Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro I/Capo III

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Capo III – Università e altre pubbliche Scuole e Seminari

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Capo III – Università e altre pubbliche Scuole e Seminari
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Capo III.

Università ed altre pubbliche scuole.

I. Io non so se spettacolo più giocondo insieme e più capriccioso si vedesse mai di quello che, ne’ tempi di cui scriviamo, vide l’Italia. Le università, fatte, per così dir, viaggiatrici, non aver stabil dimora, ma ora spiegar le tende in una città e farvi pompa de lor tesori, ora involarsene improvvisamente e trasferirsi altrove i pubblici professori costretti con giuramenti a non abbandonare i lor posti, andar nondimeno i. Prospetto funerale dele scuole ila» liane di queSto secolo. [p. 62 modifica]62 LIBRO qua e là errando, e strascicar seco la folla de’ lor discepoli ammiratori; la cessazion degli studi imposta per solenne castigo, e le scuole, non altrimenti che se fossero cose sacre, sottoposte all ecclesiastico interdetto. Niuna cosa ci mostra meglio la barbarie e la rozzezza di questi tempi; poichè que’ mezzi medesimi che si ponevano in opera a sradicarla, non si sapevano usare che in maniera barbara e rozza. Spero che non riuscirà discaro a chi legge il venir meco esaminando cotali vicende; e mi lusingo di essermi adoperato con qualche particolar diligenza a raccogliere su questo argomento le più sicure e le più esatte notizie. Io non parlerò qui de’ celebri professori di diverse scienze, che furono in questo secolo l’ornamento delle italiane università; ma solo dello stato in cui esse erano, delle vicende a cui soggiacquero, e delle nuove scuole che in più città furono aperte. De professori e degli altri coltivatori delle scienze e dell’arti ragioneremo partitamente secondo le diverse lor classi ne’ libri seguenti. IL L’Università di Bologna, che fra tutte le .scuole di’Italia era la più cospicua e la più ri| nomata, fu ancora più d’ogni altra soggetta a tali vicende; e queste diedero origine alla nascita di altre università che crebbero poscia a gran fama. Per meglio intendere ciò che a tai fatti appartiene, è a riflettere che i Bolognesi erano sommamente gelosi che i lor professori legali non abbandonasser Bologna per recarsi a tenere scuola in altre città. Il Piacentino e Ruggiero beneventano, come abbiamo altrove [p. 63 modifica]peimo (>3 narrato (t.3, l. 4 c 7 n 27, 28), aveane dato l’esempio, passando il primo a Mantova, e poscia a Montpellier, il secondo a Modella. l)i (¡uesta città singolarmente parean temere i Bolognesi, come ancora di Reggio, o perchè le scuole di giurisprudenza vi fosser più 1 ¡nomale che altrove, o perchè la lor vicinanza potesse ed essi recar qualche danno. Di qua nacque una cotal opinione che alcuni tra’ dottor bolognesi di questo secolo presero a sostener francamente come verità,. di cui senza gran fallo non si potesse pur dubitare, cioè che i privilegi dalle leggi romane accordati ai’ professor delle leggi si potessero bensì godere da' professor bolognesi, ma da’ modenesi e da’ reggiani non già: Doctores Bononiae, dice Odofredo (in l. Si duas ff. de excus. tutor.), habent excusationem a tutelis, non qui docent Mutinae vel Regii; anzi egli stesso altrove ed anche il celebre Accorso giunser tant’ oltre, come mostra il dottissimo P. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1 p. 75), che a guisa di plenipotenziarj della giurisprudenza fissarono autorevolmente i limiti, di là da’ quali non poteasi godere di tai privilegi, e decisero ch’essi non si stendevano oltre il fiumicello Avesa che allora correva fuori della città di Bologna, ed or la taglia quasi per mezzo. Ma questa lor decisione che non avea fondamento a cui appoggiarsi, non ottenne fede che appresso i decisori medesimi. Nè era essa freno bastevole a trattenere i professori, sicchè non si recassero ove poteano sperare o premio, o onor maggiore. Convenne dunque pensare a mezzo più efficace, [p. 64 modifica]64 LIBRO e si obbligarono i professori a stringersi con giuramento a non tenere scuola altrove che in Bologna. Il Muratori (Antiq.Ital. t. 3. p. 901, ec.) e il P. Sarti (l. cit. t.1, pars 2, p. 64) han pubblicate alcune formole di tai giuramenti fatti a tal fine da alcuni giureconsulti, co’ quali non sol promettono di non tenere altrove la loro scuola, ma ancora di non procurare in qualunque sia maniera, che gli scolari sen vadano ad altre città. Essi appartengono agli anni 1189, 1 *9®» 1199,,1213. Ma i giuramenti ancora non sempre ebbero forza bastevole a fermare i professori in Bologna; e noi vedremo che Pillio dopo aver giurato, come gli altri, senza farsi coscienza del suo giuramento, sen venne a Alodena. III. Dapprima però erano i soli professori che abbandonavan Bologna, e gli scolari, almeno per la maggior parte, ivi si trattenevano. Ma l’an 1204 avvenne cosa che ai’ Bolognesi dovette riuscire assai spiacevole e grave. Perciocchè alcuni professori con gran numero di scolari passarono da Bologna a Vicenza, ed ivi aprirono scuola. Le antiche Cronache di questa città ci han lasciata memoria dello studio che ivi allora fu aperto. Sub isto, dice Gherardo Maurisio, venit studium scholarium in rivi taf e Vicentine, et duravi t usque ad Po tes tari ani Domini Drudi (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 15). E Antonio Godi similmente a quest’anno: Stridium generale J'uit in civitate Vicentiae, Doclorcsque in contrae fa Saniti Viti manebant, ut etiam hodie apud Priorem Sancti Viti apparent privilegia collationis studi (ib. p. 75). Quai fossero questi privilegi, noi nol sappiamo; ma [p. 65 modifica]PRIMO 65 altri monumenti spettanti alla’ Università di Vicenza sono stati dati alla luce dagli eruditissimi Annalisti camaldolesi, da’ quali ricavasi che l'an 1205 il capitolo di Vicenza concedette agli scolari la chiesa di S. Vito (Ann. camald vol 4,p. 199), e che’essi poscia rifabbricatala ne dier l’anno seguente la cura a’ monaci camaldolesi (ib. in App. p. 263). Dal primo di questi due documenti raccogliesi ch erano in quell’anno rettori della’Università Roberto inglese, Guglielmo Cancellino provenzale, Guarnieri tedesco, e Manfredo cremonese. Il che ci mostra che a questa nuova Università vi avea concorso di stranieri d’ogni nazione. E ciò più chiaramente ancora si vede in un altro monumento pubblicato da’ medesimi autori (ib. p. 213), in cui gli scolari l’anno 1209, dovendo abbandonare Vicenza, cedono interamente a’ Camaldolesi la stessa chiesa; perciocchè ivi tutti i seguenti son nominati, i cui nomi io recherò in latino, perchè le patrie di alcuni, forse per gli error della copia, difficilmente si potrebbon recar nella nostra lingua: dominus Cazzavillanus et Lanfrancus doctores et magi stri legum, magister Gufredus.... dominus Martinus de Bohemia, dominus Engelbertus teutonicus, dominus Michael rector de Hungaria. dominus Jacobus de Betuno de Francia, dominus Gofredus de Bergonia, dominus Nicolaus prepositus in Polonia, et magister Menendus; e questi nominano per lor deputati, dominum Ivonem cancellarium Poloniae, dominum Simeonem archidiaconum atrebatensem, dominum Thomasium canonicum capuanum, Tirahoschi, VoL IV. 5 [p. 66 modifica]6G LIBIIO domimim Herboldum teutonicum de Conjluenlia, dominimi Desidi riunì archidiac'onum de Ungaria, dominum Stevanum canonicum ¡risenti rumi de Burgundi a, dominimi Benedictum de Ungaria, dominum Mattheum de Hispania, dominum Zanettonem de Mantua, et dominum Johannem canonicum ferrariensem de Verona. Che tutti, o la maggior parte di questi abbandonata avesser Bologna per venire a Vicenza, non ne abbiamo monumento sicuro. Ma al vedere nominati tra essi Cacciavillano e Melendo ossia Menendo, che erano già stati professori in Bologna, il primo di diritto civile, di canonico il secondo, si rende evidente, come osserva il medesimo P. Sarti (l. c. t. 1, pars 1, p. 306), che da questa città eran essi e i loro scolari insieme partiti, per andare a Vicenza. Qual ragione a ciò gl’ inducesse, non ce n è rimasta memoria. Furono probabilmente dissensioni e turbolenze interne che diedero occasione a questo smembramento, il quale però ebbe poco felice successo; perciocchè, come è manifesto dalle cose già dette, l Università di Vicenza ebbe principio l’an 1204, e l’an 1209 ebbe fine; ed è probabile che i professori non meno che gli scolari, conoscendo per avventura più opportuno il soggiorno in Bologna, colà ritornassero. Ma dopo la metà del secolo procurò di nuovo il comun di Vicenza, per opera singolarmente del piissimo suo vescovo il B. Bartolommeo da Breganze dell’Ordine de’Predicatori, di avere altri pubblici professori. E il sig. Giambatisla V erci ha dati in luce i decreti fatti da quel [p. 67 modifica]PllIMO O7 cormme a’ i4 d’agosto del 1261, co’ quali vengon condotti a lettori del diritto canonico Arnoldo collo stipendio di 500 lire, a patto però ch’egli abbia almeno venti scolari, Giovanni spagnuolo a leggere il Decreto collo stipendio di 200 lire, Aldrovando degli Ulciporzi bergamasco a leggere l’Inforziato collo stipendio di 120 lire, e un certo Raulo) a leggere medicina collo stipendio di 150 lire (Stor. della Marca Trivig", t. 2, Docum. p. 49), ec.) ». ]V. Un altro simile smembramento crede il P. Sarti (l.c. p. 120) che avvenisse l’an 1215, e lo argomenta da un passo di Roffredo da Benevento, il quale afferma di esser passato da Bologna ad Arezzo in Toscana, e di avervi tenuta scuola di legge: Cui a essem Aretii, ibique in cathedra res'ulerem, post transmigraiionem lì annuiae, ego Rofredus beneventanus Juris civilis professor an. Dn. MCCXV, mense octobris, ec. (proem. in Quaest. Sabbat.). Da questo passo il suddetto dottissimo autor congettura che Roffredo ancora, seguendo l’esempio di Cacciavillano e di Melendo, partendosi da Bologna, traesse seco un gran numero di scolari. Quindi facendosi a ricercar l’origine di tale trasmigra• OO zione, crede ch’ ella si debba ripetere dalle turbolenze onde quell’università fu sconvolta in questi anni medesimi, e che non ebbero fine che l’an 1224. Egli in fatti ha dato alla luce (pars 2, p. 57, ec.) più lettere di Onorio III, scritte nel primo e nel quarto anno del suo pontificato, cioè tra l’anno 1216 e l’anno 1220, su questo argomento. Perciocchè i Bolognesi non paghi del giuramento che, come sopra IV. Turbolento nidi’ Univi*r'itii di Bologna: scuola pubbliche in Arezzo. [p. 68 modifica]68 LIBRO abbiam detto, esigevano da’ professori, un altro ancor ne esigevano dagli scolari, con cui si stringessero a non procurar in alcun modo che lo studio di Bologna fosse trasferito altrove, nè che alcuno tra gli scolari passasse alle scuole di altre città. Sembrava ciò agli scolari, e sembrava ancora al pontefice Onorio, una a iolenza fatta a quella libertà di cui gli scolari doveano a buon diritto godere; ed essi perciò ricusavano di sottoporsi a tal giuramento; e Onorio adoperossi con sommo impegno perchè essi non vi si soggettassero; e in una lettera fra le altre scritta agli scolari romani, della Campagna e della Toscana, che trovavansi in Bologna, ingiunse loro di uscire dalla città, anzichè stringersi con tal giuramento; e finalmente, dopo lunghi contrasti, ottenne che in ciò non fossero molestati. E non è impossibile veramente che in tal occasione Ruifredo con molti de’ suoi scolari passasse ad Arezzo. Ma poichè non sappiamo se tai turbolenze cominciassero fin da’ tempi d’Innocenzo III che viveva ancora l’an 1215, non trovandone noi menzione che nelle lettere di Onorio III, e poichè inoltre Roffredo non accenna ragione alcuna del suo passaggio ad Arezzo, nè dice ch’ei seco conducesse scolari, può essere ancora che per qualunque altra ragione colà passasse Roffredo, e vi passasse senza scolari, o