Storia di Torino (vol 2)/Libro III/Capo II

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Libro III - Capo II

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Capo Secondo


Uno de’ primi caffè di Torino. — Palazzo Druent, poi Barolo. Durezza e stravaganze di monsù di Druent. — Le Orfane. — Le Sapelline. — Sant’Agostino. Breve storia di questa chiesa e sue insigni memorie. Uomini illustri che vi fiorirono o vi sono sepolti. — San Paolo, ora Basilica magistrale. Memorie di questa chiesa e della confraternita di Santa Croce. — Un predecessore di Tom-Pouce. — Chiesa di San Michele. — Solenne entrata in Torino d’Arrigo iii, re di Francia e di Polonia nel 1574.


Nella via di San Dalmazzo, convien ricordare in faccia

alla portina di San Dalmazzo l’antico palazzo dei marchesi Biandrate di S. Giorgio; ivi nel 1714 un lai Forneris teneva il più antico, o almeno uno dei più antichi caffè che si sia aperto in Torino. Più in la, accanto al palazzo de’ magistrati supremi, trae gli sguardi il bel palagio de’ marchesi Falletti di Barolo, nobile sede della beneficenza: che così possiamo chiamarla, dopoché l’ultimo marchese Tancredi, di sempre grata ricordanza, e la

[p. 318 modifica]sua degna compagna la signora marchesa Giulia Colbert, le loro mondane ricchezze mutarono in opere non periture di carità, in case di rifugio pelle convertite, in asili d’infanzia, in scuole pe’ poveri, in molte altre maniere di soccorsi ai traditi dalla fortuna od a quelli che non mai la conobbero. Le sale di questo palazzo, use altre volte a risuonare dei concenti più soavi in feste che raccoglieano il fior della corte, ora non echeggiano più che del monotono sillabare e canticchiare degli asili d’infanzia, quanto men grato all’orecchio dell’uomo, tanto più dolce al cospetto di Dio.

Il palazzo di cui parliamo fu costrutto nel 1692 sui disegni dell’ingegnere Gian Francesco Baroncelli da Ottavio Provana, conte di Druent, chiamato volgarmente monsù di Druent. Dieci anni prima era egli col marchese di Pianezza di que’ principali confidenti del duca Vittorio Amedeo ii che lo consigliavano ad uscire ornai di tutela, a pigliarsi il governo che la madre avrebbesi voluto ritenere in perpetuo. Avvisata di tali mene, Madama Reale trovandosi con tutta la corte a Moncalieri, fe’ arrestar i due cavalieri alle ore 8 di notte del 28 dicembre 1682, e li fe’ condurre, Pianezza, al castello di Monmegliano, Druent, al castello di Nizza, dove rimasero fintantochè il duca, assunto il reggimento dello Stato, li richiamò.

Riavuta la liberta, essendo molto addentro nella [p. 319 modifica]grazia del principe, monsù di Druent fabbricò il nobile palazzo di cui parliamo con uno scalone di un gitto arditissimo; ed invitò tutte le arti a decorarlo.

Fin dal 1695 vi dipingeva i quattro elementi Francesco Trevisani, pittore di molto nome, il quale sapea imitar lo stile di qualsivoglia scuola, ma riusciva meglio nel delicato che nel robusto. Vi dipinse una Giunone, Bonaventura Lamberti da Carpi, scuoiare del Cignani; operarono al piano terreno Antonio Maria Hafner, bolognese, della congregazione dell’Oratorio, il quale si segnalò per la soavità delle tinte, e molto dipinse a Genova e nelle riviere; e Stefano Maria Legnani. Lavorò a fresco ne’ gabinetti, Giovanni Battista Pozzo, milanese, del quale vedevasi una lodata pittura in San Cristoforo di Vercelli. Altri pittori di men chiaro nome concorrevano ad ingentilire il nobile edificio: Angelo Golzio, Giuseppe Mossino, Antonio Maro.

Oltre a ciò, monsù di Druent fece venir tavole pregiate da Ferrara e da Bologna; da Piacenza gli fu recato un Ercole che strozza il serpente, del cavaliere Giovanni Droghi, genovese, scuoiare, ma non imitatore di Domenico Piola. Le porte furono intagliate da Marc’Antonio Berulto; gli stucchi della facciata sono di Domenico Maria Violino; ai quali il conte Alfieri adattò poi la gradazion delle tinte nel 1743.1 [p. 320 modifica]

Il conte di Druent era uomo fantastico ed assoluto nelle sue voglie e di duro imperio. Aveva una unica figliuola erede di grande sostanza, volle cercarle un genero a modo suo, e contro all’uso comune domandò per lei la mano del marchese Falletti di Castagnole, che faceva ancora come gli altri Falletti quella vita di castello, che una volta prediligevano le schiatte antiche e potenti, perchè vi trovavano l’ossequio e l’obbedienza che nelle città non poteano più sperare. Piacesse o non piacesse alla figliuola, questa lo dovea sposare; fu conchiuso il matrimonio. Per somma, non so se ventura o sventura, i due giovanetti sposi si piacquero, s’amarono.

Le nozze furono celebrate con gran pompa, si die un ballo a cui intervenne il sovrano col meglio della corte. La sposa aveva al collo una collana di perle di ricchissimo pregio, imprestatale, secondo l’usanza, da Anna d’Orleans, duchessa di Savoia; quando, mentre più fervea la danza, lo scalone con infausto augurio precipitò. Niuno perì, ma lo spavento fu grande, si trovarono mezzi di fuga e in breve il palazzo fu sgombro. Intanto scompiglio la collana di perle andò smarrita, ma si rinvenne all’indomani sotto le macerie della scala.

