorrenza delle reazioni dei sensi a distanza rispetto a quelle dei sensi non a distanza e il «sentimento di sforzo» (comitive feeling) che accompagna le prime, distinguono appunto nettamente le une dalle altre3». [p. 330 modifica] I sensi non a, distanza non danno dunque luogo a tendenze affettive «mantenute in sospeso», a «conati ve feeling», bensì al soddisfacimento immediato delle tendenze affettive nell’istante stesso in cui esse vengono svincolate o all’esecuzione immediata di quegli atti che servono a soddisfarle (to final or consummatory reactions, come dice lo Sherrington). Quelli a distanza, invece, svincolano e mantengono desta la rispettiva tendenza affettiva per tutto quel tempo d’attesa e per tutta quella sequela di atti preparatori che sono necessari all’animale prima che esso possa compiere l’atto finale «consumatorio» che dovrà soddisfare la tendenza affettiva stessa. Ond’è che sono in genere soltanto i sensi a distanza, e non quelli non a distanza, che possono dar luogo ad uno stato più o meno persistente di «desiderio insoddisfatto»: «Se tutti gli impulsi tendenti ad un fine potessero essere immediatamente seguiti, il desiderio non avrebbe più luogo di prodursi4».

La questione sorge a tal punto di comprendere come mai le tendenze affettive, svincolate od evocate dai sensi a distanza, permangono tuttavia come «mantenute in sospeso»; cioè a dire, come mai, pur permanendo così in istato d’evocazione, non danno luogo per un certo tempo all’esecuzione effettiva di nessuno di quei «consummatory acts», che ora magari non avrebbero risultato alcuno, ina che esse ciò non ostante «impinguilo» lo stesso, come lo dimostra l’esecuzione incipiente o «allo stato nascente» di questi atti. La belva, p. es., la cui bramosia è già stata svincolata da lontano e viene ora sempre più eccitata dall’odore e dalla vista della vittima che ignara del pericolo le viene incontro, pur non le balza subito sopra, ma attende immobile e fremente, con tesi tutti i muscoli che provvedono allo slancio, che il povero animale le si appressi ancora e le giunga così a tiro. Che cos’è che trattiene la tendenza affettiva, così svincolata, dallo scaricarsi subito completamente nel «consummatory act» di balzar sulla preda e sbranarla?

Questo non può essere dovuto che al contrasto di una affettività opposta, che inibisce alla prima di portare ad effetto questo suo «consummatory act». E quest’affettività opposta non può essere, in tal caso, che il risultato di tutti i «consummatory [p. 331 modifica], eseguiti effettivamente in passato sotto il primo impulso della tendenza affettiva nel suo destarsi, e andati ogni volta falliti. Si può perciò dire essere stata la «delusione», prodottasi ripetutamente ad ogni attivazione troppo affrettata della tendenza affettiva svincolata dai sensi a distanza, che ha fatto nascere l’affettività contraria che ora tiene in sospeso quest’ultima.

È nota l’esperienza del Möbius sul luccio. Diviso un grande recipiente di vetro pieno d’acqua in due scompartimenti mediante una lastra di vetro, egli poneva il luccio in uno dei scomparti e nell’altro dei piccoli ghiozzi, di cui il luccio stesso è solito cibarsi. Ne seguiva, che ogni volta che il luccio si precipitava sopra qualcuno dei pesciolini ne veniva impedito dalla lastra di vetro, contro la (piale andava ad urtare. Dopo qualche settimana di tentativi inutili, il luccio rinunciò definitivamente alla inafferrabile preda; e continuò in questo suo contegno anche quando la lastra venne rimossa.

Orbene, un effetto del tutto consimile debbono avere avuto per tutti quanti gli animali provvisti di sensi a distanza, le ripetute delusioni allorquando la tendenza affettiva, appena svincolata da questi sensi a distanza, dava subito luogo alla esecuzione completa d’un «consumatory act», che di necessità rimaneva senza risultato. Ne è successo che lo svincolamento stesso d’una qualsiasi tendenza affettiva operato dai sensi a distanza e l’iniziarsi stesso troppo brusco del movimento relativo evocano ora, col ricordo di tentativi falliti precedenti, anche l’affettività antagonista, del tutto simile a quella che arrestava il luccio dallo slanciarsi sulla preda. E tale contrasto dà luogo a quello stato di tendenza affettiva «mantenuta in sospeso», che costituisce appunto lo stato di attenzione.