almeno con sì scarso numero di essi, che la’Università di Bologna non ne avesse danno. Certo è nondimeno che in Arezzo era in questo secolo un pubblico studio; e il cavalier Lorenzo Guazzesi ha dato alla luce (Opere, t. 2 p. 107) [p. 69 modifica]primo Gy gli Statuii che pel regolamento di esso furono pubblicati l’an 1255, e tra essi veggiamo il seguente in cui si nominano le diverse scienze che oltre la legge vi s’insegna vano: Item nullus audeat legere ordinarie in civitate Aretina nec in grammatica, nec in dialectica, nec in medicina, nisi sit legitime et publice et in generali conventu examinatus et probatus. In essi ancora si ordina che ne sia rettore da Ognissanti fino al primo di gennajo Martino da Fano, che era stato uno de compilatori de' medesimi. V. Assai maggiore fu il danno che l’Università di Bologna sostenne l’an 1222, perciocchè ella vide non solo un gran numero di professori e di scolari fuggir dal suo seno, ma recatisi altrove dar principio a un’altra celebre università che minacciava di disputarle il primato. Fu questa la’Università di Padova. Era già ivi stata in addietro qualche scuola di legge, come abbiamo mostrato nel precedente tomo (t 3, l. 4; c. 7, n. 28); ma o essa era cessata, o non era tale che potesse darlesi il nome di studio pubblico, il quale in quest’ anno solo sembra che avesse cominciamento. Hoc anno, dicono alcune antiche Cronache di quella città pubblicate dal Muratori (Script. Rer. it(d. voi. 8, p. 372, 421, 459, 736), translatum est studium scholarium de Bononia Paduam. Questo trasferimento sembra a prima vista indicarci che cessasser le scuole in Bologna, e che in lor vece si aprissero quelle di Padova, ed alcuni hanno perciò pensato che ciò avvenisse per ordine di Federigo II sdegnato contro de Bolognesi, perchè in quell’ anno, come abbiamo [p. 70 modifica]70 LIBRO dalle auliche Cronache di Bologna (Script. Rer. ital. vol. 18, p. 109Sigon. de Regno ital. l. 16), espugnarono suo malgrado la città d’Imola, ne spianaron le fosse, e ne portaron seco in trionfo le porte. Io non so come il ch. Muratori (Antiq. Ital. vol 3, p. 908) che avea pur pubblicato le sudette Cronache, e dopo di lui il Facciolati (De Gymn. patav. Syntagm. p. 2) che doveva averle vedute, abbiam potuto asserire che tale è l’opinione di quegli antichi scrittori; il racconto dei’ quali perciò è stato rigettato dal Facciolati, perchè, ei dice, Federigo non si dichiarò nemico dell’Università di Bologna che l’an 1225, e allora la trasferì a Napoli, non già a Padova. I detti antichi scrittori non fanno alcun cenno di Federigo, e solo dicono che lo studio fu trasportato a Padova, senza accennarne ragione. Quindi non si ha motivo per cui rivocare in dubbio l’autorità di queste Cronache antiche; ma non deesi credere che ciò avvenisse per ordine di Federigo; nè che tutti i professori partissero da Bologna per recarsi a Padova. Egli non era sì amico de’Padovani, che volesse onorarli cotanto; e noi veggiamo innoltre che le scuole ancor durarono a Bologna, dove certamente era l’Università l’an 1225, come vedrassi frappoco. Più probabile è adunque che molti de’ professor bolognesi, e moltissimi per conseguenza de’ loro scolari, da Bologna spontaneamente passassero a Padova. Era in fatti a quei’ tempi in Bologna Giordano vescovo di Padova, a cui in quest’ anno medesimo il pontefice Onorio III commise di decidere insieme con Guglielmo normanno dottor [p. 71 modifica]PRIMO ri di legg* e con Guglielmo guascone professor delle 'decretali una controversia tra l’ abate di S Stefano e i Crociferi in Bologna (Sart. pars a, 118). Or le conferenze che il vescovo di Padova dovette perciò tenere con Guglielmo guascone, risvegliarono probabilmente nel primo il pensiero di condur seco a Padova quest’ uomo dotto insiem con altri, e di aprirvi pubbliche scuole. In fatti in un codice antico allegato dal P. Sarti (ib.p. 220) vedesi una lettera, di cui non si esprime la data, scritta da Padova da Guglielmo guascone che qui dicesi guasco, a Pietro spagnuolo che in questo tempo medesimo era professore delle Decretali in Bologna: Magistro Petro Hyspano Doct. Decret. Bononie commoranti Guillelmus Guascus Doct. Decret. Padue.. In questa lettera Guglielmo lo invita a recarsi a Padova, perciocchè Padue, egli dice, multitudinem habebitis auditorum, ubi loci viget amenitas, et venalium magna copia reperitur. Se Pietro seguisse il consiglio di Guglielmo, nol possiamo accertare. Ma tutto ciò che sinora abbiam detto, ci fa veder chiaramente in qual maniera avesse principio l’Università di Padova, a cui è probabile che all’occasione delle turbolenze da noi poc’ anzi accennate di quella di Bologna molti professori si trasferissero insiem co’ loro scolari. E forse a questa occasione vi venne il celebre Alberto Magno, poichè è certo, come dimostrano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 162), ch’ egli studiava in Padova (a), quando dal B. Giordano fu ricevuto (a) Alcuni scrittori francesi e italiani, e fra i primi [p. 72 modifica]73 LIBRO nell1 Ordine de' Predicatori, il che accadde appunto o in quest’anno medesimo 1222, o, come sembra a’ suddetti scrittori più probabile, ne! seguente. Il Papadopoli e il Facciolati non han fatta parola di questo si famoso alunno delia loro Università, il qual pure dovea essere rammentalo tra’ primi. Di essa noi tomeremo a parlare in questo capo medesimo. Ora ci convien proseguire la narrazione delle allre vicende a cui l’Università di Bologna fu in questi anni soggetta. VI. Era ancor fresca la piaga che dalla diserzione de’ professori e degli scolari passati a Padova ella avea ricevuta, quando mi’ assai più fiera burrasca levosselc contro, da cui parea eh’ ella dovesse rimanere interamente sommersa. Avea Federigo 11 formato il disegno di aprire in Napoli una pubblica Università; perciocché, benché ivi fossero state in addietro alcune scuole, nondimeno non vi si professava» le scienze in quella estensione clic a un sì florido regno parea convenire. Perciò, come abbiarn nella Storia di Kiccardo da S. Germano (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 997), nel mese di luglio dell’ anno 1224 egli mandò lettere M. Portai (Hi si. de VAnalom. ec. t. 1, p. i r)*5) invece di Padova han nominata Pavia, parlando delle scuole alle quali fu dall’ Allemagna mandato Alberto Magno, e della loro autorità si è valuto il sig. Siro Comi nell ingegnoso sforzo da lui fatto in favore dell' antichità dell'Università rii Pnvin (Philelplius Arch'gymn. Ttcin. l’indicatus, p. 137). Ma lo stesso Alberto citato dai PP. Quetif cil Fcbai'd ilice eliiaranienle Padova e non Pavia; nè si è recata ragione alcuna per cui si pruovi doversi fare un tal cambiamento. [p. 73 modifica]circolari per tutto il regno: Mense Julii pro ordinando Studio Neapolitano Imperator ubique ocr rv(,nuin mitlit li te ras generalcs. Ili latti Ira le lettere di Pier dalle Vigne scritte in nome «li Futi erigo quattro ne abbiamo (l, 3,c. io, i i, la i3) su questo argomento, che probabilmente appartengono a quest’anno. La prima è scritta a maestro Pietro ibernese; e in essi, dopo avergli esposto il suo disegno di aprire una Università in Napoli, la qual città, oltre più altre lodi, egli chiama madre e sede antica di studio, lo invita a recarvisi, e a tenervi scuola, promettendogli l annuale stipendio di dodici once d’oro. La seconda contiene un generale invito a tutti gli scolari, acciocchè vengano alla nuova Università da sè aperta, a’ quali promette ricompense e premii non ordinarii; vi si fa menzione di Roberto di Varano e del suddetto Pietro ibernese, ch’ ivi doveano tenere scuola di leggi; si vieta che niun de’ suoi sudditi possa uscire dal regno per motivo di studio, o nel regno stesso studiare altrove che in Napoli, e si comanda che chiunque si trovasse attualmente fuori del regno per tal motivo, per la prossima festa di S. Michele vi faccia ritorno; e finalmente varie leggi si stabiliscono pel regolamento delle scuole medesime e degli scolari. La terza è indirizzata al capitano ossia giustiziere del regno, a cui si commette che pubblichi il generale invito alla medesima Università. La quarta per ultimo è scritta al giustiziere della Terra di Lavoro, il quale troppo scrupolosamente esatto nella’esecuzione del reale decreto con cui vietavansi [p. 74 modifica]74 LIBRO tolte le altre scuole del regno, credeva che quelle ancor di gramatica vi fosser comprese; e Federigo perciò gli scrive che di queste non dee intendersi il suo editto, ma sol di quelle ove s’insegnavan le scienze. Di questa Università da Federigo aperta in Napoli fa menzione ancora Niccolò di Jamsilla nel precedente capo da noi citato, col dire che Federigo avendo osservato pochi uomini dotti essere in quel regno, vi aprì scuole di tutte le scienze, e da ogni parte del mondo chiamò professori, fissando ampi stipendii non solo ad essi, ma a quegli scolari ancora che per povertà non potessero coltivare gli studi (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 496) C). VII. Fin qui l’impegno di Federigo per sollevare a gran nome l’Università di Napoli altro ! danno recar non poteva a Bologna che quello | di toglierle gli scolari che per avventura ivi (*) Della Università di Napoli più distinte notizie si posson vedere nella Storia di essa del s g. Giangiuseppe Origlia stampata in Napoli nel 17'ì 3, opera che non mi era nota quando io scrissi i primi tomi della mia Storia. Egli con buoni argomenti dimostra che non fu veramente una nuova fondazione di università che Federigo II facesse, ma anzi una riforma e un notabile miglioramento di quella che già aveano ivi stabilita i Normanni, la quale però non si pruova che avesse veramente la forma di università, e che fosse onorata di quei’ privilegi che a tali corpi convengono. Ei produce molti pregevoli monumenti dell’impegno di Federigo II a favore di questa università, e delle diverse vicende alle quali fu allora soggetta; e benchè non tutte le cose da lui asserite reggano alle pruove di una saggia critica, molti però sono i lumi che da quest’opera noi raccogliamo riguardo a questo argomento. [p. 75 modifica]PRIMO fossero, nativi di quel regno. Ma l’anno.seguente egli volse il pensiero ad opprimerla interamente, sperando forse che sulle rovine di essa sarebbesi felicemente innalzata quella di Napoli. Avea Federigo onorata in addietro della sua protezione questa Università; e l’an 1220 avendo pubblicata una costituzione in favor della chiesa romana, aveala inviata a dottori e agli scolari bolognesi, perchè da essi fosse, ciò che di fatto seguì, inserita ne' Libri legali, come da alcuni codici mss. dimostra il P. Sarti (pars 1, p. 106), confutando l’opinion di chi scrisse che Federigo l’avesse indirizzata all’Università di Pavia. E verso questo tempo medesimo è probabile che Federigo scrivesse l’onorevole lettera alla stessa Università, inviandole le Opere di Aristotile tradotte in latino, di che a più opportuno luogo più stesamente ragioneremo. Ma anno 1222 ei concepì grande sdegno contro de’Bolognesi per l’espugnazione ch’essi avean fatta d’Imola, come sopra si è detto; e quindi nacque in lui probabilmente il pensiero di togliere a quella città il maggior pregio di cui ella andasse adorna. All'occasione pertanto dalla nuova Università aperta in Napoli, egli l’an 1125, come abbiamo nelle antiche Cronache bolognesi (Script. rer. ital. vol. 18, p. 109, 254), vietò che in Bologna si tenessero scuole, e agli scolari tutti ordinò che si recassero a Napoli. Un tal comando avrebbe in altri tempi recato l’intero sterminio di quella fiorente Università. Ma in quest’anno appunto cominciarono le città lombarde a rinnovare l’antica lor lega per opporsi a Federigo II, da cui temevano [p. 76 modifica]76 LIBRO l’oppressione della lor libertà (Murat. Ann. d'Ital. ad h. an.). Essa fu poi conchiusa e solennemente