La sposa, che per una stolida e fatale contraddizione, monsù di Druent non lasciava più coabitar col marito di cui era innamorata, perì miseramente nel fior degli anni addì 24 di febbraio del 1701.2 [p. 321 modifica]

Per tale alleanza acquistarono i marchesi di Castagnole e di Barolo, questo palazzo, nel quale, oltre alle antiche pitture e ad un soffitto di Daniele Seyter, sono da vedersi i bei quadri raccolti dair ultimo marchese di Barolo e dall’illustre vedova di lui, ambedue grandi fautori delle arti belle. Accenneremo fra gli altri l’Incoronazione della Madonna, del Giotto; i quattro Evangelisti, del Giotto o della sua scuola; varie Madonne, di Lorenzo di Credi, di Carlo Dolce, del Guercino, d’Andrea del Sarto, del Sassoferrato, di Pompeo Battoni; un Sant’Antonio, del Mudilo; una Deposizione dalla Croce, del Tintoretto; il ritratto di Velasquez, d’esso Velasquiez; un ritratto di Giuliano de’ Medici, del Giorgione; il ritratto d’un Benlivoglio, del Guido; una Sacra Famiglia, dell’Albano; un interno di Chiesa, del Peter Neef; un Suonatore di chitarra, del Caravaggio; il ritratto di Rembrandt, d’esso Rembrandt; una Fanciulla, di Holbein; S. Pietro di Mengs; una Madonna adorante il bambino Gesù, detta Madonna della Ghirlanda, di rilievo in terra cotta, di Luca della Robbia; ed il busto di Saffo, del Canova.3

Allato al palazzo Barolo e nella medesima via incontrasi il ritiro, chiamato anche monastero delle povere orfane, fondato verso il 1550, posto qualche tempo dopo sotto all’invocazione dell’Annunziata, e ordinato a forma di monastero4 sotto al titolo dell’Annunziata. Vi si ricevono le orfane di padre [p. 322 modifica]e di madre pervenute all’età d’anni 8 e che non eccedano i dodici.

Nella chiesa, la tavola dell’altar maggiore è di Girolamo Donini da Correggio, che fu scolare del Cignani, e ne imitò lo stile. Egli provò meglio in quadretti da stanza, che nei dipinti destinati a luoghi pubblici. E nondimeno è pittore di bontà ragionevole.

Della chiesa di Santa Chiara si è già discorso nel capo precedente. Quasi di fronte alla medesima v’ha il Conservatorio del Rosario, chiamato anche ritiro delle Sappelline, dal nome del padre Bernardo Sappelli, Domenicano, che lo fondò co’ sussidii del chirurgo Tartra verso al 1808 per le fanciulle pericolanti. È diretto dalle Terziarie di S. Domenico.

La via che percorriamo mettea capo nel secolo xiv alla Porta Pusterla; ed altre memorie non rammenta, fuorchè lo spedale di Sant’Andrea, che aprivasi negli stessi tempi presso la porta, e probabilmente nella casa medesima del priorato.

A levante del palazzo de’ magistrati supremi corre la via di Sant’Agostino, nella quale non v’ha altro da osservare che l’antica chiesa di questo nome.

Il vero antico titolo di questa chiesa è de’ Ss. Giacomo e Filippo. La chiesa parrocchiale di S. Giacomo già esisteva nel secolo xiv. Fu visitata nel 1368 dal vescovo Giovanni di Rivalta. Nell’isolato che trovasi al nord della chiesa s’alzava la chiesa di [p. 323 modifica]Sant’Antonino, che fu unita nel 1418 a quella di San Giacomo. Gli Agostiniani scalzi pigliarono possesso di questa chiesa intorno al 1550.

Questi religiosi erano stati introdotti in Torino nel 1446, nel qual anno la città rappresentava a Felice v, che essendo essa stata decorata da Sua Santità quand’era ne’ gradi minori d’uno studio generale e d’un consiglio di giustizia, più non mancava, a compiuto vantaggio della medesima, che un qualche ordine dato alla santità ed alla divozione, fornito di prudenza e di sapienza che insegnasse colla parola e coll’esempio le cose di Dio; il che apparendo potersi ottenere nell’ordine degli eremiti del glorioso Sant’Agostino, e coll’opera del venerabile frate Giovanni Marchisio, predicatore dello stesso ordine che avea fatto mirabili frutti in questa città, aveano pensato a trovar un luogo adattato onde porvi quei frati, e pareva alla citta opportuna la chiesa ed il monastero di San Solutore minore che trovavasi in istato rovinoso, e però supplicavano il papa a deputar un commissario colle debite facolta, per assegnar quella casa all’ordine Agostiniano.5

Vennero gli Agostiniani, ma in vece di San Solutore ottennero la chiesa e la casa di San Cristoforo degli Umiliati, nel borgo di San Donato a Porta Susina, dove già erano stabiliti in giugno di quell’anno medesimo.6 [p. 324 modifica]

Nel 1457 aveano aiuto dalla Città per costrurvi le celle; essendo poi stato rovinato nel 1536 dai Francesi il loro convento, si ebbe l’animo a trasferirli nella chiesa di San Benedetto, ma non pare che l’ottenessero, essendo la medesima venuta poco dopo in poter de’ Gesuiti che l’atterrarono. Intorno al 1550, come si è detto, ottennero la chiesa di San Giacomo che rifecero ed abbellirono coll’opera e coll’aiuto del padre Bartolomeo Falcombello di Avigliana, vicario generale della congregazione Agostiniana di Lombardia. La chiesta de Saneto Jacobo de Turino habitanti li frati heremitani de Sancto Angustino, fu fondata nel jorno de Sancta Croce che fu il14 de septembre nell’anno 1551, regnando il serenissimo re Enrico di Franza. Ne posero la prima pietra il conservatore Parpaglia, il collaterale Ganglio, il collaterale Regibus, i due sindaci della città, e Raffaele Bellacomba, dottore, ossia avvocato di essa.7 L’otto del mese d’ottobre 1576 si cominciò ad ufficiare nel coro nuovo. A’ 15 di febbraio dell’anno seguente si collocò l’ancona nuova, ed alli 9 di marzo sinuose il tabernacolo sopra l’altar, ed il Santissimo Sacramento dentro; qual tabernacolo fu dipinto da messer Cesare Lanino di Vercelli.8 Questo pittore, fratello del celebre Bernardino, e padre d’un altro Bernardino, anch’esso pittore, vuol essere aggiunto alla serie degli artisti vercellesi. La chiesa di San Giacomo, rifatta e chiamata col nuovo nome di [p. 325 modifica]Sant’Agostino, fu poi consecrata dall’arcivescovo Giulio Cesare Bergera il 22 novembre 1643.9

Circa vent’anni dopo il conte Gregorio Gioannini Bruco fece alla chiesa diversi abbellimenti, ed avea divisato di costrurre l’altar maggiore di marmo; se non che, a richiesta del primo presidente della R. Camera Gian Giacomo Truchi, si contentò di cedere a lui quest’onore.10 Nel 1758 le illustri famiglie Maillard de Tournon, Ripa e Gromo che ne aveano il patronato lo ripulirono e adornarono di nuovo.

