Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro I/Capo IV

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Capo IV – Biblioteche

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Capo IV.

Biblioteche.

I. Le università e le altre pubbliche scuole che abbiamo vedute in tante città d’Italia erette felicemente, e salite anche presso le straniere nazioni in altissima stima , ci potrebbon persuader facilmente che si cominciasse in questo secol medesimo a formar pubbliche e private biblioteche necessarie a’ professori non meno che agli scolari. In fatti come poteansi coltivare senza un tal mezzo gli studi? Anche in mezzo alla luce di cui veggiamo a’ giorni nostri risplendere le scienze tutte, appena può uno sperare di acquistarsi in esse gran nome, se non sia copiosamente fornito di libri che ad esse il conducano per più breve e più agevol sentiero. Quanto più dovea ciò esser ne’ tempi di cui scriviamo, ne’ quali sì folte eran le tenebre e sì universal l’ignoranza! La difficoltà nondimeno di trovar copie dei buoni libri, e il caro prezzo a cui conveniva comprarle, appena rendea possibile il raccoglierne quella copia che a ricondurre gli uomini al buon gusto da tanto tempo smarrito; e a scoprir loro le verità che stavansi ancora involte in un1 oscurissima notte, era necessaria. Io non trovo in fatti memoria nè di personaggio alcuno, nè di alcuna città che a questi tempi pensasse ad [p. 121 modifica]PRIMO 131 aprire un’ampia, universale e pubblica biblioteca , e ad agevolare e a promuovere per tal maniera gli studi. Anzi io rifletto che il nome di biblioteca era talvolta usato a spiegare non altro che i libri della sacra Scrittura, come osserva il du Cange (Glossar, med. et inf Latin, ad voc. Bibliotheca). Così nel testamento di Jacopo da Bertinoro, fatto in Bologna l’anno 1199 e pubblicato dal P. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 145), ove veggiamo ch’ei lascia due biblioteche alle chiese di s Vittore e di S. Giovanni in Monte, deesi intendere in questo senso. Tanto era allor grande la scarsezza de’ libri, che col donare una Biblia credeasi di fare uno splendido donativo. II. Ad ogni modo era pur necessario l’aver de’ libri, e conveniva perciò trovar maniera con cui provvederne chi ne fosse bramoso. A tal fine io penso che in tutte quelle città che aveano pubbliche scuole, fosse un sufficiente numero di scrittori che si occupassero in far copie de’ libri più necessarii per poscia venderli agli scolari. Osservo in fatti che nel monumento appartenente all’Università eretta in Vercelli, di cui nel capo precedente si è favellato, tra i patti stabiliti fra quella comunità e i professori di Padova che colà dovean recarsi, questo si esprime che vi abbia due copiatori , i quali provvedano agli scolari le copie pe’ libri opportuni per l’uno e per l’altro diritto e per la teologia , e le vendano a quel prezzo che da’ rettori sarà fissato: Item habebit Commune Vercellarum duos Exemplatores quibus taliter providebit, quod eos scolares [p. 122 modifica]122 Limo Iutiere passini, qui habeant exemplantia in utroque Jure et in Tbealo già competenlia, et correcta tam in textu quam in glossa; ita quod solutio fiat a scolaribus pro exemplis secundum quod convenit, ad taxationem Bec tarimi. Ma che eran mai due copiatori al bisogno di una università e di una città intera? Nella descrizione che abbiam poc’anzi accennata della città di Milano fatta verso il fine di questo secolo da Buonvicino da Riva, si trova memoria ancora del numero de’ copiatori che ivi era: Scriptores librorum L. Il qual numero non era certo proporzionato a una sì popolosa cittàJ qual era allora Milano, ove, secondo la descrizione medesima, contavansi duecentomila abitanti. III. Maggiore assai dovea essere in Bologna il numero de’ copiatori, poichè assai maggiore vi era il numero degli scolari e de’ professori. Nè sol gli uomini, ma le donne ancora esercitavansi in