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Trattatelli estetici/Parte terza/III. Ragguaglio delle menzogne degli scrittori

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Parte terza - III. Ragguaglio delle menzogne degli scrittori.

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Parte terza - III. Ragguaglio delle menzogne degli scrittori.
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III.

RAGGUAGLIO DELLE MENZOGNE DEGLI SCRITTORI.

Ufficio degli scrittori parrebbe dovesse esser quello di raddrizzare le torte idee dei lettori, spogliarli di sentimenti riprovevoli, e arricchirli di onorati in generale impadronirsi degli auimi [p. 131 modifica]e delle menti loro, e rimodellarli secondo le regole del buono e del bello. I lettori dal cauto loro dovrebbero accostarsi ad un libro con tranquillità di mente e con certa specie di riverenza per l’autore, disposizioni necessarie a rimanere convenientemente impressionato da ciò che loro indi si affaccia nella lettura. All incontro sogliono il più delle volte i lettori presumere di trovare nei libri non ciò ch’è di fatto, ma ciò che può loro tornare ai versi; e per altro lato gli scrittori attendere a piaggiare le opinioni e le passioni prevalenti al loro tempo, e da cui possono credere occupati i proprii lettori. Scambiate per tal guisa le parti, gli autori obbediscono in luogo di comandare, come dovrebbero; e i lettori, anziché condursi con animo di discepoli per rimanere ammaestrati, assumono aspetto di giudici per sentenziare. Il merito quindi di molte opere a nulla più si riduce che a rappresentare indirettamente l’indole del tempo in cui furono scritte, e la letteratura, in luogo di mostrarsi nella fronte del secolo come sovrana e reggitrice di quello, si contenta di allogarsi alla coda in sembiante di povera, e, ch’è peggio, di vilissima ancella.

In seguito a queste considerazioni, le quali non mi mostrano, credo, gran fatto partigiano degli scrittori, in quanto abbassano la dignità del loro ministero, mi viene voglia di discorrerla un poco coi lettori, e giustificare taluno di que’ difetti [p. 132 modifica]onde sono da essi più ordinariamente accagionati gli autori. Gran menzogne si leggono, dicono essi, in tutti i libri! Si signori: ma le cagioni di questa, ch’è senza dubbio una grave colpa in chi scrive, non sono da cercarsi, più che altrove, nell’animo e nell’intelletto dei lettori? Facciamone un poco di esame.

