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Trattatelli estetici/Parte terza/I. Il merito e le circostanze

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Parte terza - I. Il merito e le circostanze.

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Parte terza - I. Il merito e le circostanze.
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I.

IL MERITO E LE CIRCOSTANZE.

La principal donna, quanto a studii, che vantar possano tutti i tempi, disse non so che giorno al principal guerriero del nostro tempo, e forse di tutti i tempi: molti uomini esser falti grandi dalle circostanze, a cui l’altro rispose essere gli uomini grandi che fanno a sè stessi le debite circostanze. Di qui avrò cagione a parlare di certi giudizii che si pronunziano intorno a tale o tal altro uomo, e agli scrittori singolarmente. Che cosa non sarebbe mai diventato quel Pietro se...! Non mancò a Lucio per toccar l’eccellenza fuorchè...! Il fatto da Caio è un nulla, o appena mezzo quel tanto che avrebbe potuto fare, dato che...! Il contraddire a siffatte lodi, oltre all’essere sommamente difficile, [p. 117 modifica]attesa la contingibilità somma degli avvenimenti che si presuppongono, è anche sommamente pericoloso per quella specie di scortesia che dimostra, almeno nell’apparenza, chi nega ad altri fiu anco la possibilità del far bene. Ma esaminiamo un poco pazientemente la sostanza di siffatte lodi, senza contentarci di rimanere alla sola corteccia.

Non sarebbe egli vero che in questi encomii prodigati sotto la condizione di ciò che poteva accadere, e, come a dire, in ispirito di profeta, ci avesse un qualche pascolo la nostra malignità, o per lo meno quella certa ritrosia che sentono gli uomini per la più parte, a lodare a pieva bocca i loro fratelli? In quel mentre che andiamo dicendo ciò che altri poteva fare, non veniamo senz’accorgerci ad annoverare minutamente quello che altri non fece? È celebre un’ottava di un moderno licenzioso poeta, nella quale sono malignamente accennate l’imprese che un monarca (da cui per altro quel cosi franco poeta tirava stipendio, o di cui almeno brogliava la protezione) ebbe in animo di fare e non fece. Questi discorsi, ue’ quali si pesa il merito di tale o tal altra persona, e, come s’è detto, degli scrittori singolarmente, sono presso a poco del tenore di quell’ottava. Con quanto coraggio dopo siffatte lodi apparenti non si viene a notare i difetti, avendo accaparrata con quel panegirico preventivo più che sufficiente credenza al[p. 118 modifica]la critica che succede! Come puossi di fatti presumere slealtà o sfavorevole anticipazione di giudizio in chi comincia dall’accordare a quel tale cui sottopone ad esame, oltre quanto ha egli operato, e forse forse gli è mai venuto alla mente? Ma qui ancora il provar troppo egli è lo stesso che provar nùlla; e per combattere il merito vero chiamiamo in soccorso il suppositizio.

Non sempre però, e non da tutti, si lodano le possibili virtù del prossimo con questo poco caritatevole intendimento. Ci hanno di quelli il cui amore va tanto innanzi, che, non contenti di ciò che veggono realmente nell’oggetto amato, ci mettono quel tutto del proprio che più e meglio sanno, e sopraccaricano di ornamenti fantastici il loro idolo per guisa tale da occultarne fin anco le vere e originali sembianze. A questi stemperati lodatori di buona fede vuolsi avvertire essere anche questa una frode secreta dell’amor proprio, per cui, senz’accorgerci, facciamo pubblica professione de’ nostri sentimenti, e, anzichè quella d’altri, l’apoteosi di noi medesimi. Di fatti quel tanto che sotto la semplice condizione della possibilità viene da noi attribuito ad altrui, egli è bene spesso non altro che ripetizione di quelle virtù che da noi sono tenute in maggior conto, e delle quali ne piacerebbe trovare in altri l’esempio. E questa anche una buona, quantunque indiretta, maniera di gettarci a combattere con più sicurezza ciò tutto che [p. 119 modifica]da noi si stima contrario all’eccellenza, o atto per lo meno a ritardarne il conseguimento. Fosse il tale vissuto in altro secolo! (La critica del secolo in cui quel tale è vissuto è bella e fatta). Avesse meno ascoltato i consigli di messere N.! (Vorreste voi essere quel messere N. che da va consigli?) Furono i maestri che traviarono dal retto cammino il giovine ingegno. (Poveri que’ maestri!) E via discorrendo.