Per cui possiamo dire che, filogeneticamente, l’attenzione è sorta coi sensi a distanza e che essa è costituita dal contrasto di due tendenze affettive, delle quali la seconda, svincolata dalla prima, ne inibisce per un certo tempo l’attivazione completa, mantenendola così «in sospeso».

Lo stato d’attenzione non è dunque costituito da un’affettività unica, bensì da un’affettività duplice e da un corrispondente antagonismo affettivo. Il non avere scorto ciò è stato la causa che ha impedito fino ad ora di comprendere in che consistesse effettivamente questo stato d’attenzione, che cosa [p. 332 modifica]fosse questo stato di tendenza affettiva «in sospensione» tipico dell’attenzione, e come mai tutti quei movimenti, cui avrebbe dato luogo di per se l’affettività primaria, si arrestassero «allo stato nascente», mentre, ove quest’ultima fosse stata la sola ad essere attiva, avrebbero dovuto arrivare senz’altro a compimento.

Ma in mille altre occasioni, oltre che in questa ora esaminata di un’attivazione troppo affrettata del rispettivo «consummatory act», i sensi a distanza fanno nascere di contro a un’affettività primaria un’altra antagonista, che si oppone durante un certo tempo all’esecuzione completa della prima per gli effetti spiacevoli non previsti che ne derivarono talvolta nel passato. E ovunque e sempre sorga un antagonismo affettivo di tale sorta, subito si ha senz’altro un corrispondente stato d’attenzione; sì come, viceversa, non si ha stato d’attenzione senza un simile antagonismo affettivo. Basta, infatti, soffermarsi ad esaminare un po’ accuratamente alcuni casi fra i più tipici, scelti appositamente il più possibile diversi fra loro, per vedere subito, in ogni e qualsiasi stato di attenzione, quest’antagonismo affettivo all’opera.

«Un pulcino di soli due giorni, scrive il Lloyd Morgan, aveva imparato a beccare pezzetti di tuorlo d’uovo. Allora tagliai dei pezzetti di buccia d’arancio circa della medesima grandezza di quelli di rosso d’uovo, e uno di questi fu subito preso, ma tosto rilasciato con scuotimento della testa. Presone un altro, lo tenne per un momento nel becco, ma poi lo gettò via strofinandosi alla base del becco. Questo bastò e non fu possibile indurlo di nuovo a beccare alcun frammento di buccia d’arancio. Questo materiale fu allora rimosso e sostituito coi pezzetti di rosso d’uovo, ina essi non vennero neppur toccati, probabilmente perchè creduti di buccia d’arancio. Dopo qualche tempo, il pulcino guardò con esitazione i pezzetti di tuorlo e cominciò a toccarli col becco senza prenderli. Finalmente ne beccò uno, lo prese e lo inghiottì»5.

Qui dunque vediamo il primo atto d’attenzione compiuto dal pulcino appena nato derivare dal contrasto dell’affettività primaria pel rosso d’uovo colla sua antagonista, suscitata dal ricordo penoso dei risultati ottenuti colle beccate [p. 333 modifica]dell’attenzione precedenti. L’«effective guidance and control of consciousness», di cui parla il Lloyd Morgan come elemento mediticatore dell’atto istintivo di beccare del pulcino, non è dunque cbe il sorgere d’una tendenza affettiva nuova di disgusto, inibitrice di quella primaria di fame che tende ad ’ impingerc» l’atto istintivo stesso6.

