Varenna e Monte di Varenna/Secoli XIX e XX/Andrea Brenta

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Andrea Brenta

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Secoli XIX e XX - Anno 1848 Secoli XIX e XX - Anno 1866

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NOTIFICAZIONE


Andrea Brenta, nativo di Varenna, provincia di Como, d’anni 37, cattolico, ammogliato e padre di nove figli, di professione oste:
Giovanni Battista Vittori, di Saltrio, provincia di Como, d’anni 28, cattolico, celibe, falegname di professione, ed
Andrea Andreetti, di San Fedele, Provincia di Como, d’anni 27, cattolico, celibe, di professione carrettiere,


convinti, dietro i fatti raccolti in parte nella loro confessione in parte da testimoni, il primo di aver preso parte alla insurrezione della valle Intelvi sul finire dello scorso anno, essendosi portato colle armi alla mano contro l’I. R. armata austriaca d’essersi, nel marzo prossimo passato, durante la breve assenza della truppa austriaca, recato a Como d’ordine del marchese Raimondo e Nessi per distribuire proclami rivoluzionari armi e munizioni nella provincia - e di avere imposte delle contribuzioni in diversi comuni: gli altri due - d’essersi trovati in compagnia del Brenta, non solo quando il medesimo si permise d’imporre le contribuzioni forzate, ma ben anche all’atto del loro arresto, in possesso sempre d’armi e munizioni, vennero tutti e tre, per sentenza del giudizio statario del giorno 11 aprile 1849, in causa di partecipazione a sommosse con armi, intelligenze col nemico, diffusioni di proclami rivoluzionari, contribuzioni violentemente imposte, detenzione e spedizione di armi e munizioni, secondo il senso del proclama 10 marzo 1849 di S. E. il feld-maresciallo conte Radetzky, condannati a morte mediante la fucilazione che venne sopra di essi oggi stesso eseguita1.

Como 14 aprile 1849 Firmato Poppovich, colonnello.

Sulla morte del Brenta si sono pubblicati molti particolari che esaltano la sua bella figura.

Gaetano Ferrabini così descrive gli ultimi istanti della sua vita:


«Brenta, il caldo patriotta, l’iniziatore di quell’insurrezione andò incontro alla morte da coraggioso ed intrepido siccome aveva vissuto. Egli contava soli 37 anni. Sul luogo del supplizio, che fu il piano della Camerlata, stringendo la Croce, simbolo del comune riscatto, rivolse al popolo efficaci parole di fede sulla redenzione della patria nostra, e moriva come muojono gli eroi, ricusando aver bendati gli occhi, poichè il morir per la patria non l’atterriva, e gridando: Viva l’Italia! Lo stesso ufficiale austriaco che dovette comandar fuoco sopra [p. 324 modifica]di lui, fu talmente commosso da cotanto patriottismo ed intrepidezza, ch’ebbe a dire, che se gli fosse stato possibile, avrebbe voluto ad ogni costo salvare la vita di quel magnanimo. Mentre veniva tradotto al luogo della esecuzione, al Giuseppe Manzoni che doveva subir l’egual pena e che si lamentava di dover per quel modo morire, così francamente parlava il Brenta: «Taci e tienti contento, che anche tu hai fatta la tua parte!».


Un altro racconto che sembra veritiero è contenuto nella seguente lettera:


Como il 1° luglio 1849     

Caro G.

Onorato dell’incarico d’assumere alla sorgente i particolari del martirio dello sventurato patriotta Brenta, eccomi a dartene veridica informazione, della quale mi offro a sostenerne a spada tratta l’autenticità in luogo di colui che fu parte integrante alla scena, il quale vuole per certe sue ragioni godere riservatezza del nome.

Io considererò il povero Brenta sotto il triplice aspetto di padre, di cristiano e di eroe. Padre, fu incessantemente occupato dal pensiero de’ suoi figli; esso dispose con caratteri propri dello scarso peculio sfuggito a caso dalla vendetta e dalla rabbia de’ suoi nemici; cristiano depose con umile rassegnazione al ministro di Dio le sue colpe, e ne sentì religioso dolore; eroe sfidò collo sguardo i suoi carnefici, senza neppur degnarli di una parola. Nessuna specie d’insulto gli fu risparmiato chiamandolo con derisione: generale capobrigata ecc. non disgiunto dagli addiettivi: assassino, ladro, ecc.