Entrando in chiesa, la seconda cappella a mano sinistra ha un quadro dipinto sullo stile d’Alberto Duro col Signor morto, la Vergine, S. Giovanni e la Maddalena che lo piangono. La statua di legno di Maria Vergine della Cintura, nel terzo altare a destra, è d’Ignazio Perucca, Torinese.

All’altar maggiore si venera una miracolosa indagine di Maria, trovata nel 1716 nello atterrarsi un muro per la fabbrica del convento. Fu rinvenuta il 3 dicembre di quell’anno nella casa che stava di fronte alla chiesa di Sta Chiara dentro la canna di un cammino in cui si facea continuo fuoco, sotto all’intonaco; onde parve miracolosa la sua conservazione. Il popolo cominciò atrarvi in gran calca, sicchè fu necessario porvi le guardie finche fu tagliata dal muro, e portata in convento. Fu esposta in chiesa colle debite facoltà il 26 novembre 1717, [p. 326 modifica]e collocata sopra l’altar maggiore, e per molte grazie a sua intercessione ottenute, crebbe in sempre maggiore venerazione. Il medico Nicia ne fece intagliar l’imagine che rappresentala Vergine Annunziata.11 Ora da lei s’intitola una compagnia in questa chiesa ordinata coll’utilissimo scopo di soccorrere le partorienti, chiamandosi: Pia società di Maria Santissima nell’aspettazione del Divin parto.

Questa chiesa è ricca più d’ogni altra d’illustri sepolcri. Vi fu portato il 1° di gennaio del 1576 Perrino Bello, celebre per l’opera che pubblicò de Re militari et Bello, in cui fu il primo per avventura, dice Tiraboschi, che stesamente applicasse la scienza delle leggi all’uso della guerra. Poetava anche leggiadramente in lingua latina, come si può vedere nella vita che ne scrisse il barone Vernazza. Fu sepolto nella cappella di San Giovanni.

Il 25 settembre 1578 fu sepolto nella cappella di San Nicolò, patronato di sua famiglia, allato all’altar maggiore, il famoso giurisconsulto Cassiano Dalpozzo primo presidente del Senato. Il monumento marmoreo che vi fu costrutto in onor suo è altrettanto magnifico e notevole per la bellezza delle sue linee architettoniche, quanto è generalmente poco noto per l’oscurità che regna in quella cappella ove è da vedersi anche un antico dipinto.

Carl’Antonio suo nipote fu arcivescovo di Pisa e [p. 327 modifica]fondatore del collegio che ne porta il nome in quella città. Ludovico, altro nipote, fu primo presidente del Senato di Piemonte, e riposa anch’egli nella stessa cappella.

Il professore Michele Ponza, il quale col suo elettrico Annotatore ha svegliato fra noi la facile, ma pur utile letteratura de’ giornali, e che mentre menando attorno la terribile sua sferza grammaticale credeva di far tacere una dozzina di cattivi scrittori, ne ha fatto bulicare un centinaio, ha pubblicato nel fascicolo di giugno del 1835 un bell’intaglio del monumento di cui parliamo, delineato a mia richiesta dal signor Barthe, valente architetto di Tolosa. Cassiano Dalpozzo, in onore del quale fu innalzato, era figliuolo d’Antonio Dalpozzo e di Margarita della Torre. In giovane età fu dottorato in leggi, e quindi aggregato al collegio di giurisprudenza dell’università di Torino. Sedè più tardi ne’ magistrati, e, secondo lo stile di quell’età, non si restrinse all’ufficio del giudicare, ma adoperato da Carlo iii e da Emmanuel Filiberto in difficili ambascerie mostrò quanto giovi al maneggio delle più gravi cose di Stato, quel perpetuo esercizio di schietta logica che necessita l’applicazione ai casi pratici delle dottrine della giurisprudenza. Pervenne per varii gradi fino alla carica sublime di primo presidente del senato di Piemonte.

Acquistò nel 1566 la signoria di Reano, ancora posseduta dai Dalpozzo, principi della Cisterna. [p. 328 modifica]

Morì in Torino in età ottuagenaria il 23 di settembre 1570 e fu sepolto due giorni dopo.

Cassiano Dalpozzo è autore di due opere stampate. Additiones ad communes doctorum opiniones. Taurini 1545. Additiones ad Bartolum. Taurini 1577.

La sua morte fu compianta con amplissima orazione dal senator Manfredo Goveano; e la sua memoria sarà tramandata alla più tarda posterità dal bel monumento di bianco marmo che gli eressero i suoi nipoti Ludovico, Fabrizio e Carl’ Antonio, fratelli Dalpozzo, con questa iscrizione:


CASSIANO PVTEO ANT. F. REANI DOMINO
ET BELLI ET PACIS ARTIBVS CLARO

QUI APVD CAROLVM V CAES. CAROLO SABAVDIAE DVCl ET EMAN. PHILIBERTO APVD FRANCISCVM SECVNDVM FRANC. REGEM LEGATVS SVMMA FIDE ADFVIT NICIAE A TVRCIS OBSESSAE OPPORTVNE SVBVENIT ET SENATORIS DIGNITA-TEM XXV ANNIS TOTIDEMQVE PRAESIDIS INTEGERRIME SVSTINVIT

LVDOVICVS PVTEVS PRAESES, FABRITIVS PONDERANI COMES ET CAROLVS ANTONIVS MAGNI AETRVRIAE DVCIS AB INTIMIS CONSIL. FRATRES                 PATRVO BENE MERENTI P.
VIXIT AN. LXXX OBIIT AN. MDLXX. IX KAL. OCTOBRIS.


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Addì 21 gennaio 1590 fu sepolto in questa chiesa Giambatista Benedetti, fiorentino, rinomato professore di matematica in questa università.