La bambina che condotta a passeggio dalla sua bornie vede ad un tratto la mamma sul marciapiede opposto fa per slanciarlesi incontro. Ma la bonne dà subito un grido: «Attenta alla carrozza!»; e ipso facto la corsa già iniziata si arresta. Poi sta per venir ripresa appena la carrozza è passata, e già un nuovo passo in avanti è quasi compiuto, quando il sopraggiungere d’una, seconda carrozza fa retrocedere da capo la piccina al punto di prima. L’antagonismo delle due affettività, di desiderio e di timore, che contemporaneamente sono mantenute deste nella bambina dalla vista della madre e dal sopraggiungere di sempre nuove carrozze, risalta nel modo più evidente dal continuo suo fare un passo avanti ed uno indietro; esso si rispecchia fedele nell’espressione stessa dei suoi occhietti vivaci, i quali, mentre brillano di bramosia e di contentezza allorché sono volti verso la mamma e che il nuovo passo in avanti sta per cominciare, assumono, subito dopo, un’espressione di contrarietà e d’inquietudine (piando timorosi si volgono ad un’altra ancora delle noiose carrozze che non cessano mai di passare. Fino a che, libera orinai completamente la strada, e cessato del tutto ogni stato di timore, e con esso anche ogni e qualsiasi «stato d’attenzione», la bambina finalmente, piena di gioia, dà esecuzione completa al suo desiderio e si precipita nelle braccia della madre.

L’antagonismo affettivo si manifesta parimente nella sua massima evidenza in certi stati tipici d’attenzione, nei quali esso si traduce nella «scelta» delicatissima delle modalità più impercettibili d’un dato atto.

Il giuocatore di bigiiardo, p. es., che ha già puntato la stecca contro la palla è mosso anzitutto dal desiderio di far partire il colpo e si accinge a farlo, ma la tensione stessa troppo pronunciata dei muscoli del braccio gii evoca il timore di dare un colpo troppo.forte come già gli è successo poco innanzi, e allora, sotto l’impulso di quest’affettività contrastante, i [p. 334 modifica]muscoli si rilasciano un poco; ma la diminuita tensione, che il giuocatore sente essere ora sopravvenuta e che alla sua volta si riconnette al ricordo d’un qualche colpo precedente fallito per la poca velocità impressa alla palla, gli desta il timore opposto di dare una spinta troppo debole: nelle oscillazioni ora più ora meno ampie del braccio, che avvicinano e allontanano prima di effettuare il colpo la punta della stecca dalla palla, chi assiste al giuoco vede riflettersi il succedersi rapidissimo di affettività opposte che si svincolano a vicenda e che a vicenda si smorzano o si contempcrano e che poi riescono al risultato finale di imprimere alla palla esattamente la forza dovuta.

Parimente, lo scrittore che tenta di togliere colle proprie dita un pelo dal pennino è trattenuto talmente dal timore di sporcarsele d’inchiostro che il primo tentativo di afferrare il pelo non gli riesce quasi mai, perchè stringe le punta delle dita quando sono ancora troppo distanti dall’estremità del pennino e quindi anche dal pelo. Il primo tentativo fallito dà luogo allora al timore che il tentativo successivo fallisca esso pure, e questo contro-timore inibisce in parte e smorza quello di sporcarsi le dita, sì che il desiderio di togliere il pelo perviene ora ad imprimere al braccio e alle dita proprio quel tanto di contrazione che è necessario per afferrare la punta sporgente del pelo, senza toccare nel tempo stesso la puuta del pennino imbevuta d’inchiostro.

È appunto a questo contrasto affettivo, che sorge immancabile appena ci accingiamo a compiere un atto «accuratamente», che è dovuto il fatto ben noto che l’attenzione diretta ad atti, già meccanizzatisi pel lungo uso, ne rende l’esecuzione meno pronta e meno perfetta di quella automatica: «Una connessione automatica di dati elementi o movimenti non ha niente da guadagnare dall’intervento dell’attenzione, anzi, perde effettivamente in esattezza e rapidità di realizzazione se l’attenzione venga rivolta su di essa».7.

Così la recitazione d’un brano di poesia, imparato tanto bene a mente da potere essere ripetuto meccanicamente, diviene incerta ed inceppata se poniamo attenzione ad essa. Parimente, una persona che scriva il suo nome colla massima [p. 335 modifica]facilità quando non ci pensa, lo fa per lo più in modo mi po’ impacciato e discontinuo se richiesta di farlo da qualcuno che desideri avere un suo autografo. «Giacche, in tal caso, ogni tratto di penna soggiace dapprima ad una breve sospensione e richiede un certo sforzo di volontà per essere incominciato e compiuto, nel tempo stesso che i passaggi da un tratto di penna al successivo sono studiati e stentati, anziché liberi e scorrevoli»8.