Non mai rispose alle lusinghevoli parole colle quali tentavasi di strapparli il nome di qualche complice. Lettagli la sentenza che ascoltò con magnanima fermezza, quasi l’interruppe sulle ultime parole esclamando: «Ed i miei nove figli?» e spassò in giro lo sguardo sugli astanti; non parlando il comandante, nessuno parlò. Ripetè più fieramente, rompendo quel crudele silenzio, anco una volta quelle magiche parole, senz’altro effetto fuor quello di farsi accostare il confessore, che con blande parole e colle lagrime agli occhi gli moderò quella modesta sollecitudine...

Fu condotto al luogo del martirio taciturno e franco.... ginocchioni recitò l’ultima prece... (oh! salga al cielo); col prete cambiò poche parole degl’interessi di sua famiglia... ebbe bendati gli occhi... già s’allontanavano tutti per lasciar luogo all’esecuzione, quando ancora la sua voce parve chiamare il sacerdote: questi s’accosta, ed anche il comandante, il Brenta; l’apostolo, l’angelo.... disponeva degli abiti che indossava. Una tale particolarità mostra a qual punto giungesse la presenza del suo spirito. Non posso più dirti, mi si spezza il cuore.

A chi volle fare dell’infelice un triste ritratto, colga la maledizione; essi, inscienti della condotta estrema di quell’infelice, dipingendola a [p. 325 modifica]neri colori, mostrarono il proprio ritratto, vollero in altrui vedere rappresentata la propria viltà e ributtante scostumatezza. Cosa che il confessore potè dire senza mancare al proprio istituto, onora all’ultimo grado il martire, assicurando di aver perdonato ai suoi nemici e d’essersi fatto scrupolo di poter pronunciare un’accusa contro il suo simile.

Nel suo processo ha sicuramente mantenuto quella costanza d’idee che mostrarono i suoi principi nella sua carriera, e che punto non ha smentiti, anzi illustrati colla sua morte. I particolari del suo processo, cui è affatto impossibile di conoscerli, dovendosi in tal proposito interpellare il comando militare e dal quale per nessuna ragione si potrebbero ottenere.

Il tuo L.     


Felice Venosta racconta anche quest’altro episodio.

Saputo il Brenta che la moglie e i figli si erano recati dal Colonnello Pappovich chiedendoli la sua vita disse: «non avrei accettata la grazia da un tedesco, i miei figli mi vendicheranno».

Gabriele Camozzi così scrive del Brenta:

«Questo maestro era in età di 37 anni, alto di statura di lineamenti risentiti e severi, aspro di modi, ma leale e aperto, sapeva farsi amare da chi era in condizione più elevata della sua, e l’obbedivano volentieri i suoi compagni. Senza avere fatto studio possedeva le teorie della guerra d’insurrezione e le applicava all’azione con estremo coraggio e sangue freddo2.

Inflessibile nei disastri, alla ridente fortuna ineducato, egli non vide da giovane ed amò che la propria indipendenza, e da gran tempo aveva compreso che questo suo voto era solidale coi suoi fratelli; ogni sua azione aveva quindi per movente e per meta la cacciata dell’austriaco dalla Patria. Altra politica non conosceva e non curava. La sua memoria passerà ai posteri benedetta».

In una delle tornate del circolo federativo nazionale di Torino, il socio Mazzoldi, letto all’assemblea l’articolo della Concordia che narrava la fucilazione dell’intrepido lombardo Andrea Brenta, proponeva che si iniziasse una colletta presso tutti i circoli e presso il popolo a favore della superstite famiglia del Brenta composta dalla vedova e di nove figli minorenni. La proposta veniva accolta con magnanimi applausi e si nominava una commissione per stendere la relativa circolare.

Il socio segretario Ferrari, nominato relatore della commissione, dava lettura della circolare che veniva votata per acclamazione. Nella [p. 326 modifica]stessa sera si raccoglieva nel circolo una somma prodotta dalla vendita di un opuscolo politico, offerto da alcuni soci per la famiglia del Brenta.

Vennero invitati i giornali liberali a produrre la seguente circolare e a raccogliere le offerte, che dovevano essere versate nella cassa del Circolo per essere rimesse alla famiglia del Brenta.


Ai Circoli politici democratici ed al generoso popolo Italiano.


