Sulla Storia della letteratura italiana del Ginguené

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Giovanni Berchet

Egidio Bellorini Indice:Berchet, Giovanni – Scritti critici e letterari, 1912 – BEIC 1754878.djvu Letteratura Sulla Storia della letteratura italiana del Ginguené Intestazione 8 maggio 2024 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Opere (Berchet)/Scritti critici e letterari


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XVII


Sulla «Storia della letteratura italiana»
del Ginguené
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Tempo fa in questo stesso giornale (n. 21), parlando incidentemente del signor Ginguené, abbiamo emessa la nostra opinione sul merito della di lui Storia letteraria d’Italia, e sulla fortuna incontrata presso gl’italiani dai sei volumi di essa che allora correvano pubblicati. Annunciamo ora a’ nostri lettori che un italiano, noto favorevolmente fra la schiera de’ letterati, il signor Salii, avendo ragunati i manoscritti del signor Ginguené, trovò di potere stampare altri tre volumi di quella storia, e compire cosi in tutti i suoi rami il periodo che comprende il secolo decimosesto. Questi tre tomi hanno lo stesso formato degli antecedenti; e con essi termina il lavoro del signor Ginguené, da che a lui non bastò vita per poter protrarre la sua storia fino alle epoche piú recenti della nostra letteratura. Le cure spese intorno ad essi dal signor Salfi meritano tanto maggiore gratitudine, in quanto ch’egli dovette supplire col proprio ingegno e colla propria penna a non poche lacune esistenti ne’ manoscritti, e dare a questi l’ordine che loro mancava in alcune parti, perché non maturi ancora per la stampa. Il signor Salfi è da considerarsi dunque nell’occasione presente non come semplice editore, ma come cooperatore col signor Ginguené. E questo titolo dividono con lui, per rispetto alla lingua [p. 170 modifica]ed allo stile, due letterati di Francia, i signori Daunou e Amaury-Duval, perché alla loro revisione il diligente italiano volle sottoporre il proprio lavoro.

Data un’occhiata generale a questi tre volumi, ci sembrano egualmente lodevoli che i primi sei per esattezza storica, per abbondanza di notizie, per intelligenza franca delle cose italiane; e, del pari che i primi sei, ci lasciano anche questi neH’animo un desiderio di piú frequente filosofia: per modo che pare a noi di dovere estendere anche su di essi quanto ci venne dettato dalla libera nostra convinzione allorché parlammo de’ precedenti. Non ripeteremo dunque le parole stampate da noi tempo fa; nulla vogliamo aggiungere ad esse, nulla levare. Altri pensi altram’ente, e ci creda pure traviati, e ci muova contro gli odii segreti: noi abbiamo pigliato a faccia scoperta il partito di spogliarci affatto d’ogni interesse e d’ogni amore transitorio, per servire all’amore perpetuo della patria e del vero, od almeno di ciò che a noi par vero. E sicuramente non ce ne fará biastno chiunque sa quanta consolazione sia in certi momenti il poter dire all’anima propria: — Se non d’altro, sei monda almeno d’ogni invidia e d’ogni servilitá, né ti vendesti mai alla fortuna de’ raggiri. —

Ci perdonino i nostri lettori questa ed altre consimili digressioni. È la natura di certi costumi d’Italia che ci sforza a farle, non giá una troppo alta importanza che noi vogliamo attribuire alle nostre fatiche letterarie. Il peccato nostro (e lo confessiamo, ma non con intenzione di pentircene) sta tutto nella bizzarria, che ci siamo fitta in capo, di volere riputare un delitto, una infamia la professione delle lettere, se in ogni menomo atto non è esercitata come virtú morale.

E a questo proposito, pensando al bel carattere morale del signor Ginguené, ci giova lasciar per ora da un canto la sua Storia letteraria, e cedere invece al bisogno che sentiamo di dare una lagrima alla memoria di questo illustre defunto. La morte dell’uomo sapiente è una sciagura intellettuale, che può anche tollerarsi a ciglio asciutto; ma quella dell’uomo probo è un dolore amarissimo, per chi considera quanto debba penare [p. 171 modifica]l’umana societá a riempire il vuoto che quegli morendo vi lascia.

La carriera de’ pubblici impieghi fu corsa onoratamente dal signor Ginguené fino all’anno 1802. Ogni cosa gli prometteva allora facile il conseguimento delle ricchezze e degli onori piú splendidi: bastava che avesse potuto desiderarli. Ma, sdegnoso egli del favore del nuovo governo, contrario affatto a’ principi da lui professati con intima religione, non volle piegare il ginocchio innanzi ad un idolo politico che non era l’idolo della sua coscienza. Rinunziò quindi ad ogni impiego pubblico, e coll’anima incontaminata consacrò interamente la vita e l’ingegno alla letteratura. Negletto, dimenticato dal governo, detestato anche: se ne compiacque. Tutti gli studi suoi furono da lui rivolti all’utilitá de’ suoi concittadini; e co’ versi, con le prose, con le lezioni recitate al Liceo (ora Ateneo), procacciò di vieppiú sempre nobilitare l’intelletto e ’l cuore dei francesi.

Nell’ultima caduta di Napoleone venne fatta istanza al signor Ginguené perché celebrasse in versi il nuovo destino della Francia, tuonando irato contra i costumi dell’uomo precipitato dal trono. — Lascio questa cura — rispose egli — a coloro che lo hanno lodato. — E gli adulatori di Napoleone accettarono alacremente l’incarico che Ginguené rifiutava.

La candida onestá del signor Ginguené guadagnò a lui ne’ crocchi delle persone piú savie e piú gentili della Francia un epiteto che gli fa onore, e che da gran tempo non va scompagnato mai dal suo nome: «& bon Ginguené». Innamorato della vita campestre, egli ne gustò lungamente tutta la pace; e da essa le sue maniere pigliarono molto di quella schietta ed ilare cortesia, che raddoppia i nodi dell’amicizia e che sola può placare l’invidioso dispetto con cui il volgo guarda d’ordinario chi ne sa piú di lui. Eaubonne e la valle di Montmorency prestarono l’ultimo asilo al signor Ginguené; e l’ultima voce di lui fu udita in quelle amene campagne... Ora non vi suonano che i gemiti della sua vedova moglie.

Possa un sospiro de’ nostri lettori italiani, un sospiro che sia l’espressione della tristezza insieme e della riverenza, espiare [p. 172 modifica]una villania fatta al signor Ginguené da un italiano! È noto a tutti di che modo l’Alfieri pagò d’ingratitudine un favore usatogli spontaneamente dal signor Ginguené, quando questi cercò di salvargli dalle mani del fisco di Francia la libreria ed i manoscritti. La lettera che il signor Ginguené, dolente dell’insulto onde vide ricompensato il proprio zelo, scrisse su di ciò all’abate di Caluso, e l’indole stessa del fatto, dimostrano quanto sia stato il torto dell’Alfieri. In discolpa di lui nulla può dirsi saviamente; e, se avessero spaccio tuttavia gli arzigogoli e gli insulsi sotterfugi de’ retori, appena appena diremmo che quell’atto villano lo commetteva l’autore del Misogallo, ma che Vittorio Alfieri non lo sapeva.

Grisostomo.

  1. Histoire littèraire d’Italie par P. L. Ginguené, de l’Institut royal de France, ecc. ecc. ecc., tomi vii, viii, ix, Paris, 1819, chez L. G. Michaud. (L’intera opera del signor Ginguené si vende presso il signor G. Gigler, sulla Corsia de’ servi, n. 603).