pubblicata l’an seguente. Bologna era tra le città collegate (id. ad an. 1225); ed ella perciò dovette ridersi del comando di Federigo; nè vi ha alcun monumento che ci dimostri che nè molto nè scarso numero di professori o di scolari partisse perciò da Bologna. Anzi Federigo, costretto a cedere al tempo, nel primo di febbraio dell’an 1227 pubblicò un diploma dato alla luce dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 909), in cui rivocò i decreti già da lui fatti contro le città lombarde, e nominatamente quello concernente l’Università di Bologna: et specialiter constitutionem factam de studio et studentibus Bononiae. Così questa celebre Università in mezzo alle frequenti scosse, dalle quali o per le domestiche turbolenze, o per l’odio de’ suoi nemici fu travagliata, si stette sempre ferma e costante; e vicina più volte a rimaner (quasi oppressa, risorse sempre più lieta e più fiorente di prima. VILI. In tutto questo secolo non troviamo altre vicende a cui ella fosse esposta, trattone qualche pontificio interdetto, di cui frappoco ragioneremo; ma abbiamo moltissimi monumenti che ci dimostrano in qual fama ella fosse, e quanto numeroso fosse il concorso che da ogni parte faceasi a quelle scuole. Odofredo racconta che a’ tempi di Azzo, il quale ivi fioriva al principio del XIII secolo, egli vide in Bologna fino a dieci mila scolari: Erant hic tunc temporis bene x millia scholares (in Authent Habita, c. Ne filius pro patre). Fra questi ve [p. 77 modifica]PRIMO 77 n’ avea molti per nascita e per dignità ragguardevoli, e fra le altre cose osserva e prova con autentici monumenti il P. Sarti (pars 1, p. 453, nota d), che molti da queste scuole furono tratti per essere sollevati alle cattedre vescovili. Ma niuna cosa meglio ci mostra il grido che per tutta Europa era sparso dell’Università di Bologna, quanto i Cataloghi degli scolari illustri, che dall’an 1265 fino il 1294 la frequentarono, tratti dagli antichi registri, e pubblicati dal medesimo P. Sarti (pars 2, p. 234, ec.). Oltre gl’italiani d’ogni provincia, noi vi veggiamo Francesi, Fiamminghi, Tedeschi, Portoghesi, Spagnuoli, Inglesi e Scozzesi in gran numero, e molti di essi onorati col titolo di canonici, di priori, di proposti, o di altre ragguardevoli cariche. E in un monumento dell’an 1240, pubblicato dagli Annalisti camaldolesi (Ann. camald. vol. 4, p 349), troviamo espressa menzione de’ Francesi, de’ Fiamminghi, di que’ di Poitiers, degli Spagnuoli, degl’inglesi e de’ Normanni, ch’erano in Bologna. Tutte le scienze aveano i lor professori; e noi dovremo parlare de’ più illustri tra essi quando tratteremo di ciascheduna scienza partitamente. Ciò che intorno ad essi qui dobbiamo osservare, si è che fin verso la fine di questo secolo essi non aveano stipendio alcuno dal pubblico erario, ma ciaschedun di loro contrattava co’suoi scolari, e patteggiava con loro della sua mercede; ed è piacevole a leggersi ciò che dice su questo proposito il faceto e schietto Odofredo, ch era professore di leggi prima che s’introducesse l’uso dello stipendio fisso e [p. 78 modifica]determinato. Soleva egli oltre le ordinarie lezioni tenerne ancora alcune straordinarie per maggior vantaggio de’ suoi scolari, i quali perciò dovean anche pagargli una straordinaria mercede. Ma Odofredo dopo alcun tempo conobbe che il frutto non corrispondea alla fatica, e perciò con queste parole diè fine alla spiegazione dell’antico Digesto: Et dico vobis, quod in anno sequenti intendo docere ordinarie bene et legaliter, sicut umquam feci; extraordinarie non credo legere, quia scholares non sunt boni pagatores, quia volunt scire, sed nolunt solvere, juxta illud: Scire volunt omnes, mercedem solvere nemo. Non habeo vobis plura dicere; eatis cum benedictione Domini (ad fin. Comment. in Dig. vet.). Benchè nondimeno, come dice Odofredo, gli scolari bolognesi non fosser troppo splendidi pagatori, egli si arricchì non poco; e quando venne a morte, egli doveva ancor ricever da essi la somma a que’ tempi assai ragguardevole di 400 lire come con autentici monumenti prova il P. Sarti (pars 1, p. 149 Garzia spagnuolo fu il primo a cui fanno 1280 fu dal pubblico assegnato non un annuale stipendio, ma un capitale di 150 lire (id. p. 4o 1). Si ordinò poscia che fra’ professori di legge due ve ne avesse, uno di legge civile, l’altro di canonica, cui il pubblico assegnasse stipendio; e i primi a tal fine scelti l’an 1289

  • furono Dino da Mugello per la legge civile, e

Altogrado di Lendinara per la canonica; e al primo si assegnarono 100 annue lire, 150 al secondo (id. p. 410). Crebbe poi coll andar del tempo il numero de’ professori stipendiati dal [p. 79 modifica]PRIMO pubblico; e finalmente si giunse a fissare a ciascheduno il suo determinato stipendio. Ma io penso che que’ celebri antichi dottori più che delle ricchezze e degli stipendii si pregiassero dell’onore di essere ascritti a un sì ragguardevole corpo, qual era questa Università, a cui da ogni parte si rendevano onori e si facevano elogi. In fatti, come Federigo II ad essa indirizzò le sue leggi, perchè fossero inserite nel Corpo della Giurisprudenza, così i romani pontefici ad essa indirizzarono le lor Decretali, come vedremo parlando del diritto canonico, acciocchè per opera di essa si comunicassero, direi quasi, al mondo tutto. In somma era Bologna fino da questi tempi un luminoso teatro di tutte le scienze, in cui quasi tutti i più celebri uomini venivano a far pompa del lor sapere insegnando, e a cui da ogni parte d1 Europa accorrevano in folla i giovani bramosi d’essere istruiti. Quindi il pontefice Onorio III in una della sue lettere ad essa scritte, e pubblicate dal P. Sarti (pars 2, p. 57), parlando co’ Bolognesi rammenta loro che per lo studio delle scienze la lor città, oltre altri infiniti vantaggi che ne traeva, era divenuta sopra l’altre famosa, e per tutto il mondo n era celebre il nome; ch’essa era divenuta a guisa di uri altra Betlem, ossia casa del pane, il quale ivi rompevasi a’ fanciulli; che da essa uscivano i condottieri destinati a reggere il popol di Dio, poichè coloro che ivi s’istruivano, eran poscia prescelti al governo delle anime; ch’essa finalmente dal piccolo stato in cui era dapprima, venuta pel concorso degli stranieri in grandi [p. 80 modifica]80 LIBRO ricchezze, superava ornai tulle le altre città di (/tudla provincia. IX. Mentre in tal modo fioriva felicemente e rendeasi vieppiù famosa l’Università di Bologna, le altre due, cioè quelle di Padova e di Napoli, erette quasi per contenderle il primo vanto, faceano esse pure lieti progressi, benchè fossero assai lungi dall’avere quel nome di cui godeva la prima. Quai fossero i principii di quella di Padova, si è da noi veduto poc’anzi. Scarse son le notizie che di que’ tempi ci son rimaste. Veggiam nondimeno in alcuni monumenti dell’anno 1226, che si accennano dal Facciolati (De Gymn. patav. Syntagm. p. 3), nominarsi maestro Rufino decretista, e maestro Jacopo decretalista. Chi fosse Jacopo, nol possiamo congetturare, per la moltitudine di quelli che troviamo appellati con questo nome. Rufino, s’io non m’inganno, era quel desso stato già professor del diritto canonico in Bologna, e mandato dall’Università al pontefice Onorio III per sollecitarlo ad annullare i decreti, de’ quali abbiam parlato in addietro, contrarii alla libertà degli scolari (Sart. t. 1, pars 1, p. 288). Egli è probabile in fatti che Rufino, veggendo le difficoltà che in questo affar s’incontravano , mosso da dispetto e da sdegno si unisse agli altri professori che da Bologna eransi trasportati a Padova, e che ivi aprisse scuola. Il Facciolati cita alcuni scrittori (l. cit.), de’ quali però niuno è più antico del secolo xv, che affermano che Federigo II l’anno 1241, sdegnato di nuovo contro de’ Bolognesi, tolse loro le scuole, e ne fe’ dono ai Padovani. Ma egli stesso [p. 81 modifica]P1WHO 81 non osa di addottare, come privo ’ f: 1 , racconto, e noi abbiam già mostrato die l’Università ili Padova avea avuto più antico principio. E crede bensì verisimile (ib. p. 10) che all’occasione dell’interdetto a cui Alessandro V condannò Bologna, molti abbandonassero quelle scuole, e si recassero a Padova. Di un tale interdetto parla il Muratori all’anno 1260 (Ann. di Ital. ad an. 1260), e dice che Alessandro privolla ancor dello studio, e ne reca in pruova le antiche Cronache di quella l illà da lui medesimo pubblicate (vol. 18 Script. Rer. ital.) Io consultandole non ho avuta la sorte di trovarvi tal cosa. Solo in quella di Matteo Griffoni se ne fa motto (ib. p. 114), ma all’anno 1255. non al 1260, come il Muratori afferma. Civitas Bononiae fuit excommunicata per quemdam Capellanum Domini Papae, occasione Domini Brancaleonis de Andalò. Checchessia di ciò, è certo che Bologna verso quest1 anno fu punita coll interdetto, e in esso fu compresa ancora l’Università. Ma questa non dovette soffrirne quasi alcun danno; perciocchè, per testimonianza di Odofredo che allora vi era professor di leggi, il solo effetto che ne seguì, fu il differirsi il cominciamento delle scuole fino ad Ognissanti. Ecco le parole di questo scrittore, che hanno sempre una nativa piacevolissima semplicità. Or, Signori (così spesso egli parla nel passare da una ad altra cosa), dcbcnms regratiari /h o et Beatae Virgini Matri ejus, quod hunc librum complevimus, et si tardae incepimus, tarde finivimus, propter interdictum hujus Civitatis, tpiac e rat interdicta Tikaboschi, Voi. IV. 6 [p. 82 modifica]8a udrò occasione obsidum, quos habebat Dominus Castellanus de Andalò, unde incepimus in Vigilia omnium Sanctorum istum librum, quod non vidi fieri alias nisi in eo anno, in quo decessit Dominus A zzo, quia amore sui fuit tardatum Studium usque in Festum omnium Sanctorum (ad fin. Comment. in 2 Cod. Part.). Se dunque altro effetto non ebbe questo interdetto che il differirsi il cominciamento delle scuole dalla festa di S. Michele, in cui solevano aprirsi, fino ad Ognissanti, non pare che ne potesse venire o gran danno all’Università di Bologna, o gran vantaggio a quella di Padova. X. Il vedere che dall’anno 1226 fin verso il 1260 non si trova, eh" 10 sappia , menzione di studio pubblico e generale in Padova, mi fa nascer sospetto ch’esso ancora fosse soggetto ad alcuna di quelle vicende che travagliarono l’Università di Bologna. Non potrebbesi credere per avventura eli’ esso fosse o interamente o in gran parte trasportato altrove? Io proporrò qui il fondamento su cui parmi che ciò si possa con qualche probabilità affermare; e lascerò che ne giudichin gli eruditi. Il sig. abate Zaccaria ha dato alla luce un monumento (Iter literar. pars 1, p. 1 \2) tratto dall’archivio della città di Vercelli, di cui ha ancora parlato l’eruditissimo sig. Jacopo Durandi (Deli antica condiz. del Vercell. p. /p))- Esso è de’ 4 di aprile dell’anno 1228, e fu rogato in Padova in hospitio Magistri Raynaldi et Petri de Boxevilla. Due messi della comunità di Vercelli spediti dal podestà Rainaldo Trotto a nome della stessa comunità stabiliscono i patti per l’erezione di [p. 83 modifica]PRIMO 83 un pubblico studio nella suddetta città co’ rettori degli scolari di diverse nazioni eh1 erano in Padova, cioè de’ Francesi, degl’inglesi, de’ Normanni, degl’italiani, de’ Provenzali, degli Spagnuoli, dei Catalani. Molti sono gli articoli clic°tra questi lettori e i messi della comunità di Vercelli si veggono concertati; fra gli altri, che il podestà e la stessa communità assegneranno agli scolari 500 ospizii de’ migliori che v’abbia in Vercelli, e più ancora, se più ne abbisogneranno; che quindici giorni dappoichè i professori saranno eletti, il podestà di Vercelli manderà suoi messi ad invitarli a tenere scuola nella detta città; che la comunità di Vercelli assegnerà a’ professori un competente stipendio a giudizio di due scolari