Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo I
Questo testo è completo. |
Capitolo II | ► |
[Anno 1848]
I casi di Roma man mano che venivano risapendosi, rendevano attonito il mondo, riempivano di spavento e di orrore quanti professavano tuttavia un culto alla religione ed alla morale.
Sarebbe se non piacevole, non disutile al certo pei nostri lettori il sottoporre loro a rincontro, nelle nostre pagine, tutto quello che in lode o in biasimo ne divulgò la pubblica stampa. Salvo però poche eccezioni, il mondo non era pervertito a tal segno da non sentire la gravità dei casi e l’orrore che destar dovevano, e quindi nella generalità essi risvegliarono un senso di esecrazione e di abbominio fra tutti i popoli civili.
Ma i veicoli della stampa qui in Roma, resa oramai quasi tutta proterva, mentre ti tacevano il buono, divulgavano a piena gola il cattivo; il senso morale andavasi tutto giorno affievolendo (nè poteva essere altrimenti) perchè la scorta delle dottrine morali era disconosciuta; e il faro illuminatore del retto e del giusto, oppresso dalla violenza, tramandava una luce languida e smorta, mentre i fuochi alimentatori delle prave dottrine ardevano in Roma liberissimamente.
Un sonetto circolò fra le mani di tutti, nel quale era questa quartina:
- «Ti sveglia, o Italia, ognuno ancor ti noma
- » Madre onorata di superbi eroi;
- » Che vi sian Bruti ancor fra i figli tuoi
- » Lo disse ieri a te l’augusta Roma.»1
- «Ti sveglia, o Italia, ognuno ancor ti noma
Ed al Galletti in occasione della sua nomina a generale dei carabinieri altro sonetto intitolavasi, che incominciava così:
- «Mentre l’Italia altera erge la fronte
- » E spezza il duro giogo e le catene,
- » Benedetta dall’angelo, diviene
- » Regina e forte dalla foce al fonte.»2
- «Mentre l’Italia altera erge la fronte
In Urbino con una iscrizione esaltavansi il Galletti, il Calderari, e il popolo romano.3
Il Corriere livornese del 21 novembre esclamava festosamente: «Roma! la città eterna, la patria di Rienzi si è infine destata, ed ha mostrato al mondo che il sangue latino non tralignava per volgere di anni d’iniquo potere sacerdotale.» Più sotto:
«Il cannone di Vienna ha cancellato le ultime vestigia della fede inverso i re, ed i cannoni puntati dal popolo romano in faccia al Quirinale, hanno annientato per sempre la fede inverso i pontefici come principi della terra. — Al popolo ciò ch’è del popolo, a Dio ciò che è di Dio.» E infine:
«Il dominio temporale dei papi è stato l’ostacolo insormontabile della nazionalità italiana.
» Se dunque questo ostacolo è rimosso, se Pio IX vuol fuggire, ei fugga. — Noi cominceremo ad essere da quel giorno Italiani, e la Chiesa non sarà più retta da una insopportabile aristocrazia, ma divenuta, come l’istituiva il Divino Maestro, una perfetta democrazia, concederà al più umile de’ sacerdoti quel diritto d’elezione, quella rappresentanza sinodale, che la tirannica corte romana aveva assorbite e concentrate in un solo collegio di porporati.»4
A sentir dunque il Corriere livornese, Roma aveva dormito fino allora. Figuriamoci se fosse stata desta! Eppure ciò che abbiamo narrato nei due precedenti volumi ci porta una serie non interrotta di due anni e mezzo di baccani, di feste, di perturbazioni. E Roma dormiva! Sarà cosi: dormiva essa, ma non lasciava dormire in pace i suoi figli!
In Livorno appena divulgata la notizia della morte del Rossi, sonaron le campane a festa, fu innalzata la bandiera tricolore sul campanile del duomo, poi una massa di gente recossi dal La Cecilia prorompendo in grida festose. Lo stesso fece dal console romano; quindi chiamò sulla terrazza il governatore Pigli il quale diceva:
« Il ministro Rossi non era amato dall’Italia solamente pe’ suoi principi politici. Dio, ne’ suoi arcani consigli, ha voluto ch’egli cadesse per mano di un figlio dell’antica repubblica di Roma.»5
Il Calambrone poi ed il Lampione di Livorno ci dieder tali articoli che appena ce li avrebbe dati la Francia del 1793. E l’Alba di Firenze del 18 novembre esciva in questa sentenza:
«Il trionfo della causa democratica è ormai assicurato anche nella capitale del mondo cattolico. I voti dei popoli cominciano a diventare una legge irresistibile per tutta Italia. La rovina di chi tentava di resistervi è compiuta. Il pontefice che spontaneamente non volle promulgare la santa causa dell’indipendenza, costrinse il monarca a piegarsi sotto l’impero della volontà popolare, e a consacrare suo malgrado il principio delle nazionalità. La mano arcana di una Provvidenza celeste ha cancellato dalla faccia della terra tutte le ree vestigia di quella infame politica che accompagnò le ultime ore del regno di Francia. Quella mano che cacciò i Guizot, i Luigi Filippo ed i Metternich, che sentenziò la morte di Lemberg, di Latour e di Rossi (giustizia tremenda ma inevitabile), è forse sospesa tuttora sul capo dei traditori che restano.» 6
Della pubblica stampa romana non parliamo. I giornali son là. Non ci regge l’animo di estrarne gli articoli.
