Tragedie (Alfieri, 1946), Volume III/Nota

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Nicola Bruscoli

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NOTA

[p. 403 modifica] Per riprodurre le diciannove tragedie che l’autore stampò negli anni 1787-89 a Parigi1 con assai vigile cura non c’è che da rifarsi interamente a questa edizione. In una lettera al marchese Albergati Capacelli, l’Alfieri scriveva queste parole: «Posso accertare, che edizione cosí bella difficilmente mai se ne fará in Italia; e corretta quanto quella, affermo che sará impossibile il farla». Carlo Milanesi, che dette nel 1855 una edizione discutibile nei criteri di riproduzione, ma assai utile per una accurata «notizia intorno agli autografi e alle prime e principali edizioni», cerca di impugnare questa affermazione. Ma i pochissimi errori, che sono stati poi eliminati nelle stampe italiane del primo Ottocento, non sono altro che la conferma della bontá di questa edizione. In tali argomenti contano la fedeltá ai criteri voluti dall’autore, la mancanza di ogni velleitá ammodernatrice e restauratrice: non i pochi errori materiali di cui un accurato lettore può accorgersi prontamente. Invece il Milanesi si è discostato troppo di frequente dalle caratteristiche grafiche e dalla interpunzione voluta dall’Alfieri, sebbene egli affermi di averlo fatto «con parsimonia grandissima, e proprio lá dove vi era stretta necessitá»2. Queste necessitá — rispetto ad una edizione cosí curata dall’autore — non sussistono e sono in primo luogo il prodotto di una filologia non sufficientemente rigorosa. Poiché il Milanesi è continuamente citato e riprodotto come il testo attualmente migliore, ho posto ogni attenzione nel registrare le diversitá fra tale testo e il Didot.

La presente edizione è condotta sulla copia Didot della Biblioteca Marucelliana3, proveniente dal legato Martelli. Questa [p. 404 modifica]copia appartenne alla contessa d’Albany e da lei fu donata al Foscolo. Nella prima pagina del vol. I leggiamo infatti le parole autografe della donatrice: Louise d’Albany a Monsieur Foscolo. Nel verso della stessa pagina è applicata la lettera seguente:


A Monsieur Foscolo — aux quatre Nations.

Je vous envoys les Tragedies de Vittorio Alfieri imprimées sous sa direction. Vous en êtes digne. Garder les pour souvenir de — Louise d’Albany qui a eu le bonheur d’etre son amie pendant 25 ans.

Florence ce samedi 10 8bre 1812.


L’edizione, cosí attentamente curata dall’Autore, ha alcune caratteristiche grafiche che si distaccano dall’uso dei nostri giorni.


In luogo della dieresi sempre l’accento acuto.
qui e qua, sempre coll’accento grave sulla vocale finale.
fa (imperativo = fai), sempre senza apostrofo.
(pronome), sempre senza accento.
ché (congiunzione causale), sempre senza accento.
dei (voce del vb. dovere), sempre senza accento.
tal, qual femminile o forma elisa del maschile, sempre senza apostrofo.
(= vado) sempre coll’accento grave.
fe’ (= fece), sempre senza accento o apostrofo.
(= fede), sempre senza accento o apostrofo.

ohimè è scritto sempre senza h.


Per li, accusativo plurale del pronome di terza persona, segue generalmente questa legge: scrive gli quando il pronome precede una parola che si inizia con una vocale; scrive li quando il pronome precede una parola che si inizia con una consonante, o quando il periodo si chiude. Per esempio:

E ben amargli, e alla virtú nutrirli. —
Ma, per ritrargli al dritto...

Il Milanesi4 non ha compreso il criterio che guidava l’Alfieri e ha corretto a capriccio. A p. 99 del vol. II si legge:

il porli
A se medesmo

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a p. 103

ed aspettiamli; e taci

a p. 152

Udir, vederli,
Ravvisarli, e co’ ferri...

Il Didot, nei luoghi corrispondenti, ha: porgli, aspettiamgli, ravvisargli. Ha invece vederli, per la regola enunciata sopra.

