<dc:title> Storia della letteratura italiana </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Girolamo Tiraboschi</dc:creator><dc:date>1822</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_III/Libro_II&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20190307200407</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_III/Libro_II&oldid=-20190307200407
Storia della letteratura italiana - Libro II – Storia della Letteratura Italiana sotto il regno de’ Longobardi Girolamo TiraboschiTiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu
[p. 121modifica]LIBRO SECONDO
Storia della Letteratura Italiana sotto il regno
de’ Longobardi.
IMell’inoltrarmi ch’io fo nella storia dell’Italiana Letteratura, e nell’entrare ne’ tempi
del regno de’ Longobardi, a me sembra di essere qual viaggiatore che dopo aver corse per
lungo tempo colte e popolose provincie, nelle
quali benchè siagli avvenuto talvolta d’incontrar sulla via qualche tratto di sterile e abbandonato terreno, spesso nondimeno ha avuto il
piacer di aggirarsi per maestose città, e per
fertili ed ubertose campagne, vedesi finalmente
in mezzo a un vastissimo incolto deserto in
cui, comunque rivolga l’occhio per ogni parte , appena è mai che gli si offra allo sguardo
o un fresco erboso cespuglio, o un fiorellino
odoroso, o altro ridente oggetto che fra la noia
di sì penoso cammino, e fra F orrore e ’1 silenzio di quella vastissima solitudine, gli possa
recar conforto. I secoli dei quali abbiam finora
parlato, benchè talvolta sconvolti dalle pubbliche calamità, e perciò poco felici all’italiana
letteratura, non sono stati però oscuri e tenebrosi per modo, che qualche lume non si vedesse risplendere a quando a quando, e qualche oggetto non ci si offerisse, su cui fosse
piacevole il trattenerci. Ma i tempi de’ quali [p. 122modifica]ora dobbiaoi ragionare, son tempi di squallore
e di universale desolazione. I nomi di orator,
di filosofo, di astronomo, di matematico son
nomi, direi quasi, barbari e sconosciuti. Un
uomo che sappia scriver latino con qualche
eleganza, un uomo che sappia alcuna cosa di
greco, un uom che faccia de’ versi, è un uom
prodigioso. È ella questa quelf Italia medesima
in cui ne’ secoli trapassati abbiam vedute sì
felicemente fiorire le scienze d’ogni maniera l
Ecco l’infelice argomento su cui debbo or trattenermi. Mi sforzerò nondimeno di fare in modo
che la noia che necessariamente mi convien
sostenere nel ragionarne, ricada quanto men
sia possibile su chi leggerà questa Storia; e
alla diligenza nel raccogliere tutto ciò che appartiene alla letteratura italiana di questo tempo, unirò ancora la riflessione di toglierne, se
mi verrà fatto, al racconto ciò che possa aver
di spiacevole e di noioso.