In alcuni casi d’attenzione, sia pure molto intensa, l’antagonismo affettivo appare però meno evidente: l’amante della Tosca, p. es., sottoposto alla tortura, desta interesse e attira l’attenzione di tutto il teatro. Dove è in tal caso l’antagonismo affettivo ì Eppure un po’ di riflessione ce lo fa scoprire subito. Da una parte, si ha, a seconda dell’indole dello spettatore, la tendenza a gettarsi sul feroce Scarpia per ucciderlo, oppure a gettarglisi in ginocchio per implorare clemenza insieme alla Tosca, oppure a correre a liberare senz’altro l’infelice respingendo a viva forza gli esecutori materiali del supplizio, o magari a supplicare questi ultimi: dall’altra, la tendenza, acquisita dall’«uomo di società» co111 educazione o per via d’abitudine, diretta a non fare ciò che ormai è «pacifico» non debba esser fatto o diretta ad evitare il ridicolo di simili atti, ridicolo che ci appare di per se evidente dalla consapevolezza che ciò cui si assiste non è che finzioni’. Ohe la cosa stia proprio così è dimostrato dagli spettacoli popolari, dove l’attore che rappresenta la parte del tiranno è spesso ingiuriato dal pubblico e talvolta anche colpito da effettivi proiettili, più o meno innocui, lanciati dagli spettatori più ingenui. Chi scrive si trovò una volta presente ad uno di questi drammi a forti tinte: dietro ima tenda della stanza erano andati a nascondersi dei congiurati con tanto di pugnali sguainati per uccidere, appena che entrasse, il re, il (piale per le sue gesta generose e coraggiose si era reso questa volta simpatico al pubblico. Ebbene, il re è appena entrato che al primo movimento della tenda uno grida: «Bada, t’ammazzano!». Ilarità clamorosa di tutto il teatro, rossore di vergogna dell’ingenuo spettatore, il quale senza dubbio la prossima volta [p. 336 modifica]sarà riuscito a frenare i suoi slanci generosi, mercè la tendenza opposta di evitare un simile ridicolo. L’attenzione che desta il «nuovo» è parimente il prodotto d’un contrasto affettivo, che nasce dal fatto che l’oggetto, appunto perchè nuovo, non è stato ancora «classificato affettivamente», e quindi desta tema e desiderio ad un tempo. Se i limiti dello spazio impostoci ce lo permettessero, sarebbe facile dimostrare che ogni e qualsiasi «classificazione» ha sempre, direttamente o indirettamente, un fondo affettivo. Il principio su cui essa riposa, sta, originariamente, nel fatto che ogni sensazione o percezione dei sensi a distanza non è, per l’organismo, che il simbolo d’una situazione ambientale eventuale, prossima o lontana, desiderabile o da evitarsi. Quando questo simbolo non è stato ancora classificato indi’una o nell’altra categoria, le due affettività opposte di tema o di desiderio si contrappongono, mantenendosi in uno stato di reciproca sospensione: antagonismo che si rende manifesto, p. es., nel bambino titubante a prendere la decozione d’un colore insolito che gli presenta per la prima volta la madre, perchè non sa ancora se sia da mettersi fra le cose dolci o le cose amare, e nell’animale da preda (piando, alla vista d’un animale di aspetto «strano», incerto se si tratti d’un eventuale nemico temibile o d’una possibile preda, mette istintivamente in tensione tanto i muscoli dell’attacco che quelli della fuga.

La «curiosità» non è che una delle forme più leggere di questo contrasto affettivo, o stato d’attenzione speciale, prodotto dal nuovo: «Il bisogno di conoscere, nella sua forma istintiva, si chiama curiosità. Essa ha cutti i gradi, dall’animale che palpa e annusa fino a un Goethe che scruta tutto, vuol saper tutto e tutto abbracciare». — «La curiosità consiste in due questioni poste implicitamente od esplicitamente: Ohe cosa è questo? A che serve! Il cane che, davanti a un oggetto sconosciuto, lo guarda, lo annusa, vi si avvicina, se ne allontana, si azzarda a toccarlo, ritorna e ricomincia, prosegue questa investigazione a suo modo: esso risolve un duplice problema di natura e di utilità»9.