e di due cittadini, o , quand’essi sian discordi , ad arbitrio del vescovo, il quale stipendio dovrà fissarsi prima della solennità d’Ognissanti, e pagarsi loro prima della festa di S. Tommaso; che i professori saranno un teologo, tre maestri di legge , due decretisti, due decretalisti, due medici, due dialettici, due gramatici; che l’elezione di questi si farà da quattro de’ rettori delle diverse nazioni poc’anzi nominati; che la comunità di Vercelli avrà due copiatori , i quali provvedano agli scolari le copie de’ necessarii! libri, cui essi pagheranno secondo le tasse che si fisseran da’ rettori; che il podestà della stessa città di Vercelli manderà suoi messi alle altre città d Italia , ed altrove ancora , se così piaccia , per avvertirle che lo studio era fissato in Vercelli: ad significandum studium esse firmatimi Vcrccllisc per invitarvi scolari; [p. 84 modifica]84 li mio finalmente i suddetti rettori e gli scolari di Padova a nome di tutti gli altri scolari delle loro nazioni promettono a’ messi della comunità di Vercelli, che si adopereranno sinceramente, perchè tanti scolari vadano a Vercelli, quanti ne fa d’uopo ad abitare i suddetti 500 ospizii, e perchè tutto lo studio di Padova si trasporti a Vercelli, e vi stia per lo spazio di otto anni; ma se essi nol potranno ottenere, non siam tenuti a nulla: quod bona fide sine fraude dabunt operam, quod tot scolares veniant Vercellis, et morentur ibi in Studio, qui sint sufficientes ad praedicta quingenta hospicia conduce nda, et quod universum Studium Fa due vcniel Vercellis, et moretur ibi usque ad octo annos: si tamen facere non polerint, non tene an tur. Qui dunque abbiamo i messi della città di Vercelli spediti a Padova a contrattare con que’ rettori delle pubbliche scuole l’aprimento di un nuovo studio nella loro città; abbiamo i patti che fra i rettori medesimi e i suddetti messi si stabiliscono; abbiam la promessa degli stessi rettori di usar d’ogni mezzo perchè tutto lo studio di Padova si trasferisca a Vercelli. Non è egli dunque evidente che fu tra essi trattato di trasportare a Vercelli o tutti, o almeno in gran parte i professori e gli scolari eh1 erano in Padova? Ma questo trasporto seguì egli in fatti?! Non vi ha documento che ce ne assicuri. Ma poichè, come si è detto , dall’anno 1228, in cui il suddetto trattato fu stabilito, fin verso l’anno 1260 non trovasi menzione di Università di Padova, a me sembra probabile assai che il trattato fosse eseguito r [p. 85 modifica]PRIMO 85 e clic quello stadio o interamente , o in gran parte fosse trasportato a Vercelli. Forse ancora esso vi si mantenne oltre gli otto anni ch’erano pattuiti- Ciò che è certo , si è che i Vercellesi chiesero a Federigo II un professor di leggi, e abbiamo ancor la lettera con cui egli loro il concede (Martene Vet. Script. Cellect. vol. 2 , p. 1141) i benché, essendo ella senza data , non si possa conoscere a qual anno appartenga. È certo parimenti che l’anno i j3 i quella Università sussisteva, perciocchè in una carta de’ 28 di gennaio del detto anno, che leggesi nel codice de’ Biscioni, a fol. 40 si trova scritto: Item omnes mercantiae sint hinc inde ab utraque parte apertae et liberae sine contradictione utriusque civitatis , salvis conditionibus Scolarium commorantium apud Vercellas, usque ad tempus conditionum promissarum scolaribus , si tamen usque ad illud tempus Studium generale in Civitate Varcellarum permanserit. Delle quali notizie io son debitore alla gentilezza degli eruditissimi P. abate Frova canonico regolare lateranese, e P. maestro Giuseppe Allegranza domenicano che mi ha comunicate le riflessioni dal primo fatte su questo bel documento”. È certo ancora che l’anno 1234 era in Vercelli studio pubblico-, perciocchè Jacopo Carnario proposto di quella chiesa nel suo testamento fatto a’ i3 di novembre del detto anno, e dato alla luce dal ch. proposto Irico , fa menzione degli scolari, comandando che ciò che avanza di certe sue entrate, in usus pauperum, et maxime Scholarium audientium Sacram Paginam expendantur, ita quoti Eleemosinarìus — [p. 86 modifica]HG LIBRO ail minus tres Scholares pauperes audientes Theologiam, si Doctor in Theologia Vercellis fuerit, eligat, quorum quilibet singulis Dominiris pere ¡piai quindecim panes sicalis, ec. (Hist. Tridin. p. 8-j, ec\)■ Quindi lasciando i suoi libri di teologia a’ Domenicani di quella città. comanda eli’ essi non possan prestarli ad alcuno, trattine certi pochi ch’ei nomina, e tra essi Magistro, qui Vercellis de 2 /teologia doccivi; e finalmente ordina che i suoi libri appartenenti a fisica e ad arti si distribuiscano agli scolari poveri della stessa città: Libri autem Phisicae et Artium distribuantur pauperibus Scholaribus vercellens. Il sopraccitato sig. Durandi riferisce, sull’autorità del Cusano scrittoivercellese contemporaneo, che l’anno 1630 Stefano Alessandri nobile vercellese proprietario del sito della Sapienza (in cui erano le scuole pubbliche di Vercelli). avendo ivi fatto qualche escavazione, vi ritrovò , oltre a molte fondamenta di casa, anche molti finissimi marmi ed avanzi di statue, e discoperse il principio A una spaziosa scala cogli scaglioni di marmo nero disposti con bell’ordine. Queste eran forse vestigia dell’Università di Vercelli, la quale, com’egli aggiunge, si mantenne fin verso l’anno 1400, ma forse ancora erano avanzi di altri più antichi edifizii. Se verrà un giorno in cui qualche Vercellese erudito si faccia a ricercar diligentemente i copiosissimi e ricchissimi archivii di quella sì illustre città che ne’ tempi addietro ha gareggiato colle più potenti d’Italia, altre più certe notizie si potranno probabilmente scoprire intorno a questa univer[p. 87 modifica]PRIMO 87 sitò (a). Ma per ora ci è forza l’appagarci del poco che ne abbiamo potuto dire congetturando. XI. Se l’Università eretta in Vercelli soppresse per qualche tempo quella di Padova, questa tornò poscia a risorgere più gloriosa di prima verso l’anno 1260, perciocchè in quest’anno medesimo veggiam creato il primo rettore della medesima, che secondo il ch. Facciolati fu Ansaldo spagnuolo (Fast. Gymnas. patav pars 1, p. 1). Il Papadopoli al contrario, scrittor più antico del Facciolati, lo chiama Gonsaldo; e dice ch’ei fu rettore non l’anno 1260, ma l’anno 1263. A chi di essi crederem noi? Amendue affermano che ciò si raccoglie da’ registri della stessa università, ma niun di essi ne arreca le espresse parole. Così pure negli anni seguenti sono spesso questi due autori tra lor contrarii, e noi non sappiamo chi di essi meriti maggior fede. Egli è certo a dolersi che una sì famosa università non abbia ancora avuto uno storico diligente ed esatto. L’eruditissimo procuratore e poscia doge di Venezia Marco Foscarini ne faceva a’ suoi tempi querela, mentre già era uscita quella di Niccolò (a) Il sig. Siro Comi, altrove da me lodato, afferma che da Pavia e da Mdano fu lo studio generale trasportato a Vercelli (Philelphus Archigymn. Ticin. P’indica tus, p. 132) l’anno 1225. Ma, a dir vero, non avrei osato di credere che un colto ed erudito scrittore , come egli è , avesse potuto cif» asserire sull’autorità delle Cronache di S. Francesco, che è il solo documento a cui un tal racconto si appoggia, come si vedrà ancora ad altra occasione. [p. 88 modifica]88 LIBRO Coinneno Papadopoli , «li cui egli dice (Letterat. venez. p. 48, nota 129)) che non ha corrisposto all’espettazione e al desiderio de’ dotti. Egli sperava che il coltissimo Facciolati avrebbe soddisfatto felicemente alla brama comune. Egli in fatti ha dati prima i dodici Sintagmi intorno a quella università (Patavii 1752 in 8): poscia i Fasti della medesima divisi in tre parti (ib. 1757 in 4). Amendue le opere sono scritte con quella eleganza che poteasi aspettare da sì pulito scrittore. Ma gli eruditi si dolgono che all’eleganza dell’espressione ei non abbia congiunta l’esattezza delle ricerche. La moderna critica scrupolosa vuol sapere a qual fondamento si appoggi ciò che narra lo storico, e si corruccia alquanto contro coloro che sembrano esiger fede sulla semplice loro parola. Se questo colto scrittore avesse fatto uso maggiore de’ registri dell’università, se avesse recate le loro stesse parole, se ci avesse data maggior copia di monumenti antichi, la letteratura gliene sarebbe tenuta assai. Ma convien sofferire pazientemente ciò a che non può recarsi riparo. Noi verrem dunque accennando le principali cose ch’ei narra, e sol prenderemo ad esaminarle, ove possiamo altronde raccogliere più sicure notizie. XII. Io non mi tratterrò ad annoverare i pochi rettori che dal Papadopoli e dal Facciolati si dicono avere in questo secolo governata la suddetta università. I loro nomi non son celebri per alcun altro riguardo, e non giova perciò l’occuparci in farne un inutil catalogo. Degno è però d’osservarsi che si veggono in alcuni anni due rettori al medesimo tempo, uno de’ [p. 89 modifica]primo 8g C s tipi»1 t-’0*110 dice™«, raltro de1 Transalpini (Facciol. Fasti. pars 1, p. 5), il che ci scuopre che grande ivi dovea essere il numero degli stranieri, com’era stato innanzi al mentovato trasporto a Vercelli. Il Facci ola ti accenna ancora parecchi opportuni provvedimenti dati in questi anni pel regolamento delle scuole e degli scolari (ib.p. 2, ec.; Syntagm. p. 10, ec.), e fra gli altri, che agli scolari poveri dovesse il pubblico dare a prestanza il necessario denaro; che a’ professori di legge si pagasse f annuale stipendio di 300 lire; che i medici non potessero abbandonare i sentimenti d’Ippocrate e di Galeno, nè i filosofi que’ d’Aristotile; che i professori a’ quali si pagava stipendio dal pubblico erario, dovessero insegnare ancora privatamente; e che se alcuno di loro ardisse di chiedere altra paga a’ suoi scolari, fosse immediatamente tolto dal ruolo de’ professori. Questi e somiglianti altri decreti che dal Facciolati si accennano, ci sono una certa pruova dello stato in cui era a’ quei tempi questa università. Un bel monumento ne abbiamo nella Cronaca di Rolandino pubblicata dal Muratori, perciocchè egli narra nel fine di essa (Script. rer. ital, vol. 8, p. 360) che l’anno 1262 a’ 13 di aprile la sua Cronaca fu recitata nel chiostro di S. Urbano in Padova innanzi a’ professori e agli scolari della università, e che da essi fu solennemente lodata, approvata ed autenticata; ed egli nomina maestro Giovanni e maestro Zambonino, o, come legge il codice di questa Estense biblioteca, Giovanni Zamboni, dottori in fisica, cioè nella medicina e nella scienza naturale, [p. 90 modifica]90 LIBRO maestro Tredecino professore di logica, e i maestri Rolandino, Morando, Zunta, Domenico padovano, e Lucchesio professori di grammatica e di rettorica. Nè è a credere che tutti i professori sian qui nominati, perciocchè non veggiamo farsi menzione de’ canonisti, i quali pur certamente vi erano, come e da ciò che abbiam detto raccogliesi chiaramente, e proverassi ancora con più certezza quando parlando della giurisprudenza ecclesiastica nomineremo alcuni in essa famosi che in questa università tennero scuola. XIII. Una nuova traslazione oltre le indicate poc’anzi, dell’Università di Bologna a Padova fatta per ordine di Gregorio X l’anno 127.4 rammentasi dal Facciolati (l. cit. p. 6) colla testimonianza di Engelberto abate scrittor di que’ tempi, il quale in una lettera pubblicata dal P. Pez (Thes.. Anecdot. t. 1, p. 430) racconta di se medesimo, che dopo il general concilio tenuto quell’anno in Lione, venne a Padova, ove fioriva, dic’egli, un grande studio generale, essendo trasportati colà da Bologna i professori e gli scolari per l’aspra guerra che i Bolognesi faceano a’ Forlivesi, per cui il papa Gregorio indirizzò i canoni di quel concilio, non già, coni era il costume, all’Università di Bologna, ma a quella di Padova:, come evidentemente si manifesta