La causa della nazionale indipendenza, alla quale sono rivolti i pensieri e le speranze di tutti coloro che amano santamente l’Italia, deve toccare il suo trionfo, fecondata com’è dal sangue di tanti martiri: questo evangelico principio passerà, come tutte le verità di Cristo, attraverso i secoli in onta alle persecuzioni che, cominciate sul Golgota, avranno fine soltanto allorquando Iddio crederà di premiare anche su questa terra i suoi fedeli. I martiri della nostra libertà si succedono l’un l’altro coraggiosi e grandi come ne’ primi secoli della Chiesa si succedevano quelli che testimoniavano col sangue la verità e l’indefettibile divinità della fede. Per quanto noi, o confratelli di sventura e di speranze, vi segnaliamo con dolore insieme e con orgoglio una novella vittima, Andrea Brenta ora fucilato in Como: animo ardente, cuore riboccante d’affetti per la patria, fede a tutta prova, coraggio militare non domo dai disastri o dalle fatiche, quell’uomo cadeva gridando la santa parola: Viva l’Italia! I suoi carnefici impallidirono alla costanza, alla ilarità di un uomo che moriva lieto e felice, anche lasciando una moglie e nove figli nella miseria. Ma l’Italia deve adottare la vedova e gli orfani di colui che cadde vittima d’espiazione per le colpe e la codardia di molti, e per la nostra debolezza. Non invano noi facciamo appello alla vostra carità perchè il soccorso degli amici della patria non lasci languire fra le lagrime e la fame la famiglia d’un eroe e d’un martire.

Non la sola pietà ci deve commuovere a soccorrere la sventura. È questa una testimonianza che tutta l’Italia deve porgere alla santità dei principi democratici, alla fede giurata, all’indipendenza cui aspiriamo. I figli di Roberto Blum furono compianti e soccorsi dall’Europa intera. L’Italia sarà ella da meno delle altre nazioni? Ugual costanza, ugual causa, ugual martirio coronarono Andrea Brenta. I suoi figli ci devono esser sacri. In aspettazione del giorno in cui le nazioni ci mireranno tutti concordi e serrati sul campo di battaglia, dimostriamo almeno che siamo concordi negli affetti e nelle convinzioni. I tiranni hanno innalzato monumenti ed assegnato ricchissimi censi ai vili che loro prostituirono la fede che caddero per loro: i soli figli della libertà soggiaceranno all’onta dell’ingratitudine! Ogni circolo, ogni giornale, ogni vero Italiano si faccia banditore di quest’opera di carità. Il nostro denaro non varrà a restituire ad un’orba famiglia quel capo diletto: valga almeno ad abbreviarne i disagi. Questa unità d’amore, questo debito [p. 327 modifica]di gratitudine che noi porgiamo alla memoria di un martire, dicano alla vedova ed ai figli: Su questa terra infelice sonvi milioni di uomini che si dolgono ai vostri dolori che vendicheranno quel sangue, e quando la patria erigerà un tempio ai Valorosi ed ai santi, segneranno fra i primi il nome di Andrea Brenta3.

Ferrari, relatore.     


(Dalla Democrazia italiana).

Per indurre il governo a pensare alla misera famiglia dell’eroe nel N. 191 del giornale «Il Pungolo» del 29 dicembre 1859, veniva pubblicata la seguente poesia:


LAMENTO

d’una figlia del povero Brenta.


O Pellegrin che passi per la via,
     La mia povera storia vuoi saper?
     Io son di Vall’Intelvi in Lombardia
     E fu mio babbo della valle ostier.

Nel quarantotto sventolò il vessillo
     Che portava dipinti i bei color,
     E per la valle risuonò lo squillo
     Delle patrie vendette annunziator.

Ma fu breve la pugna e sfortunata
     E il padre mio fu fatto prigionier,
     Trascinato sul pian di Camerlata
     Il piombo lo finì dello stranier.

Il paterno mio tetto m’han bruciato
     Ed era bello e degno d’ospitar,
     Il mio babbo me l’hanno fucilato,
     Pellegrino! è una storia da straziar.

Interrogati i parenti del Brenta che vivono tutt’ora a Varenna ed i vecchi del paese si sono potute raccogliere le seguenti notizie che costituiscono la tradizione della famiglia.