Anche per le particolaritá grafiche elencate sopra il Milanesi ha seguito talvolta impressioni momentanee, e non un criterio metodico: dei (= devi) è scritto ora coll’accento, ora senza; le lettere maiuscole dopo il punto esclamativo sono talvolta piú frequenti che nell’ed. Didot, talora lo sono meno. Insomma non si tratta solo di ammodernamenti, giustificabili, specie se costanti, nella filologia meno rigorosa della sua epoca, ma, talvolta, di scarsa attenzione e di insufficiente coerenza metodica. Tutto ciò che è determinato dalla volontá meditata e dalla espressa intenzione dell’Autore va scrupolosamente mantenuto. Invece il Milanesi si è preso licenze assai piú numerose di quelle che egli dichiara nella prefazione alla sua opera5.

Una particolare cura ho posto nel riprodurre con la piú assoluta fedeltá l’interpunzione alfieriana. Che l’Alfieri interpungesse in maniera un po’ strana, sopra tutto perché aveva da guidare attori poco penetranti, è stato detto piú volte: ma, appunto perché tali deduzioni sieno possibili e seriamente appoggiate, occorre che l’editore non si prenda alcun arbitrio. Invece il Milanesi ha avvertito il modo personale di interpungere6 e ha voluto ricondursi a un sistema piú piano e comune; ma, accorgendosi di tratto in tratto, che le alterazioni sarebbero state cosí troppo frequenti, è tornato sulle tracce dell’Alfieri. Cosí è venuta fuori una interpunzione che non è piú quella dell’Autore, ma non è nemmeno quella interpretativa dell’editore che commenta; soluzione questa ultima, sempre ingiustificabile in un caso in cui esiste piú che [p. 406 modifica]l’autografo: cioè un’edizione tormentosamente curata dall’Autore. A p. 45 del vol. I il Milanesi interpunge:

Gomez, compiuti
Mie’ cenni hai tu?
(Filippo, a. V, sc. 4).

Invece l’Alfieri, per indicare il modo vibrato e autoritario con cui il tiranno chiede conto di ordini crudeli e indiscussi, ha posto due punti.

Generalmente, prima della congiunzione e, l’Alfieri mette la virgola. Ma talvolta, quando vuole esprimere concitazione, toglie queste virgole; come anche le toglie nelle successioni di aggettivi che debbono suscitare, pronunziati senza pausa, un effetto comune e complesso. Nel Saul (a. II, sc. 1) Abner si compiace del popolo che ha annullato le speranze dei sacerdoti:

..... quand’ecco, alto concorde
Voler del popolo d’Israello al vento
Spersi ha suoi voti....

Alto concorde debbono consonare vibratamente, senza un attimo di interruzione. Infatti il Didot non ha la virgola, mentre il Milanesi — non cogliendo il valore che l’autore attribuiva a questa soppressione del segno — ce l’ha piattamente ricollocata.

Cosí in Bruto Primo (a. I, sc. 1), nelle straziate parole di Collatino:

Al fero atroce
Mio caso, è vano ogni sollievo.

Anche qui — come in molti altri luoghi per cui si potrebbero ripetere osservazioni dello stesso tono — il Milanesi non trova di meglio che rimettere al suo posto la piú comune delle virgole.

Anche dopo il ma il poeta pone una virgola che isola piú nettamente la sentenza che viene pronunciata dopo la ripresa avversativa. Alcuni esempi:

ma, il fuggir di vita
Reo presso voi fatto mi avria.
(Agide, a. IV, sc. 3).

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Ma, che posso io dirti,
Che della prisca mia grandezza, e a un tempo
Della presente mia miseria, degno
Parer ti possa?
(Sofonisba, a. I, sc. 3).

Ma, per me parli il mio romano brando
(Bruto Primo, a. I, sc. 2).

ma, spesse volte
La mestizia è natura
(Mirra, a. II, sc. 2).


In tutti questi casi il Milanesi toglie la virgola, con qualche incomprensione per le intenzioni — in verità non ermetiche — dell’Alfieri.

L’edizione presente è invece fedelissima al Didot, tranne il caso di errori manifesti e comprovati. Per esempio nel Don Garzia7 ai versi

in lui, benché da me diverso
Semi pur veggo io di virtú

gli editori pongono una virgola dopo la parola diverso; e potrebbe in verità trattarsi anche di omissione involontaria. Ma, poiché non manca qualche altro caso in cui il taglio del verso è stato avvertito come pausa che sostituisce il segno di interpunzione, io ho lasciato la lezione come si trova nel Didot.