Al teatro Valle (come se la lettura degli articoli eccitatori non fosse bastante) si volle dare il Bruto di Alfieri la sera del 22, onde eccitare gli applausi alla morte di Cesare allusivi a quella del moderno tiranno che era il Rossi. 7
E lo stesso giorno 22 Giuseppe Mazzini con lettera dalla frontiera di Lombardia, diretta ai buoni fratelli in Roma, si rallegrava per ciò che si era fatto, e dava le istruzioni per proseguire a compiere la rivoluzione. 8
Rifugge l’animo nostro dal fare altre ricerche fra gli stampati di quel tempo, e vi sarebbe larga messe. Pur non ostante questi saggi che abbiam dati potranno somministrarcene una idea. La stampa estera però quasi tutta proruppe in un grido di esecrazione pel misfatto del 15, per le fellonie del 16, e per tutte le altre irregolarità di cui Roma ci dette un sì riprovevole spettacolo.
Intanto i deputati Monari, Borsari, Orioli, Minghetti, Bevilacqua, Banzi, mandavano le loro rinunzie.9
Quella però del Minghetti, del Bevilacqua e del Banzi tornando in onore di chi la dettò, e contenendo una esposizione franca e veridica dei casi di Roma e del sistema di oppressione che vi regnava, viene anche a giustificare tutto ciò che abbiam raccontato, e quindi ci troviamo costretti di riportarla per intiero:
«Manifesto agli elettori di tre deputati bolognesi.
» La determinazione di rinunciare all’ufficio di deputato nelle presenti circostanze ha tale gravità, che abbisogna di essere pienamente giustificata; laonde, non sì tosto giunti a Bologna, noi ci affrettiamo di adempiere questo dovere. La esposizione dei fatti e dei motivi del nostro operato, sarà semplice, leale, senza studio e amore di parte. Così essa rechi nell’animo vostro questo convincimento, non avere noi demeritato il nobile ufficio commessoci: avvegnachè lo abbiamo deposto solo, quando ci parve impossibile il sostenerlo.
» Voi conoscete, o signori, gli avvenimenti del 15 e 16 novembre in Roma: l’assassinio del conte Rossi, il baccante tripudio sulla sua morte, il commovimento della città, le domande armata mano al Quirinale, il lungo e fermo rifiuto del papa, e finalmente l’annunzio della sua annuenza quando incominciò la mischia, e il sangue fu sparso. Quinci entrava al potere il nuovo ministero.
» In presenza di tali fatti, compiuti tutti senza partecipazione legale delle Camere, ond’era mutata la condizione politica del paese, e mentre si voleva sottoporre al Consiglio dei deputati il piano di un’Assemblea costituente italiana, il primo pensiero che ci si offerse alla mente fu che a tanta opera si richiedeva un mandato più esplicito, e derivante da più larga base di elezione. E questo pensiero a molti savi ed esperti uomini parve assai ragionevole. Però considerammo d’altra parte ai pericoli dell’indugiare, al supremo bene della concordia, al giovamento che le Camere nell’ordine costituzionale potrebbero arrecare alla cosa pubblica, e queste considerazioni ci sembrarono prevalenti.
» Ma prima delle questioni politiche vi era una quistione di diritto, di umanità, di morale. Nel palagio del Parlamento, in quello che dovrebbe essere sacro tempio della libertà, un ministro del papa, un deputato eletto dalla città di Bologna, un antico ed illustre professore della nostra università, un italiano, un uomo era stato ucciso. Noi non potevamo rimanere seduti su quegli scanni, se il fatto non era dalla giustizia solennemente perscrutato. Questa nostra deliberata volontà esponemmo subito a taluno dei ministri, il quale replicatamente ci assicurò che il ministero non avrebbe lasciato trascorrere la prima adunanza del Consiglio, senza annunziare di avere ordinato la compilazione del processo. Tali assicurazioni ci confortavano grandemente, e allora noi, scevri da qualsivoglia preoccupazione rispetto alle persone, consentimmo di ascoltare in silenzio il nuovo ministero, riservandoci a determinare dai primi suoi fatti la nostra condotta avvenire. In un punto poi per lunga e costante fede eravamo unanimi e ferventi, cioè di favorire con ogni sforzo, e con ogni sagrificio, la causa dell’indipendenza nazionale.
» Qui, o signori, per via di digressione ci sia permesso di accennare che la radunanza del giorno 17, di cui avete letto nella gazzetta singolare menzione, non era stata prima regolarmente annunziata, nè per parte del ministero si riteneva dovesse avere luogo. Questa è la sola e semplicissima ragione che noi e moltissimi altri deputati non c’intervennero, come ne fanno fede le posteriori interpellazioni dell’onorevole signor Fusconi approvate dallo stesso presidente.