Il 9 d’aprile 1595 vi fu tumulato Ascanio Bobba, cavaliere dell’Annunziata e governatore del castello di Nizza.

Tre anni dopo, l’undici di gennaio, vi fu portato il corpo d’Ambrogio Olerio, lettore di lingua greca, stato maestro di Carlo Emmanuele i.

A’ 21 d’ottobre 1601 fu depositato nella tomba de’ signori Del Pozzo, Domenico Belli, gran cancelliere di Savoia, figliuolo del già nominato Pietrino.

Nel 1613 (27 settembre) vi fu sepolto Pietro Bino d’anni 32, chiamato avvocato celebratissimo; infine molti illustri personaggi delle famiglie Del Pozzo, Tizzoni, Romagnano, Balbo, Argenteri, Dentis, Malines e Nicolis di Robilant trovarono eterno riposo in questa chiesa.12

Un monumento onorario che si vede all’altar maggiore dal lato del vangelo fu innalzato alla memoria del celebre cardinale Carlo Tommaso di Tournon, patriarca d’Antiochia, nato a Torino il 22 dicembre 1668, morto fra gli stenti di dura prigione a Macao il 7 di giugno 1710. Egli era, com’è noto, legato apostolico nella Cina, e mentre attendeva a purgare i novelli convertiti delle reliquie d’antiche superstizioni, gli fu dagli avversari di quella riforma procurato il carcere, se non, come altri dicono, il [p. 330 modifica]veleno. Lasciò eredi d’ogni sua sostanza le missioni della Cina. Il suo prezioso corpo richiesto con molto impegno, fu portato a Roma e sepolto nella chiesa di Propaganda.13

Il monumento fu eretto nel 1712 dal marchese di Tournon suo fratello. La statua giacente del Cardinale, i puttini, le virtù, i fregi, sono lavori di Carl’Antonio Tantardini da Valsassina. Sotto all’iscrizione segue scolpita in caratteri di bronzo la dolente allocuzione con cui Clemente xii annunziava al Sacro Collegio il triste caso.14

Un’altra memoria meno illustre, ma pur sempre curiosa, conserva la chiesa di Sant’Agostino, ed è la pietra sepolcrale di Tommaso Viotto, pubblico professore di chirurgia, il quale per le rare doti dell’animo, del corpo e della fortuna, primo in questa città ottenne la laurea in quell’arte. Così l’iscrizione; la quale prosegue raccontando le lodi di Pietro, figliuolo di lui, filosofo e medico eccellentissimo, perito di varie favelle, insigne per le opere pubblicate. Tommaso Viotto, dottore di chirurgia, morì il 1° dicembre 1548.15

Seguono due distici pieni di quell’enfasi che hanno talvolta i lodatori ufficiali dei morti, nei quali è detto che quando i due Viotti, padre e figliuolo, abbandonarono la terra, la morte fu più arrogante, o sia nel saettare o sia nell’uccider per febbre. Guardatevi, o mortali, soggiunge l’epitafio, dalle [p. 331 modifica]ferite è dai morbi; or v’è pericolo in casa e fuori di casa. Solo è salute tendere al cielo. Ottimi consigli che i miei lettori ed io procureremo di se guitare

La sepoltura de’ padri era nella sagrestia. In un sepolcro attiguo al chiostro seppellivano gli Agostiniani tutti que’ che morivano nelle carceri, sia prima, sia dopo la sentenza; dimodochè il solo fatto di trovarsi prigioni quando esalavano l’ultimo fiato, accomunava la morta spoglia d’un innocente con quella d’un malfattore. Nel campanile s’era scavata la tomba per gli esecutori di giustizia.

Fra le persone illustri che fiorirono in questo convento, ricorderemo il padre lettore Giuseppe Antonio Busca, consigliere e teologo di Vittorio Amedeo ii, il padre Tommaso Verani, che sul declinare del secolo scorso scrisse alcuni opuscoletti di polemica teologica, ma sopra tutti Giacinto Della Torre, dotto illustratore del Dio del Cotta; orator eloquente, stato arcivescovo di Sassari, poi vescovo d’Acqui, ed in ultimo arcivescovo di Torino, nella quale ultima sede grandi servigi rendette alla religione, liberalissimi soccorsi dispensò ai poveri.

Nella chiesa di Sant’Agostino, addì 13 di febbraio del 1577, tennero adunanza i curati di Torino in presenza dell’arcivescovo onde consultare sui casi in cui è da negarsi la sepoltura ecclesiastica. [p. 332 modifica]

La via che segue parallela a quella di Sant’Agostino chiamasi via Bellezia, e prende il nome dall’avvocato Gian Francesco Bellezia, il quale essendo sindaco della città di Torino nell’anno 1630, nel quale imperversò una crudelissima pestilenza, mentre tutti fuggivano, cercando nell’aria aperta delle campagne e tra i recessi de’ monti un asilo contra la morte, e la città sciolta e sgovernata, quando appunto avea bisogno di maggior governo, pericolava per più maniere di mali, egli, il Bellezia, quasi solo rimase, e pigliò sopra di se tutto il carico della cosa pubblica; ed infermato egli pure, e giacente in un letto della sua casa a pian terreno presso alla finestra, continuava a provvedere alla salute della città, udendo i rapporti, e dando gli ordini opportuni. Quest’uomo insigne, che fu poi presidente nel magistrato della R. Camera ed uno dei plenipolenziarii di Savoia a’ congresso di Munster, avea casa dietro al palazzo di Città.

Nella stessa via è da vedersi in faccia all’antico palazzo de’ marchesi di Tournon, la facciata della casa dov’è l’albergo della Dogana nuova; non che sia notevole per alcuna sorta di bellezza, ma perchè è la sola che conserva vestigi del secolo xv. E in Torino, città antichissima, ma tutta quasi vestita colle fogge del seicento, mi riposo volontieri su pochi indizi che ci restano d’altri tempi; e però vedo [p. 333 modifica]anche con soddisfazione quei rabeschi per cui si distingue la casa che fa canto tra la strada che percorriamo e quella della Basilica.