Il Brenta prima di morire avrebbe chiesto un vicario, ed avrebbe gridato tre volte Viva l’Italia! Dopo la sua fucilazione venne sepolto sul luogo del supplizio e cioè a Camerlata, ma dopo qualche giorno il suo corpo venne portato a Como. Aveva ancora il padre, il quale si recò al [p. 328 modifica]luogo del disseppellimento, ed avrebbe voluto portare con sè qualche oggetto del figlio ma gli fu vietato. Un fratello di Andrea Brenta di nome Pietro si arruolò nelle truppe di Garibaldi, e due suoi nipoti Pietro e Andrea figli di Giacomo si arruolarono nel 66 anche con le truppe di Garibaldi.

Varenna intitolò una piazza al nome del prode suo figlio e noi formiamo l’augurio che sia anche ricordato con una lapide.

Nel 1879 in occasione del trentesimo anniversario dell’audace ma sfortunato tentativo del Brenta venne inaugurata in Valle Intelvi la seguente lapide della quale vennero cancellate due parole perchè contenevano un ingiusto giudizio sull’opera del re di Sardegna.


per ..... e fortuna austriaca
frustrata la rivoluzione lombarda
eroica riscossa tentavano nell’ottobre 1848
in nome del popolo
andrea brenta e commilitoni
valligiani esuli profughi ungheresi
l’associazione comense dei reduci e cittadini
il 14 aprile 1879
anniversario trentesimo
martirio generosi insorti
spenti a camerlata da fucile croato
questo ricordo inaugura
esempio al nipoti di amor patrio
segno di fratellanza fra gli oppressi
gloria di queste termopoli vall’intelvesi


Altra bella figura di patriota di Varenna fu Pietro Carganico. Dopo il fallimento dei moti di Valle Intelvi Pietro Carganico con Fermo Coduri, Modesto Gavazzi, il Prof. Pietro Nessi, Felice Turri e i due fratelli Zanelli da Cremona riparò in Svizzera. D’accordo col Mazzini che era a Lugano, venne preparata la spedizione del Bisbino alla quale partecipò anche il Carganico. La spedizione che ebbe luogo il 1° novembre, come abbiamo visto abortì al suo inizio. Il Carganico e gli altri dovettero rientrare in Svizzera4.

Dobbiamo ricordare anche Luigi Pirelli di Domenico, falegname, il quale era stato denunciato perchè teneva in casa i cannoncini da salve per i battelli e per le regate e alcuni fucili. Gli Austriaci avevano circondato la sua casa per arrestarlo, ma egli riuscì a fuggire ed a ripararsi sul monte sopra Vezio. [p. 329 modifica]

I più vecchi ricordavano anche una donna certa Elisabetta Scanagatta soprannominata la Bett del Zajacum, la quale volle armarsi e partire con le guardie nazionali.

Abbiamo poco fa parlato di Giuseppe Venini di Varenna organizzatore della Legione Tridentina: egli dopo poco venne nominato maggiore comandante della legione, e quando sopraggiunse il rovescio dell’esercito Lapide ricordante il moto di Valle Intelvipiemontese eFonte/commento: 526 i corpi volontari dovettero sciogliersi in gran parte, la legione passò in Piemonte, e la troviamo nel mese di novembre 1848 in Alessandria sempre al comando del maggiore Venini. Nel marzo del 1849 la legione venne convertita in un battaglione di bersaglieri, il 7°, e rimase a far parte della Legione Lombarda.

Infine segnaleremo il nome di un’altra notevole figura di soldato e patriota, quello di Giorgio Greppi figlio di Giovanni di Varenna. [p. 330 modifica]

Animato d’amor patrio, ispirato anche dal pensiero di vendicare il maggiore fratello Luigi che non avendo potuto sfuggire all’arruolamento austriaco era morto di malattia nelle carceri d’oltre alpe, vittima dei suoi sentimenti d’italianità, il giovane Giorgio nel 1848 sfuggì alla leva austriaca, passando nascostamente in Svizzera e di là in Piemonte con altri compagni, la cui romanzesca fuga è sotto altri nomi descritta in un emozionante capitolo del Piccolo mondo antico del Fogazzaro.

L’avvocato Giacomo Venini che abbiamo già nominato, amicissimo del Greppi fu l’organizzatore dell’esodo di questi giovani.

