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Trattatelli estetici/Parte terza/II. L'arte e l'artista

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Parte terza - II. L'arte e l'artista.

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II.

L’ARTE E L’ARTISTA.

Bene sta il tuo entusiasmo, o pittore, o musicante, o poeta, fino a tanto che distencli sulla tela i colori, che immagini cantilene, che accozzi rime; ma quando, deposto il pennello, lasciato il pianoforte, messa da parte la penna, li conduci fra le persone a parlare di bel tempo, di passeggi, di prime recite, ti convime mostrarti tutt’altro, e tornar uomo fra gli uomini.

Questo discorso, che nella sua conclusione troppo solleva e troppo deprime la condizione degli artisti, in quanto li fa da più e da meno degli altri uomini, si tiene comunemente dalle persone pensando di proferire sentenza molto assennala. E forse che, veduta nella corteccia delle parole, senza studiarne gran fatto il significato, possa aversi per tale con qualche giustizia. Ma chi si faccia a specolarvi un po’ addentro, e a tradurre, per cosi dire, il senso racchiuso in quelle parole, vengono esse ad esprimere presso a poco cosi: cessi il pittore d’esser pitlore, musicante il musicante, poeta il poeta, e via discorrendo. Ora, come si può ottener questo da chicchessia; e quando ciò non fosse impossibile ad ottenere, con qual ragionevolezza si può [p. 126 modifica]farne domanda? In tanto quel Tizio è pittore in quanto è Tizio e non altri.

Spieghiamoci bene. Credete voi che ad esser pittore si convenga prender in mano il pennello, immolarlo in non so che mistione di minio, d’indaco, di biacca o d’altra materia colorante, e poi lasciarlo andar su e giù per un pezzo di tela, cui si avrà avuto prima la pazienza e l’ingegno di tendere sur un telaio? Allora si, che, spiccati gli occhi da quella tela, e messo giù quel pennello, Tizio può cessare intieramente d’esser pittore, e tornarsene uomo come voi dite. Ma se l’armonia delle tinte la porta con sé, e nel più intimo della propria anima; se quell’altro, meglio che negli orecchi, ha nella propria anima gli accordi di cui le nere goccie d’inchiostro che frammette alle righe non sono che materiale rappresentazione, il vostro dire: cessate d’esser pittore o d’essere musicante quando venite fra noi, è un domandare che si contentino di schiantarsi il cuore, per farsi piacevoli a chi non ne sa di musica o di pittura. L’arte e l’artista sono inseparabili. Può ben egli dire esser dessa l’arte l’osso delle sue ossa, la carne delle sue carni, o meglio la luce de’ suoi occhi, lo spirito delle sue membra. A molti per verità può credersi che sia la tormentosa camicia di Nesso, che cagiona gli spasimi più acerbi delle loro viscere; ma cbe per questo? Possono essi levarsela dattorno? Rigettarla come si fa d’un vestito, per as[p. 127 modifica]sumerne un altro, o come una ghirlanda che si depone perchè coll’acuto suo odore non dia fastidio alle delicate narici d’una signora? Anche qui non mi sembra che gli uomini adoprino giustamente. Fin tanto che le opere d’arte lusingano i vostri sensi, distruggono la vostra noia, alimentano la vostra malinconia, volete trovar nel artista singolarità, entusiasmo, passione; guai s’egli nulla immaginasse di comune, se nulla vi ripetesse di quanto avete tutto il di sotto gli occhi! Terminato che avete di contemplare il quadro, di ascoltare l’arietta o la sinfonia, di leggere i versi; guai a quella singolarità, a quell’entusiasmo, a quella passione, che vi ha tanto allettato, e che fu da voi chiesta con tanto insistente desiderio! Mandate allora l’artista a prender aria fuori della porta, a passeggiar nel giardino, a discorrere colle nuvole e colle fontaue, o, s’egli vuole rimanersi tra voi, gl’ingiugnete di cessare dal detto al fatto da’ suoi sentimenti, dalle sue fantasie, di lasciar in somma d’esser quello ch’egli è, d’esser tale, quale si conveniva ch’ei fosse a provvedere ai diletti e ai conforti della grave e monotona vostra esistenza.