da’ titoli stessi de’ detti canoni. Aggiugne che per cinque anni egli studiò ivi la logica e la filosofia alla scuola di Guglielmo da Brescia, che ivi era professore stipendiato, e che poscia per quattro anni attese alla teologia nel convento dell’Ordine de’ Predicatori in [p. 91 modifica]ptumo 91 quella stessa città. E veramente che in quelI’ anno ardesse guerra tra’ Bolognesi e i Forlivesi, leggesi ancora nelle antiche Cronache di Bologna (Script. rer. ital. vol. 18, p. 124). Che il pontefice punisse coll’interdetto questa città, e che le scuole ancora vi fossero comprese, le Cronache nol dicono. L’autorità di uno scrittore contemporaneo, e quasi testimonio di ciò che racconta, sembra, a dir vero, sì grande, che non si possa muoverle contro alcuna difficoltà; e secondo le leggi ordinarie di critica, dovrebbesi questo fatto avere come certissimo e indubitato. Ma l’autorità di qualunque scrittore dee, secondo le stesse leggi, cedere a quella degli autentici monumenti. Or noi abbiamo ancora la lettera di Gregorio X, con. cui all’Università di Bologna manda i canoni di quel concilio. Essa è stata tratta da un antico codice, e data alla luce dal canonico Campi (Stor. eccl. di Piacenza, t. 2, p. 458) e poscia dal Boemero (Juris Canon, t. 2, p. 353); ed essa basta a confutare ciò che Engelberto asserisce, che Gregorio non le indirizzasse, secondo l’usato costume, i decreti del Concilio di Lione, e a mostrare l’insussistenza del mentovato interdetto; poichè a una università così da lui punita non avrebbe il pontefice conceduta questa onorevole distinzione. Potrebbesi forse dir nondimeno che fosse veramente quella università interdetta in quest’anno per qualche tempo; e che poscia riconciliatisi i Bolognesi col papa, questi, a contrassegno della sua grazia loro renduta , inviasse alla loro università i mentovati decreti. Io osservo in fatti che nel [p. 92 modifica]92 LIBRO Catalogo degl’illustri scolari di essa pubblicato dal P. Sarti, e da noi rammentato poc’anzi, all’anno 1274 non ne troviamo alcuno, e assai pochi al seguente; il che potrebbe indicarci ch’ella cessasse di fatti nel suddetto primo anno, e che poi nel vegnente si riaprisse, benchè con picciol numero di scolari. Ma, a dir vero, io penso che l’Università di Bologna non fosse già dal pontefice punita coll’interdetto l’anno 1274 1 ma ch’essa fosse in gran parte disciolta dalle interne discordie; perciocchè io veggo che in quest’anno appunto, essendo stato il partito de’ Lambertacci superato ed oppresso, molti de’ professori e degli scolari che il seguivano, costretti furono a uscir di Bologna (Sart. pars 1 , p. 180, 188, 206, ec.); e non è perciò improbabile che molti in quella occasione passassero a Padova. XJV. Ma se l’Università di Padova rallegrossi per alcun tempo delle sventure di quella di Bologna, essa ancora ebbe fra non molto a pianger le sue; perciocchè l’anno 1289, come abbiamo in un’antica Cronaca pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 8, p. Z&.\), furono interdetti li Padovani per il Legato, per aver fatti alcuni Statuti contra molti, cioè, come spiega il Facciolati (l. cit.), per aver pubblicate leggi contrarie alla dignità del clero e alla ecclesiastica immunità. A questo interdetto dovette ancor soggiacere, secondo il costume, l’università. Due anni dopo però, come afferma il medesimo Facciolati (e mi giova credere che non P affermi se non dopo averne osservati autentici documenti), riconciliati col pontefice [p. 93 modifica]PRIMO <)3 Niccolò IV i Padovani, questi permise ancora il riaprimento delle pubbliche scuole. I nomi de’ professori che in esse insegnarono, si posson vedere registrati dal medesimo autore. Noi parleremo a suo luogo di quelli che in ciascheduna scienza furon più illustri. Or ci convien passare a (quella di Napoli, che fu l’altra università eretta, per così dire, a gareggiar con Bologna. XV. Per qual maniera ella fosse aperta da Federigo II, e quanto egli si adoperasse perchè da ogni parte d’Italia vi accorressero scolari. già i’ abhiam veduto in questo capo medesimo. La rovina dell’Università di Bologna, ch’egli con ciò meditava, non ebbe effetto. Se ciò non ostante egli avesse il piacere di veder fino da’ suoi principii quella di Napoli popolosa e fiorente, non abbiam monumento che cel dimostri. Ma egli è certo che se i principii di questa nuova università furon felici, ella rimase presto a cagion delle guerre desolata e deserta; e l’anno 1234 essa era del tutto disciolta; e fu d’uopo perciò che Federigo II nuovi ordini pubblicasse per ricondurla a stato migliore. Ne abbiamo la testimonianza presso Riccardo da S. Germano scrittore contemporaneo, il quale a quest’anno (che per errore di stampa dicesi 1233, ma deesi leggere 1234, come dal contesto raccogliesi) così dice (Script. rer. ital. vol. 7, p. 1035): Studium quod Neapoli per Imperatorem statutum fuerat, quod extitit turbatione inter Ecclesiam et Imperium secuta penitus dissolutum, per imperatorem Neapoli reformatur. Qual fosse il successo di [p. 94 modifica]94 LIBRO questa riforma, non ci è giunto a notizia. Federigo non lasciò certamente di sostenerla colla sua proiezione. « Ne abbiamo in pruova alcune altre lettere circolari scritte da Federigo l’anno 1239 e pubblicate dall’Origlia (Stor. dello Stud. di Nap. t. 1. p. 94, ec.), le quali ci mostrano questo principe sempre più impegnato a’ vantaggi di questa università, alla quale ei vuole che abbiano libero accesso tutti i suoi sudditi italiani e oltramontani, trattine quelli che a lui si erano ribellati, e che si concedan loro immunità. privilegi ed onori , onde viemaggiormente si animino al coltivamento de’ buoni studj. A lui in ciò si congiunse il suo fedel cancelliere Pier delle Vigne , di cui abbiamo una lettera (l. 4> c. 8) scritta agli scolari di quella università per consolarli nella morte di uno de’ lor professori, cioè di Gualtieri gramatico. Questa lettera è stata da alcuni attribuita per errore a Pietro di Blois, come altrove abbiamo osservato. Un bel monumento a questa università appartenente ha pubblicato il P. abate della Noce (in Not. ad Prolog. l. 4 Chron Casin.). Avea Federigo II l’anno 1240, come narra Riccardo da S. Germano (l. cit. p. 1045), sbanditi dal regno tutti i religiosi domenicani e francescani, ordinando che due soli restassero in ciascheduna casa per custodirla. Convien dire ch’essi fossero i professori di sagra Scrittura e di teologia in Napoli, perciocchè l’Università scrisse una lettera ad Erasmo monaco di Monte Casino, professore della scienza teologica, in cui, dopo avere esposto che, per la partenza de’ religiosi suddetti, disseccate erano [p. 95 modifica]PIUMO «¡5 le sop enti a cui solcasi attingere l’acqua salutare della sagra Scrittura e della teologia, il prega a recarsi egli colà, e a soccorrere al bisogno in cui trovavasi quello studio. Questa lettera conservasi ancora nel monastero suddetto. donde il sopraccennato scrittore l’ha data alla luce. XVI. Dopo la morte di Federigo, avvenuta l’anno 1250, veggiamo improvvisamente aperto un altro studio generale in Salerno da Corrado di lui figliuolo che gli succedette, ma che presto gli tenne dietro, morendo l’anno 1254.Il. p. Martene ha pubblicato l’editto di questo re (Collect. ampliss. t. 2, p. 1208), nel cui principio, senza far motto della Università di Napoli, loda solo generalmente l’impegno dei suoi predecessori per fomentar le scienze in quel regno, da cui dice che non solo i sudditi, ma gli stranieri ancora avean raccolto gran frutto; quindi sog-. ghigne che ha risoluto di riformare lo studio generale nella città di Salerno, cui chiama sede e madre antica di studio; e invita perciò tutti i professori e gli scolari a recarsi a quella città, concedendo loro que’ privilegi di cui, (be’ egli secondo l’erudizione ordinaria di quell’età, fin da’! tempi d’Augusto solean godere negli studi di Napoli e di Salerno. L’erezione, o il ristoramento che voglia dirsi, di questa università, da cui quella di Napoli non potea ricavarne che grave danno , e così contraria al comando di Federigo, il quale fuor di Napoli non voleva altre pubbliche scuole in tutto quel regno, sembra a prima vista difficile a intendersi. Ma esaminando le storie di questi tempi, troviamo [p. 96 modifica]XVII. Il re Manfredi rende poscia l’Università a >affllt. <)6 I.IBRO il motivo per cui probabilmente Corrado venne in questo pensiero. Napoli erasi contro di lui sollevata, e gli convenne perciò assediarla nel i u5u, nè potè soggettarla se non dopo averla travagliata con durissima fame che costrinse finalmente i cittadini ad arrendersegli nel settembre, o nell1 ottobre dell’anno seguente Murat Ann. di tal. ad an. 1253). Per qual maniera egli allora trattasse i vinti Napoletani, lo abbiamo in una parlata da essi fatta nel seguente anno a Innocenzo IV, quando egli, dopo la morte di Corrado, entrò in quella città; perciocchè essi raccontano (Bartholom. de Neocastr. c. 3, Script. Rer. ital. vol. 13, p. i o 17) che lo sdegnato monarca molti ne avea fatti uccidere, che le lor mogli erano state condotte schiave in lontani paesi, che i principali tra’ cittadini erano stati esiliati , e che avea fatta spianare le mura e le torri della città. Egli è perciò assai probabile che lo sdegno di cui ardea Corrado contro di Napoli, il conducesse a toglierle 1 ornamento delle pubbliche scuole, e a trasportarle a Salerno, o almeno ad aprire in Salerno una nuova università che sostenuta dal suo favore oscurasse e facesse cadere in rovina quella di Napoli. Ma Corrado venne a morte lo stesso anno 1254 e perciò sembra che il suo (lise-, gno non potesse recarsi ad effetto; e l’Università di Salerno si ridusse presto alla semplice scuola di medicina. XVII. Abbiamo in fatti l’editto pubblicato a tal fine dal re Manfredi fratello e successor di Corrado, in cui dopo aver rammentate le sollecitudini di Federigo suo padre per l’Università [p. 97 modifica]PRIMO 97 di Napoli, afferma ch’essa per le vicende dei tempi era assai decaduta; e comanda perciò ch’ella sia ristabilita nell’antico splendore, e che in niun altro luogo del regno si possano tenere scuole, trattane quella di medicina in Salerno, e a’ professori e agli scolari conferma e concede di nuovo tutti que’ privilegi che da suo padre erano stati lor conceduti. Abbiamo ancora una lettera dello stesso Manfredi scritta a un professor del Decreto, di cui non esprime il nome, nella quale il destina a tenere scuola di canoni nella stessa Università di Napoli. Amendue questi monumenti ch’erano già stati pubblicati dal Baluzio (Miscell, ed. Lucens. t. 3, p. 104), sono stati di nuovo dati alla luce dal p Martene (Collect. ampliss, t. 2, p. 1218). Ni un di essi ha aggiunta la data dell1 anno in cui da Manfredi furon segnati; ma sembra probabile che ciò avvenisse non solo dappoichè egli ebbe ricuperata Napoli, il che avvenne l’anno 1256, ma anche dappoichè egli ebbe preso il nome e le insegne reali l’anno 1258. Ma anche le sollecitudini di Manfredi non pare che ottenessero il bramato effetto; al che dovette non poco contribuire l’aver egli avuta sempre contraria la corte di Roma, da cui fu poscia condotto in Italia Carlo d’Angiò, che, vinto ed ucciso in battaglia Manfredi, divenne pacifico posseditore del regno. XVIII. Tra i monumenti pubblicati dal suddetto P. Martene abbiamo una lettera di un. papa a un re di Sicilia (ib. p. 1274), in cui lo 1 esorta, perchè essendo omai terminate le turbolenze da cui era stato in addietro sconvolto Tikaroscui, Voi. IV. 7 [p. 98 modifica]98 LlCllO quel regno, ei si rivolga a riformare e far di nuovo fiorire felicemente l’Università di Napoli. Ivi non si esprime il nome nè del papa nè del re; ma io penso che non sia difficile lo stabilire a chi essa appartenga. L’anno 1266 Carlo entrò al possesso di quel regno; e parmi perciò verisimile che il