Dopo questi cenni mi pare che si possa modificare un poco l’apprezzamento che si fa comunemente sull’interpunzione alfieriana. Se è pure innegabile che, in alcuni casi, un modo piú logico e comune aiuterebbe la comprensione del lettore non molto assuefatto allo stile teso — e talvolta approssimato — del singolare scrittore, è anche da riconoscere, in molti altri, che certe particolaritá sono dovute al gusto della vibrata apostrofe drammatica, delle espressioni concise e sentenziose. [p. 408 modifica]

Gli errori del Didot, oltre alcuni8 di quelli registrati nell’errata dei singoli volumi, sono i seguenti:

I, CVIII comme Pallade come Pallade
» 98 Policine Polinice
II, 94 Romani, all’ire or vi movete? è tarda:
Romani, all’ira or vi movete? È tarda: Nella copia Polidori il verso era: Romani, all’ire or vi movete? È tardi: Nella tendenza, costante e visibilissima da una elaborazione all’altra, di adeguarsi ad un piú alto ideale di lingua poetica, l’autore probabilmente ha eliminato quel comune È tardi, dimenticandosi di toccare il resto, perché quella era la correzione che piú gli si imponeva.
 »   136 O Padre O padre
 »   236 Scena Terza Scena Quarta
 »   238 Scena Quarta Scena Quinta
 »   245 Scena Quinta Scena Sesta
III, 149 d’ambízione d’ambizione
  »   163 si dubbi accenti sí dubbi accenti
  »   173                 A che piú tardi
                        Ad arrenderti a me!
                            A che piú tardi
                       Ad arrenderti a me?
  »   238 a tuoi piedi a’ tuoi piedi
  »   295 personnaggio personaggio
  »   381 foffrir soffrir
  »   415                 presagj orrendi
                        Ascoltai di sua bocca?
                            presagj orrendi
                       Ascoltai di sua bocca!
IV, 100 ne dubbio né dubbio
 »   191 Saúlle
Saulle — L’accento, in questa forma, c’è solo qui. Perciò ho creduto di unificare.
 »   194 Abner la da Abner la dà
 »   215 E al signor laudi... al signor, io?
E al Signor laudi... Al Signor, io?... Tutte le altre volte che questa parola ricorre è sempre scritta colla maiuscola.
 »   437 Scipione Sofonisba
V,     58 Scena Quinta Scena Quarta
 »    110 Non pianger donna
Non pianger, donna
Ho accettato questa correzione, perché l’uso del vocativo preceduto dalla virgola è assolutamente costante.
 »    153 Poiche tu Poiché tu
 »    197 su i casi suoi suoi su i casi suoi
 »    329 congiura Congiura
 »    350 Mical (2 volte) Micol
 »    416 non necessario di figli
La parola figli va in corsivo, come lo sono tutte quelle riprese dal testo.
 »    418 quá e la ritoccate quá e lá ritoccate
 »    423 sonnettucci sonettucci

A p. 229 del V vol., nel Bruto secondo, a. III, sc. 2 c’è una solenne distrazione dell’Alfieri. Invece di chiamare la moglie di Bruto figlia di Catone, l’ha chiamata sorella. L’Autore conosceva esattamente la parentela di Porzia con Catone minore; tanto che nell’atto seguente ne fa, per bocca di Bruto, un simbolo della piú alta virtú romana. Passando all’esame delle successive stesure dei due versi in discussione ho trovato, tra gli autografi e le copie della Biblioteca Laurenziana, queste lezioni:

Alfieri 262, p. 129 dove di Caton la sorella è la moglie di Bruto
Alfieri 282, p. 224 Dove a Bruto consorte è del gran Cato
La fida suora
Alfieri 292 c. 360 v.                               dove consorte
A Bruto sta del gran Caton la suora.

È chiaro che, avvenuta la distrazione nella prima stesura in prosa, l’Autore se l’è portata dietro fino all’ultima elaborazione e alla stampa. Perciò è buon criterio non correggere — come ha fatto il Milanesi — ma lasciare la lezione originale. Altrimenti bisognerebbe ritoccare molti luoghi di poemi e romanzi che contengono errori o distrazioni simili a questa. Solo al commentatore resta il compito di avvertirla, nelle sue note. [p. 410 modifica]

Ecco ora gli errori dell’edizione Milanesi con a fianco la lezione del Didot.