» La prima adunanza veramente legale fu quella del giorno 20, alla quale assistevamo con grande ansietà e aspettativa. Ma il ministero era muto in tutte le quistioni: taceva sulla uccisione del Rossi, taceva sulle accuse date al suo programma dal principe di Canino, e non osò sulla proposizione del Potenziani interporre alcuna autorevole parola.
» Questa proposizione gittata inopinatamente dal Potenziani in mezzo al Consiglio voleva che si nominasse una deputazione la quale portasse al trono di Sua Santità le espressioni della nostra devozione, ed inalterabile attaccamento. Essa dopo gli avvenimenti del 16 stabiliva francamente e precisamente la situazione della Camera in faccia al sovrano, determinava un sistema da tenersi, e troncava la via alle politiche ipocrisie che il paese oggimai troppo conosce e dispregia: porre questo partito e risolverlo, a nostro avviso, era tutto uno, e non poteva neppure aver luogo una discussione senza mettere in controversia il principio monarchico costituzionale, per lo quale ha vita il Parlamento attuale. Votammo adunque unanimi cogli altri nostri concittadini in favore della proposta, e parve da prima che fosse vinta; ma avendo un oratore contrario dimandato la controprova, il presidente dichiarò che il partito era stato rigettato.
» Noi crediamo alla piena scrupolosità degli ufficiali dei Consiglio, nè ci è lecito accogliere alcun dubbio senza prove. Noi non parliamo delle dimostrazioni degli spettatori intorno a quel che la Camera stava deliberando. Trista condizione di tempi quando si tenta d’impedire la libertà dell’opinione e della parola. Ma l’inaspettato rifiuto della proposizione Potenziani, secondo il nostro giudizio, toglieva la base dello Statuto, invalidava la istituzione della Camera, ed ogni sua ulteriore deliberazione.
» Ci parve da quel punto la nostra parola, la nostra presenza sarebbe inutile e forse dannosa, e un profondo sentimento di coscienza c’impone di dichiarare la nostra rinuncia. Compiuto questo atto credemmo debito di onore recarci senza indugio in mezzo agli elettori, e rendere loro immediatamente conto della nostra determinazione.
» Eccovi, o signori, i fatti e le ragioni che ci hanno mosso, i quali sottoponiamo al vostro giudizio con ferma speranza di ottenerne approvazione. Imperocchè ci affida il sentimento di avere voluto costantemente il bene e di avere operato secondo la sincerità dell’animo nostro. Ricevete anche una volta le nostre azioni di grazie per l’onore che ci compartiste, e del quale serberemo perpetua e viva la riconoscenza.
» Bologna, 25 Novembre 1848.
Ora diremo che monsignor Antonio Cioia veniva il giorno 21 preposto di nuovo alla sopraintendenza dell’ archiospedale di santo Spirito. Diciamo preposto di nuovo perchè alcuni anni indietro aveva coperto la carica di visitatore di santo Spirito. 11 E la nomina dell’avvocato Giuseppe Galletti come generale dei carabinieri veniva fatta da Sua Santità il giorno 22; ossia il popolo . . . . . lo elesse, e il Santo Padre ne confermò la elezione. Da questo s’inferirà che il Galletti essendo a un tempo ministro dell’interno e generale dell’arma politica, aveva il comando di Roma.12
E mentre giungeva il 23 in Roma il Mamiani, l’unico che mancava a compiere il ministero democratico, i cardinali alla spicciolata andavansi allontanando da Roma ove non erano rimasti il giorno 24 se non che gli eminentissimi Castracane, Tosti, Mezzofante e Bianchi. 13
Al punto però al quale eran giunte le cose in Roma, il papa non poteva rimanervi senza compromettere se stesso, il sacro collegio dei cardinali, e tutto il complesso della corte clericale. Dopo aver veduto un’agglomerazione di popolo in armi, e la truppa col cannone imporre le leggi sul Quirinale al sovrano, che altro restava? Rifugge Tanimo dal darvi una risposta. Aveva pertanto il Santo Padre rivolto il pensiero ad una fuga, di che a pochissimi aveva disvelato il segreto.
Mentre il papa era disposto a far ciò, una lettera inviatagli il 21 da monsignor vescovo di Valenza insieme con la piccola pisside o vasetto che aveva servito a Pio VI nella sua peregrinazione in Francia, lo fece decidere a partire.
Questa lettera gli servì di conforto e di eccitamento alla immediata partenza. Il caso era identico.
Detta lettera può leggersi nella relazione del viaggio di Pio IX scritta dalla contessa Spaur. 14 Fatti gli apparecchi pel viaggio, il papa, la sera del 24 novembre, alle 5 circa, vestito da semplice prete (mentre il duca d’Harcourt era nel suo appartamento per far credere a tutti che si trattenesse con lui in discorsi di affari), scese per una scala segreta nel cortile ove trovava un cocchio che lo attendeva. Ivi entrò col suo scalco Filippani, intanto che il conte Spaur lo stava aspettando col proprio legno a’ santi Pietro e Marcellino, vicino al Colosseo. Le scolte eran molte a palazzo, molti i sospetti, vigile la polizia. Con tutto ciò, meno che l’aneddoto di una certa chiave che non aprendo alle prime una porta segreta, avrebbe potuto compromettere tutto e tutti, la cosa riesci a meraviglia.
