Signorine/Come la gentile Irene non fu fedele

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Come la gentile Irene non fu fedele

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Come la gentile Irene non fu fedele
Papà, un po’ di morale Come la signora Andromaca fu gentilmente spaventata

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COME LA GENTILE IRENE

NON FU FEDELE

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— Lei sarebbe allora, come dice qui la Pergolini Irene?

Il biglietto di visita diceva, infatti: Pergolini Irene dattilografa, e il ditino guantato della signorina Irene era teso, come una freccia gentile, contro la Pergolini Irene, stampata lì. Ma quel villano dell’avvocato Carrà fece saltare il cartoncino ad un angolo del tavolo verde e non disse nemmeno, «si accomodi» su la poltrona lì di fianco. Perciò Pergolini Irene si irrigidì.

L’avvocato Carrà distese le gambe, distese il suo corpaccio dentro la poltrona, rivolse la faccia butterata e gonfia contro la nominata Pergolini la percorse su e giù e disse così:

– Allora parliamoci chiari e una volta [p. 138 modifica]tanto. Punto primo: io pago eccezionalmente, così e così; punto secondo: se lei soffre di emicranie e di altre faccende, come la signorina A*** che ne soffriva tutti i sabati sino al martedì, questo posto non è per lei. Punto terzo: dichiarare subito: sa scrivere senza spropositi? è capace di non mettermi le carte in disordine?

– Ho la licenza tecnica – disse la vocina della signorina Irene.

– Questo non vuol dir niente. E adesso stia bene a sentire: è sentimentale lei? Io sono specialista in separazioni, divorzi e generi affini. Io non voglio commesse sentimentali, come la signorina R***, che sveniva a tutti i casi delle povere mogli. E adesso veniamo al punto più importante: qui non si fanno sorrisini, occhi di pesce morto. Questo non è un Ministero! Non protesti perchè so quel che dico: io, poi sono corazzato: una donna e il cardinale arcivescovo per me è lo stesso. Fuori di qui, lei fa poi quello che vuole. Se le piace è così, e se no, lee la po’ andà. [p. 139 modifica]

La signorina non si mosse più che una statuetta di biscuit.

E allora l’avvocato Carrà trovò che c’erano altri punti importanti perchè aggiunse così:

Badi bene, signorina, che io non sono cavaliere, come diceva quell’altra che è andata via. Io saluto, non saluto, sto in piedi, sto sdraiato, sto con le gambe in aria, e fumo. Se non le va, lo dica prima.

– Fumo anch’io – disse la signorina.

Questa semplice risposta sconcertò l’avvocato. Tornò a guardare su e giù, e poi disse: – C’è dell’altro! C’è il caso che lei, qui, senta qualche ragionamento che non si trova nei libri della costumata gioventù. Se questo genere di letteratura non le va, non stia a sentire come faceva quell’altra signorina.

E aspettò che la signorina Irene rispondesse qualche cosa.

Ma la signorina Irene nulla rispose. [p. 140 modifica]

Alle dieci precise del giorno seguente la signorina Irene picchiettava con notevole diligenza.

Alle dodici, sospendeva il tic-tac, estraeva dalla borsetta la colazione; faceva colazione, poi si lavava le manine, poi leggeva sino alle ore tre, in cui l’avvocato con una faccia apoplettica e un enorme avana in bocca ritornava dal ristorante.

La signorina Irene Pergolini era uno di quei fiorellini gentili che crescono sull’asfalto delle grandi città: un po’ rachitica, un po’ anemica, ma più tenace che non dimostri l’aspetto. Queste amabili creaturine vivono del loro lavoro, in attesa del poema della tenerezza e dell’amante perfetto. La loro colazione è scarsa; ma nel romanzo preferito trovano l’amante perfetto, le scintillanti cene dei grandi alberghi, [p. 141 modifica]e gli sleeping cars. Queste cose poi si vedono anche, e meglio, al cinematografo.

L’amante di Irene Pergolini era onesto e si chiamava Gennaro: era un postelegrafònico, portava un colletto smisurato, ma non perfetto.

Ogni sera, alle sette, Gennaro era di servizio alla portineria dell’avvocato Carrà.

Prima settimana: disse l’avvocato Carrà alla signorina Irene: – Senta, dica al suo amante di aspettarla un po’ a distanza. Pare un usciere per il sequestro.

– Amante? Oh, signore! Il mio fidanzato! Ha già chiesto il trasferimento a Napoli.

– Bene, ma si guardi dai napoletani – dice l’avvocato Carrà. – Sono di una gelosia intollerabile. Mi risulta dalla pratica professionale.

– Se non mi troverò bene – rispose la signorina Irene – mi separerò. Il [p. 142 modifica]medico ha detto che l’aria di mare mi farà bene, a Napoli.

Seconda settimana.

L’avvocato Carrà sorprende la Pergolini Irene che si strofina le unghie.

– La vuol smettere di lavorare le sue pipite?