Quando taluno si fa a leggere un libro, o uno scritto per breve che sia, non foss’altro un articolo di giornale, si trova egli mai vacuo di preoccupazioni, e con quella mente pacata che pur vorrebbe ragione? Come s’è detto, chi è che non cerchi, ponendosi ad una lettura, di trovarvi pascolo alle proprie passioni, o puntello alle opinioni proprie, anzichè ammaestramento o consiglio? Ma si risponde, egli è appunto ufficio dello scrittore di sterpare dall’intelletto le idee non giuste, ciò che non si potrebbe fare ove le idee suddette non ci fossero in prevenzione. E potrà mai questo ottenersi, soggiungo io, chi voglia farla soltanto da giudice, e per lo più delle semplici qualità esteriori, come sarebbero gli ornamenti dello stile, la vivezza delle immagini e dei paragoni, e somiglianti? Bisogna pur compatire il povero diavolo di scrittore se sapendo di aver a che fare con siffatto genere di lettori, i quali non altro meglio desiderano che di essere allettati, li lascia marcire nella loro ignoranza, contentandosi di grattare gli orecchi e di far spalancare un tanto d’occhi colle proposizioni [p. 133 modifica]più esagerate. Tutto sta nel guadagnarsi l’attenzione, e questa attenzione non si guadagna che per mezzo di ciò ch’è esagerato, o secondo la moda. Sono ben lontano con ciò dal fare l’apologia degli scrittori bugiardi; quando ho detto che si vogliono per certo rispetto compatire, li ho già dichiarati colpevoli; chi non ha colpa non ha bisogno di essere da chicchessia compatito. Dirò anzi in questo proposito agli scrittori, che il cozzare colle prave costumanze del proprio tempo, il riferirsi sempre col pensiero a un tempo migliore, e l’indirizzare quanto si scrive al buono ed al bello immutabili in ogni stagione, anziché a quelli vani e fittizii di uno o di altro secolo, non può essere senza gloria, tarda bensi, e postuma il più delle volte, ma sola degna di essere desiderata, e durevole quanto il mondo una volta che sia raggiunta. A quelli poi fra i lettori, che fossero renitenti ad accordare agli autori i compatimento onde abbiamo parlato, mi permetterò di fare la seguente interrogazione: signori miei, di quelle menzogne onde accagionate il facitore di libri, non sareste per avventura rei voi medesimi nei vostri abituali discorsi? Non contemperate tutto giorno le vostre parole non solo, ma ben anco le idee, secondo il gusto di quello da cui vi preme di essere ascoltati? Ora perchè vorrete negare altrui quel perdono di cui abbisognate voi stessi? Non vi è egli mai accaduto di cominciare un [p. 134 modifica]racconto, e al vedere che, dette le cose come sono e nulla più, nessuna commozione si manifesta negli uditori, ficcarvi qui e qua, alcun che del vostro, e dove aggiugnere, dove toglicre tale o tal altra cosetta, a ciò che sarebbe stata la semplice verità? Ho più d’una volta udito rispondermi da taluno, a cui mi occorse di rinfacciare qualche inesattezza in questo genere: eh! sono gli scempi che ripetono le cose a puntino; e a voler dilettare chi ascolta, bisogna, senza alterar la sostanza delle cose, usare un po’ d’artifizio intorno a quelle che sono mere accidentalità. Per verità mi sono tanto avvezzato ad indovinare una simile risposta, che quantunque in mio cuore faccia sempre delle recisioni, a misura dei casi e delle persone, a quanto mi viene udito, non mi attento però mai di movere il lagno surriferito. Mi sono accordato tacitamente con tutti gli altri metterci sempre on poco del proprio ne’ loro racconti, io levar sempre alcun poco da quanto mi dicono; e trovo che la partita rimane per lo più ragguagliata secondo giustizia. Ora perchè non perdonare al povero scrittore quella specie di spavento che deve coglierlo quando, mettendosi al proprio tavolino per raccontare le cose quali sono, si sente anticipatamente proverbiare da una folla di lettori in questo modo: oh bella! Che cosa ci viene egli a contare? La è vecchia quanto la luna! E ci vogliono libri a sapere cotesto? - Ma, signo[p. 135 modifica]ri, quanto io dico è appunto l’opposto di quanto siete soliti di dir voi in ogni tempo, sicché sembra che nol sappiate, o che non ne siate persuasi. — E vuoi persuadercene con sì grame parole? Baderemo a te che ci parli come vien viene, e senza nessuna di quelle frasi che pizzicano il cervello; mentre Flavio ci spiega innanzi quei suoi bei paroloni di moltiplice significato, quelle sue immagini così pregne d’allusioni, ci scuote in somma, ci stuzzica, ci diverte? - Ma, signori, Flavio non sa quello che si dica; que’ suoi paroloni non vogliono dire piuttosto una che altra cosa, sono buttati nel discorso come la gragnuola, a caso, senza distinzione di sito, e gramo il campo dov’essa batte quelle sue immagini sono tronfie, non hanno relazione al soggetto, non lo dichiarano ma lo avviluppano... — Che gragnuola, che relazione, che avviluppare? Flavio ci dà nell’umore, ci fa udire qualche cosa di nuovo, e noi abbiamo bisogno di novità, di novità, di novità. — Ma il vero è sempre vecchio e sempre nuovo ad un tempo. — Dottrine rancide, sofisticaggini, metafisiche: c’è un vero che mette la barba, e questo ci secca. Vogliamo le verità nuove, e chi ci ricanta le vecchie si contenti che i suoi libri ci servano di guanciale per adagiarvi la testa e trovare il sonno più facilmente.