Milanesi, vol. II Didot, vol. I
468 abymes XXVIII abîmes
   »   pére
XXVIII pere. Gli accenti gravi vengono di regola eliminati. Cosí anche: Grece, pere, Thebes, diademe, mere, viperes.
   »  Bajazzette XXIX Bajazette
473 gliela (piú volte) XLII glie la
475 Argia XLVII Argía
  »   di Emone XLVIII d’Emone
477 parce que LIII parceque
  »   n. discipulorum
LIV n. discipularum. È citazione oraziana: dalle Satire I, sat. X, 91.
478 aperçois LV apperçois
478 scena seconda LVI scena 2a
479 Muore la donzella LVII More la donzella
  »   maestria (piú volte) LVIII maestría
  »   in iscena     »     in scena
480 energia (piú volte) LXI energía
  »   odïosi LXII odiosi
481 fantasia LXIV fantasía
483 n. di un quadro LXVIII n. d’un quadro
484 O coscïenza LXX O coscienza
485 Sono nèi LXXIII Sono nei
486 formule LXXVIII formole
487 voerlo — È uno dei pochi refusi di questa edizione, tipograficamente corretta.
LXXXI volerlo
488 maggiori dei suoi LXXXII maggiori de’ suoi
492 che il libro XCV che libro
493 l’armonia XCVIII la armonia
494 è questa una XCIX e questa è una
495 non mi inganno CI non m’inganno
497 Effraimiti CVIII Effraimíti
457 sapere la lor parte CXIII saper la loro parte
458 travia CXVI travía
459 perché, ec. CXIX perchè, etc.
  »   ognuno il sa     »     ognuno li sa
  »   gustate, sentite     »     gustate, e sentite
  »   gl’Italiani     »     gl’italiani
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Milanesi, vol. I Didot, vol. I
  4 d’intorno (piú volte)     9 dintorno
  5 m’odii (piú volte)   10 m’odj
  7 n. glielo (piú volte)   13 n. glie lo
23 aiuto
  44 ajuto — Si registrano molti casi del genere: paja, gioja, patrizj, tutti scritti dal Milanesi colla i comune.
27 d’attorno (piú volte)   51 dattorno
35 Alfin (piú volte)   67 Al fin
36 indugerà   70 indugierà
55 vie piú 106 vie più
57 purch’ei 110 pur ch’ei
59 risonare 113 risuonare
62 finchè 119 fin che
63 Ben altro è il fallo; e ben di voi piú degno
120 Ben altro è il fallo; è ben di voi piú degno
73 malgrado 140 mal grado


Milanesi, vol. I Didot, vol. II
165 Componeasi un volto
Impavido, ma in core, entro ogni vena,
Lo scellerato giudice tremava.
                          (Virginia, a. III, sc. 7)
Il Milanesi, in nota alla stessa pagina 165, sospetta che si tratti di errore e che un volto si debba correggere in volto. Ma è una dimostrazione, quest’ipotesi, soltanto della sua scarsa penetrazione linguistica: perché componeasi un volto è espressione piuttosto comune per dire si foggiava artificiosamente un aspetto sicuro, ma questa sicurezza non era nell’intimo della coscienza.


Milanesi, vol. I Didot, vol. II
194 fortuna 104 Fortuna
207 Oh padre 129 O padre
217 parlògli 146 parlogli
232 O fera 175 Oh fera
241 oblio (piú volte) 194 obblio
251 dentro oggi 212 dentr’oggi
255 affinché 221 affin che
282 Averno 279 averno
283 echeggiar 283 eccheggiar
285 Scena XIII 285 Scena Ultima
316 Dell’orribil reggia 348 Della orribil reggia
322 non temer 359 non temere


