Storia degli antichi popoli italiani/Capitolo XII

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Capitolo XII. Vestini, Marrucini, Peligni e Marsi

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Capitolo XII. Vestini, Marrucini, Peligni e Marsi
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CAPO XII.


Vestini, Marrucini, Peligni e Marsi.


Nella regione più centrale e la più elevata degli Appennini, o sia nelle due provincie modernamente chiamate Abruzzo superiore ed inferiore, abitavano insieme Vestini, Marrucini, Peligni e Marsi. Surge quivi sopra d’un’alta giogaia monte Corno, cognominato il gran Sasso d’Italia, il cui estremo vertice formato da piccol piano inclinato s’innalza 9577 piedi sopra il livello del mare1: gli stanno attorno i monti Sibilla, Vellino e Majella, le maggiori altezze dell’Appennino dopo il gran Sasso, dalle cui cime veggonsi ugualmente i due mari che bagnano Italia, e le sponde della Dalmazia. Sommità gelate2, balze alpestri, inaccessibili rocce, scoscese dirupi, orride voragini3, aspre selve e torrenti impetuosi, son quivi presso che da [p. 244 modifica]per tutto naturalmente od una difficoltà da vincere, o un indispensabile ostacolo. Nè per verità in nessun’altra parte d’Italia l’influsso delle cause fisiche si è fatto più potentemente sentire, che negli antichi abitatori di questi luoghi. La forma delle cose materiali, che più da presso stanno intorno all’uomo, influisce ancora meglio del clima nelle facoltà morali per la continovata forza d’incessanti sensazioni. E sì tanto gagliardamente operava in sulla natura agreste dei paesani, che in ogni età son dessi preconizzati tra le genti più valorose e forti delle nostre guerriere provincie. Come il grado e la dignità pubblica non si misuravano in allora coll’ampiezza del dominio, ma coll’incommutabile dritto dello stato franco, così ciascuno di quei popoli potè illustrarsi per sue virtù, al pari de’ più valenti difensori della libertà italica. Mancata per noi l’arte di muovere, e di stimolar tutti a utilità della patria, ci marivigliamo oggidì che una piccola nazione potesse comparir grande, e farsi celebre nelle storie: ma perchè il premio dei pericoli, e la partecipazione dei benefizj erano a un modo comuni, tutti gl’Italiani ugualmente pieni d’affezione cittadina, ed incitati da quella a generoso eroismo, attendevano a difendere nella sola franchezza il massimo dei beni. Nell’istesso modo le invitte genti, di cui ora ragioniamo, ripararono ampiamente con la virtù dell’animo alla scarsità del numero, e conseguirono la fama singolare di popoli fortissimi. [p. 245 modifica]

In questa contrada sì acconcia alla vita pastorale, ed a malgrado dell’asprezza de’ luoghi ancor fioritissima di popolo, crebbero i primitivi montanari, la cui progenie sotto il nome di Osci, Umbri, Sabini ed Aborigeni, si rinviene in una grandissima parte dell’Italia. Sforzati prima nelle lor dimore dagli Illirici ed altri stranieri, nel modo che abbiamo narrato, di qua si mossero quelle bande che per vie diverse penetrarono in parte nell’interno della Sabina, ed in parte s’avanzarono sin oltre il Tevere mutando sede4. Non per tanto la forza non diede solo principio al loro stato: perciocchè, siccome avvenne a coloro che fondarono la nazione sabina, così gli altri, ugualmente consacrati al Dio protettore, dovettero al pari o per suo proprio valore, o per forza di religione comune, unirsi e mischiarsi coll’altre genti, sicchè potessero formare insieme altrettanti popoli novelli. Moltissimo poteva, nella loro istituzione anche l’accortezza, il senno, e la virtù de’ propri duci, se medesimi auguri e guerrieri. Onde è cosa certissima, che questi popoli di nuovo nome originati di una sola progenie riconobbero, e in ogni tempo coltivarono fra di loro per vicendevoli legami la stretta consanguinità e parentela. Attenenti massimamente ai Sabini e agli Ernici furono i Marsi5: congiunti con questi dice Catone6 i Marrucini: Ovidio, nato peligno, chia[p. 246 modifica]ma i Sabini avi suoi7: nè meno affini di tutti loro per parentado erano i Vestini8. Posti come in mezzo tra i Sabini ed i Sanniti, e tutti unitamente parlanti lingua osca, basterebbe questo solo, in difetto d’altre prove, a dimostrare una origine comune: ma lo persuade anche più maggiormente la durante lega de’ Marsi, Vestini, Marrucini e Peligni in una sola confederazione, la qual di poco cedeva per militare virtù a quella dei Sanniti9.