Abbiamo finora parlato di ciò, che, quantunque proceda dall’ordinario costume de’ lettori, è tuttavia grandemente riprovevole negli scrittori: so[p. 136 modifica]no ora da notare alcune menzogne, delle quali si mena pure un grande schiamazzo, e non ne meriterebbero in verità più che tanto. Non sonovi anche nelle società alcune formule pattuite, le quali altro dicono, altro significano? Quando vi proferite umilissimo servitore ad un tale, si provi egli ad ordinarvi di fare questa o quell’altra cosa per esso, come userebbe col servo il padrone! Oh il gran piacere che ho di vederla! sclama Terenzio, a Saverio, entrato nella stanza a cagione della stolidezza del cameriere, che non seppe eseguire il comando del suo padrone, che voleva non essere in casa. E per questo diremo che Terenzio sia un bugiardo? Sono modi di dire, si risponderebbe. E questi modi di dire non ci devono essere anche per gli scrittori? Ad un tale che mi regala le sue prose o i suoi versi, sieno pure prose o versi da farne manti alle acciughe, dovrò io rispondere: oh la gran stolta cosa che mi avete regalata! Oh il gran pezzo d’asino che siete a scrivere di siffatte corbellerie! Eppure la schietta verità vorrebbe che si rispondesse questo e nou altro. Bene s’intende che anche in ciò c’è la sua via di discrezione, e quantunque sia stravaganza il pretendere che si risponda con villanie a chi si studia di piacervi, è giustizia il volere che siano bandite quelle frasi: oh la bella cosa che mi ha dato a leggere! È tal novella che il Boccaccio la torrebbe per sua! Da Gozzi in qua non ho letto più frizzante sermone! La lettura [p. 137 modifica]del suo libro mi ha fatto dimenticare la gotta che da quindici giorni mi molestava. Continui, di grazia, continui a scrivere per consolazione de’ suoi amici, e per onore d’Italia. Simili frasi escono dalla periferia delle sociali convenienze, meritano di essere censurate e derise, quando sieno adoperate fuor di proposito, ciò che accade, vaglia il vero, assai di sovente.

Mi rivolgerò alle più veritiere, o che tali esser dovrebbero, fra le persone; ai mercatanti. Non conoscono essi nelle monete un valore reale, ed un altro di semplice convenzione? Non cambiano questi valori ad ogni poco? Facciamo conto che anche in quanto si scrive bisogna usare questa industria: le parole hanno un valore intrinseco, ed un altro di convenzione, quel primo rimane inalterabile, quest’altro è soggetto a mutamenti spessi e diversi. Qui mi si affollano gli esempi sotto la pena: ma io non ci ho in breve più spazio. Veggasi, in generale, se le parole che suonavano rispettate e temibili trent’anni sono, producano al di d’oggi il medesimo effetto. E perchè vorrassi anche di ciò farne carico allo scrittore più di quello ch’egli si merita? In questo conto egli può fare ritratto del proprio tempo, questa è quella parte del colorito delle proprie opere che deve essere contemperato al punto di luce sotto il quale ha da rimanere esposto il suo quadro. Mi facciano ragione, ripeto, le più veritiere fra le persone: se [p. 138 modifica]anch’esse hanno, a così dire, un doppio linguag-e gio nei valori delle loro carte e delle loro monete, perchè no gli autori nei proprii dettati? Che bella cosa da pubblicarsi ad ogni cinquant’ anni, la tariffa delle parole e delle frasi più abituali negli scrittori, col ragguaglio dell’odierno valore a quello d’altro tempo! E le contraffazioni? E le monete fuori di corso? E quelle di bassa lega? Offro questo argomento a qualche pratico e ingegnoso scrittore. Il commercio delle idee vorrei credere che fosse anch’esso meritevole di qualche considerazione, quindi il conoscere anche su questo proposito il listino della piazza non sarebbe cognizione da disprezzare. Il predetto pratico e ingegnoso scrittore si ponga all’impresa, ed io mi arrischio a promettergli un buon numero di associati.