pontefice Clemente IV, che allora occupava la cattedra di S. Pietro, gli scrivesse in quell’anno stesso la lettera mentovata. In fatti tra’ Capitoli pubblicati dal re Roberto a regolamento di quel regno veggiamo un amplissimo privilegio di Carlo I (Capitul. Regni, tit. Privileg. Colleg. Neap. Stud.), segnato in quest’anno medesimo a favore dell Università di Napoli; col quale grandi privilegi ei concede a’ professori non meno che agli scolari, e quello singolarmente di avere un giustiziere o giudice loro proprio, che renda ad essi giustizia, e che provveda a tutti i loro vantaggi e a’ lor bisogni; il qual giudice tre assessori dovea avere, uno oltramontano per gli scolari d’Oltremonti che colà si recassero, uno italiano per quelli di diverse provincie d’Italia, il terzo regnicolo pe’ nazionali. Il Giannone aggiunge (Stor. di Nap. t 3 , l. 20, c. 1, parag 2) che vi chiamò da ogni parte celebri professori; di che non possiam dubitare. Ma ei nomina tra gli altri Jacopo da Belviso , il quale non visse che più anni dopo, e di cui parleremo nel tomo seguente. A render però famosa l’Università di Napoli di questi tempi può bastare il solo S. Tommaso d’Aquino, che dal re Carlo fu ad essa chiamato collo stipendio, come afferma il Giannone, di un’oncia d’oro al mese. Di lui dovremo parlare nel libro seguente. [p. 99 modifica]primo 99 XIX. Non meno sollecito de’ felici progressi dell’Università di Napoli fu Carlo II, figliuolo e successore del primo. Il Giannone accenna (ivi, l. 21, c. 5) parecchie leggi da lui pubblicate per accrescerne i privilegi, e per tenere in vigore l’antica legge, che fuor di Napoli non vi avesse altra pubblica scuola di scienze. Ei nomina ancora molti celebri professori che con ampii stipendii furon da lui chiamati a renderla sempre più illustre; ma perchè la più parte di essi appartengono al secolo susseguente, ci riserberemo a parlarne altrove (‘). Qui solo è ad avvertire che questo scrittore ha errato, affermando che il celebre giureconsulto Dino dal Mugello l’anno 1296 venne a tenere scuola in Napoli, invitato da Carlo collo stipendio annuale di cento once d’oro. Dino fu bensì invitato con questa sì liberal proferta da Carlo, ma egli non volle partir da Bologna, come dalle pubbliche antiche memorie che ivi ancor si conservano, dimostra l’esattissimo p Sarti (De Prof. Bonon. t. 1,pars 1, p. 234). Se le premure con cui questi sovrani cercarono (*) Diversi altri bei monumenti della protezione da Carlo I c da Carlo II re di Napoli accordala alla universila di quella lor capitale sono stati pubblicati dal soprallodato sig. Giangiuseppe Origlia (Slor. dello Stud. di t. 1, p. 131, ec.; p. 162 , cc.) il quale annovera ancora molti de’ professori che ad essa furon chiamati. Jacopo di Ueiviso non da Carlo 1, ma da Carlo 11 fu chiamato a Napoli, come a suo luogo diremo. Lo stesso Origlia ha pubblicato il Decreto del re Cado I, con cui nel 1274 ordiuò che a S. Tommaso d’Aquino si contassero ogni anno dodici once d’oro , finché egli fosse in quella università professore di teologia (ivi, p. 144). [p. 100 modifica]ÌOO LIBRO ili illustrare la loro università, la rendessero assai popolosa, io non trovo indicio, o memoria alcuna. Il solo Regno però potea inviarle copioso numero di scolari, ed è anche probabile che dalla Francia molti vi si recassero, tratti dalla speranza di ottenere più facilmente da’ re francesi onori e premii. Certo, come osserva il Giannone, Napoli dovette in gran parte] alla sua università l’onore di essere considerata come la capitale del regno, del qual pregio cominciò ella a godere a’ tempi di Fede-] rigo li. XX. Un’altra università ancora dee a Federigo II, se crediamo ad alcuni scrittori, la sua origine, cioè quella di Ferrara, ove pure si vuole che Federigo di Bologna la trasferisse, talchè quasi parrebbe che la principale occupazione di questo monarca fosse stata il condurre in giro per tutta l’Italia le scuole pubbliche. Leandro Alberti fu il primo, ch’io sappia, ad affermarlo con quella autorevole sicurezza che lecita era una volta agli scrittori di storia, a’ quali niuno ardiva di chieder conto su qual fondamento narrassero tale e tal altra cosa. Dopo l’Alberti più altri scrittori ripeterono lo stesso: e in fatti, se quegli avea potuto dirlo, perchè nol potevano essi ancora? Il sig. Ferrante Borsetti, che l’anno 1735 ci diede un’erudita Storia di quella università, non temè egli ancora d’asserirlo (Hist. Gymn. Ferrar, pars, 1, p. 9, ec.). Ma i leggitori del nostro secolo non son sì docili come i nostri maggiori; e la critica, di cui si pregian d’esser forniti, li rende talvolta difficili e fastidiosi. Contro la Storia del [p. 101 modifica]PRIMO IOI Borselli fu pubblicato dal celebre arciprete Girolanno Baruffaldi un Supplemento sotto il nome di Jacopo Guarini, in cui si rilevarono parecchi errori che in essa eran corsi, e molte ommissioni che si eran fatte. Fra le altre cose si rigettò come favolosa l’origine dell’Università di Ferrara, qual narra vasi dal Borsetti e da altri scrittori. E certo essi non ci arrecano nè l’autorità di cronache antiche, nè alcun editto di Federigo, nè verun altro autentico documento onde si provi ciò ch’essi affermano. Anzi, se il Borsetti avesse posto mente alla storia di questi tempi, avrebbe veduto che la sua opinione non può in alcun modo difendersi. A’ tempi di Federigo II era signor di Ferrara Azzo VII, marchese d’Este, il quale gli fu sempre nemico, trattone il breve spazio di tre anni, cioè dal ii’ ò’j fino al 12.40 in cui fu costretto a collegarsi con lui. In questi tre anni soli Ferrara ubbidì a Federigo, e poscia nel 1240 ritornò sotto il dominio di Azzo che il tenne fino alla sua morte seguita l’anno 1264 (Murat. Ann. (d’Ital, ad hos ann.). Or il trasporto dell’Università di Bologna a Ferrara si fissa dal mentovato scrittore all’anno 1241, quando questa città era nelle mani di Azzo, e questi già erasi dichiarato di nuovo contro di l ederigo. Non basta egli ciò a mostrarci che non potè Federigo, nè è a credere che volesse in questo anno onorare una città che non era sua, e ch’egli anzi dovea considerare come nimica? E non è parimente punto probabile che in que’ tre anni in cui egli fu signor di [p. 102 modifica]102 LIBRO Ferrara, le concedesse un tal privilegio, poichè l’amicizia tra lui e Azzo fu sforzata e apparente più che sincera; e ben dovea egli conoscere che troppo fermo non era il dominio eli1 egli avea di quella cilLà. XXX Ma benchè sia favolosa l’erezione dell’Università di Ferrara fatta da Federigo II, non vuolsi però negare che pubbliche scuole vi fossero in questo secolo stesso. Ne abbiamo un’autentica pruova negli antichi Statuti mss. di questa città dell anno 12O4, ne quali leggesi il privilegio già pubblicato dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 910), in cui concedesi a’ professori, che non sian tenuti ad andare in guerra: Quod omnes docentes in Scientia Legum et Medicinae et Artibus Grammaticae et Dialecticae ire ad exercitum, aut aliquam Jàcere cavalcataci,», non cagaci tur. Quod statutum vendicat sibi locum in Doctoribus continue docentibus. Qui veggiam nominati professori di quasi tutte le scienze, delle quali allora teneasi scuola; e sol vi mancano que’ del diritto canonico e delle sacre lettere. Un documento ancora arrecasi dal Borsetti (l. cit. p. 13), da cui si raccoglie che sino all’an 1297 le scuole che diconsi delle arti, erano state nel convento dell’Ordine de’ Predicatori, ove la comunità di Ferrara avea a tal fine prese a pigione alcune stanze, e donde in quell’anno furono trasferite altrove. Tutto ciò ci dimostra che scuole pubbliche di leggi, di medicina, di gramatica ossia di belle lettere, e di dialettica, erano fin da questo secolo in Ferrara; benchè non vi abbia alcun monumento [p. 103 modifica]PRIMO J03 cl,e le mostri formate con imperiale o con pontificia autorità. Anzi il non trovarsi quasi più alcuna memoria di queste scuole fino all’an 1391, nel quale Bonifacio IX sollevolle all’onore e a’ privilegi delle altre università, ci fa congetturare eli’ esse non fossero nè per valore di professori nè per numero di scolari molto famose. E non fu nondimeno piccolo pregio l’avere pubbliche scuole , quali eli’ esse si fossero , in questi tempi in cui molte anche illustri città ne erano quasi del tutto prive. XXII. Come i romani pontefici gareggiarono cori’ini pera dori nel promuover le scienze, così non furon men di essi solleciti nell’aprire a comun vantaggio pubbliche scuole. Roma fu il principale oggetto delle loro premure. Gli studi sacri vi erano stati felicemente coltivati ne’ secoli addietro, come più volte abbiamo osservato. Ma il diritto civile e canonico occupavano di questi tempi l’ingegno e lo studio di quasi tutti coloro che voleano col lor sapere acquistarsi gran nome. Conveniva dunque all" onore di Roma che ve ne fossero scuole, affinchè la corte pontificia e i tribunali ecclesiastici fossero provveduti d’uomini in queste scienze versati. Perciò Innocenzo IV con una sua legge inserita nelle Decretali (l.6, c. Sup. Specula, tit de Privilegi is) comandò che vi si aprissero pubbliche scuole di legge canonica e civile, e che esse godessero di tutti que’ privilegi che alle altre università solevano esser comuni. Quindi, come avverte il P. Caraffa (Hist Gjnmas. Rorn. [p. 104 modifica]104 LIBRO t. i, p. i3a) da noi altro volte citato, da molti si considera Innocenzo IV come il primo fondatore dell’Università di Roma (a). La gloria (a) A’ tempi dello stesso pontefice Innocenzo IV nel Concilio generale tenuto in Lione l’anno 1245) si ordinò che in tutte le chiese cattedrali, e nelle altre ancora che avessero bastevoli entrate, si stabilisse dal vescovo e dal capitolo un maestro che istruisse i chierici ed altri poveri scolari nella gramatica, e che perciò gli fosse assegnata una prebenda. E quanto fosse sollecito Innocenzo dell’osservanza di questa legge, cel mostra un Breve da lui scritto affine di provveder di prebenda un maestro in Venezia. Esso conservasi nell archivio Vaticano, e mi è stato comunicato dal ch. sig, ab. Gaetano Marini , a cui di più altri documenti è debitrice questa mia Storia. Venerabili Fratri Episcopo Castellam., ec. Ne propter rerum inopiam Scholaribus et Clericis subtraheretur utilitas discipline dudum in generali Concilio pia fuit previsione statutum, ut non solum in qualibet Cathedrali Ecclesia, sed etiam in aliis, quarum sufficere poterunt facultates , constituatur Magister idoneus a Prelato cum Capitulo seu majori et saniore parte Capituli eligendus, qui Clericos ipsius Ecclesiae aliosque Scolares pauperes gratis in Grammatica facúltate ìnslruat juxta jiosse, percepturus in hujusmodi Ecclesia unius Prebende provenías, quamdiu perstiterit in docendo. Nos igitur Veneliis nolentibas viam patere disccntibus ad doctrinan1, et de dilecto filio Magistro Alberto de Bcnezeto , ejusque in Grammatica facúltate perilla suffteientem noddam ohtinentes, mnndamus, qualenus eidem Magistro ibidem in eadem facultate docenti provideas juxta predicti Statuti tenorem auctoritate nostra vel facias provideri. Contradictores etc. non obstante si aliqui in Indulto Apostolico excommunicari aut interdici, vel suspendi non possint, seu ad provisionem cujuspiam coarctari. seu qualibet indulgentia Sedis ejusdem sub quamcumque forma verborum obtenta, per quarti in presenti bus non [p. 105 modifica]PRIMO 105 ncrò ili averla condotta a stato migliore, e di averla più ampiamente stesa a tutte le scienze, deesi a Bonifacio VIII, che al principio del secolo susseguente la rendette assai più illustre, come a suo luogo vedremo. XXIII. Allo stesso pontefice Innocenzo IV dovette la.sua origine l’Università di Piacenza , cui nel secolo xiv vedremo gareggiare in numero e in valore di professori colle più illustri. Nell’antica Cronaca di Piacenza se ne parla