Invece, il «non-nuovo» — e può essere tale anche il singolo oggetto che si presenti ora per la prima volta — è [p. 337 modifica]tutto quello che sappiamo già classificare fra le varie nostre categorie affettive. Esso, quindi, o dà luogo senz’altro all’evocazione e soddisfazione della rispettiva affettività, come la cascatella d’acqua che in montagna m’invita a berne un sorso, o all’evocazione e sospensione dell’affettività stessa per tema, come sopra abbiamo visto, di qualche effetto spiacevole che possa derivare dal dare ad essa pronta e completa esecuzione, o, infine, non riesce ad evocare in quel momento nessuna affettività, cioè a dire a destare in noi alcun «interesse», come la vista o l’odore di qualche ben nota pietanza quando mi sento satollo: in quest’ultimo caso, l’attività affettiva è ridotta ad un minimo, ogni e qualsiasi stato d’attenzione resta attutito, e si ha così la «monotonia», la noia. Quando questo stato di vitalità affettiva minima si abbassa tino a zero si ha lo stato di «sonno»: «Dormire, dice perfettamente il Bergson, è disinteressarsi. Si dorme nella misurai esatta in cui ci si disinteressa»10.

Un ben piccolo passo separa, infine, la «curiosità» dallo stato d’attenzione proprio dello scienziato che osserva accuratamente un dato oggetto o un dato fenomeno allo scopo di accertarsi se realmente esso presenti o no dati caratteri che altri ha affermato come esistenti o che a lui stesso è sembrato a prima vista di scorgere o che egli ritiene debbano presentarsi. L’esistenza o no di questi caratteri ha sempre per l’osservatore, come lo prova il fatto che egli si accinge ad osservarli con tanta cura, un grande interesse, p. es., perchè essa deporrebbe in favore di certe sue teorie o perchè costituirebbe una scoperta scientifica di somma importanza. Da una parte, quindi, egli ha vivissimo il desiderio che l’esistenza di tali caratteri venga confermata. Dall’altra, è trattenuto dal timore di affrettarsi troppo a propalare una notizia che altri osservatori possano in seguito smentire con grave discredito della sua serietà scientifica. Si pensi, p. es., con quanta «attenzione» — con quanto timore, cioè, di essere stato vittima d’un’illusione ottica — deve aver proseguito lo Schiaparelli le sue osservazioni, prima di decidersi ad annunziare la sua scoperta dei «canali» di Marte! E questo desiderio e questo timore costituiscono appunto anche in tal caso [p. 338 modifica]le due affettività in contrasto, senza le quali, qui come sempre, non vi sarebbe ne potrebbe esservi uno stato d’attenzione vero e proprio.

Una volta riconosciuta così l’intima natura di contrasto affettivo, che questi pochi esempi ora passati in esame ci hanno dimostrato essere propria di ogni e qualsiasi stato di attenzione, allora tutte le altre proprietà che accompagnano sempre un tale stato ci si appalesano senz’altro come altrettante semplici e dirette conseguenze di questa sua natura.

Anzitutto risulta subito l’improprietà della definizione che dell’attenzione dà il Ribot quando chiama quest’ultima uno stato di «monoideismo relativo». Essa, nel caso, potrebbe dirsi uno stato di «monoaffettivismo in sospensione», ma, da (pianto abbiamo visto, vale ancora meglio definirla come uno stato di «duplice affettivismo in contrasto»11. Risulta poi senz’altro errata la teoria motrice o «periferica» di questo autore: «I movimenti della faccia, del corpo, delle membra e i cambiamenti nella respirazione che accompagnano l’attenzione sono essi semplicemente, come si ammette d’ordinario, degli effetti, dei segni? Oppure sono invece le condizioni necessarie, gli elementi costitutivi,i fattori indispensabili dell’attenzione? Noi ammettiamo questa seconda tesi senza esitare»12.

Mentre del tutto giuste appaiono le cosiddette teorie dell’«origine centrale»13.