tale impiego, come con vari monumenti dimostra il P. Sarti (ib. pars 1, p. 186), il quale a ciò attribuisce gli errori e le scorrezioni che in tanti antichi codici si ritrovano. Soleasi ivi affiggere pubblicamente il catalogo de’ libri ch’erano in vendita, come ora si usa talvolta da’ nostri librai; e un di tali catalogi, che appartiene però al secolo susseguente, è stato pubblicato dal medesimo P. Sarti (ib. pars 2 , p. 214)• In esso si spiega il numero de’ quinterni onde ciascun libro era composto; e a ciascuno si fissa il prezzo che dovea pagarsi da chi volesse usarne o a leggerlo, o a copiarlo: a cagion d’esempio: Lecturam [p. 123 modifica]primo ia3 Domini Hostiensis: CLVI quinterni taxati Lib. II, Fol x. Il suddetto catalogo non è che di libri appartenenti all’uno e all’altro diritto; e forse ciascuna scienza avea i catalogi de’ libri ad essa opportuni. Ma il farli copiare non era cosa da tutti; perciocchè non picciolo era il prezzo che perciò richiedeasi. Ne’ monumenti citati dal P. Sarti (ib. pars 1, p. 187) veggiamo che per copiar l’Inforziato furono pattuite 22 lire bolognesi, e 80 lire per una Biblia, prezzo a que’ tempi grandissimo, in cui tre lire bolognesi corrispondevano a due fiorini d’oro (ib. p. 481), il valor de’ quali era allora tanto maggior del nostro. E per iscrivere un Messale ornato a lettere d’oro ed a pitture troviam in un monumento dell’anno 1240 presso gli Annalisti camaldolesi, che parecchi monaci contribuirono oltre a 200 fiorini (Ann. camald, vol. 4? p- 348). Ciò non ostante anche ne’ libri s’introdusse ben presto il lusso , e si cominciarono a dorare le lettere iniziali, e ad ornare di capricciose figure i contorni delle pagine. Odofredo , sempre leggiadro ne’ suoi racconti, narra di un cotale che mandato da suo padre a studiare in Parigi coll’assegno annuale di 100 lire, egli tutte gittavale in far adornare e dipingere i suoi libri, e in farsi calzar di nuovo ogni sabato: Dixit Paterfilio... Vade Parisius vel Bononiam, et mittam tibi annuatim contimi Uh ras. Iste quid fecit? Ivit Parisius, et fecit libros suos babuinare de literis aureis... ibat ad cerdonem, et faciebat se calceari omni die Sabati (De Senatusconsult. Macedon.). La voce babuinare, coniata dal nostro [p. 124 modifica]124 LIBRO Odofredo, indica, come ognuno vede, quelle strane figure di cui si veggon talvolta fregiati gli antichi codici; ed è tratta dalla volgar voce Babbuini. Nè solo negli ornamenti, ma nella mole ancora de’ libri vedeasi non rare volte un eccessivo lusso. Daniello Merlaco scrittor inglese alla fine del XII secolo descrive alcuni scolari, cui egli chiama bestiali, da lui veduti, i quali sedendo con gran maestà nelle scuole faceansi porre innanzi su due o tre tavole volumi d’immensa mole fregiati ad oro: Videbam quosdam bestiales in Scholis gravi auctoritate sedes occupare habentes contra se scamma duo vel tria, et descriptos Codices importabiles aureis literis Ulpiani traditiones repraesentantes (Ap. Wood, Hist. Univ. Oxon. ad an. 1189). Perciò lo stesso Odofredo parlando de’ tempi suoi, dice che i copiatori allora erano pittori: Hodie scriptores non sunt scriptores, sed pictores (Ap. Sarti, l. cit. p. 187). E veramente gli scrittori bolognesi erano singolarmente famosi per l’eleganza e bellezza del lor carattere, nel che superavano ancora que’ di Parigi, come dimostra il P. Sarti (ib.), da cui io ho tratte quasi tutte le minute notizie che su ciò son venuto finora sponendo. Ad esse io debbo aggiugnere la menzione di un bel monumento pubblicato dall’eruditissimo P. abate Frova vercellese , cioè il Catalogo de’ libri che il cardinale Guala, di cui parleremo nel libro seguente, lasciò in dono l’anno 1227 al monastero di S. Andrea in Vercelli da lui fondato (Guale Bicherii card. Vita, p. 175). Esso è assai copioso singolarmente di libri sacri \ ma ciò che [p. 125 modifica]pjumo i a5 fa al nostro proposito, si è che veggiamo che al