La signorina Irene non rispose, ma lo guardò con occhio fermo che voleva dire: «che c’entra lei? L’orario comincia alle tre, e adesso sono le due e mezzo».

Terza settimana: lunedì mattina.

La signorina ha dimenticato sabato sera di portar via il romanzo preferito. L’avvocato l’ha visto, l’ha letto forse; ma certo al mattino, appena la signorina entra, dice così: – Ah, bei libri! Lasciamo stare l’amore in tre, che è necessario anche per la mia professione; ma questa è degenerazione: [p. 143 modifica]cocaina, morfina, minorenni, omosessualità. Io mi meraviglio di lei, signorina!

La signorina non si meravigliò affatto. Si limitò a dire: – È la rappresentazione della società borghese che non lavora. Anzi è un libro morale. Lei però poteva fare a meno di guardare quello che leggo.

Ma l’avvocato, un altro giorno, guardò quello che c’era dentro un pacchettino lieve lieve, e vi trovò un paio di calze di seta con la fattura: lire cinquanta.

– Ma ve ne sono da duecento e più – disse la signorina. – Questo è un prezzo modesto. Non pretenderà mica che vada fuori con le calze bucate? Del resto lei mi faccia il piacere di non guardare nelle mie cose, come io non guardo nelle sue.

Ma la quarta settimana l’avvocato Carrà non potè tacere.

Un signore molto serio era entrato nel suo studio, e ne era uscito dopo un lungo [p. 144 modifica]colloquio. L’avvocato Carrà lo aveva accompagnato sino alla porta, ma nel ritornare indietro, vedendo la signorina che lavorava tranquillamente, non potè tacere. Si fermò e disse: – È inaudito. Sono venti anni che faccio il professionista, ed è la prima volta che mi accade un caso simile. Ha visto quel signore che è uscito adesso? Ebbene quello è un marito che è venuto da me affinchè io interponga i miei buoni uffici presso la sua signora, la quale si vuole separare da lui. Egli non vuole, egli dice che la più grande soddisfazione per un uomo è avere una moglie che abbia, non un amante, ma più amanti, una serie di amanti, come una vera cocotte. E poi ha il coraggio di finire con questa conclusionale: «perchè lei non ha provato, avvocato, perchè lei non ha moglie. Ma se provasse!»

L’avvocato Carrà rideva. Ma poi si fece serio.

Irene Pergolini era impassibile; non arrossiva nemmeno. Era anemica, capisco! Ma neppure un po’ di rossore! [p. 145 modifica]

— Ma lei, scusi, capisce o non capisce?

Irene Pergolini rispose che aveva capito benissimo, ma che il fatto è spiegabile.

– La società borghese è fetente – come dice sempre il mio fidanzato.

Ma con la quinta settimana è venuta la primavera, e la signorina porta un mazzo di violette sul petto, e per non sporcare la vestina bianca, ci mette sopra un grembiulone di lustrino nero. Era il tempo del ritorno delle rondini, e Irene pareva una rondine e anche una educanda.

Questo vestito sobrio e virtuoso irritò molto l’avvocato Carrà: disposto a pagare del suo un abito nuovo nel caso che la signorina si fosse insudiciata, ma non portasse quel grembiulone di lustrino. – Non creda mica di sedurmi, sa! È che la roba nera di lustrino mi irrita. Come toccare il velluto. Ci vuol altro, ci vuol altro che quei quattro ricci appiccicati alla fronte! [p. 146 modifica]

La signorina non rispose nemmeno, ma fece con la mano un gesto di disprezzo, che voleva dire tante cose.

– Lei si deve spiegare.

Ma la signorina si rifiutò.

– Mi vuol forse obbligare con la forza?

– Ah, che mi rompe un dito! Ebbene sì, allora glielo dico: ma stia fermo: lei è più accanito degli altri. Ma si vada a raccogliere nei casti pensieri della tomba! Infame e villano!

L’avvocato Carrà è veramente villano: aveva spezzato un’unghia alla signorina! E, quello che è peggio, le aveva slogato il ditino pollice, così che l’aveva resa inabile al lavoro.

L’articolo 1511 del Codice Civile del resto parla chiaro: «Qualunque fatto che reca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno». [p. 147 modifica]

Gennaro attese una sera, più sere la fidanzata.

Ma invano!

L’avvocato Samuele Carrà non poteva condurre la signorina Irene a Napoli perchè troppo distante dal centro dei suoi affari, ma la condusse a Santa Margherita Ligure, dove c’è il mare azzurro lo stesso. Non vi sono le zàghere, è vero, ma il conforto del grande Hotel può servire come surrogato.

D’altronde queste creaturine cresciute sull’asfalto delle grandi città hanno il loro destino segnato; esso è tutto fuorchè l’arduo compito di accostarsi ai fornelli e procreare figliuoli, ciò che nell’eufemismo degli esteti è significato con le parole: «la maternità le era negata!».