Appena giunto in Piemonte Giorgio Greppi si arruolò come semplice soldato e prese parte a parecchi fatti d’arme delle campagne del 1848-49. Fece una brillante carriera ed avremo quanto prima occasione di riparlarne.

Il 3 agosto 1848 arriva in Varenna il maggiore Riccardo Ceroni dello stato maggiore generale, addetto al Comando militare della linea Stelvio-Tonale. Da quì scrive la seguente lettera al Comitato di Pubblica Sicurezza di Sondrio:

Varenna 3 agosto 1848     


Riccardo Ceroni maggiore dello S. M. Generale


Al Comitato di P. S. in Sondrio.


Sono quì dalla mezzanotte scorsa. Al mio arrivo e lungo la via raccolsi dovunque voci di all’arme, qualche lettera che qui trovai le confermavano, una tra le altre, senza data, ma col bollo della posta di Milano del 2 corrente diretta alla signora Francesca Venini diceva «siamo agli estremi della nostra sorte. Si dice che dovremo tutti allontanarci da Milano fra pochi momenti. Voglio sperare che l’allarme sia superiore al bisogno, ieri sera tutti erano contenti, questa mattina lo scoraggiamento è agli estremi».

Non so quanta fede possa darsi a questo corrispondente che non conosco. Notizie ufficiali recenti qui non ne sono pervenute e l’ispettore di P. S. signor Giacomo Venini è d’altronde assente per esser partito ier l’altro per la capitale. È atteso a quanto mi assicurava sua moglie col vapore ed io lo starò aspettando. Intanto faccio partire per Milano il mio aiutante con lettera per quel comitato di P. S. Se l’ispettore arriva col vapore mi concerterò secolui intorno ai provvedimenti da prendersi per la difesa del lago da Colico a qui: ho già veduto dei piccoli cannoni e potranno servire per armare qualche barcone........

P. S. sono le due pomeridiane e il signor Ispettore Venini non è di ritorno. Il Deputato Cavalli è in questo momento a segare il fieno nei suoi poderi, parlerò dunque coll’altro deputato Carganico per la difesa di Colico. [p. 331 modifica]

Vedrò se da Bellagio o dai dintorni di Como potrò mandare qualche cannone pel Mortirolo facendolo requisire in quelle ville»5.

Alla notizia di parziali successi ottenuti dalle bande rivoluzionarie nel settembre del 1848 il Mazzini che si trovava a Lugano chiamò a sè Gabriele Camozzi e Vittore Tasca per eccitarli a penetrare con gli amici nelle valli bergamasche, ove, a suo dire, sarebbero riusciti a secondare l’impresa dell’Alborghetti e colla influenza e popolarità di cui godevano a far insorgere la provincia tutta. Camuffati da operai muratori, ma portando indosso due pistole cariche e due pacchi di proclami rivoluzionari, i due nostri emissari di Mazzini lasciarono Lugano la notte sopra il 1° novembre accompagnati da due brave guide bergamasche. Traversato Porlezza e Menaggio e tragittato il lago giunsero a Varenna. Non entrarono in Lecco che sapevano occupato da un presidio austriaco, ma per i monti si avviarono verso Calolzio ed Almenno6.

Dalle carte relative alla Cassa insurrezionale annesse alla Relazione Rosati7 si rileva come Giovanni Venini fosse in quei giorni alloggiato a Lugano all’albergo svizzero N. 16.

In un documento del rendiconto Venini leggiamo: Denari ricevuti dal Signor Venini Giovanni nella prima giornata dell’attaccamento nella valle d’Intelvi, state consegnate al sottoscritto Lire 75. Diconsi lire settantacinque milanesi le quali hanno servito per pane, formaggio, acquavite polvere e capsule di diverse specie, più lire sette assegnate al Rossini.

Altre lire 14 assegnate al Colombo Giovanni con altre lire sette e soldi quattro consegnati al Brenta.

Il 29 ottobre il Brenta riceve sul fondo Mazzini lire 28,10 ed il 30 la somma di lire 50. Il 27 novembre dal Venini il Brenta riceve la somma di un quarto di Genova.

Il 27 ottobre il comandante Carlo Federici in S. Sesino riceve da Giovanni Venini N. 4 pezzi da franchi 20, lo stesso giorno il Venini versa alla cassa altri due pezzi da 20 franchi, 8 quarti di Genova e 40 svanziche in tutto L. 244,6. Il giorno successivo la cassa paga al Brenta la somma di lire 30.