Milanesi, vol. I Didot, vol. III
336 labbra     8 labra
344 gl’incresce   24 gli incresce
364 taccio   57 tacio
380 d’amarla   93 di amarla
384 Ben quattrocento 100 Ben quattro cento
388 Né 107 ne (= a noi)
404 di un passo 137 d’un passo
416 siete 159 sete
427 Turnon 183 Tournon
449 Fuorché ei 225 Fuorch’ei
460 vigibil 248 vigil
471 ch’il trasse 270 chi ’l trasse
478 chieggo 332 chieggio
483 gioisce 341 gioísce
501 segno ell’è 377 segno ella è
501 messaggier
377 messagger. Sono grafie incostanti; ma è chiaro che bisogna mantenere quello che l’Autore ha voluto.
503 fuor che 380 fuorchè
506 M’imita (piú volte) 385 M’imíta
509 Pe’ buoni stessi 392 Pe’ buoni stassi
511 pattuisce 396 pattúisce
512 assevra 397 assévra
513 l’aita 398 l’aíta
514 in ammenda e forse 401 in ammenda ei forse
517 lugubri 407 lugúbri
519 Qual incognita 411 Quale incognita
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Milanesi, vol. I Didot, vol. IV
560 Bandini   69 Bandíni
563 sguainar   74 sguaínar
572 cordardo   93 codardo
575 leggieri abitator 100 leggeri abitator
576 udía
101 udia — Il Mil. non segue una norma sicura: talvolta accenta questa parola, piú di frequente la lascia senza accento. Invece dorria, uscia sono accentate nel Mil., senza accento nel Didot.
595 non dritto e inopportuno 135 non dritto o inopportuno
598 no so 141 non so
608 neghittoso
160 negghitoso. Questa parola, sebbene non citata dal Tommaseo-Bellini, è mantenuta nelle prime ed. alfieriane9
609 rumor 162 romor
617 O figlio 178 O Figlio


Milanesi, vol. II Didot, vol. IV
  8 Samuél 196 Samúel
34 leone 246 Leone
35 ei estende 247 ei stende
55 maggio
285 Maggio — I nomi dei mesi, nelle lettere di dedica, generalmente sono iniziati dalla maiuscola nel Didot e dalla minuscola nel Milanesi
63 Tremâr 297 Tremar
68 Sérbati 305 Serbati
70 Tumultuar 303 Tumultúar
71 gl’invidi 310 gli invidi
77 insomma (piú volte; ma ricorre anche staccato)
322 in somma
 »  ci ode 323 c’ode
80 viltá spartana (piú volte) 327 viltá Spartana
122 inseparabil’io 404 inseparabil io
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Milanesi, vol. II Didot, vol. V
143 Foro   10 foro
157 Venia
  97 Venía — Nel Mil. l’accento è oscillante
159 arrecâr   41 arrecar
166 avvenia   54 avvenía
170 annunzii (piú volte)   63 annunzj
172 che ascolto?   66 Che ascolto?
181 io tremo   83 Io tremo
191 strascina 101 strascína
173 ogni dí! 104 ogni dí?
202 ti spinge 120 spigne
207 chieggo 128 chieggio
212 furie 137 Furie
223 prostrati 159 prostráti
231 innalzava 173 inalzava
234 Che parli? Iniqua
178 Che parli? iniqua — Anche quest’uso delle maiuscole dopo gli interrogativi è saltuario nell’Alfieri; uso che però il Mil. non sempre segue nelle sue oscillazioni. Riporto qui appresso qualche altro esempio.
242 servir? Né un giorno 196 servir? né un giorno
244 possa! Oh qual 198 possa! oh qual
251 allaccio? Sconfitto 211 allaccio? sconfitto
265 giovanili 238 giovenili
266 O dura 240 Oh dura
278 Padri (piú volte) 265 padri


Milanesi vol. II Didot, vol. III
500 dalle persecuzíoni 287 delle persecuzioni
502 avrebbe 293 averebbe
503 di Egisto 295 d’Egisto
504 ch’egli (piú volte) 298 che egli
504 sulla semplice (piú volte) 298 su la semplice
505 squarciare il capo 299 squarciar il capo
510 sacrifizio (piú volte) 318 sagrifizio
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Milanesi, vol. II Didot, vol. V
517 ambizione 292 ambizion
528 che ella 322 ch’ella
532 che è un solo 335 che è uno solo
532 un’aristocrazia 335 una aristocrazia
536 Demarista è donna e madre
344 Demarista è donna, e madre, e donna. È una alterazione assai grave. Il Mil. non ha inteso che l’Alfieri — con quel suo modo epigrafico — voleva dire è donna, cioè instabile e irrazionale; e il fatto di essere madre non annulla e supera la sua fragile muliebritá, quindi, pur madre, resta ancora donna.
536 nessun’altra 346 nessuna altra
536 ch’ov’egli 346 ch’ove egli
539 contro 355 contra
540 ch’è stato 356 che è stato
541 s’impaccia 359 si impaccia
545 di Euricléa 369 d’Euricléa
546 un’atrocitá 372 una atrocitá
546 virtú ch’egli 375 virtú che egli
547 d’infiammare 375 di infiammare
554 piccoli 397 piccioli
554 che elle potranno 398 ch’elle potranno


La lunga nota — quando si aggiungano anche le caratteristiche generali della grafia settecentesca citate in principio e generalmente non rispettate dal Milanesi — dimostra esaurientemente che non si tratta soltanto di lievi e rarissimi ritocchi, ma di alterazioni piuttosto notevoli; e in qualche caso, che ho procurato di commentare nella nota, anche veramente gravi.