L’attenzione, infatti, è un fenomeno psicologico «centrale» in quanto tali sono il destarsi dell’affettività primaria o attiva e il contro-destarsi di quella secondaria o sospensiva. Essa è dunque, anzitutto, un fenomeno essenzialmente affettivo, e solo indirettamente, in via subordinata, diviene anche un fenomeno motorio, pel fatto che il destarsi di ogni e qualsiasi affettività dà sempre luogo a fenomeni motori e periferici, i quali però non sono che concomitanti e derivati. [p. 339 modifica]L’errore del Ribot dipende tutto dal non essere egli riuscito ad afferrare bene la natura delle tendenze affettive. Infatti, egli vede benissimo che «l’attenzione dipende sempre da stati affettivi», ma aggiunge poco dopo: «Come dobbiamo immaginarci le tendenze affettive? La sola idea positiva che cene possiamo fare è di considerarle come dei movimenti (o arresti di movimenti) reali o allo stato nascente»14. Per questo autore, dunque, gli elementi motori costituirebbero da soli tutta l’essenza delle tendenze affettive. Ora, sono le tendenze affettive che stanno invece a base degli elementi motori, e non già viceversa.

Come vedemmo nel nostro studio più volte citato sulla origine e natura mnemonica delle tendenze affettive, una tendenza affettiva non costituisce, per così dire, che una forza di gravitazione verso quell’ambiente o quei rapporti ambientali che permettano il riattivarsi dell’accumulazione mnemonica costituente la tendenza affettiva stessa; ma essa non implica di per se alcun «iinpingimento» preferenziale verso l’ima o l’altra serie di movimenti, i quali, se eventualmente potranno essere atti a ricondurre P organismo nelle condizioni ambientali desiderate, nulla hanno tuttavia a che fare colla soddisfazione definitiva di tale tendenza affettiva. Solo allorquando Puna serie di movimenti sia fortuitamente riuscita, prima o meglio delle altre, a ricondurre l’organismo nelle condizioni ambientali dovute, essa sarà da tal momento in poi, e solo da tal momento in poi, «preferita» alle altre. Solo da tal momento in poi, cioè, il destarsi della tendenza affettiva darà luogo a dati elementi motori.

Ma prima che ciò avvenga, prima cioè che la tendenza affettiva abbia dato luogo ad alcuna «scelta» di movimenti atti a raggiungere il tìne desiderato, la tendenza affettiva per questo fine esisterà già: Il fatto stesso di tale scelta affettiva sta a denotare la precedenza, in ordine di tempo, del fattore selettore rispetto all’elemento seletto. Ne consegue che una tendenza affettiva può sussistere anche in assenza di qualsiasi elemento motore. Così, p. es., un ninn o e sconosciuto malore che ci incolga fa nascere la tendenza affettiva di liberarcene, ma questa non dà luogo uè può dar luogo, in tal caso, ad alcun inizio di movimento. [p. 340 modifica]Se dunque tendenza affettiva ed elementi motori sono due cose ben distinte ed è la prima che sta a base dei secondi, anziché viceversa, lo stesso varrà per l’attenzione, rispetto alla quale gli elementi motori non costituiranno già la condizione indispensabile, bensì semplicemente delle manifestazioni del tutto secondarie.

E siccome ogni contrasto di tendenze affettive si traduce in contrasto degli elementi motori rispettivi che esse «impingono», così si spiega perfettamente, anche coli’ «origine centrale», quel senso di «tensione muscolare», di «innervazione motrice», di «contrazione statica», di «aumento di tutta la vita psichica», che, come è stato osservato da tutti, caratterizza qualsiasi stato d’attenzione15.

Sotto la «scelta affettiva» cadono non soltanto i movimenti propriamente detti di locomozione, prensione, ecc., conducenti al line, bensì anche l’«aggiustamento» degli organi dei sensi, fenomeno d’ordine muscolare-motorio esso pure, dal (piale dipende la più o meno buona riuscita dei primi di qualunque sorta essi siano, e al quale quindi cooperano tanto l’ima che l’altra delle due affettività in contrasto. Ora, se sorpresi, p. es., da un improvviso rumore volgiamo subito inquieti lo sguardo verso l’oggetto lontano donde pare che venga il rumore, lo stato d’attenzione è già desto in noi durante tutto l’intervallo che precede il momento in cui gli occhi si sono aggiustati alla nuova distanza, operazione che richiede un certo tempo se l’oggetto è lontano. L’attenzione precede, dunque, — in accordo qui pure colle teorie della origine centrale, — e non segue l’aggiustamento dell’organo rispettivo16.