in poche parole all’anno 1243. Circa hoc tempus Innocentius IV Papa concessit Placentinis privilegium de studio generali (Script. Rer. ital. vol. 16, p. 464). Se ne fa menzione ancora negli Annali piacentini del secolo xv pubblicati dal Muratori (ib. vol. 20, p. 938), dove recasi interamente il Breve perciò spedito da Innocenzo al vescovo e al clero di Piacenza, il quale è stato pubblicato da più altri storici piacentini , e più recentemente e con maggior esattezza dal ch. proposto Poggiali (Mem. di Piac. t. 5, p. 220). Esso è segnato a’ 6 di febbraio dell’anno quinto del suo pontificato, cioè dall’anno 1248, e in esso alla richiesta del vescovo , e per ornamento e vantaggio sempre maggiore di quella città che gli si manteneva costantemente fedele, permette che vi si apra uno studio generale, e che i professori e gli expressam , rei loialiler non insertar» id impediri vaimi rei differri. Alicquin Ven. Fr. nostro Epìscopo Ma ni nano et dilecto filio Plebano Sancii Silvestri de I enetiis da mus nos tris li Herís in mandatis, ut ipsi super hoc mandatimi Apostolicum exequantur. Daluni Assisii II. Idus Maji anno XI. [p. 106 modifica]Io6 LIBRO scolari vi godano di tutti que’ privilegi che proprii erano delle Università di Parigi e di Bologna e di altri studi. Con qual successo sorgesse questa nuova università, e qual nome ottenesse fra le altre, non ce n’ è rimasta notizia, e di essa non dovrem più favellare che verso la fine del secol seguente; al qual tempo il fioritissimo stato in cui vedremo ch’ella era, ci darà argomento a congetturare che anche ne’ tempi addietro ella fosse assai rinomata. XXIV. Se crediamo all’Ughelli (Ital. Sacra, V. 2 in Ep. Macer.), Niccolò IV fondò 1’anno-1290 una pubblica Università in Macerata, che fu poscia da Paolo III riformata e rinnovata l’an 1540. Ma io non veggo qual fondamento si arrechi di tal fatto. E certo non par verisimile che non essendo ancor Macerata di questi tempi città vescovile, il pontefice le volesse concedere un tale onore. Innoltre , se ciò fosse stato, Paolo III nel rinnovare quella università avrebbe fatta menzione del primo fondatore di essi. Or nella Bolla perciò da lui pubblicata , di ciò non vi ha cenno; anzi ci mostra che allora per la prima volta furono quelle pubbliche scuole fondate, e con pontificia autorità confermate. Con maggior fondamento deesi somigliante lode a Bonifacio VIII eletto papa l’anno 1295, il quale fondò l’Università di Fermo; ma come ciò non avvenne che l’anno 1303, riserbiamo il ragionarne ad altri tempi. XXV. Mentre in tal maniera i sommi pontefici e gl’imperadori coll’aprire e col proteggere in ogni parte le pubbliche scuole cercavano [p. 107 modifica]PRIMO IO7 Ji richiamar l’italiana letteratura all’antico suo lustro, tra quelle città ancora che reggeansi come repubbliche , ve n’ebbe alcune che non vollero rimaner prive di tai vantaggi, e perciò fondarono scuole e chiamarono professori, e con privilegi allettarono ancor gli stranieri a frequentarle. Abbiam già altrove veduto che verso la metà del XII secolo erano assai rinomate le modenesi scuole legali (V. t. 3, l. 4, c. 7 , n. 27) , e che il famoso Ruggieri da Benevento fu ivi per qualche tempo professore di legge. Abbiam pure veduto in questo capo medesimo che Bologna gelosa delle sue proprie glorie, e temendo che la vicina Modena potesse in parte rapirgliele, verso l’anno 1189 cominciò ad esigere da’ suoi professori un giuramento con cui si astringessero a non abbandonar quelle scuole per recarsi altrove. Ma il celebre Pillio, di cui favelleremo più a lungo tra’ professori del diritto civile, non ostante tal giuramento, a quel tempo medesimo sen venne a Modena , allettato da presso a 100 marche d’argento che gli furon promesse, e che erano.troppo opportune a’ debiti di cui trovavasi carico. Il Muratori ha creduto (Antiq. Ital. t. 3 , p. 903) che questo fosse l’annuale stipendio a Pillio promesso dai Modenesi. Ma, come osserva l’esattissimo P. Sarti (De Prof. Bonon. t.1, pars 1, p. 74) > lo parole di Pillio, ove narra tal fatto, non indicano stipendio di ogni anno, ma un dono, e come un capitale da impiegare pel suo sostentamento. In fatti 100 marche corrispondono ad 800 once d’argento, o, come computa il Panciroli (De CI.LegumJnterp. 1.2, c. 21), [p. 108 modifica]I08 LIBRO a 680 scudi, somma a quei tempi assai ragguardevole per un capitale, ma quasi incredibile per un annuale assegnamento. Più altri celebri professori di legge furon chiamati da’ Modenesi a tenere scuola tra loro , come Alberto Galeotti, Alberto da Pavia, Guido da Suzzara, ed altri, dei quali a suo luogo ragioneremo. Intorno a che dee correggersi un errore del ch. Muratori che tra gl’illustri professori modenesi ha annoverato ancora il famoso Azzo; errore nato da un passo del soprannomato Pillio, che per essere stampato nella Somma di Azzo, a questo è stato attribuito , come dimostra il P. Sarti (l. cit. p. q3). XXVI. Se scuole, o professori ancor di altre scienze fossero di que’ tempi in Modena, non ne abbiam espressa memoria. Ma poichè da varii monumenti raccogliesi che grande era ivi il numero degli scolari anche stranieri, par verisimile che non vi fosse la scuola sola di leggi. L’Ughelli accenna un Breve di Onorio III Ital. Sacra, vol. 2, in Ep. Mut.) segnato dell’anno VIII del suo pontificato, cioè al fine del 1224, o al principio del seguente, in cui concede autorità a Guglielmo vescovo di Modena di assolvere que’ cherici che ivi si trovassero per motivo de’ loro studi, i quali si fosser l’un l’altro leggermente feriti. Il qual privilegio sembra indicarci che copioso ivi fosse il numero degli scolari. Più chiaramente ancora ciò si conferma dall’antica Cronaca modenese pubblicata dal Muratori, in cui si dice (Script. Rer. ital. vol. 15, p. 560) che l’anno 1232 il podestà Gherardo Albino da Parma rendette a Modena [p. 109 modifica]PRIMO IO9 il suo studio: Dicto tempore recuperatum fuit studium Scholarium Mutinae per dictum Dominum Potestatem. Per qual ragione e da chi le pubbliche scuole di Modena fossero state in addietro o soppresse, o trasportate altrove, non trovo chi ne abbia lasciata memoria. Ma queste parole ci mostrano che avean esse sofferte alcune di quelle burrasche a cui le altre università furono in questi tempi soggette. Comunque ciò fosse, il vederle qui nominate con quella voce di studio, con cui abbiam veduto che si nominava ancora l’Università di Bologna , ci fa conoscere eli’ esse erano per numero di professori e di scolari famose. Veggiamo in fatti che da Parma singolarmente ve n’accorre, a gran copia; perciocchè nell’antica Cronaca di questa città, pubblicata dal Muratori, raccontasi (ib. vol. 9, p. 771) che l’anno ia.f7 quelli tra’ Modenesi eli’ erano del partito di Federigo II, sorpresero e condusse!- prigioni 50 soldati parmigiani che trovavansi in Modena, e tutti gli scolari pur parmigiani che attendevano ivi agli studi, e spogliatili d’armi, di cavalli, di libri e d’ogni altra cosa , e legatili nelle mani e ne’ piedi, li mandarono a Federigo. Pars Imperialis Mutinae cepit ct carceravit cinquantinam militum de Parma.... et omnes Scholares de Parma, qui tunc erant Mutinae ad studendum, cepit et spoliavit omnibus equis , armis, libris et rebus eorum. Deinde Milites et Scholares, ligatis catenis ferreis manibus et pedibus, misit omnes in manibus dicti quondam Imperatoris. E forse, se verrà un giorno in cui diligentemente si ricerchili [p. 110 modifica]Ilo LIBRO gli archivi di questa città, e se ne traggano le opportune notizie, monumenti ancor più pregevoli si scopriranno intorno all’antica Università modenese, e si vedrà che fin da’ più antichi tempi ella cominciò a godere di quella fama a cui in quest’anno medesimo 1773, in cui scrivo tai cose, l’ha richiamata con sì felice successo la provvida mente e la splendida munificenza del gloriosissimo nostro sovrano Francesco III. XXVII. La città di Reggio ancora avea fino da questi tempi pubbliche scuole; benchè le notizie che ce ne sono rimaste, non ci spieghino precisamente quali esse fossero. Un monumento dell’anno 1188 tratto dall’archivio di quella città è stato dato alla luce dal conte Niccola Taccoli diligente e faticoso raccoglitore di antiche Memorie ad essa spettanti (Mem, stor. di Reggio, t. 3, p. 227). Jacopo di Mandra si obbliga a quella comunità a recarsi colà insieme co’ suoi scolari per tenervi scuola, cominciando dalla prossima festa di S. Michele fino ad un anno intero, e promette che non andrà a tenere scuola altrove senza farne parola col podestà e co’ consoli: quia a S. Michaele proximo usque ad unum annum veniet Rhegium cum Scholaribus causa scholam tenendi, et tenebit; nec in aliquam terram erit pro schola tenenda nisi fecerit parabola Potestatis vel Consulum. Chi fosse questo Jacopo, ove, e quale scuola tenesse prima di venire a Reggio, quale scienza insegnasse in questa città, e se oltre il pattuito anno più oltre ancora vi si trattenesse, di tutto ciò siamo all’oscuro; e [p. 111 modifica]PRIMO I 1 I solo da questo monumento noi raccogliamo che scuole pubbliche erano in Reggio di questi tempi- Di esse si fa menzione ancora in una Decretale d1 Innocenzo III (Decret. Greg. l. 1, t_ 6, c. 36) scritta dopo la morte di Sicardo vescovo di Cremona, che avvenne l’anno 1215, perciocchè in essa egli nomina un canonico di Cremona che in Reggio attendeva agli studi: Rhegii disciplinis scolasticis insistentem; il che ci mostra che da stranieri ancora e da ragguardevoli personaggi esse erano frequentate. Ma questo documento ancor non ci mostra di quali scienze esse fossero. Certo vi era scuola di legge, poichè parlando del celebre giureconsulto Guido da Suzzara, vedremo che l’anno 1270 ei fu con onorevoli vantaggiosi patti condotto da’ Reggiani a professore nella loro città, oltre alcuni altri che similmente vi tennero scuola di legge. Anzi dal monumento che allor recheremo, si vedrà che il vescovo di quella città avea diritto di conferire la laurea in questa scienza. Ed è probabile che altre scuole ancora vi fossero ad insegnar altre scienze. XXVIII. « Parma ancora ebbe nel secolo XIII le sue pubbliche scuole, e se ne fa menzione in un codice di Statuti compilati al tempo di Giberto da Gente, che si conserva nell’archivio di quella comunità, e in cui si legge questa rubrica: De scolaribus et eorum bonis manutenendis et recuperandis. Quod Potestas teneatur Scolares, qui morantur in Civitate Parme, eos et eorum bona , bona fide manutenere, et rationem eis facere, et eorum res recuperare, si fuerint ablate in Episcopatu Parme, et hoc [p. 112 modifica]112 LIBRO Capitukim Juit factum in vcc. xs ri. Di fatto nella Cronaca ms. di F. Salimbene parmigiano, scritta in questo secol medesimo, ei fa menzione di alcuni che ivi erano stati istruiti negli studj gramaticali. Così di un certo F. Bartolommeo Guiscolo da Parma dice ch’egli era stato in seculo in Grammatica Rex; e di F. Gherardino da Borgo S. Donnino, di cui diremo più sotto, afferma che in seculo docuit in Grammatica; e di Gherardo da Cassia narra, che fecit librum de dictamine; fuit enim magnus dictator nobilioris styli) e di se stesso per ultimo dice che quando entrò nell’Ordine di S. Francesco l’anno 1238, era già in gramatica eruditus et attritus. Nè sol di gramatica, ma eranvi scuole di legge; e il P. Affò, a cui debbo tutte queste notizie, ha pubblicato un passo della suddetta Cronaca di F. Salimbene, da cui si raccoglie che Obi zzo da Sanvitale, che fu poi vescovo di Parma, avea ivi atteso alla giurisprudenza sotto Giovanni di Donna Rifida (Raccolta Ferrar, di Opusc. t. 15, p. 151); e in un altro passo lo stesso cronista afferma che il pontefice Martino IV aliquando in Parma leges audierat a Domino Uberto de Bobio. Anzi eravi ancora un collegio di giudici e di notai, che secondo l’antica Cronaca di quella città fu l’anno I2i)5 