Seguitando l’ordine che abbiam preso, la via che succede alla strada Bellezia è quella che chiamasi d’Italia. Già percorrendo la via di Dora Grossa abbiam dovuto parlare della torre e del palazzo del Comune, e ci siamo estesi per continenza di materia, a parlare anche della piazza del mercato e di quella del grano, del Corpus Domini e di San Silvestro, e della antichissima chiesa di San Benigno.

Senza dunque ripetere il già detto, accenneremo solamente che la strada d’Italia, non rispondendo prima del 1699 fuorchè alla piccola Porta di San Michele, la quale raramente aprivasi, era anch’essa, massime sul suo finire, angusta e tortuosa.

Dopochè chiusa la Porta Palatina, la Porta di San Michele, chiamata Porta Vittoria, e volgarmente Porta Palazzo come l’antica, rimase l’unica uscita della città a settentrione, acquistò maggior importanza la strada che vi facea capo, onde fin dal 1711 Vittorio Amedeo ii pensava ad allargarne, secondo un disegno uniforme, l’ultima parte, dalla chiesa di San Paolo (la Basilica) fino alla porta. Nel 1729 Juvara presiedeva a tale riforma; cominciava presso alla porta quella piazza maestosa che pigliò nome dal mercato dei frutti, e dovea servire di piazza d’armi.16 L’ampliazione rettilinea estendevasi poi grado [p. 334 modifica]a grado fino alla torre del Comune, prima secondo i disegni del Juvara, poi nei 1756 secondo i disegni del conte Benedetto Alfieri, il quale ordinava verso li medesimi tempi con sì liete proporzioni quella elegante piazzetta che s’apre innanzi al palazzo Civico.17

Abbiam già parlato dell’impedimento che facea alla strada la nave orientale di San Domenico, ricostrutta secondo il disegno uniforme solo nel 1762.

Due altre chiese abbiamo da rammentare in questa strada, e sono San Paolo, o la Basilica, e San Michele.

San Paolo era chiesa parrocchiale fin dai primi anni del secolo xiii. Era ne’ tempi antichi priorato dipendente dalla badia di San Solutore; ma venute meno le rendite, vedevasi nel 1571 condotta a tanta miseria, che non si trovava chi volesse assumere il carico di rettore.

Allora dimandò ed ottenne quella chiesa la confraternita di Santa Croce, che avendo un oratorio presso alle mura, era non poco incomodata dalle ronde e pattuglie che dì e notte faceansi per la custodia della città.18

Tale esposizione faceva il 6 luglio di quell’anno il nobiluomo Gabriele de’ Magistris, priore d’essa compagnia, a Catalano Parpaglia, abate commendatario di San Solutore, al quale fu lieve fatica dismettere una chiesa che gli era di carico anzichè di [p. 335 modifica]profitto. L’anno seguente siffatta concessione venne per bolle pontifìcie ratificata.

Era questa confraternita la più antica di Torino, e negli archivii della medesima se ne conservano memorie autentiche del secolo xiv, nel qual tempo chiamavasi società de’ battuti (societas battutorum). Nel secolo xvi venne aggregata all’arciconfraternita del Gonfalone di Roma. Né contentavasi come molte fanno, di cantar le lodi di Dio nei giorni festivi e di comparire nelle processioni coperta del sacco bianco, sua propria insegna, ma facea limosina di vino a varii conventi, e attendeva al riscatto degli schiavi, e ad altre opere buone.19

Appena la confraternita di Santa Croce fu in possesso della chiesa di San Paolo, ne riparò le cadenti mura e il campanile, restaurò e ripulì ogni cosa;20 statuì dote al parroco. Monsignor Sarcina nella sua visita del 1584 vi trovò tre altari e mandò costrursi la sagrestia, che ancora non v’era. Nel 1679 poi i confratelli di Santa Croce s’accinsero a ricostrur la chiesa sui disegni del Lanfranchi. Non ingrandirono il perimetro, e conservarono a un dipresso la forma della chiesa antica, ma l’adornarono di belle colonne di marmo, vi soprapposero la stupenda cupola, e v’aggiunsero il coro e la sagrestia. Nel 1703 rifecero la porta.21 La chiesa di San Paolo contenea varie tombe; una pe’ confratelli, l’altra per la parrocchia; una terza per quei che morivano nello [p. 336 modifica]attiguo spedale de’ cavalieri de’ Ss. Maurizio e Lazzaro.

Fra le persone notabili sepolte in San Paolo ricorderò messer Cristoforo Aliberti, pittore, che vi fu recato il 12 settembre 1622; Tiene, nano di Maria Cristina principessa di Piemonte, degno forse di rivaleggiare con Jefferies, Hudson, Bebè, Casan, Tom-Pouce, e con molte altre illustri minuzie della specie umana, ma del quale per mia disgrazia non so altro fuorchè morì nello spedale de’ cavalieri e fu sepolto il 26 novembre 1622 in San Paolo.22 Dopo questa personcina, trastullo di giovane e bella principessa, appena oso ricordare Flaminio Tana, gentiluomo di camera del principe Maurizio, un Balbiano, un Doria ed altri di nome antico ma di memoria meno ricreativa che vi dormono il sonno eterno. Ma piano; ecco una che si può accompagnare con Tiene, salva la riverenza: Diamante, governante dei Griffoni, sepolta il 5 di febbraio del 1655.

In questa chiesa addì 21 novembre del 1714 difendeva pubblicamente varie tesi teologiche con gran plauso e gran concorso la figliuola del cav. Lunel di Cherasco.23

Nel 1623 i Teatini che, chiamati da Carlo Emmanuele i, erano venuti ad aprir casa in Torino, furono allogati in San Paolo. Non erano più che quattro, ma tanti disturbi ebbero dai disciplinanti di [p. 337 modifica]Santa Croce, che presto abbandonarono la chiesa e andarono a San Michele, dove, per la ristrettezza del sito, non poterono neppure durarla a lungo.