D’altra parte le condizioni sensitive periferiche rimanendo le stesse, l’attenzione può rivolgersi ora a certe sensazioni ora ad altre; come quando, stando chiusi nella nostra stanza, facciamo attenzione a certi rumori della strada piuttosto che ad altri pur provenienti dal medesimo punto: p. es., ora al trotto dei cavalli d’una carrozza che sta per fermarsi alla [p. 341 modifica]nostra porta, per distinguere dalla cadenza quale dei nostri amici è venuto a farci visita, e ora, invece, al rumore delle ruote per sapere se la persona che ci viene a prendere per la passeggiata ha attaccato la carrozza chiusa o quella aperta. L’attenzione può persino rivolgersi ora a certi attributi d’una sensazione, p. es. all’intensità o all’altezza d’una nota musicale, ora a certi altri, p. es. al timbro di essa. Nessun altro esempio potrebbe dimostrare meglio di questi l’indipendenza assoluta dell’attenzione dall’aggiustamento dei sensi come da qualsiasi altro «fattore periferico» in genere17.

Da quest’origine «centrale» dell’attenzione, così pienamente dimostrata, e dall’intima sua natura, sopra analizzata, di contrasto fra due affettività antagoniste deriva allora una conseguenza d’ordine fondamentale, la cui importanza ci apparirà ancora più evidente nella seconda parte di questo studio dove esamineremo gli effetti che le tendenze affettive hanno sulla evocazione e sulla «vividità» delle imagini e delle sensazioni. Ed è che l’oggetto dell’attenzione viene così considerato ad un tempo sotto due punti di vista del tutto diversi. Cosicché tutta una serie di proprietà e di attributi, di vantaggi e di inconvenienti, vengono percepiti, osservati, rammentati, posti in rilievo, che non lo sarebbero ove fosse desta una sola affettività.

Alla ben nota definizione metaforica del Wundt dell’«appercezione», prodotta dall’attenzione, e consistente, secondo questo autore, nel passaggio dell’immagine «von dem inneren Blickfeld in den inneren Blickpunkt des Bewusstseins», ben più giusto sarebbe quindi sostituire l’altra d’un duplice riflettore interno che rischiara l’oggetto o l’imagine da più parti contemporaneamente18. Ecco perchè l’attenzione impedisce che il contributo mnemonico di evocazioni sensoriali, che l’affettività aggiunge alla sensazione elementare bruta nell’attimo stesso del suo destarsi, deformi la «percezione», che risulta da un tale apporto mnemonico, in «illusione» od «allucinazione», come succede invece ogni volta che l’affettività stessa così destatasi resti unica. [p. 342 modifica]La paura, p. es., se intensa e subitanea, rende impossibile ogni e qualsiasi stato d’attenzione, e può dar luogo — come nel caso classico del viandante che attraversa di sera un folto bosco — a quelle allucinazioni così caratteristiche, citate e descritte in tutti i trattati di psicologia e di psicopatologia. L’uomo di «sangue freddo», al contrario, è quello che all’improvviso stormir di foglie, che anche in lui evoca nel primo momento l’imagine d’un qualche malandrino o d’un qualche animale temibile nascosto fra le piante, non fugge, ma, trattenuto dalla ripugnanza di agire da pusillanime, guarda «con attenzione» se si tratta veramente d’un essere vivente e di che genere, oppure se non sia stato piuttosto il vento.

Analogamente, nello stato passionale, è l’unicità stessa della tendenza affettiva ipertrofica, caratteristica d’un tale stato, ciò che lo rende incapace, verso tutto quanto ha rapporto colla passione stessa, d’una vera e propria attenzione, e che lo rende perciò soggetto a tutte le auto-suggestioni ed allucinazioni d’un Otello.

Parimente, nei monomani, quali il delirante cronico affetto da mania di persecuzione e simili, manca la contro-affettività del dubbio di essersi ingannati; essi sono dei mono-affettivi nel senso più assoluto della parola, incapaci quindi, essi pure, di uno stato vero e proprio d’attenzione.