Benchè sia impossibile l’assegnare con precisione a ciascun popolo i termini del suo propio territorio, pure si vede chiaramente che il corso de’ fiumi e la naturale disposizione delle valli, posero i lor respettivi confini. In primo luogo i Vestini, collocati distintamente fra i due fiumi Matrino o Aterno, dalle sommità del monte Corno giungevano insino al mare Adriatico, e tenean Pinna nell’interno10, città forte e capo di quel popolo. Di Cutilia e Cingilia, terre loro, non conoschiamo se non il nome solo in Livio11. Bensì Amiterno, le cui rovine son presso d’Aquila ha dovuto essere più anticamente de’ Vestini, anzichè dei Sabini: tanto poco ambedue i popoli, per la grande vicinanza, son l’uno dall’altro distinti ne’ loro [p. 247 modifica]termini. L’Aterno, il qual bagna le rovine d’Amiterno, e ingrossato di molte acque si getta in mare per letto largo e profondo col nome di Pescara, poneva da questo lato il fine tra i Vestini e Marrucini, che avean Tiati per città capitale della unione12. Aterno terra marina posta in sulla ripa de’ Marrucini, dov’è Pescara, serviva di comun navale e di luogo di mercato ai Marrucini stessi, ed ai Vestini e Peligni13, che quantunque maggiori d’ambedue non avean lido. Ma, più internati nel centrale Appennino, la società loro si componeva delle popolazioni situate intorno monte Majella, e divise dal Sannio per mezzo del fiume Sangro, che con lungo e rapido corso mette foce in mare nel paese già dei Frentani. La provincia peligna si trova così naturalmente divisa in tre distinte regioni: una formata da capace valle con la pianura adiacente, che oggi si chiama di cinque miglia, dove appresso giaceva la patria d’Ovidio, e Corfinio metropoli de’ Peligni: le altre due esposte a tutto il rigore d’un gelido clima14, e soltanto acconce a buoni pascoli, vi raccoglievano nella state le greggi appule15. Benchè non mancassero quivi nè pure colti campi, ovunque l’irrigazione era bastevole a fecondarli. Così la vite cresceva ancora presso la frigida acquosa ed umida [p. 248 modifica]Sulmona16. Super Equum17, altra città de’ Peligni, non sappiamo se fosse ne’ monti o nel piano: però il suo nome osco, certo segnale dell’origine e della lingua, si ritrova omonimo in quel di Equus tuticus nel Sannio. Tutti questi popoli compresovi i Marsi, sì gagliardamente difesi dalle fortezze de’ luoghi alpini, abitavano secondo il costume de’ padri per casali e villaggi18: città murate ebbevi le sole capitali centro della forza: e per là entro i suoi monti s’adoperava ciascuno pien di vigoria o nella pastorizia, od in altre industrie rurali. I pastori vestini manipolavano cacio lodatissimo19; raccoglievano i Peligni ottima cera20; nelle terre loro arenose e solute sementavano in oltre lino di molto pregio21. Ed eransi queste parte delle cose che solean dessi marcare e cambiare nel porto comune d’Aterno.

I Marsi bensì sovrastavano a’ loro socj tanto per maggioranza di popolo, quanto per ampiezza di territorio. Stavan essi come nel centro intorno allo spazioso e limpido lago Fucino, o di Celano, che ha trentasei miglia di circuito e in sulla cui sponda orientale sono ancor visibili le vestigia di Marruvio, capo dell’intera nazione marsica22. Alba siede sulla vetta d’una col[p. 249 modifica]lina isolata distante due miglia dal lago, e atteso la forte situazione passava per una rocca inespugnabile dei Marsi23, nella cui confederazione si numeravano anche le comunità degli Ansantini, Antinati e Lucensi24. Non può dirsi dove fossero Plistia, Fresilia, e Milonia, ancorchè più volte nominate da Livio25: sorte comune a moltissime terre disfatte con pari iniquità dalla ferocia romana. Ma non già i poderosi Marsi con i loro socj Vestini, Marrucini e Peligni26, cederono senza grandi contrasti alla fortuna di Roma. Il loro valore in guerra, specialmente come spediti e possenti sagittarj era sì manifesto a tutti, che ne venne in proverbio non potersi trionfare dei Marsi, nè senza i Marsi27. E quelle prove di fortezza che dovemmo noi stessi encomiare altra volta narrando i casi della guerra marsica o sociale28 fan di più palese, che mai non intiepidì ne’ loro animi, come [p. 250 modifica]notava Vegezio29, nè l’amore di libertà, nè la virtù guerriera, la quale si mostra ancora nelle tombe di que’ prodi pertinacissima30.