Se il papa dopo esser disceso dalla scaletta segreta e comparso nei cortile del Quirinale, mentre cauto e guardingo ascendeva nella vettura che attendevalo, fosse stato veduto da due individui, uno dei quali informato di tutto, ed a questo si fosse richiesto dall’altro: «Chi è il prete tapino che misteriosamente nella vettura ascende?», egli avrebbe potuto rispondere quanto appresso:
» Quello è Pio IX che fugge da Roma; quel Pio IX che per aver fatto buon viso, per ispirito di carità e per la tranquillità de suoi stati, al partito rivoluzionario, lo perdonò, lo abbracciò e si compiacque forse troppo di riceverne i ringraziamenti. Egli è Pio IX che allargò la vita civile a’ suoi popoli, accordò e consulta, e municipio, e consiglio de’ ministri, e statuto, e quasi libera stampa. Egli è quel papa che beò di sè il mondo, riscaldò tutte le teste, impensierì tutti i governi di Europa. Mai entusiasmo simile a quello che in suo favore suscitossi non ci si presenta ricordato dalla storia.
» Ma tutto ciò non era in fondo che una finzione. Vollesi inebriare cogli applausi che presi per buona moneta, trascinarlo dovessero a dichiarare guerra all’Austria e porsi a capo di una Italia sferrata dai ceppi germanici. A tutto piegossi, meno che a dichiarar la guerra, non consentendolo il suo mandato pacifico e la sua qualifica di padre comune dei popoli cattolici. Il partito rivoluzionario da amico gli divenne nemico, e tanto disse, tanto fece, che gli applausi cessarono, le contumelie e le bestemmie vi furono sostituite, la stampa da laudatrice in accusatrice convertissi, la calunnia e il sospetto alzaron la fronte; e a poco a poco cogli scritti, colla voce, cogli inganni, e coll’oro pervertì le menti a tal punto, e spinse in tal guisa le cose gradatamente, che tu lo vedi ramingo e fuggiasco costretto ad allontanarsi da Roma, ed abbandonare la sua sede nelle mani dei suoi nemici.» — Riprendiamo il filo del nostro racconto.
Giunto il Santo Padre a’ santi Pietro e Marcellino alle 5 e ½ ove attendevalo il conte col suo legnetto scoperto, entrò nel medesimo. Il Filippani seguivalo nel legno di palazzo, e procederono tutti insieme lino alla piazza di san Giovanni in Laterano; colà pervenuti, il papa col conte Spaur usciron per la porta, e il Filippani retrocedette.
La contessa Spaur gli aspettava ad Albano, ove giunto il Santo Padre passando per la galleria di sopra, scansò la città. La contessa ne fu prevenuta in tempo, e col proprio legno ai condusse fra l’Ariccia e Genzano nelle vicinanze di santa Maria di Galloro. Colà ritrovaronsi tutti. Il Santo Padre entrò nel legno colla contessa, ponendosi a sinistra della medesima; dirimpetto, il figlio della contessa, Massimiliano, ed il suo precettore padre Liebl. Il conte ed un domestico erano dietro al legno.
Il Santo Padre volle essere informato quando fossero giunti al confine, il che accadde alle 5 e ¾ antimeridiane; ed avendoglielo annunziato, intonò il Te Deum, vedendosi tutti in salvo.
Proseguirono felicemente il viaggio fino a Mola di Gaeta. Un miglio avanti, eransi fatti loro incontro il cardinale Antonelli e il cavaliere Arnao primo segretario della legazione di Spagna. Smontarono all’albergo di Cicerone, ove trovarono pure il conte Luigi Mastai nepote di Sua Santità.
Dopo di ciò si trasferirono a Gaeta nell’albergo del Giardinetto. Nel primo di detti alberghi presero alla meglio un qualche refocillamento; dopo di che il Santo Padre diresse al re di Napoli la lettera seguente:15
- «Maestà,
» Il sommo pontefice romano, il vicario di Gesù Cristo, il sovrano degli stati della Santa Sede, si è trovato nella circostanza di abbandonare la capitale de’ suoi domini per non compromettere la sua dignità, e per non mostrare di approvare col suo silenzio gli enormi eccessi che si sono commessi e si commettono in Roma. Egli è in Gaeta, ma vi è per breve tempo, giacchè non intende di compromettere in verun modo la Maestà Vostra e la quiete dei suoi popoli, se questa presenza potesse mai comprometterli.
» Il conte Spaur avrà l’onore di presentare a Vostra Maestà questa lettera, e le dirà il di più che nell’angustia dei tempo non si potrebbe esprimere circa il luogo ove tra poco intende il papa di trasferirsi.
» Nella tranquillità dello spirito, nella rassegnazione ai divini voleri, comparte alla Maestà Vostra, alla reale consorte e famiglia l’apostolica benedizione.
» Mola di Gaeta, 25 novembre 1848.