titolo di molti tra essi si aggiugne la nota ancor del carattere in cui erano scritti, e questa ci mostra quai fossero allora i caratteri più pregiati, e quanto vanamente si ornassero cotai codici. Eccone alcuni fra gli altri: Bibliotheca magna (cioè un corpo della Sacra Scrittura) de littera Parisiensi cooperta pur pura, et ornata fioribus aureis, et litterae capitales aurcac.. • de,n «bri Bibliotbeca de littera Boloniensi cum col io rubco: itera bibliotehca de littera Anglicana... item in bibliotheca parva pretiosissima de littera Parisiensi cum litteris aureis et ornamento purpureo... ite ni Ea. odus, Leviticus... de littera antiqua... item XII Prophete in uno volumine de littera Lombarda... item moralia B. Gregorii super Job de bona littera antiqua Aretina. Qual ampio campo si offre qui agli studiosi delle antichità de’ bassi secoli a ricercare qual diversità passasse fra questi caratteri, e come essi l’un dall’altro si distinguessero! A me basta il riflettere fin dove giugnesse il lusso in que’ tempi rozzi ed incolti (a). IV. Non ci dee dunque recar maraviglia che sì rare fossero di questi tempi le private e le pubbliche biblioteche. Della Vaticana non trovasi, ch’io sappia, in tutto questo secol memoria alcuna, e i dottissimi Assemani che hanno (u) Sarebbesi qui dovuto trattare dell’invenzione della carta di lino, che semina appartenere al secolo di cui parliamo. Ma ne ho riserbato il discorso al secolo susseguente in cui 1 uso ne divenne più universale. [p. 126 modifica]120 LIBRO con grande esattezza formato il Catalogo de’ Bibliotecarii della sede apostolica, non ne hanno in questo spazio di tempo rinvenuto pur uno. Nelle altre chiese cattedrali che, secondo l’antica lodevole istituzione da noi rammentata più volte, dovean avere la loro biblioteca, singolarmente di libri sacri, è probabile che almen qualche vestigio ne rimanesse: benchè moltissimi dovettero essere i libri che all’occasione delle continue guerre e delle fierissime dissensioni da cui fu travagliata l’Italia, interamente perirono. “ Di una biblioteca in Perugia, ma ricca solo di libri legum tam divine quam humane , mi assicura trovarsi memoria ne’ monumenti di quella città all’anno 1208 l’altre volte lodato sig. Annibale Mariotti ». Tra’ privati poi appena era possibile che si trovasse chi avesse ricchezze sufficienti a formare una copiosa bi-* blioteca. 11 P. Sarti chiama assai bene provve« ditta (ib. p. 186) la biblioteca di Cervotto Accorso, ch’egli probabilmente avea avuta in dono dal celebre giureconsulto Accorso suo padre. Ma tutta questa biblioteca, di cui egli stesso ha pubblicato il Catalogo, riducesi finalmente a venti volumi tutti di scrittori legali. Egli ha pur pubblicato il Catalogo* della biblioteca che da Buonagiunta figliuol di Popone e dottore in legge canonica Fu donata a’ monaci cistercensi nella diocesi di Volterra l’anno 1 262 (ib. pars 2), ed essa ancora consiste ne’ Corpi del Diritto civile e canonico, e in alcuni pochi chiosatori e comentatori. Più copiosa è probabile che fosse quella dell’itnperador Federigo II, di cui egli fa cenno in una sua lettera: Libronim vo lumina, [p. 127 modifica]TRIMO 127 quorum imdtffiric multisque modis distincta chirographa nostrarum armaria divitiarum locupletant (De Vineis Epist. l. 3, c. 67). Ma d’essa non troviam chi ci dia più distinto ragguaglio. Buon numero di libri avea pure raccolto il suddetto cardinale Guala, come raccogliesi dal Catalogo poc’anzi accennato, ove tutti si annoverano. Essi però, trattine alcuni legali, appartengono tutti alle scienze sacre. Il proposto di Vercelli Jacopo Carnario, di cui nel capo precedente si è ragionato, avea egli pure non piccola copia di libri, come dal suo testamento ivi mentovato si apprende; perciocchè veggiamo che ci lascia i libri di teologia al convento di S. Paolo dell1 Ordine de’ Predicatori in quella città con alcune condizioni che si esprimono: i libri di leggi e