Quando Emmanuele Filiberto restaurò l’ordine di San Maurizio nobilitato ed arricchito coll’unione di quello di San Lazzaro, ebbe in animo di costrurre la chiesa d’esso ordine nel castello di Torino. Ma non die esecuzione a quel disegno, e fu invece deputata a tal uso la cappella di San Lorenzo, che si ufficiò anche per qualche tempo da alcuni cavalieri sacerdoti, e da un priore che doveva essere un sacerdote nobile ornato di gran croce.24

Nel 1728 Vittorio Amedeo ii si risolvette di dar finalmente a quell’illustre milizia una chiesa che le, appartenesse, e fosse capo d’ordine; e rivolse il pensiero alla chiesa di San Paolo, chiamata più comunemente di Santa Croce, sia perchè attigua allo spedale Mauriziano, sia perchè rifatta di nuovo con molta eleganza. Ma invece di trattarne l’acquisto colla confraternita che la possedeva da oltre un secolo e mezzo, che l’avea costrutta, conservata ed ornata, usando que’ termini assoluti che gli erano così connaturali, e quel rigor di legge fiscale per cui erasi segnalato otto anni prima, sostenne che la cessione fatta dall’abate di San Solutore senza consenso del sovrano era nulla; e obbligò la confraternita a dismetter la chiesa, promettendo solo benigni riguardi po’ miglioramenti. Nel qual fatto [p. 338 modifica]so la lettera della legge, e gli strani privilegi fiscali assistevano l’opinione de’ ministri Regi, l’equita alzava maggior voce in favor della compagnia. Il conte Sclarandi Spada, deputalo a governar quell’affare, non temperò co’ modi la durezza della commissione. In breve la confraternita obbedì; e a’ 28 settembre 1728 dimise la chiesa, che fu dichiarata Basilica Magistrale dell’ordine.

La confraternita di San la Croce fu poi unita con quella di San Maurizio, instituita dapprima nella parrocchia di San Simone, trasferita quindi nel 1686 a Sant’Eusebio. Le due compagnie unite in una sola arciconfraternita sotto al titolo di San Maurizio, cominciarono ad uffiziar la basilica il 5 d’aprile dell’anno seguente.25

Questa chiesa è di forma otlagona con cupola ardita e svelta. E ornata di grosse ed alte colonne di marmo, di stucchi e di pitture. Negli angoli della cupola vedonsi i quattro evangelisti dipinti a secco, tre da Francesco Meiler, uno, S. Luca, da Mattia Francescani. I quattro quadri fra gli intercolunnii sotto la cupola, che raffigurano azioni dei santi tutelari, sono di Sebastiano Taricco. Nella cappella maggiore, l’ovato nel coro col Cristo risorto e la Fede, e nel piano i santi Maurizio e Lazzaro sono di Mattia Franceschini. Il catino sopra esso coro, dipinto a fresco coll’Assunzione di Maria Santissima e molte figure, è di mano del cavaliere Bianchi milanese. [p. 339 modifica]La tavola dell’altare a destra è dello Scolti di Milano. Quella dell’altare a sinistra, d’Antonio Milocco. Sono da vedersi nella sacristia belle statue in legno di Clemente, parte delle macelline che si portavano nella solenne processione che una volta vi si faceva in uno de’ tre giorni di Pasqua, e di cui si può vedere la curiosa descrizione nella Guida di Torino nel 1753.

Tutte le macchine alludevano al gran mistero di cui si celebrava la commemorazione.

La basilica magistrale è stata in questi ultimi anni decorata di nobile facciata in pietra, di stile severo e maestoso, disegno del celebre architetto cavaliere Mosca. La cupola fu ristaurata e coperta di piombo. Nel sito ora occupato dalla piazza delle frutta, a mano manca di chi esce, sorgeva presso la porta a cui dava il nome da tempi antichissimi la chiesetta parrocchiale di San Michele, dipendente dalla famosa badia di San Michele della Chiusa; un monaco della Chiusa n’era priore. Una confraternita chiamata pure di San Michele si valea di quella chiesuola ad uso d’oratorio. Ma pare che oltre all’essere angusta, sia stata scandalosamente negletta dagli abati di San Michele.

Nella visita dell’arcivescovo Cesare Cibo del 1551, questa chiesa era mezza scoperta: non vi si conservava l’eucaristia; non v’era fonte battesimale. Non [p. 340 modifica]avea suppellettili sacre. Ventitré anni dopo davasi mano a ristorar la fabbrica.26

Nel 1612 vi furono introdotti gli Agostiniani scalzi, i quali alcuni anni dopo passarono alla cappella del Parco ducale, e di là furono, costrutta la chiesa di San Carlo, trasferiti a quel nuovo e ricco tempio.

Abbiam veduto che nel 1624 vi fecero breve comparsa i Teatini. Ma la chiesa era piccola, la casa vie più disagiata, l’aria si riputava mal sana, e non s’accettava quel sito se non come un principio di stabilimento.

Il quattro dicembre 1675 Madama Reale Maria Giovanna Battista, vedova di Carlo Emmanuele ii, permise ai Trinitarii scalzi venuti da Barcellona di stabilirsi in quella chiesa.

Nel 1693 don Antonio di Savoia, abate commendatario della Chiusa, ne concedette in perpetuo l’uso a quei frati che aveano, com’è noto, per proprio pietoso instituto, la redenzion degli schiavi.27

Quando Vittorio Amedeo ii volle dirizzare ed allargare la via che conduce a Porta Palazzo, ed aprire allo sbocco della medesima una piazza, si diede ai Trinitarii scalzi altra sede nella casa allora chiamata Ropolo, in via di San Francesco di Paola, nell’isola stessa dell’antico collegio delle Provincie (1731).28 La loro chiesa a Porta Palazzo fu distrutta. [p. 341 modifica]

Addì 21 d’agosto 1784 fu posta la pietra fondamentale della nuova chiesa di San Michele in fine della via dello Spedale verso i baluardi. Poco indugiò ad essere terminata, sui disegni dell’architetto Bonvicino, la fabbrica del sacro tempio, dove i Trinitarii scalzi stettero assai poco, essendone stati cacciati dalla rivoluzione. Ora la chiesa ed il convento di San Michele servono all’ospizio della Maternità.

Dalla via de’ Pasticcieri e del suo storico albergo di San Giorgio abbiam toccato più sopra. Nulla ci sovviene in proposito dell’altra antichissima e tortuosa strada chiamata de’ Pellicciai. Succede la via de’ Cappellai che piglia successivamente il nome dello Spirito Santo e delle Quattro Pietre, e riesce alle torri, cioè all’antica Porta Palazzo.