• Pius Papa Nonus. 16»
Nella notte dal 25 al 26 intanto era giunto a Gaeta il battello a vapore il Tenar coll’ambasciatore di Francia duca d’Harcourt insieme col ministro di Portogallo, non che monsignor Stella ed altri della corte pontificia. 17
Il re di Napoli giunse in Gaeta colla sua famiglia e con alcuni dignitari della sua corte il giorno 26. Dire dell’incontro, degli atti di ossequio e di tenerezza che già possono immaginarsi, non è qui luogo, chè troppo ci devierebbero; ma potranno leggersi nei Documenti e nell’opuscolo sovraccitato della contessa Spaur. 18
Ritornando a Roma, la mattina del 25 si conobbe subito la partenza del papa. Il marchese Sacchetti stesso che era fioriere di palazzo, si era fatto sollecito di comunicare al governo il biglietto che Sua Santità aveva lasciato partendo, ed il ministro dell’interno Galletti ne dette avviso al pubblico coll’indirizzo seguente:
- « Romani,
» Tiene suo dovere il sottoscritto ministro di rendere di pubblica ragione un autografo di Sua Santità diretto al signor marchese Girolamo Sacchetti Foriere maggiore dei SS. PP., e da questo comunicato al ministro medesimo:
- » Marchese Sacchetti,
» Affidiamo alla sua nota prudenza ed onestà di prevenire della nostra partenza il ministro Galletti, impegnandolo con tutti gli altri ministri non tanto a premunire i Palazzi, ma molto più le persone addette e lei stessa che ignoravano totalmente la nostra risoluzione. Che se tanto ci è a cuore e lei e i famigliari, perchè, ripetiamo, ignari tutti del nostro pensiero, molto più ci è a cuore di raccomandare ai detti signori la quiete e l’ordine nella intiera città. — 24 novembre 1848.
» Li 25 novembre 1848.
» P. PP. IX.
» Il ministro dell’interno |
A questo succedette un proclama del ministero cosi concepito:
- « Romani,
» Il Pontefice è partito questa notte da Roma, trascinato da funesti consigli. In questi momenti solenni il ministero non mancherà a quei doveri che a lui impongono la salute della patria e la fiducia che gli accorda il popolo.
» Tutte le disposizioni sono prese, perchè l’ordine sia tutelato e siano assicurate le vite e le sostanze dei cittadini.
» Una commissione sarà nominata all’istante, che siederà in permanenza per punire con tutto il rigore delle leggi chiunque osasse di attentare all’ordine pubblico e alla vita dei cittadini.
» Tutte le truppe, tutte le guardie cittadine siano sotto le armi ai loro rispettivi quartieri, pronte ad accorrere dove il bisogno lo richiedesse.
» Il ministero unito alla Camera dei rappresentanti del popolo, e al senatore di Roma, prenderà quelle ulteriori misure che l’impero delle circostanze richiede.
» Romani! fidate in noi, mantenetevi degni del nome che portate, e rispondete colla grandezza dell’animo alle calunnie dei vostri nemici.
- » Roma, li 25 novembre 1848.
» C. E. Muzzarelli presidente |
Il circolo popolare con un proclama ai Romani raccomandava l’ordine. nota
Il ministro Galletti poi, oltre al suo proclama ai Romani, diresse due circolari delle quali una al corpo diplomatico, l’altra ai presidi delle provincie riferendosi sempre al biglietto lasciato dal Santo Padre al marchese Sacchetti. nota
20
21
22 Ed il generale Gallieno comandante la civica, con un ordine del giorno raccomandava l’ordine ancor esso.23
Anche il presidente del Consiglio dei deputati avvocato Sturbinetti, ed il vice presidente dell’Alto Consiglio principe don Pietro Odescalchi con appositi proclami raccomandarono entrambi l’ordine pubblico: cosicchè se esso dipender doveva dalla qualità e quantità delle raccomandazioni, poteva dirsi assicurato, perchè mai i Romani non ne ricevettero tante in un sol giorno; e per verità l’ordine fu preservato regolarmente.24
Un bollettino straordinario del Contemporaneo poi pubblicato lo stesso giorno 25 alle ore 12 del mattino, asseriva:
«Che il pontefice aveva assicurato con larghe parole il ministro degli affari esteri conte Terenzio Mamiani, che contento era del ministero e che spontaneamente l’aveva ricevuto al potere.»
Inutile il dire che questa asserzione del Contemporaneo fu riconosciuta in seguito come falsità.25
Il Consiglio e Senato di Roma vollero ancor essi il 27 novembre concorrere al mantenimento dell0ordine pubblico annunziando ai Romani l’accaduta partenza del pontefice, assicurandoli della loro vigilanza per provvedere a tutte le urgenze della cara patria, e sopperire con tutti i mezzi in loro potere ai bisogni della classe più operosa ed indigente.26
E volendo associarsi anche il circolo popolare a questa opera di umanità, aveva proposto fin dal giorno 23 la diffusione di una circolare per la scelta di tre cittadini in ogni rione i quali si concertassero insieme per dar lavoro al popolo.27
E la Gazzetta del giorno 27 mentre ci annunziava da un lato l’accettazione del conte Mamiani pel ministero degli affari esteri, ci portava dall’altro la rinunzia del cavaliere Pietro Righetti alla carica di sostituto al ministero delle finanze. 28
Lo stesso giorno 27 fu notevole pel discorso recitato dal celebre padre Ventura nella chiesa di sant’Andrea della Valle sui morti di Vienna. 29
Grande era la espettazione, grandissimo fu il concorso, immenso l’eccitamento che produsse; di che non è a farsi meraviglia considerando il tema che si trattava, il tempo in cui si trattava, e il personaggio dal quale veniva trattato.