Nei versi che riporto più sotto10 il Milanesi ha rimesso le dieresi al loro posto. Il Didot invece non ha quell’accento acuto che, come abbiamo avvertito in principio, sostituisce il segno della [p. 416 modifica] dieresi. Io ho seguito ancora il Didot perché nell’Alfieri la sensibilitá musicale è piuttosto scarsa, e — come talvolta ha fatto versi di misura sbagliata — può anche talvolta non avere avvertito la intonazione piú regolare e consueta. Da notare che ho confrontato molti di questi versi nella copia Polidori; anche in quella penultima redazione non portano nessun segno.

Milanesi Didot
I,  166      — II,    50 Le violenze, le rapine, l’onte
»   173      — »     63 E di tribun sediziose voci
»   179      — »     74 Ambizion, non l’amor tuo. Ma poni
»   188      — »     92 Sedizioso duol di finta madre
»   206      — »   127 Ubbidiente sua cresciuta prole
»   212      — »   137 Al glorioso domator di Troia
»   215      — »   143 Torbidi giorni, irrequiete notti
»   225      — »   162 Cosí ti turba? L’inquieto sguardo
»   226      — »   165 Parlar, d’Elettra la quiete e il senno
»   227      — »   166 Di amata madre ossequiosa figlia
»   228      — »   169 La tua primiera ubbidiente ancella
»   245      — »   201 Mosso da iniqua ambizion la figlia
»   253      — »   216 Nel traditor tante fiate e tante
»   261      — »   235 Dal suo cospetto, che odiosi troppo
»   264      — »   241 Tu da feroce ambizion di regno
»   264      — »   241 Chiedevi già Tu, smanioso, tutta
»   269      — »   250 Feroce troppo, impaziente incauto
»   294      — »   304 A noi giovare altra fiata ci puote
»   297      — »    311 Desio piú dolce, e ambizioso meno
»   306      — »   329 Chiederti osai breve udienza in questo
»   324      — »   362 Obbróbeiosi i giorni miei nel limo
II,    70      — IV,  310 De’ traviati cittadini molti
»   163      — V,    48 Traviati dal ver, ne mai sarebbe
»   260      — »   229 E i rimorsi e il perpetuo terrore
»   260      — »   230 Di un dittator perpetuo! Terrore?


  1. In cinque volumi, piú il cosí detto volume di scarto; che è il primo della serie, poi rifatto con una perfezione quasi assoluta.
  2. I, LXIV.
  3. Ringrazio qui pubblicamente il dott. Jahier, direttore della Marucelliana, e gli impiegati addetti che mi hanno facilitato la consultazione dell’opera.
  4. Firenze, Le Monnier, 1855: in 2 voll.; giá citato.
  5. Anche F. Maggini ha confermato la bontá di questa edizione e l’ha riprodotta integralmente presso lo stesso editore; collo svantaggio, rispetto al Milanesi, che molti dei segni di interpunzione, specie alla fine del verso, non sono stati impressi per insufficienza tipografica.
  6. I, LXIII e LXIV.
  7. a. II, sc. 4.
  8. Mi esprimo cosí perché talvolta nell’errata si registra come errore ciò che nel testo appare già corretto. Per esempio: a II, 122, l’errata corregge argivi in Argivi, mentre il testo ha già la maiuscola. Cosí a III, 11 odiosi in odiosi; a III, 69 di che temi, in di che temi?, tutti già corretti nel testo.
  9. Del resto sono attestate in antico le forme negghienza, negghettoso; e ad esse è facilmente riconducibile il rifoggiamento arcaico dell’Alfieri.
  10. Mi limito ad un gruppo di versi in cui l’iato è impossibile o fortemente improbabile.