Auguri, indovini, sortieri, incantatori, aruspici, si ritrovano da per tutto, come indispensabile conseguenza del primitivo governo sacerdotale. Ma, dopo l’aruspice etrusco, nessuno fu celebre più maggiormente dell’incantatore marso. Era desso membro di una progenie non mai tramischiata di sangue alieno31. E tutti gli attenenti di quella avean virtù magica di scongiurare e ammansare gli aspidi velenosi. La qualità del paese dei Marsi, boschivo e carvernoso, è di sua natura asilo di serpenti. Certamente l’intrepido paesano che si provò il primo a sprezzare ed a lambire il liquor velenoso, che stagna nelle guaine dei denti delle vipere32, volle ritrarre un qualche guadagno della sua scoperta. Il secolo superstizioso e credulo ben dovea tenere così fatta virtù per soprannaturale potenza. Nè poco scaltramente insinuavano i sacerdoti esser cotesto un dono rivelato della magica Angizia, la quale riceveva dal popolo onori divini nel sacro bosco presso al Fucino, dove, in sulla ponda occidentale del lago, possono ancora vedersi le ruine [p. 251 modifica]del tempio, albergo di quei venerati inganni. Fu tanta e sì universale la fama dello incantatore marso, che ne son pieni di rimembranze i classici latini: e niuno ignora, che Virgilio ebbe a grado descrivere con be’ colori poetici l’incantatrice e sovrumana possa del forte Umbrone dotato di cotal valore33. Ma non era già tutta ciurmeria l’arte dei Marsi: perocchè la stessa lor destrezza in risanare le ferite serpentine fu di fatto un salutare sussidio della medicina, niente meno che l’erbe medicinali de’ monti marsi34, per la cui efficacia, meglio che col suono delle loro nenie, potean essi curare buon numero di malattie volgari35. Uguali medici incantatori avean pure i Peligni36: sebbene gli auguri, propriamente chiamati Marsi37, e non ignari di scienza puranco astronomica38 pare che tenessero un ministerio più degno, pertinente agli ufficj del magistrato. In ogni modo però, siccome le cose superstiziose e mirabili son più atte a piacere al popolo, che non l’utili verità, così la falsa credenza degl’incantesimi marsi si mantenne viva insino ai bassi tempi d’Eliogabalo39: e quasi come perpetuo documento [p. 252 modifica]dell’umana credulità, non può dirsi tampoco al tutto spenta nel luogo dove nacque40.

Queste divolgate opinioni d’arti magiche e d’incantamenti porsero senza dubbio cagione alle leggende, che facevano d’Angizia, diva indigena, una sorella di Circe o la stessa Medea41: in quel modo che ne’ Volsci il mito stesso di Circe era stato accomodato, come pensa Strabone, a spiegare attamente la natura di que’ monti, creduti feraci di radici e d’erbe venefiche42. Però d’assai più strane furono le novelle narrate da un Gellio, per le quali i Marsi si dicean venuti di Lidia con Marsia loro re, edificatore d’Archippe, dipoi sprofondata nel lago43. Ovidio, il quale come poeta avea dritto a vagheggiare ogni bella finzione, poteva cantare lecitamente, che la sua Sulmona prendesse l’origine e il nome da Solimo di Dardano troiano, uno dei compagni d’Enea44. A un modo Silio scriva pure poetando essere i Marsi oriondi della Frigia, e [p. 253 modifica]Marro il loro capo45. Ma non può già tollerarsi il poco senno dell’encomiato polistore Alessandro, dove favoleggiando racconta d’un altro re dei Marsi per nome Reto46. Laonde se noi vie più insistiamo nel palesare per quali e quante fogge questo borioso genio di leggende aliene si fosse internato nelle memorie italiche, usurpando ogni loco al vero, non sarà opera perduta, qualora ne venga alla storia critica durevole profitto alcuno.