Confesso candidamente, che dopo avere con qualche pazienza esaminata la vita di molte persone, e paragonati fra loro i risultamenti diversi ai quali pervennero, poste le medesime condizioni, diversi uomini, mi sento molto inclinato a conchiudere che in generale fa ciascheduno quel tanto ch’egli può fare, tolta la morte che, abbattendo appunto in sul meglio della vegetazione molte care e nobili piante, può aprire il campo a qualche ragionevole congettura. Chi volesse, secondo sogliono fare que’ siffatti panegiristi di cui ho parlato finora, mettersi a discorrere colla scorta delle presunzioni, troverebbe molto facilmente di che accordar tutto a tutti. E chi non ha avuto in sua vita circostanze di persone e di cose, di tempi o di luoghi, di fisica o morale natura, dalle quali non sia possibile di dedurre molto arbitrarii risultamenti? E non sarebbe per altra parte pensiero troppo afflittivo l’umana razza, e per poco non dico ingiurioso a chi ne è l’autore, il supporre che alla più par[p. 120 modifica]te degli uomini sia tolto di fare quel tanto a cui l’indole delle loro forze poteva rispondere? Ben si vede che qui non si parla dell’impossibilità congenita all’umana natura di raggiugnere la perfezione, per la quale travagliati sempre l’animo e l’intelletto da una continua battaglia di desiderii, possiamo bensi giudicare quanto ci siano rimasti addietro i nostri fratelli, ma non quanto ci stia ancora lontana la meta a cui agogniamo, senza speranza di poterla mai arrivare. Lasciata dunque da parte questa impossibilità assoluta ed universale, ristringasi il nostro discorso a soli quegli ostacoli, tuttaffatto relativi e particolari ad ogni individuo, che possono da esso vincersi o rimanere insuperabili secondo la forza e il coraggio a lui proprii. E dico appunto intorno a questi, che opererà saviamente chi trovi in essi non più che una misura a giudicare della potenza onde altri era da natura privilegiato.

Ma passiamo alcun poco dall’aridità degli astratti discorsi a qualche piacevolezza d’esempi. Dicesi per esempio di uno scrittore, il quale abbia disperse le facoltà del proprio ingegno in molto varie dottrine: oh i miracoli che se ne sarebbero veduti, ove tutte quelle facoltà fossero state raccolte in un unico intento! Vorrei prima sapere che bizzarro modo di ragionare sia questo, cominciando dallo snaturare le cose prima di favellare. E per verità tanto è dire [p. 121 modifica] avesse il tale ch’ebbe l’animo a molte cose, pensato ad una sola, quanto dire: fosse stato altro da quello ch’egli era. Chi vi ha detto per altra parte che appunto dall’aver egli morsecchiato quando d’una, quando d’altra scienza, non gli sia venuta quell’attitudine di considerare gli oggetti nelle loro relazioni più disparate, e per conseguenza quella maniera si larga e assoluta di ragionarne? So di non dir cosa nuova scrivendo che da lato di ogni umana virtù cresce la pianta di un qualche vizio, se già non rampolla sullo stesso pedale, per modo che il domandarne la recisione è un domandare la morte di tutta la pianta. L’insofferenza della lima, dicesi di uno scrittore d’amene lettere, gli tolse di ottenere la celebrità somma a cui sarebbe giunto pel calore che spirano le sue scritture; e quel calore, domando, non era forse affratellato con quella insofferenza? Posto Torquato nel fervore degli anni, poco curante, o ignaro per anco, di certi dotti lambiccamenti a’ quali obbedì in altro tempo, ne avrete la Liberata; accordategli uno studio soverchio di perfezione, una timida soggezione agli esempi e alle sottilità aristoteliche, vieppiù sempre assottigliate dagli alchimisti della letteratura, che per trovar l’oro immaginario profondono il vero, e ne uscirà la Conquistata; misero cambio dell’Odissea, onde poteva essere illustrato il tramonto di quel bel sole, il cui meriggio, se non forse [p. 122 modifica]l’aurora, ci aveva dato l’Iliade. Non avesse, odo dir taluno, badato alle censure de’ Cruscanti! E potrebbesi anche per ciò stesso soggiugnere: non avesse creduto di potere, egli semplice cavaliere, amoreggiare Eleonora! E addio boschetti di Armida, ove la potenza creatrice della fantasia per poco non rende credibili gli effetti della magica verga; addio vivo e profondo sentimento dell’umana miseria che fa Argante pensoso sulla caduta della città regina antichissima di Giudea; addio sentimento dell’umana grandezza a cui non sono limiti bastanti l’erculee colonne, quando sorga Colombo irrequieto ricercatore di un nuovo mondo.