Premetteva il Veutura al suo discorso quanto segue:
«In due parole, io vi mostrerò: che la causa della libertà è poi veramente la causa della religione; e che han diritto perciò al suffragio, alla preghiera, alla lode della religione tutti coloro che sono stati spenti pugnando per la libertà. Incominciamo.»
Poi nel Primo punto diceva:
«Che cosa è la libertà politica, di cui solo qui intendiamo parlare? La libertà politica è l’emancipazione dell’uomo dall’uomo in quanto uomo.
» Poichè, in quanto puramente uomo, nessun uomo ha alcun diritto, alcun potere, alcuna autorità sopra un altro uomo. Perciò la supremazia del puro uomo sull’uomo, è usurpazione, è ingiustizia, è ladrocinio, è sacrilegio.
» Di più, la servitù non è che una soggezione indebita, illegale, ingiusta; una dipendenza da un potere illegittimo. Or poichè l’uomo, in quanto uomo, non può comandare all’uomo; la soggezione dell’uomo all’uomo, puramente uomo, è avvilimento, è degradazione, è servaggio.» 30
E verso il fine del Terzo punto aggiungeva:
«Vienna però in fine è caduta: ma dopo otto giorni di accanita resistenza, ma in faccia ad un’armata formidabile di ccntoventomila uomini, ma sotto il peso di tutti i mezzi di distruzione, che la scienza ha inventati e la barbarie ha messi in opera con un furore infernale; ma nella sua stessa caduta ha oppresso il suo vincitore. Un trono, che si asside sopra le baionette e i cannoni, non può avere durata. Il bombardamento e l’incendio di Vienna, è la decadenza dell’imperatore, è la distruzione dell’impero.
» Ora egli è la invitta memoria di questi prodi, caduti per la libertà sotto il ferro ed il fuoco crudele di una reazione quanto empia tanto insensata, che noi onoriamo qui oggi con rito religioso.
» Ma come? Non furon costoro sudditi insorti contro il legittimo potere? Non furono spergiuri, non furon ribelli, condannati egualmente dal diritto pubblico e dalla religione? No, no, che non è altrimenti così. La parola insurrezione non è sinonimo di ribellione. Dio stesso, nelle sacre scritture, fece sentire al re Roboamo che nelle dimande legittime e giuste, il potere deve cominciare non solo dal condiscendere ma dal servire il popolo ed obbedirgli, per esserne obbedito e servito.»
Questo non è che un tenue saggio. Noi però invitiamo i nostri lettori a leggere l’intero discorso. L’effetto che produsse fa immenso, profonde le impressioni che lasciò nell’animo degli uditori; non possiamo quindi lodare abbastanza i Romani, se con questa sorta di eccitamenti che loro porgevansi anche dal pergamo, venuta poi la repubblica, non commettessero ben altri sconci di quelli che commisero, sebbene istigati e guidati per la massima parte da individui che a Roma non appartenevano.
E mentre queste cose passavansi in Roma, il Santo Padre con atto da Gaeta del giorno stesso veniva enunciando le cause della sua partenza da Roma, che furon le violenze inaudite e sacrileghe che aveva sofferto, violenze tali, che lo portavano a dichiarare che tutti gli atti da quelle derivati dovesser considerarsi di nessun vigore, e di nessuna legalità. In pari tempo, non volendo lasciare acefalo in Roma il governo del suo stato, nominava una commissione governativa composta dei seguenti soggetti:
- Cardinale Castracane
- Monsignor Roberto Roberti
- Principe di Roviano
- Principe Barberini
- Marchese Bevilacqua di Bologna
- Marchese Ricci di Macerata
- Tenente Generale Zucchi. 31
Questo atto si conobbe in Roma forse da qualcuno in sul finire del mese o in sui primi del dicembre; ma come era da attendersi, nello stato in cui si trovavan le cose in Roma, era più che difficile che gli eletti accettassero tutti, o che si costituissero, e la lor voce fosse ascoltata. E cosi accadde difatti. Ma di ciò meglio in appresso.