Note

  1. Secondo le osserv. barometriche fatte da Orazio Delfico nel 1796: altri ha trovato 8934 piedi. Vedi Zach, corresp. astronom. p. 357. an. 1819. Il recente autore d’un sistema alpino fondamentale segna 2902 metri di altezza. Bruguiere, Orographie de l’Europe p. 266 Paris 1830.
  2. Benchè la vetta dei monti soprammentovati oltrepassi la linea delle nevi permanenti nelle Alpi, ed anche nei Pirenei, pure, quivi in Italia, sotto il 42° grado di latitudine, tale altezza non basta a mantenervi le nevi oltre il mese di Aprile.
  3. Inferno di S. Colomba chiamasi dai paesani la più vasta e profonda.
  4. Vedi p. 174. sqq.
  5. Vedi p. 228. n. 10.
  6. Ap. Priscian. ix
  7. Et tibi cum proavis, mites Peligne, Sabinis convenit. Fast., iii 95.
  8. Ennii fragm. p.150; Juvenal. xv. 180-181
  9. Liv. viii. 29.
  10. Civita di Penne.
  11. viii. 29
  12. Chieti. Strabo v. p.167.; Plin. iii. 12.
  13. Strabo l. c.
  14. Peligna frigora: Marsae nives et frigorii: erano modi proverbiali. Oggi si dice: freddo d’Abruzzo.
  15. Varro r. r. ii. 1.
  16. Plin. xvii. 26; Ovid. Trist. 9.
  17. Frontin. de limit. Superequanos chiama Plinio il popolo.
  18. Κωμηδὸν ζῶσιν. Strabo v. p. 167; Fest. v. vici
  19. Cascus vestinus. Plin. i. 42.; Martial. xiv. ep. 31
  20. Plin. xi. 14
  21. Plin. xix. 1.
  22. Marruuiu? Strabo v. p. 166.; Plin. xii. 3.
  23. I vestigi delle mura d’Alba, costruzione di pezzi poligoni, hanno di circuito un miglio e mezzo incirca. Vi si veggono soltanto pochi tugurj abitati al più da 200 pecorai: in tale stato è ridotta oggidì una città dove nel 450 fu condotta una colonia di 6000 uomini.
  24. Plin. iii. 12. Benchè il testo porti Atinates si debbe leggere Antinates più lapidi fanno menzione d’Antino ne’ Marsi, oggi chiamata dagli Abruzzesi Civita d’Antina. I Lucinesi sussistono tuttora in Luco, 8 miglia distante da Alba.
  25. x. 3. et al.
  26. Genus acre virum Marsos. Virgil. Georg. 11, 167.; Fortissimorum virorum Marsorum et Pelignorum. Cicer. in Vatin. 15.
  27. Appian. Civil. 1. p. 636. ed. Toll.
  28. Italia av. il dominio dei Rom. T. iv. e. 18.
  29. Neque enim degeneravit in hominibus Martius alor, nec effoetae sunt terrae, quae Marsos, quae Samnites, quae progenuere Pelignos. Veget. de re mil. i. 28
  30. Nei sepolcri loro si trovano sempre in molto numero armi offensive.
  31. Plin. vii. 2, xxviii. 2; Gell. xvi. 1.
  32. Redi, Osserv. intorno alle vipere.
  33. Virgil. vii. 750. sqq.
  34. Virgil. vii. 757.; Silius viii. 497.
  35. Marsa naenia: marsae voces: sabella carmina: sono tutte locuzioni proverbiali.
  36. Peligna examina. Calpurn. ad Nemesian. ecl. iv. 151.
  37. Ennii, fragm. p. 225.
  38. Jul. Firmic. viii. 15.
  39. Lamprid., Heliog. p. 109.
  40. Dal lago di Celano vengono tuttodì quei ciurmatori, che vanno attorno barando il mondo segnati con la serpe nella spalla; benchè altrettanto destri e sicuri nel maneggiare serpenti. I paesani stessi attribuiscono confidentemente a un S. Domenico di Cullino, quel che i loro antenati speravano in Angizia e Medea.
  41. Coelius (l. Gellius) ap Solin. 8.; Serv. vii. 750.
  42. Strabo v. p.160; Auct. de mirab. p. 1156. In fatti ivi attorno abbonda la Crepis Licera: pianta cicoracea di micidiale velenosità.
  43. Plin. iii. 12.; Solin. 8.
  44. Ovid. Fast. vi. 79-81.; Sil. ix. 70-76.
  45. Sil. viii. 504-508.
  46. Ap. Serv. x. 389.