Giova qui ricordare che Alfonso Mornico di Varenna servì come sergente nella 1° Legione italiana costituitasi sotto la Repubblica Romana nel 1849, e fino al 3 luglio di quell’anno.

Nei tristi anni della dominazione austriaca in un elenco delle persone soggette a politica sorveglianza nell’anno 1854 troviamo Locatelli Giacomo d’anni 46 contrabbandiere di Perledo implicato nel processo per alto tradimento per la sommossa in Valle d’Intelvi nel 1854. In [p. 332 modifica]corrispondenza del suo nome nei registri della polizia vi era la seguente annotazione: «Scarcerato ma non emessa a suo favore la dichiarazione di mancanza di legali indizi nell’imputatagli complicità. Individuo d’altronde pregiudicatissimo per antecedenze sofferte e pei sentimenti dimostrati sempre avversi al legittimo imperante governo.

Il 23 settembre 1854 l’Intendenza di Finanza di Brescia redige una nota per la sorveglianza contro gli «agenti delle mene rivoluzionane» che hanno in Isvizzera il centro d’azione e contro l’introduzione dei loro «libelli incendiari».

Nella nota troviamo questi nomi di Varennesi: Tenca Giovanni e fratelli, e Lavelli Bernardo.


CAMPAGNE DEL 1859-60-61

Il commissario di Polizia Moroni di Como in una sua ordinanza in data 15 maggio 1859 diretta al comandante di Piazza, e contenente un elenco di pregiudicati politici da arrestare in caso di sommosse, fa ancora il nome di Locatelli Giacomo di Perledo d’anni 46 contrabbandiere. Egli come abbiamo visto era implicato nel processo per alto tradimento per la tentata invasione dell’anno 18548.

La primavera del 1859 portava sulle rive del lago fresche aure di libertà. Dopo la ritirata degli Austriaci, una delle prime disposizioni del comando piemontese, fu quella di far affluire a Como tutte le imbarcazioni del lago.

I barcaiuoli di Varenna andarono a Como con 34 barche e battelli, e vi rimasero dal 19 al 23 giugno.

L’ordine venne trasmesso a Varenna pel tramite del Comitato di Pubblica Sicurezza di Como il quale in data 31 maggio 1859 emanava la seguente ordinanza:


in nome di S. M. Vittorio Emanuele II

Re Costituzionale


Nell’ufficio del sostituto Regio Commissario Dr Mezzera

Bellano il 31 maggio 1859     

In forza dei poteri conferitimi dal R. Commissario di S. M. Sarda, si sono oggi convocati tutti i Deputati dei comuni componenti il Distretto [p. 333 modifica]di Bellano e si passò alle seguenti determinazioni, tendenti alla sicurezza pubblica del paese e distretto ed al bene della nazione, osservandosi che per quei comuni i cui Deputati non si presentarono si ritengono assenzienti a quanto viene nel presente protocollo determinato.

1° Si aprirà presso le singole Deputazioni un registro dei militari volontari i quali dovranno essere pronti alla chiamata, il qual Registro sarà trasmesso al Sostituto R. Commissario.

2° Ogni comune istituirà una guardia civica per la pubblica sicurezza del proprio paese, restando nominato per capo l’agente Comunale per le relazioni. Questa guardia civica dovrà prestare servizio gratuito e non sarà pagata se non quando occorresse di chiamarla in servizio attivo nel capoluogo del Distretto.

3° Si costituirà una guardia mobile Distrettuale composta di numero sei individui da nominarsi dal sostituto regio commissario colla mercede giornaliera di L. 1.75 residuate quest’ultima in Bellano per la sorveglianza dello stradale militare e per le osservazioni d’urgenza. Queste guardie saranno sotto l’immediata direzione del D. S. B. Pini il quale resta finora nominato capo delle medesime con facoltà allo stesso D. Pini di chiamare quando occorre le guardie civiche dei comuni del distretto.

Le spese per le Guardie Distrettuali saranno sostenute coi fondi dello Stato.

4° Occorrendo un incaricato politico per le ispezioni dei recapiti di viaggio dei forestieri s’incarica di questa mansione il Sig. Bernardino Bolza R. aggiunto Commissario.

5° Il segretario del R. Sostituto Commissario si pagherà con fondi erariali nella misura di L. 2 al giorno.