Quel padre Gavazzi, scandalo costante del clero e grossolano sommovitore delle masse ignoranti, il quale era stato arrestato in Bologna d’ordine del Rossi e quindi condotto e tenuto prigione per vari giorni in Viterbo, accaduti i casi di Roma, ne venne liberato il giorno 22, 32 ed il 29 giungeva in Roma, ove lo attendevano nuovi trionfi, perchè accresciuti i suoi amici per numero e per audacia. 33
Il primo trionfo fu la sua presentazione al circolo popolare fatta da monsignor Muzzarelli. 34
Abbattuto il potere, e atterrito il popolo, quantunque in complesso l’ordine materiale non venisse turbato, credette opportuno il Consiglio dei ministri di raccomandare con un indirizzo alle guardie civiche, il mantenimento dell’ordine e della disciplina.35
La Gazzetta del 29 poi ci anunziava la elezione a deputati, dell’avvocato Giuseppe Lunati per Roma, del marchese Giovanni Battista Costabili per Ferrara, e dell’avvocato Antonio Tranquilli per Ascoli.36
Il 30 il ministro delle finanze Lunati emetteva una notificazione sul ritiro e concambio dei boni del tesoro.37
E monsignor Muzzarelli ministro dell’istruzione pubblica, dirigeva il 30 ai due eminentissimi arcicancellieri delle due università di Roma e Bologna, un dispaccio per l’apertura delle due nuove cattedre di economia pubblica e di diritto commerciale.38 Ora diremo alcun che sulle cose di Bologna, stante la lor connessione con quelle di Roma.
Rammentino i nostri lettori che il generale Garibaldi sui primi di novembre era colla sua legione in quella provincia, e facea le viste di volere entrare nella città. Vi eutrù difatti esso solo, il giorno 10, e vi fu festeggiato.39
Va il governo in Roma cercava ad ogni costo d’impedirlo, perchè esso ed i suoi (non era un mistero) rappresentavano il principio repubblicano, ed il governo s’avviava è vero verso la repubblica, ma non era repubblicano ancora. A quest’effetto si scelse il generale Zucchi per recarsi in quei luoghi e vi riusci: perchè abboccatosi col Garibaldi, lo induceva ad allontanarsi dal Bolognese ed a gittarsi piuttosto nella Venezia, al quale uopo si adopero per procurare a lui ed a’ suoi un imbarco per Ravenna.40
Erasi il Zucchi recato antecedentemente in Ferrara, ove giunse il giorno 8, ed era in Bologna il giorno 10. 41 In Ferrara erasi abboccato con quel delegato, in Bologna si pose di concerto all’istante colle primarie autorità. Nella notte del 13 fece il disarmo dei proletari, cosa che riempì di giubilo la città, 42 ed il 16 faceva la solenne rivista della truppa, cooperando così con tutti i modi possibili al ristabilimento dell’ordine in Bologna, mentre in Roma si pugnalava il Rossi, ed il regno del disordine vi s’intronizzava. 43
Avvenuti però i casi di Roma, caduto e disciolto il ministero Rossi di cui anche il Zucchi faceva parte, si trovò esso nella più imbarazzante e terribile posizione, perchè affidatagli la cura di ricomporre a ordine quella importante città e provincia, avrebbe voluto compierla. Invece egli non solo non era più ministro, ma passava sotto il comando del conte Campello, eletto dal circolo popolare, mentre il papa intanto protestava contro il nuovo ministero e contro i suoi atti, fuggiva da Roma, rinnovava le proteste, ed eleggeva da Gaeta una commissione governativa, nella quale entrar doveva per farne parte lo stesso generale Zucchi.
Egli dunque doveva lasciare incompleta la sua missione ritirandosi da Bologna: ed impossibile essendo per un uomo odiato com’egli era dalla rivoluzione di trasferirsi in Roma, gli fu forza di studiare i modi di penetrare nel regno di Napoli conducendosi direttamente a Gaeta per ricevere gli ordini del Santo Padre. Egli ci raccontò un giorno che immense furono le difficoltà, i dispiaceri, ed i pericoli che incontrò per via prima di raggiungere la residenza del pontefice, di che lice sperare che noi conosceremo un giorno le particolarità dalle memorie cui proponevasi di lasciare.
Con tutto ciò la condizione di Bologna era nel complesso migliore di quella di Roma. Le persone autorevoli e sensate vi avevano ancora un qualche predominio, e si ricordino i nostri lettori che la protesta e rinunzia dei tre deputati bolognesi in Roma fu semplicemente emessa il 22, ma in Bologna fu pubblicata in foglio atlantico il giorno 25 ed inserita in quella gazzetta il giorno 27.44
La condizione di Roma viceversa era delle più anormali e imbarazzanti: perchè fosse pure che il pontefice nel partire da Roma avesse chiamato ministro il Galletti e fatto menzione dei ministero, tutte queste cose venivan distrutte dalla dichiarazione emessa avanti i rappresentanti di tutte le potenze delle violenze patite (fra le quali vi era pur quella dello avergli imposto un ministero) e della sua risoluzione di non partecipare agli atti che avrebbe emanati. Il fatto stesso della sua partenza rendeva nullo quel ministero che esser, non poteva se non l’esecutore delle sue volontà, e che in fine non poteva agire se non in unione e col beneplacito dei suo sovrano. Le quali cose mancando al ministero in discorso, l’era come se non avesse esistito.
Dall’altra parte un ministero ed un governo erano necessari onde preservare il paese dall’anarchia completa, e quindi niun altro in quel momento avrebbe potuto rispondere allo scopo se non che quello esistente.