scomunicato dal suddetto vescovo Obizzo (Script. Rer. ital. vol. 9, p. 429). Esso venne poi meno; e solo l’anno 1 \ 12 fu ristabilito dal march. Niccolò d’Este, mentre era signor di Parma. Ed eravi ancora un collegio di medici; perciocchè negli Statuti di esso, che furono riformati l’anno 1440 così si legge: Examinatis [p. 113 modifica]PRIMO Il3 diligenter statutis, quibus tunc presentes Ch’itati s Doclores antiquissimi anno Nativitatis Christi mccxciiii, et moderniores presentes tempore quo felix studium secundo viguit, scilicet anno Chris ti ytccccxr, inter se observabant, ec. E vi si trova di fatto nello statuto XII il modo con cui esaminavansi quei che volevano essere laureati. Cessò poscia lo studio fra non molto tempo; e avendo i Parmigiani circa il 1327 pregato il pontefice Giovanni XXII a volerlo rinnovare, questi ordinò al suo legato di Lombardia, che se non era per sorgerne danno all’Università di Bologna, soddisfacesse al lor desiderio. Ma la cosa non ebbe effetto, e lo studio non fu riaperto che al principio del secolo xv». XXIX. Qual fosse lo stato delle scuole milanesi di questo secolo, il ricaviamo da un passo della Cronaca di F. Buonvicino da Riva del terz’Ordine degli Umiliati che allor vivea, e di cui io ho lungamente parlato nelle mie Ricerche su’ Monumenti di quella Religione (Vetera Humiliat. Monum.t 1, p. 297, ec.). Avea egli scritta l’anno 1288 una Cronaca della città di Milano colla descrizione della medesima. Essa è perita , ma un pregevol frammento ce n’è stato serbato da Galvano Fiamma scrittore del secolo susseguente (Manip. Flor. c. 336, ec. Script. Rer. ital. vol. 11, p. 711, ec.), in cui appunto contiensi la descrizione dello stato in cui allora era Milano, della quale abbiam pure un estratto negli antichi Annali Milanesi (vol. 16 Script. Rer. ital. p. 680). Essa è assai piacevole a leggersi, poichè vi si vede non solo il numero delle porte, delle case, delle piazze, Tirabosciii, Voi. IV. 8 [p. 114 modifica]I l4 LIBRO de1 cittadini, ma ancora la quantità de’ viveri di diverse sorte che ogni giorno vi si consumava, il numero degli artefici di ciascheduna professione, ed altre somiglianti notizie, le quali sono state di fresco con esattezza illustrate dal diligentissimo conte Giorgio Giulini (Mem, di Mil. t. 8, p. 3i)2, ec.). Or in essa noi troviamo che erano di quel tempo in Milano 200 giudici ossia giureconsulti, 400 notai, 600 notai imperiali, 200 medici, e, ciò che più appartiene al nostro argomento, 80 maestri di scuola, Magistri Scholarum, qui pueros instruunt lxxx. Di quali scienze essi fosser maestri, qui non si dice; ma quella espressione qui pueros instruunt, ci fa sospettare che non si debbano intendere queste parole se non di scuole gramaticali ed elementari proprie de’ fanciulli. Direm noi dunque che in Milano, ove era pure si gran numero di giureconsulti e di medici, non fossero scuole di giurisprudenza e di medicina? Crederem noi che mentre in tante altre città minori assai di Milano erano scuole di quasi tutte le scienze, questa città non avesse che 80 pedanti, e per le altre scienze non vi fossero professori? Io confesso che per una parte ciò mi sembra impossibile; ma per l’altra il testo di Buonvicino cel rende quasi indubitabile, perciocchè un uomo che dice persino che erano in Milano 4000 forni e 1000 osterie e 400 macellai, non avrebbe certo taciuti i professori di sì nobili scienze, o non gli avrebbe nominati così alla rinfusa col titolo di maestri che fanno scuola a’ fanciulli. Lo stesso Galvano Fiamma che in una sua Cronaca [p. 115 modifica]PRIMO I l5 ms ci ha data una somigliante descrizion dello stato in cui era Milano verso la metà del secol seguente, fa espressa menzione, come allora vedremo, dei professori di legge, di medicina. di filosofia; e così sembra che avrebbe dovuto fare ancor Buonvicino, se tali professori ai suoi tempi vi fossero stati. Convien dire che le funeste vicende a cui nel secolo XII era stata soggetta questa città, e le continue guerre da cui in questo ella fu travagliata, non le permettessero di rivolgere efficacemente il pensiero a far fiorire le scienze; e che perciò costretti fossero i Milanesi che volevano in esse istruirsi, ad andarsene altrove. E poichè anche in Pavia non si trova vestigio di professori e di scuole in questo secolo (a), avranno i Pavesi e i Milanesi probabilmente dovuto recarsi o a Bologna, o ad alcun’altra delle città ove le scienze fiorivano felicemente. In fatti nel Catalogo degl’illustri Scolari di quella università pubblicato dal P. Sarti, veggiam nominati parecchi Milanesi, (a) II poc’auzi lodato sig. Siro Comi mi corregge amichevolmente, perchè qui ho asserito, secoudo lui, nullum hocmel saeculo tcrtio decimo ncque doctorum ncque scliolarum Ticincnsium vestigi um occurrcre; e pruova di fatto che in Pavia cran non pochi giureconsulti, avvocati, ec. (Phitelphus Acchigym. Tici/t. Vindie, p. i4q). A ine sembra però, che avendo io asserito soltanto che in Pavia non si trova vestigio di professori e. di scuole in questo secolo , la mia asserzione non sia distrutta col dimostrare che in Pavia erano molti giureconsulti ed avvocati e dottori; giacche io ragiono solo di scuole e di professori che dalle cattedre insegnano; e possono in una città trovarsi molti giureconsulti , senza che perciò vi siano pubbliche scuole. [p. 116 modifica]I l6 LIBRO come Ottone Oldone di Casale (De Prof. Bonon. t. i, pars. 2, p. 247) all’anno 1286 , Roberto Visconti canonico ordinario della chiesa metropolitana (ib. p. 250) all’anno 1292, e nel seguente Pietro da Pirovano (ib. p. 251), e più altri in altri anni. XXX. Fra le città italiane nelle quali nel secolo xiii era un pubblico studio, vuolsi annoverar Trevigi. Nell’archivio di quella comunità conservasi un codice degli Statuti compilati nell’anno 1231, a cui poscia se ne sono aggiunti più altri fino al 1263. E in essi alla rubrica MCXXXIV si legge: Ad honorem Dei et gloriosae Virginis Mariae, et in augmento et statu Civitatis Tarvisii, et hominum totius ejusdem districtus statuimus et ordinamus, quod Potestas infra duos menses, posti piani in ’regimen Civitatis Tar. intraverit, teneatur ac debeat Consilium facere generale ad utramque campanam coadunatum super studio Scholarium in Civit. Tar. reducendo, et perseverando in ea quantitate facultatum, prout melius per ipsum Consilium super eo fuerit firmatum. E in un altro codice del secolo stesso: Statuitur Medicinae Artis peritum et Physices accerseri debere, qui non sit de districtu Tarvisii. et qui debeat legere et studere in Arte Physice, et tenere scholas in Civitate Tarvisii Statuimus, quod Dominus Bonencontrus Doctor Legum possit et debeat stare et habitare in Civitate Tarvisii ad docendum Scolares in legibus, et teneatur praebere consilium in omnibus factis Comunis Tarvisii, si requisitus fuerit, et habere debeat a Comuni Tarvisii pro suo salario et labore quolibet anno [p. 117 modifica]PRIMO II7 niiatuor libras Venetas gross. h. e. Ducatos Venetos aureos circiter 44- Questi bei monumenti mi sono stati gentilmente comunicati dall’eruditissimo sig. co. Rambaldo degli Azzoni Avogaro canonico della cattedral di Trevigi. Questo studio però non dovette nel corso di questo secolo aver gran nome in Italia, e sol nel seguente divenne % assai più illustre, come a Suo luogo si osserverà. Anche in Bassano troviam nel corso del secolo XIII qualche maestro di gramatica, e singolarmente un certo Gloi che vedesi nominato in una carta dell1 anno 1233, clic è stata pubblicata dal ch. sig. Giambattista Verci nella sua Storia degli Eccelini (t.3, p. a44)> d quale ha poscia ancor pubblicato un Decreto della comunità di Bassano intorno a quelle pubbliche scuole del 1260 (Stor, della Marca Trivig. t. 2 App. p. 32). XXXI. Non giova ch’io mi trattenga più a lungo a ricercare minutamente in quali altre città fossero pubbliche scuole. Ho rammentate finora quelle di cui mi è avvenuto di trovar monumenti che ci comprovino che vi era non solo qualche scuola, ma un pubblico studio di tutte, o di quasi tutte le scienze. Se ne ho tralasciata alcuna, ciò è avvenuto solo perchè non mi si sono offerte memorie dalle quali raccolgasi che non le mancasse tal pregio. Delle scuole di gramatica e delle ecclesiastiche è omai inutile il cercarne partitamente, poichè è credibile che appena vi fosse città che non avesse le sue. Io vorrei bensì poter sostenere 1 opinione del cavalier dal Borgo, clic ha pubblicata f erudita sua dissertazione sull" origine [p. 118 modifica]I IS LIBRO dell’Università di Pisa, per dimostrare che assai prima del secolo xiv essa ebbe cominciamento. Ma, a dir vero, egli ha bensì chiaramente provato che molti uomini dotti furono innanzi a quel tempo in Pisa, e singolarmente molti valorosi giureconsulti , e che vi fosse ancora un collegio delle arti. Ma che vi fossero scuole pubbliche di molte altre scienze, com’erano in Bologna, in Padova e altrove, non parmi ch’egli l’abbia provato; e in tutti i monumenti da lui prodotti io veggo nominati dottori e professori di legge; di studio, di università, di maestri d’altre scienze non vi trovo vestigio. Quindi si può al più affermare che fosse in Pisa qualche scuola di legge; ma che vi fosse studio, coma allor diceasi, generale, a me non sembra che si possa finora affermare« In Pistoja ancora fu aperto in questo secolo studio di leggi, poichè, parlando de’ giureconsulti, vedremo che l’anno 1279 vi fu chiamato il celebre Dino dal Mugello. Ma non sappiamo se altre scuole ancora vi fossero. « Pare che anche Siena avesse fin dal secolo XIII la sua Università, o almeno le sue pubbliche scuole. Il ch. P. Guglielmo dalla Valle (Lettere sanesi, t. 1, p. 139) reca l’autorità già prodotta dal Gigli (Diario sanese, par. 2, p. 75) di un’antica Cronaca in cui si narra che l’anno 1248 alcuni messi de’ Sanesi portaverunt literas Commutiti ’ per Tusciam invitando, ut Scholares venirent ad Studium in Civitate Senarum; ed ha ancora accennati altri documenti che in que’ pubblici archivi conservansi, e nei quali si fa menzione dello stipendio da quel comune pagato ad alcuni [p. 119 modifica]PRIMO - I ig pubblici professori ». Filialmente nelle Giunte fatte dal P. Oldoino alle Vite de’ Cardinali del Ciacconio si fa menzione del cardinale Pietro Capoccio a’ tempi d’Innocenzo IV, di cui si dice (Hist. Cardinal. t. 2, p. 126) che co’ suoi proprii beni fondò in Perugia il collegio della Sapienza, in cui si mantenessero 40 giovani, affin di ammaestrarli nelle belle lettere e nelle scienze. Ma questa lode deesi al cardinale Niccolò Capoccio che fiorì nel secolo seguente, come a suo luogo vedremo. Ivi però fino da questo secolo erano certamente pubbliche scuole; perciocchè dagli Atti di quella città si raccoglie che l’anno 1276 fu ivi aperta una scuola di legge, di gramatica, di logica, e di altre arti, e che nel settembre del detto anno furono spediti ambasciadori alle terre vicine ad invitandum omnes Scholares venire volentes Perusii; e che poscia in un consiglio tenuto nel 1296 a’ 4 di settembre furono conceduti diversi privilegi agli scolari forestieri e a’ lor servidori. E il ch. sig. Annibale Mariotti, a cui debbo queste notizie, mi avverte che gli storici perugini pretendono che fin dal 1058 Angelo da Camerino fosse ivi professore di medicina; e che anzi il Pellini in una lettera ms. ch’ei conserva presso di sè, afferma di averne avuto nelle mani un trattato de Regimine preservativo in peste, in cui egli dichiara che nel detto anno ei leggeva in Perugia. Ma il sig. Mariotti stesso saggiamente non si fida a tale autorità, e molto più che un Angelo da Camerino fu medico di Bonifacio VIII sulla fine del secolo XIII. Veggansi intorno a ciò le riflessioni dello stesso [p. 120 modifica]120 LIBRO sig. Mariotti nell’opera degli Archiatri pontificii del ch. ab. Gaetano Marini (t. 1, p. 41).