I signori deputati presenti concordemente approvano le suddette determinazioni.

Per Varenna: Pirelli e Cavalli     


In base agli ordini del governo sardo tanto a Varenna che a Perledo veniva organizzata la guardia nazionale.

Il comune di Varenna assunse due mutui, uno di L. 2000 per far fronte alle spese d’amministrazione della predetta guardia, e l’altro di L. 730,77 per compensare i barcaiuoli requisiti per necessità di guerra.

La deputazione amministrativa del comune di Perledo in data 17 luglio 1859 comunicava al R. Commissario Distrettuale di Bellano di avere iscritti nell’elenco delle Guardie nazionali 235 individui.

Durante la campagna del 1859 le gallerie di Varenna corsero pericolo di essere fatte saltare. Ce ne dà la notizia il T. Colonello Medici nella seguente relazione: [p. 334 modifica]


Relazione del T. Col. Medici

«A Lecco trovai che il maggiore Blondeau con un distaccamento del genio francese aveva per ordine dell’Imperatore minata in vari punti la strada che da Lecco costeggiando il Lago mena a Colico,.... A me doleva, non meno che alle popolazioni de’ paesi del lago, il vedere rovinata un’unica e tanto preziosa comunicazione, e vi era grande ansietà quando io arrivai a Lecco, perchè appunto in quel giorno giungeva l’ordine imperiale di dar fuoco alle mine.

Presi allora sopra di me di intimare al maggiore francese, a nome del re, la sospensione delle mine di quella strada, almeno fino a tanto che l’imperatore, informato della marcia di Garibaldi, che io precedevo in Valtellina, decidesse sulla convenienza di rovinare ovvero di conservare una tanto importante comunicazione dietro di noi.

Venne come era da aspettarsi l’approvazione imperiale, e così fu salva quella strada, che a mio avviso non si sarebbe neppure dovuto pensare di rovinare, bastando pochi uomini barricati entro una delle sue gallerie con pochi cannoni.

Il 27 Giugno 1859 Varenna vedeva sfilare nelle sue acque la brigata Cacciatori delle Alpi comandata da Garibaldi e diretta allo Stelvio.

Erano giorni di entusiasmo quelli, e quel caldo amore di patria esercitava il suo influsso persino nei nomi imposti ai neonati. Infatti sfogliando i registri battesimali dell’anno 1859 della parrocchia di Varenna e di Perledo troviamo i seguenti nomi: Pirelli Maria Vittoria, Pirelli Enrico Vittorio Emanuele, Cavalli Gaspare Vittorio Emanuele, Vitali Vittorio e Tarelli Maria Vittoria.

Lo scoppio della guerra del 1859 aveva trovato a Nizza in aspettativa col grado di sottotenente il Giorgio Greppi del quale si è già parlato. Non appena ebbe sentore della probabilità di una nuova guerra pel riscatto nazionale chiese ed ottenne di rientrare in servizio militare senza aspettare il termine dell’aspettativaFonte/commento: 526. Assegnato al 10° reggimento fanteria, il 21 maggio 1859, con la sua compagnia passava a guado la Sesia presso Vercelli, con l’acqua sino al collo, sorprendendo e fugando il nemico. Il 28 partecipava ad altro combattimento, ed il 30 alla battaglia di Palestro, ove fu gravemente ferito ad una gamba. Venne ricoverato all’ospedale di Vercelli e quindi a quello di Torino. Il 6 giugno veniva promosso tenente, ed il 20 dello stesso mese riceveva la medaglia d’argento al valor militare, per le belle doti militari spiegate durante la battaglia di Palestro.

Uscito dall’ospedale si recò a Varenna per passarvi la convalescenza. «Dopo undici anni di passato esilio» scrive nel suo diario «giunsi finalmente nel mio paese in seno alla famiglia, ai parenti agli amici! Invano tenterei descrivere le impressioni che provavo mano mano che [p. 335 modifica]mi avvicinavo a Varenna! Sono tali cose che non si possono esternare! Solo dirò che dopo moltissimi anni le mie pupille che credevo inaridite versarono copiose lagrime e lagrime di gioia!».

Giorgio Greppi nel 1860 in Settembre è promosso capitano, e con tale grado partecipa alle campagne delle Marche: il 26 è al blocco d’Ancona, ed il 20 Settembre col suo reggimento compie la solenne entrata in RomaFonte/commento: 526.