C’è però chi soggiugne a questo discorso: venga egli pure tra noi il figlio prediletto del la natura, ci venga colla sua fantasia, col suo entusiasmo, co’ suoi colori, colle suc note, colle sue rime; solo che si contenti che le sue idee [p. 128 modifica]si abbiano per estranee alla realtà, le sue opinioni per incompatibili coi casi della vita attuale. Anche questa, a dire il vero, mi sembra ingiustizia. Forse che tutte le cose non altrimenti debbano essere considerate che in numero, peso e misura? Forse che tra cosa e cosa non ci abbiano relazioni, le quali meglio si afferrino dalla vasta e rapida comprensiva dell’artista, che dalla lenta e limitata dell’ nomo ordinario? L’esperienza, dirà taluno, fa contro agli artisti, in quanto si vede non esser dessi quelli che più regolatamente conducono le cose loro. Sarei tentato a rispondere che in tanto questa esperienza fa contro ad essi, in quanto dei fatti loro prendiamo notizia, là dove di quelli degli altri si tace: ma, conceduto che le loro menti non siano sempre assestate come vorrebbe la regola del vivere comune, parmi che sia da distinguere fra la generalità de’ principii e le particolarità delle applicazioni, e potersi far qualche conto in un astratto ragionamento anche di quelle menti che nella pratica di esso principio medesimo si mostrerebbero le meno esemplari. Davvero che l’opinione da cui ogni cosa detta dall’uomo di vivace fantasia e di cuore appassionabile si vuole uscire de’ gangheri, non è punto utile agli uomini nei loro giudizii. E davvero che mi è tocco convincermi più d’una volta aver meglio saputo un pittore derivare principii di scambievole giustizia da’ suoi chiaroscuri, o un musicante dalle [p. 129 modifica]sue dissonanze, di quello certi dotti forensi dallo loro pandette. Oltre che, si credono essi questi siguori di non averla ancor essi la lor fantasia, di non averle ancor essi le loro passioni, che stravolgono e intorbidano l’opera de’ loro intelletti? O credono che nel parlare più o meno affrettato, nel gesto più o meno evidente, in qualche maggior o minor suffusione di tinta infocata per la faccia, stia il maggior o minor senno di un discorso? E non pensano che il contraddire a quanto s’è fin qui detto sarebbe far contro alla massima eterna ed universale: il buono ed il bello concorrere ad un medesimo fine, non potersi dividere che non si distruggano.

Oh! dunque avremo da soffrire ne’ racconti più comunali i colori smaglianti riserbati alle più solenni catastrofi della storia; e nessun discorso ci potrà esser fatto se non a piena orchestra e coll’accompagnamento de’ tamburi? Come in tutto, anche in ciò si domanda moderazione ed è giusto che si desideri una differenza tra pittore e pittore, tra poeta e poeta; ossia tra pittore che colorisce e pittore che narra, tra poeta che rimeggia e poeta che semplicemente discorre. Questo, lo ripetiamo, è assai giusto. Che anzi coloro i quali portano sempre in giro la loro tavolozza, o non aprono mai bocca senza invocare le vergini muse, è ragione che si credano piuttosto artieri che artisti. L’arte è [p. 130 modifica]intrinsecata nell’artista, egli è vero, e dere trasparire anche dal lacero saio, e dal modesto parlare; deve dirsi di lei come d’Erminia:

Non copre abito vil la nobil luce
E quanto è in lei d’altero e di gentile,
E fuor la maestà regia traluce
Per gli atti ancor dell’esercizio umile;

ma deve tralucere, non balzar fuori impetuosa e arrogante. Chi si mostra troppo abbondante a parole è vecchio proverbio che viene povero ai fatti ma le parole, nel giudizio di chi rettamente discerne, sono indizio de’ fatti. Discreziome, torno a dire, discrezione negli artisti quando lasciano il loro studio, e in quelli che non sono artisti quando hanno a trattare con essi di cose che non sono l’arte. Anche l’artista è uomo; ma l’artista non sorge al comando dell’uomo.