di canoni e alcuni altri teologici comandi che si diano a certo cherico Giovanni di Raddo; e che i libri di fisica e delle arti si distribuiscano gratuitamente ai poveri cherici e studenti della stessa città. V. Delle biblioteche monastiche di questo secolo appena abbiamo notizia alcuna. L’essersi in quelle serbati sino a’ giorni nostri non pochi codici, alcuni scritti a questa medesima età, altri ancora assai più antichi, ci mostra elici monaci continuarono ad averne sollecita cura, e ad accrescerle di nuovi libri. Ma se se ne tragga la copiosa biblioteca poc’anzi accennata che il cardinale Guala donò al monastero di S. Andrea in Vercelli, non sappiamo precisamente di alcuno che imitasse in ciò gli esempii di alcuni de’ monaci de’ secoli addietro, che tanto si erano adoperati per arricchire le loro [p. 128 modifica]128 „ LIBRO biblioteche. La storia monastica, generalmente parlando, dopo il secolo XII non è stata finora abbastanza* illustrata; e non possiamo a meno di non dolerci che la grand’opera del P. Mabillon non oltrepassi l’anno 1157, e non sia stata da alcuno continuata. Il che se un giorno avvenisse, ci si offrirebbe forse pei monaci anche in questo argomento più ampia materia di lode. Egli è vero però, che, come le nuove religioni che sorsero in questo secolo, e principalmente i chiarissimi ordini de’ Predicatori e de’ Minori, rivolsero a sè gli sguardi di tutta l’Europa, e furono, benchè contro lor voglia, cagione che gli ordini antichi cominciassero ad essere in minore stima, perchè minore era il bisogno che di essi si avea, così i novelli ordini stessi veggendosi destinati a imitazion degli antichi ad istruire gli uomini, e a combatter gli errori e i vizii, presero ad emular nobilmente non sol le loro virtù, ma ancor l’indefesso travaglio nel fornirsi di quella scienza che a’ lor ministeri era necessariamente richiesta. Quindi, come negli scoi si secoli avean fatto i monaci, si diedero essi pure a raccoglier libri, e a formare biblioteche. Io ne recherò solo l’esempio de’ conventi di Santa Croce e di Santa Maria Novella amendue in Firenze, il primo de’ Minori, il secondo de’ Predicatori. Perciocchè quanto al primo alcuni monumenti sono stati dati alla luce dall’eruditissimo ab. Lorenzo Mehus (Vita Ambros. camald. p. 339, ec.), dai quali raccogliesi che que’ religiosi cominciarono fino da questo secolo a far raccolta di codici a vantaggio de’ lor fratelli, e conservansi ancor le [p. 129 modifica]PRIMO IRQ memorie di coloro che ne fecero acquisto, e de’ doni ch’essi ne fecero al lor convento. E quanto al secondo ancora egli stesso nomina alcuni di que’ religiosi (ib. p. 341) che ne furon per somigliante maniera benemeriti col gittare, per così dire, i primi fondamenti della copiosa biblioteca che in esso poi si venne formando. VI. Questo è ciò solo che intorno alle biblioteche di questo secolo mi è riuscito di rinvenire. Assai più copioso argomento ci daranno esse nel secol! seguente, ove vedremo cominciare a destarsi in molti Italiani un’ardente brama di trar dalle tenebre, fra cui giacevano, tanti libri che l’ignoranza de’ secoli trapassati avea quasi fatti dimenticare. Noi dobbiamo ad essi in gran parte i progressi che dopo tali scoperte si son fatti in tutte le scienze. Ma essi ancora dovettero a’ lor maggiori il poter conseguire ciò che bramavano; perciocchè se quelli anche nel tempo della più incolta barbarie non avessero serbato pur qualche copia delle opere degli antichi autori, ogni loro sforzo in cercarne sarebbe tornato a nulla. E l’essersi per la maggior parte gli antichi libri scoperti in Italia, come a suo luogo vedremo, ci mostra che gl’italiani furon in ciò più degli altri solleciti; e che benchè più di tutti fossero travagliati ed oppressi da gravissime calamità, men di tutti però si lasciarono avvolgere in quella nube foltissima d’ignoranza da cui il mondo tutto fu per più secoli ingombrato. Tirahoschi, Voi. IV. 9