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Trattatelli estetici/Parte terza/IV. Di alcune accuse date agl'ingegni creatori

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Parte terza - IV. Di alcune accuse date agl'ingegni creatori.

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Parte terza - IV. Di alcune accuse date agl'ingegni creatori.
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IV.

DI ALCUNE ACCUSE DATE AGL’INGEGNI CREATORI.

Nelle storie intente a descrivere i progressi dell’umano sapere troppo frequentemente si trovano regalati i titoli di fantastico, di bizzarro, di stravagante agl’ingegni creatori; le più volte senz’altro processo preventivo che la semplice relazione di alcuno storico, o il rapido esame fatto ad opere che domanderebbero assai lunga [p. 139 modifica]ed accurata disquisizione. Per altra parte le lodi si riserbano tutte a chi ha trovato modo di perfezionare le invenzioni degli altri, a quella guisa che all’America scoperta da Colombo, altri, che gli fu secondo nel tempo, e possiamo anche dire nella vastità della mente e dell’animo, ebbe la gloria d’imporre il nome. Di questi due generi d’ingiustizia il secondo è quello di cui dobbiamo molto meno meravigliarci, essendo la mediocrità una pietra molto simpatica, e parendo alla più parte degli uomini d’aver innalzato sè stessi, quando gli omaggi che sono pur costretti di tributare abbiano a soggetto una divinità fabbricata colle proprie mani.

Non si avvisasse per questo taluno di credere che da me non si presti il debito culto a chi, ricevendo le greggie materie, le dirozza e polisce per modo da renderle all’occhio ammirabili, e piacevoli al tatto, e so benissimo che molte grandi e vantaggiose invenzioni sarebbero rimaste oscure ed inefficaci tra le carte di chi le trovo, senza la paziente sollecitudine di quelli che in miglior lume le posero, e, quasi nuovamente scoperte, le presentarono agli occhi dell’universale. Sia lode a chi è stato e sarà per l’avvenire da tanto: solo che non si voglia confondere il midollo colla corteccia, il metodo colla scienza; e che mentre da un lato, di un menomo che aggiunto ad un’idea fondamentale si leva romore, e, come a dire, si suonau le trombe, non vogliasi poi [p. 140 modifica]perdonare ai tracolli, fossero pure de’ madornali, di chi ha immolato la fama, e spesso la propria vita al rintracciare un qualche vero, che il forse gli è fuggito dinnanzi quando ci avea sopra la mano, nè altro più occorse al successor fortunato che alcun poco allungarla per afferrarlo.

E desidero ancora che non si confonda il magnanimo ardire di chi, fra sè e sè ripetendo con onesto disdegno il semper ego auditor tantum, si fa a disboccare incognite strade, impresso l’animo di quel detto che il savonese Chiabrera imparava dal suo famoso concittadino, trovar nuovo mondo o affogare, con chi, stimolato da un pazzo desiderio di novità, bada più alla strada che al fine, e pur di apparire insolito non teme vergogna, simile all’istrione che per la smania de’ battimani si lorda il muso e cammina sui calcagnini. In cotestoro P l’originalità è artifiziata e diremo anche immorale. Ci hanno all’incontro altri ingegni per modo organati, che la certezza è madre per essi del dubbio, e questo di quella, finchè passando d’ uno in altro gli anelli della gran catena che ad umano intelletto non si concede di tutta com- 0 prendere, vanno finalmente a cozzar nel sepol-a cro, affaticati e famelici di dottrina. A questa s particolare natura di alcuni sapienti, o studiosi di sapienza che vogliamo chiamarli, dovrebbesi guardare come a coloro che nacquero vittime della civiltà universale. [p. 141 modifica]

L’uomo è animale credulo e curioso ad un tempo; ama l’attività dell’intelletto, e poscia, illuso nelle sue ricerche, si stanca e gode riposarsi nella credenza. Suol dirsi comunemente, c non senza ragione, che la verità, come prima si manifesta alla mente, di sè la innamora, a quella guisa che scriveva Platone della bellezza eternale; ma appunto come gl’innamorati sbigottiscono e vanno in tremore alla vista della loro donna,

          (Quante volte diss’io
          Allor pien di spavento:
          Costei per fermo nacque in paradiso!)

gl’inventori di cui parliamo rimangono confusi di maraviglia, e poco meno che tramortiti, all’affacciarsi di quel vero, di cui vanno in cerca con amore si lungo ed appassionato.

          (So della mia nemica cercar l’orme,
          E temer di trovarla.)

Qual maraviglia che uguali e più notabili effetti essa verità abbia a produrre in chi la riceve inattesa, e presentata dagli altri?

A questo sbigottimento, a questa perplessità vuolsi attribuire ciò che spesso si chiama, con giudizio troppo avventato, confusione e stravaganza di pensieri, e barbarie di stile. Molto a[p. 142 modifica]cutamente un amico nostro notava in questo proposito: l’uomo d’ingegno vede le cose per analisi, l’uomo di genio per sintesi; questa mi par la cagione per la quale l’uomo di genio è più veloce nel ragguagliar cosa con cosa e nello spiare la occulta armonia che lega il tutto. Affaticato da questa velocità necessaria è raro che l’uomo di genio riesca scrittore compiuto, perchè è sempre maggiore il volume della concezione, che la somma delle parole.

E tuttavia lo stile degl’inventori nella sua rozzezza avrà sempre alcun che di espressivo e calzante, che indarno si cercherebbe nelle lambiccate scritture di chi lavora di tarsia, giovandosi degli altrui pensieri. E soggiungerei, se non fosse che io temo un po’ spinta la frase, ci hanno alcuni errori molto più fecondi di utilità alla specie umana, che non sono per avventura talvolta le verità stesse. La verità, s’è già detto, non è possibile che si palesi nella sua interezza al nostro intelletto; l’ommissione o lo scambio di una idea intermedia, bene spesso non più che di una parola, imprime il carattere di sofisma ad una proposizione, che dovrebbe per altra parte riceversi da chicchessia come assioma de’ più incontrastabili.

Egli è forza pertanto di conchiudere che ci hanno alcuni ingegni, i quali non si devono pesare con la bilancia medesima onde molti altri; e a questo fine è da esaminare l’indole di quegli [p. 143 modifica]ingegni più ancora che le cose per essi prodotte. A taluni l’infelice bisogno di trovar nuovo mondo fu cagione dell’affogare, ma a questi Curzii dell’umano sapere non daremo, se non altro, la nostra compassione? O ci affolleremo, stolidamente ingrati, a bestemmiare la loro memoria sull’orlo di quella fossa che da essi ci fu otturata col lanciarvisi dentro animosamente, mentre non avremmo osato appressarla quand’era aperta e mandava fumo e romore? E que’ miseri, o splendidi ingegni, che sia meglio chiamarli, perdonino ai loro simili la non curanza in cui gli lasciano lungamente, e pensino che ad essere veduto nelle naturali sembianze bisogna ridursi dal monte alla pianura dove abitano gli altri uomini, e che l’esser veduto con proporzioni fuori dell’ordinario è più facile che ingeneri maraviglia o sbigottimento, che amore.