Questo quanto alle condizioni personali, intorno alle quali non avrò forse chi voglia contraddire gran fatto alla mia proposizione; ma lo stesso discorso può farsi eziandio intorno alle circostanze esteriori e separate dalla persona. Affinchè sia trovata vera anche questa seconda sentenza, pregherò i miei lettori a considerare come pressochè sempre esse circostanze esteriori siano poco meno che immedesimate col naturale degli uomini. Sicchè tanto è quello che danno quanto egli è ciò che ricevono da loro; e potrebbesi appunto ritrarne il più sicuro argomento a far giudizio del genio (passi o no la parola pel vaglio fiorentinesco) in paragone del semplice ingegno. Soggiogato il genio in alcuna parte dall’influenza dei tempi e dei luoghi, sog[p. 123 modifica]gioga esso pure per altra parte, influendo sui tempi e sui luoghi: ma l’azione operata da altri gli conviene partirla di presente in sè stesso; e ciò ch’egli opera in altri, e sarebbe conforto a’ suoi duri travagli, non può le più volte vederlo, fuorchè cogli occhi della speranza nell’avvenire ! Le discordie che laceravano la patria e furono cagione al suo bando, tennero il cuore dell’Allighieri in continua agonia di speranze e di sdegni magnanimi; ma chi oserebbe augurargli i riposi di poeta pensionario, o di sapiente che detta aforismi tanto per anno? A comporre la cantica divina si richiedeva l’esilio; e a molti de’ posteri è venuto l’esilio per aver assai letto ed appreso di quella cantica! E vide bensì l’Allighieri il cipiglio de’ signorotti che gli domandavano qual divario corresse tra lui, primo ingegno della nazione, e il giullare parassito; e gli fu forza di sofferire la compagnia malvagia e scempia atta a mortificargli la onesta alterezza dell’infortunio: ma non gli fu conceduto di vedere come la forte materia che aveva trattato fosse per convertirsi, convenientemente digesta, in vital nutrimento alle lettere ed al costume.

Non ho toccato finora che l’argomento degli studii, e di questi mi sono limitato ai poetici e letterarii, semplicemente; ma con la medesima regola per questi adoperata si può discorrere di ogni altra specie di azioni. E davvero che il dire che si [p. 124 modifica]fa da moltissimi: il tale sarebbe generoso se... al tal altro non mancherebbe ad essere gentile fuorchè... egli è nè più nè meno che il dire: la poca eleganza di quello scrittore sarebbe stata moltissima, non se gli rimproverebbe il soverchio studio o la soverchia licenza, quando altre fossero state le circostanze della sua educazione e della sua vita.

Non vorrei tuttavolta che si credesse aver io colle mie parole tolto l’adito a chi vuole mostrarsi ad ogni costo indulgente col prossimo, attribuendo alla qualità delle circostanze ciò che forse più ragionevolmente sarebbe da riferirsi all’indole delle persone. Quanto da me si è detto in generale non esclude la possibilità di alcune particolari eccezioni, e cercando di metter sull’avviso chi ne avesse bisogno sopra un errore degli umani giudicii, mi spiacerebbe avere spianato il sentiero ad incorrere nell’errore contrario. Tenghiamoci, se ci è dato, nel giusto mezzo; e senza immaginare o presumere i fatti, per fondare su d’essi i nostri giudizii, usiamo una qualche discrezione nei giudizii che intorno ai fatti veri ed esistenti ci accade di pronunziare.