Nell’anno successivo prende parte alle operazioni contro i briganti, l’8 novembre in uno scontro con essi ne uccide parecchi, e prende loro 5 cavalli 6 mantelli e molte provvigioni. Nel giugno 1872 Giorgio Greppi è promosso maggiore nel 52° fanteria9.

Altri valorosi in quella campagna furono Ongania Giov. Battista morto combattendo in Sicilia nel 1860, Scanagatta Battista, Scanagatta Francesco, Ongania Battista, Ongania Lorenzo, Venini Giovanni, Andrea Brenta, Stengher Domenico e Mellera Giorgio fu Giacomo che fu a Gaeta e a Capua.

Al Venini Giovanni fu Giovanni detto Giamber venne assegnata la medaglia d’argento al valor militare per essersi comportato da valoroso nella battaglia di Castelfidardo.

Festorazzi Pietro Giuseppe di Pietro nato nell’anno 1837 a Perledo, arruolato nell’anno 1858 dall’Austria nel 55° Reggimento Barone Bianchi, dopo l’annessione della Lombardia veniva incorporato nel 13 reggimento fanteria col quale fece la campagna nell’Italia meridionale nel 1860-61 e per essersi distinto nella giornata del 20 Marzo 1861 all’assedio di Civitella del Tronto veniva insignito della medaglia di bronzo al valor militare. Prese poi parte anche alla campagna del 1866.

La Deputazione amministrativa del comune di Perledo in data 17 Luglio 1859 comunica alla R. Commissaria Distrettuale di Bellano di avere inscritto nell’elenco delle Guardie Nazionali N. 235 individui.

Nella seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Varenna tenuta il 17 novembre 1859 venne stabilito quanto segue:

«Considerato che per armare completamente la guardia nazionale attiva occorrebbero N. 75 fucili, ritenuto di franchi 30 l’approssimativo prezzo di ciascun fucile sarebbe necessario pel relativo acquisto la somma di franchi 2250. [p. 336 modifica]

Onde introitare il relativo dispendio la stessa Deputazione proporrebbe in via consultiva che tale somma fosse esatta per una metà a carico dei capitalisti e per l’altra metà in parti uguali sull’estimo e commercio.

Il processo verbale è firmato dai deputati: Cavalli Domenico, Scanagatta Francesco, Pirelli Pietro, Tarelli Carlo, Brenta Andrea e Cavalli Giorgio.

Note

  1. Dalla Gazzetta di Milano. Mese di Aprile.
  2. Biblioteca Storica Italiana. Vol. VI. I moti insurrezionali in Lombardia nel 1849. Cenni e documenti di Gabriele Camozzi. Capolago. Tip. Elvetica. 1851. Pel Brenta vedere anche: Antonio Picozzi: Garibaldi e Medici. Ettore Socci: Umili eroi della patria e dell’umanità. Mariano D’Aiala: Vite degli Italiani benemeriti della libertà.
  3. Pietro Conti: L’insurrezione della Val Intelvi Tip. Coop. Comense 1896. Ottolini Vittorio: La rivoluzione lombarda 1848-49. Milano, Hoepli 1887.
  4. Santo Monti. Pagine di storia comense contemporanea. Como, 1917.
  5. Documenti della Guerra Santa d’Italia. Fascicolo 26.
  6. Giuseppe Locatelli. Biografia di Gabriele Camozzi. Nel Diario-Guida della città e provincie di Bergamo. Anno 1894.
  7. Museo Civico di Como. Documenti del Risorgimento. Cart. 13, incart. 20.
  8. Santo Monti. Compromessi politici del risorgimento italiano. Periodico società storico-comense, fasc. 86-87.
  9. Il maggiore Greppi morì il 20 dicembre 1876 mentre comandava il distretto militare di Forlì.
    Aveva sposato in prima nozze Angelica Regalini di Varenna giovane d’alti sensi e di elevata cultura, amica intrinseca della signora Luisa Venini che al Fogazzaro ispirò il personaggio dell’eroina di «Piccolo mondo antico». In seconde nozze sposò Adele Bosone di famiglia imparentata con quella dell’avv. Venini che usava passare l’autunno a Varenna. Ebbe tre figli tutt’ora viventi l’ingegnere Luigi ed il dott. Adolfo del primo letto, Arturo del secondo letto.