La mancanza d’una qualsiasi contro-affettività, in tutti questi casi, produce l’assenza assoluta dei «riduttori antagonisti», come direbbe il Taine, che inibiscano le auto-suggestioni od allucinazioni provocate dall’unica affettività in giuoco, le quali imperano indisturbate e sovrane. Mentre una grande attenzione, come lo dimostrano, p. es., le esperienze del Binet sulla suggestibilità degli scolari, salvaguarda sempre anche dalla suggestione che possa venire esercitata da altri, appunto perchè in essa diviene intensa l’affettività contraria di timore di sbagliare19.

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Note

  1. Eugenio Rignano, Dell’origine e natura mnemonica delle tendenze affettive, «Scientia», N. XVII-1, 1911; Die mnemonisehe Entstehung u. die mn. Nat. der affectiven Neigungen, «Arch. f. die gesanimte Psych.», XX Bd., 1. Heft. 1911; Upon the mnemonic Or. and Nat. of affective Tendencies, «The Monist», July, 1911. Lo studio è apparso in seguito come appendice anche nella ediz. inglese della nostra opera: Upon the Inheritance of acquired Characters. A Hypothesis of Heredity. Development and Assimilation, Chicago, The Open Court Publishing Co., 1911.
  2. Herbert Spencer, The Principies of Psychology, Fourth Edition, London, Williams & Norgate, 1899, Vol. I, pag. 307.
  3. C. S. Sherrington, The integrative Action of the nervous System, London, Constable, 190G, pag. 326, 327.
  4. A. Bain, The Emotions and the Will, Fourth Edition, London, Longmans, Green, and Co., 1899, pag. 423.
  5. Lloyd Morgan, Habit and Instinct, New York, Arnold. 1896, pag. 40-41.
  6. Cfr. Lloyd Morgan, ibid., 129-131, 135, 139-140.
  7. O. Külpe, The Problem of Attention, «The Monist», Chigago, The Open Court Publishing Co., Oct. 1902, pag. 61.
  8. H. Maudsley. The Physiology of Mind, London, Macmillan, 1876, pag. 520-521; e: The Pathology of Mind, London, Macmillan, 1895, pag. 143.
  9. Th. Ribot, Psychologie den sentiments, Paris, Alcan, 1906, pag. 369-371.
  10. H. Bergson, Le rêve, «Bulletin de l’Institut Psychologique International», Paris, Alcan. Mai 1901, pag. 118.
  11. Cfr. Th. Eibot, Psychologie de l’attention, Gme éd., Paris, Alcan, 1902, pag. 6-8,
  12. Ribot, ibid., 32.
  13. Cfr., p. es., J. Sully, The psycho-phisical Process in Attention, «Brain», Summer Number 1890, London, Macmillan, in ispecie pag. 155157; e: Vaschide et Meunier, La psychologie de Vattention, Paris, Bloud, 1910, pag. 196 e seg.
  14. Ribot, op. cit.: Psych. de l’att., 166, 172.
  15. Cfr., p. es., Maudsley, op. cit.: The Physiol. of Mind, pag. 313; Ch. Féré, Physiologie de l’attention, «Revue Philosophique», Oct. 1890, pag. 401, 404; K. B.-R. Aars, Notes sur l’attention, "«Année Psychologique», 8me Année, Paris, Schleicher Frères, 1902, pag. 216.
  16. Cfr. W. B. Pillsbury, Attention, London, Swan Sonnenschein & Co., 1908, pag. 13.
  17. Cfr. 0. Külpe, art. cit.: The Probi, of Att., 50.
  18. Cfr. W. Wundt, Grundzüge der physiologische Psychologie, Fünfte Auflage, Dritter Band, Leipzig, Engelmann, 1903, pag. 333; e W. Ostwald, Vorlesungen über Naturphilosophie, Dritte Auflage, Leipzig, Veit, 1905, pag. 400, 403.
  19. H. Taine, De l’intelligence, 8me édition, Paris, Hachette, 1897, Tome premier, pag. 95 e seg.; e A. Binet, La suggestibilité, Paris, Schleicher Frères, 1900, pag. 166, 177-178, 186, 191, 196, 200 ecc.