La commissione governativa nominata a Gaeta avesse pure accettato, che poteva mai fare? Eran le cose giunte a tal punto, che la prima difficoltà era quella di far conoscere la nomina sovrana.
La popolazione poi era talmente forviata o atterrita, che niuno avrebbe osato affiggere un atto del pontefice, o affisso, cento mani all’istante tel laceravano sotto gli occhi. E chi avrebbe osato di obbedire ad ordini emanati dalla Giunta in quel momento? L’antagonismo era troppo grande, e convien credere che il Santo Padre fosse in inganno e non avesse una idea esatta nè sul vero stato di Roma, nè sul sopravvento che aveva acquistato la rivoluzione la quale erasi traforata per tutto, nelle strade, nei caffè, nelle officine, nei quartieri, nella polizia, nei dicasteri, nella stampa, nella tribuna, e perfino nei famigliari discorsi. Era essa insomma nella sua onnipotenza assoluta e nella piena sua organizzazione.
Ed avrebber potuto un Barberini, un Castracane, un Roberti far sentire e rispettare la loro voce?
Tale era il vero stato delle cose di Roma alla fine del novembre 1848. Passeremo ora a parlare della Costituente, e su questo tema ci diffonderemo estesamente, imperocchè dalla Costituente essendo emanata la repubblica, egli è della massima importanza di far conoscere fino a qual punto i Romani vi cooperarono.
Note
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 39.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 47.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 48.
- ↑ Vedi il Corriere livornese, n. 237. — Vedi Documenti, vol. VII, n. 49.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 45.
- ↑ Vedi l'Alba del 18 novembre 1848, n. 376, seconda pagina.
- ↑ Vedi la Pallade del 22. — Vedi il Don Pirlone, n. 66, pag. 266 .
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 50 A.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 22 novembre, seconda pagina.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Bologna del 27 novembre 1818.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 21 novembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 27 novembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 27 novembre 1848.
- ↑ Vedi la Relazione del viaggio di Pio IX. P. M. a Gaeta, della contessa Spaur. Firenze 1851, pag. 14. — Vedi il Sommario, n. 42.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 59 e G7.
- ↑ Vedi Relazione del viaggio di Pio IX ec., pag. 33.
- ↑ Vedi Documenti vol. VII, n. 66.
- ↑ Vedi Documenti vol. VII, n. 66 e 31. — Vedi contessa Spaur Relazione del viaggio di Pio IX ec., pag. 49.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 56.
- ↑ Vedi Documenti, vol. VII, n. 54.
- ↑ Vedi Atti ufficiali n. 111.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma, del 25 novembre 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 25 novembre 1848
- ↑ Vedi la detta del 27 novembre 1848
- ↑ Vedi i Documenti, vol. VII, n. 53.
- ↑ Vedi i Documenti, vol. VII, n. 61.
- ↑ Vedi i Documenti, vol. VII, n. 51.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 27 novembre 1848.
- ↑ Vedi Ventura Discorso funebre pei morti di Vienna nel vol. VII delle Miscellanee n. 11, Documenti n. 61 e 65, vol. VII. — Vedi il Contemporaneo del 28 novembre 1848.
- ↑ Vedi Ventura, pag. quarta e quinta.
- ↑ Vedi il Sommario n. 43. — Vedilo nel vol. Motu-propri ec. i n. 65 o 66.
- ↑ Vedi la Guardia nazionale del 24, vedi Documento, n. 50.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 30, pag. 99S.
- ↑ Vedi la Pallade del 30 novembre.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 28 novembre.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 29 novembre.
- ↑ Vedi la detta del 30 novembre.
- ↑ Vedi la detta del 30 novembre.
- ↑ Vedi il Costituzionale del 15 novembre.
- ↑ Vedi Documenti vol. VII, n. 41.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Bologna dell’11 novembre.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Bologna del 14 novembre.
- ↑ Vedi il Costituzionale del 20 novembre.
- ↑ Vedi i Proclami e indirizzi dei circoli e municipi, n. 18. — Vedi la Gazzetta di Bologna del 27 novembre.
- Testi in cui è citato Marco Minghetti
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato Giuseppe Galletti (politico)
- Testi in cui è citato Carlo Emanuele Muzzarelli
- Testi in cui è citato Giuseppe Lunati
- Testi in cui è citato Pietro Sterbini
- Testi in cui è citato Pompeo di Campello
- Testi in cui è citato Giovanni La Cecilia
- Testi in cui è citato Vittorio Alfieri
- Testi in cui è citato Giuseppe Mazzini
- Testi in cui è citato Carlo Luciano Bonaparte
- Testi in cui è citato Terenzio Mamiani
- Testi in cui è citato Teresa Giraud Spaur
- Testi in cui è citato Giacomo Antonelli
- Testi in cui è citato Francesco Sturbinetti
- Testi in cui è citato Pietro Odescalchi
- Testi in cui è citato Pietro Righetti
- Testi in cui è citato Gioacchino Ventura
- Testi in cui è citato Alessandro Gavazzi
- Testi in cui è citato Giuseppe Garibaldi
- Testi in cui è citato Carlo Zucchi
- Testi SAL 75%