Era quella dopo Dora Grossa la strada principal di Torino, riuscendo dall’un de’ capi a Porta Marmorea, dall’altra a Porta Palazzo.

Abbiam già parlato della chiesa di San Silvestro (Spirito Santo), posta su questa via, e dell’ospizio de’ Catecumeni. Soggiungeremo che lì presso nell’isola del Seminario era la Zecca. Più in là la strada s’allarga ed ha una cert’aria di grandezza.

Nell’ultimo isolato a destra, sopra una porta di non molta apparenza, è l’arme in bronzo d’Antonio Provana di Collegno, arcivescovo di Torino nel 1651, il quale vi facea dimora; con quel motto così bello [p. 342 modifica]della sua nobile schiatta: Optimum omnium bene agere. Non aveano sede fissa, ma qua e cola pigliavano stanza gli arcivescovi, dopoché Emmanuele Filiberto occupò il loro antico palazzo.

In fondo alla strada una povera casa moderna cela quella magnifica struttura romana delle torri, e l’antica Porta Palatina è convertita in carcere.

Trasportiamoci col pensiero al quindici d’agosto del 1574, e vedremo tutta questa strada parata a gran festa, e affollarsi per quella il fior di Torino, ed i magistrati ed il clero, e il principe stesso onde ricevere Arrigo in, che dal trono di Polonia si trasferiva a quello di Francia, vacato per morte senza figliuoli di Carlo ix, di sanguinosa memoria.

Già da molti giorni tutte le arti della città aveano avuto precetto di concorrere all’addobbo della via che dovea percorrere S. M., dal ponte fino alla cattedrale, secondo lo scompartimento che ne avean fatto i deputati del Consiglio civico.

Ed in esecuzione di tali ordini, i legnaiuoli, falegnami e mastri da muro aveano fatto una frascata vicino al ponte di Dora presso ai mulini della città, dove Carlo Emmanuele principe di Piemonte dovea aspettare Sua Maestà.

Gli speronai, sellai, fabbriferrai, maniscalchi, ortolani, tessitori, ecc., aveano costrutta un’altra frascata dal principio del ponte levatoio di Porta Palazzo fino alla porta della città. [p. 343 modifica]

Dentro la città poi aveano coperta la strada con tende, e l’aveano parata di tappeti dai due lati; gli osti, tavernieri e pellicciai, dalla porta della città fino alla porta grande di Scrimaglio;

I pizzicagnoli, panattieri e pellicciai, da detta porta fino al cantone del signor di Pingon;

I sarti, i calzolai ed i conciatori, dal canto del signor di Pingon fino al canto della casa di Rosate; gli indoratori ed i librai, dal canto di Rosate fino alla mezza porta del sig. Niccolino Ratto;

I procuratori e praticanti, da detto luogo fino all’osteria della Corona.

Dalla Corona sino al canto, ed alla quadra della casa del Marmusino, aveano coperto e tappezzato la strada facendo il giro che si conveniva per volgere a levante verso la Cattedrale i barbieri, gli armaiuoli e gli spadari.

La via che segue fino al Duomo era stata tutta coperta e parata dagli speziali e dai mercanti.

Il 15 d’agosto di quell’anno, giorno di domenica, alle ventitrè ore circa italiane, il giovanetto principe di Piemonte andò ad incontrar Sua Maestà Cristianissima presso li molini di Dora, e fattagli riverenza, rientrò subito in città pel bastione degli Angioli, onde avvisarne Madama Serenissima sua madre e zia del re.

Emmanuel Filiberto aspettò il re suo nipote alla porta della città. Giunto che fu gli fece riverenza, e [p. 344 modifica]gli presentò le chiavi. Procedendo poi il re innanzi a cavallo in compagnia del duca, trovò monsignor rev.mo Girolamo della Rovere in abiti pontificali, seguitato dal clero; discese allora da cavallo, baciò la croce, e die grata udienza all’orazione detta da quel prelato. Dopo del che si fecero innanzi li magnifìci sindaci della città di Torino Gio. Battista Graciis e Gio. Antonio Parvopassu, e fatta riverenza a S. M., dissero queste parole: « Sire, li Sindaci et agenti di questa città di Turino, riverentemente baciano le Reali mani di S. M., e si rallegrano molto del suo felice arrivo qua, et d’ordine di nostro signor Duca vengono a riceverla, se non con quel’honore che merita la grandezza sua, almeno con un devoto animo, et ad offerirle la città, gli huomini et ogni loro potere a suo diuoto servicio ». Aringa assai breve, a cui seguitò una risposta ancor più breve, di grazioso sembiante e non d’altro.

Risalita poi S. M. a cavallo, fu accolta sotto ad un baldacchino di tela d’oro. De’ quattro lignaggi soliti a portar le aste in somiglianti occasioni, due erano mancati, cioè i Gorzano e i Beccuti. Rimaneano i della Rovere ed i Borgesi. Onde in quell’occasione il bastone dritto ultimo (luogo più degno) fu portato dall’illustre sig. Gio. Francesco della Rovere; ed il sinistro ultimo, già de’ Beccuti, da Giovanni Paulo consigliere della città. Il primo bastone destro, già de’ Gorzano, era stato dalla Città ceduto al [p. 345 modifica]gran cancelliere Tommaso Langosco di Stroppiana, ed in sua vece lo portò Gio. Francesco Bellacomba; il primo bastone sinistro lo portò messer Marchio Borgesio. Accompagnavano il baldacchino dodici giovani staffieri della Città, vestiti di satino bianco foderato di taffetà incarnadino, toccato d’oro.

Madama Serenissima aspettava il nipote in duomo; donde, dopo breve orazione uscirono tutti per l’uscio piccolo della chiesa, e si recarono al palazzo, ed ivi Arrigo ni ebbe stanza nell’edifìcio poco prima innalzato da Emmanuele Filiberto al nord della cattedrale (palazzo vecchio).29


Note

  1. [p. 350 modifica]Archivi della signora marchesa di Barolo.
  2. [p. 350 modifica]V. Soleri, Diario dei fatti accaduti in Torino.
  3. [p. 350 modifica]Notizie statemi favorite dall’illustre Silvio Pellico.
  4. [p. 350 modifica]Per questo e per gli altri istituti di beneficenza di Torino vedi la bella relazione che ne ha stampato nel 1835 quella cara e rara anima di Defendente Sacchi.
  5. [p. 350 modifica]Lib. consil.
  6. [p. 350 modifica]Fratres et conventus ecclesiae Ss. Cristofori et Augustini. — insirumento del 17 giugno 1446, nell’Archivio del signor marchese di Romagnano.
  7. [p. 350 modifica]Memoria del Registrode’ battezzati.
  8. [p. 350 modifica]Memoria in fine del Registro più antico de’ morti, che comincia all’anno 1557, e che ho avuto con varii altri in gentile comunicazione dal degnissimo signor curato teologo Ponsati. — Anche all’ottimo D. Bruno, curato di San Rocco, debbo riferir molte grazie per uguale comunicazione.
  9. [p. 350 modifica]Da iscrizione stampata, incollata sul Registrode’ battezzati.
  10. [p. 350 modifica]Archivi della confraternita di San Rocco. Atti di lite. Il primo presidente Gian Giacomo Truchi, conte di Pajeres, morì in giugno del 1664; all’opera dell’altar maggiore si pose mano dopo la sua morte.
  11. [p. 350 modifica]Soleri, Diario.
  12. [p. 350 modifica]Libro de’ morti.
  13. [p. 350 modifica]Guarnacci, Vitae et res gestaepontificum romanorum, tom. ii. 141.
  14. [p. 351 modifica]

    D. O. M.
    CAROLO THOMAE MAILARD DE TOURNON PATRIARCHAE ANTIOCHENO
    LEG. APOST. ET APVD SINAS AMPLIFICANDAE FIPEI ASSERTORI FORTISSIMO QVl VSQVE AD ORIENTIS EXTREMA LONGA AC DIFFICILI PERMIGRATIONE TRANSVECTVS QVVM IBI PRO RELIGIONE IN ELIMINANDIS ERRORIBVS VIRILITER DECERTARET
    A CLEMENTE XI
    CVIVS IVSSV ARDVAM SANE PROVINCIAM SUSCEPERAT AD ROMAN AE PURPVRAE
    SPLENDOREM ASSVMPTVS
    DIVTINI CARCERIS ANGVSTHS LAVDARILI ET GLORIOSA MORTE
    NVNQVAM FAMAE MORITVRVS
    EVASIT MACAI VII IVNII A. MDCCX
    FELIX EMMANVEL MARCHIO DE TOVRNON FRATER
    REGIAE CELSITVDINIS SAB. NOB. EXCVBIAR. PRAEFECTVS
    AMORIS AC DOLORIS MONVMENTVM POSVIT A. MDCCXII.

  15. [p. 351 modifica]

    D. O. M.
    THOMAE VIOTTO CHIRURGICAE ARTIS
    PROFESSORI PVBLICO
    QVI OB RARAS ANIMI CORPORIS AC FORTVNAE DOTES
    PRIMVS HAC IN VRBE EIUS ARTIS LAVREA DONATVS EST
    AC BARTHOLOMEO EIVS FILIO
    PHILOSOPHIAE ET MEDICINAE PROFESSORI EXCELLENTISSIMO
    LINGVARVM PERITIA ELOQVENTI
    OPERIBVS ET SCRIPTIS CELEBERRIMO
    PETRVS VIOTTI
    PATRI OPTIMO FRATRIQVE BENEFICENTISSIMO MAESTISSIMVS
    POSVIT
    OBIIT PATER A. MDXLVII KAL. DECEMBRIS
    FILIVS A. MDLXVIII XII KAL. IVLII
    DVM PATER ET NATVS TERRAM LIQVERE VIOTTI
    ET IACVLO ET FEBRE MORS IMPERIOSA FVIT
    VVLNERA MORTALES MORBOSQVE CAVETE: PERICLVM
    NVNC FORIS ESTQVE DOMI: TENDERE AD ASTRA SALVS.
    MONVMENTVM VETVSTATE COLLAPSVM POSTERITATI RESTITVEBAT
    I. V. D. IACOBVS ANT. VIOTTVS
    A. MDCCLXVII KAL. APRILIS.

    Questa iscrizione era prima collocata sul muro della facciata dalla [p. 352 modifica]parte interna, e lu trasferita nel 1767 sul pilastro laterale della cappella di San Lorenzo, dove ora si trova.

  16. [p. 352 modifica]R. biglietto del 29 d’aprile 1729.
  17. [p. 352 modifica]R. biglietto 8 settembre 1756.
  18. [p. 352 modifica]Bolla di Gregorio xiii del lo febbraio 1572. Archivi di corte. Bolle e Brevi.
  19. [p. 352 modifica]Archivi dell’arciconfraternita.
  20. [p. 352 modifica]Quitanza di mastro Stefano Vignola del 7 dicembre 1572, per scudi 520 per la fabbrica della chiesa e del campanile. Archivi suddetti.
  21. [p. 352 modifica]La convenzione che riguarda l’acquisto delle colonne è del 19 novembre 1679; costarono lire 1125 per ciascuna. Archivi dell’arciconfraternita.
  22. [p. 352 modifica]1622 li 26 novembre Tiene Nanno di madama la principessa, morto nell’hospitale de’ Cavaglieri. Libro de’ morti della parrocchia di San Paolo. Nell’Archivio della Metropolitana.
  23. [p. 352 modifica]Soleri, Diario cit.
  24. [p. 352 modifica]Archivi dell’ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro.
  25. [p. 352 modifica]Ordinato del 16 e 29 d’agosto, e 28 settembre 1728, ed altri documenti. Era priore l’auditor Egidio Durando. Archivio dell’arciconfraternita.
  26. [p. 352 modifica]Archivio arcivescovile.
  27. [p. 352 modifica]Torelli, Memorie ricavate dall’Archivio arcivescovile di Torino, ms. posseduto da S. E. Rev. monsignor Arcivescovo.
  28. [p. 352 modifica]Archivi camerali. Contratti, reg. 180.
  29. [p. 352 modifica]Ordinati della città di Torino, n.cxxiv, fol. 33.