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Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XLII

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Capitolo XLII

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Capitolo XLI Conclusione

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CAPITOLO XLII.



Era seduto, dopo desinare, presso al mio fuoco, ben incapperucciato e ravvolto nel mio abito di viaggio, aspettando l’ora della partenza; quando i vapori della digestione, portandosi al mio cervello, ostruirono talmente i passaggi, per cui le idee vi si recano movendo dai sensi, che ogni comunicazione fu intercetta; e come dagli uni più non proveniva al cervello veruna idea, così questo più non poteva inviar loro quel fluido elettrico, il qual gli anima, e con cui l’ingegnoso dottor Vailli risuscita i ranocchi morti.

Si comprenderà facilmente, dopo aver letto questo preambolo, perchè la mia testa cadde sul mio petto, e come i muscoli del pollice e dell’in[p. 160 modifica]dice della mia destra, non essendo più irritati dal fluido, ch’io diceva pur dianzi, si allentarono a segno, che un volume del marchese Caraccioli, ch’io teneva stretto fra essi, ne andò sul focolare.

Avea ricevute poco prima alcune visite, e la conversazione si era versata principalmente sul famoso medico Cigna, morto di fresco e universalmente compianto, come dottissimo in fisica, e massime in botanica, laboriosissimo, e per ogni riguardo eccellente. — Il mio pensiero era tutto pieno de’ meriti di questo brav’uomo; e nondimeno, io diceva a me stesso, ove mi fosse dato evocar l’anime di quanti egli fe’ passare all’altro mondo, chi sa ciò che la sua riputazione potrebbe soffrirne!

Così mi avviava insensibilmente ad [p. 161 modifica]una dissertazione sulla medicina, e i suoi progressi da Ippocrate in poi. — Chiedeva a me medesimo, se i personaggi famosi dell’antichità morti nel loro letto, come Pericle, Platone, la celebre Aspasia e Ippocrate stesso fossero morti, come la gente ordinaria, d'una febbre putrida, infiammatoria o verminosa, dissanguati prima co’ salassi, e affogati colle ricette?

Perchè io pensassi a questi quattro personaggi, piuttosto che ad altri, mi saria impossibile il dirlo. — Chi può render ragione d'un sogno? — Io so questo solo, che la mia anima fu quella che evocò il dottore di Coo, quel di Torino, e il celebre uomo di stato, il qual fece sì belle cose e sì gran falli.

Confesso però umilmente che l’altra gliene diè un cenno. — E la bilancia [p. 162 modifica]nondimeno, quando vi penso, fu di quattro contr’uno della parte di madama la ragionevole; di che sento quasi un poco di orgogliuzzo. — Ma anche l'altra, come bestia, fece molto.

Checchè ne sia, sul più bello delle mie riflessioni, i miei occhi si chiusero del tutto, ed io m’addormentai profondamente. Ma le imagini de' personaggi, a cui avea pensato, rimasero dipinte su quella tela finissima, che si appella memoria, e mescolandovisi nel mio cervello l’idea dell’evocazione de’ morti, vidi ben tosto giugnere in fila Ippocrate, Platone, Pericle, Aspasia, e il dottor Cigna colla sua parrucca. — Tutti si assisero sovra gli scanni tuttavia disposti intorno al fuoco, eccetto Pericle solo, che rimase in piedi, per leggere le gazzette.

Se le scoperte, di cui mi parlate, [p. 163 modifica]fossero vere, diceva Ippocrate al dottore, e se fossero state così utili alla medicina come voi pretendete, avrei veduto diminuire il numero di quelli che scendono ogni giorno ai regni buj, che, secondo i registri di Minosse da me consultati, è pur sempre lo stesso.

Il dottor Cigna a me rivolto: avete voi udito parlare di tali scoperte? mi domandò. Conoscete quella di Hervey sulla circolazione del sangue; quella dell’immortale Spallanzani sulla digestione? — E qui fece lungo ricordo di tutte l'altre che si riferiscono all’arte di curare le malattie, non che ai rimedj che da essa s’impiegano, e di cui siam debitori alla chimica; e finì con un discorso accademico in favore della medicina moderna.

Posso io credere, gli risposi allora, [p. 164 modifica]che questi grand’uomini ignorino alcune delle cose, che voi avete detto, e che la loro anima, sciolta dagli impacci della materia, trovi nulla di oscuro in tutta la natura?

Oh, quanto sei in errore? gridò il protomedico del Peloponeso. I misteri della natura sono egualmente ascosi ai morti che ai vivi. Chi tutto creò e tutto governa sa egli solo il gran segreto, che gli uomini si sforzano di penetrare. Ecco ciò che noi apprendiamo di certo in riva allo Stige. Spoglia spoglia, aggiunse, volgendo le parole al dottore, quel resto di spirito di corpo che hai apportato dal soggiorno de’ mortali; e poichè le fatiche di mille generazioni, e tutte le scoperte degli uomini non hanno potuto allungare d’un solo istante la loro esistenza; poichè Caronte tragitta ogni dì nella [p. 165 modifica]sua barca egual numero d’ombre, — credi ch’è inutile stancarsi a difendere un’arte, che fra i morti non val più nulla — nemmeno pei medici. — Così parlò, con mia gran meraviglia, il famoso Ippocrate.

Il dottor Cigna sorrise; e come gli spiriti nè saprebbero ostinarsi contro l’evidenza, nè tacere la verità, non solo fu dell’avviso di Ippocrate, ma confessò arrossendo (alla maniera degli spiriti) che sempre ebbe qualche dubbio dell’avviso contrario.

Pericle, il quale si era avvicinato alla finestra; mandò un gran sospiro, di cui io indovinai la cagione. Ei leggeva un numero del Moniteur, che annunziava il decadimento dell'arti e delle scienze; vedeva dotti illustri abbandonare le loro sublimi speculazioni per inventar nuovi delitti; ei fremea [p. 166 modifica]che un’orda di cannibali osasse paragonarsi agli eroi della generosa Grecia, facendo perire sul patibolo, senza vergogna e senza rimorsi, vecchj venerabili, donne e fanciulli, e commettendo eccessi, egualmente inutili che atroci.

Platone, che aveva ascoltato in silenzio i nostri colloquj, vedendoli terminare d’una maniera inattesa, li ripigliò così: intendo, come tutte le scoperte de più grand'uomini nella fisica sieno inutili alla medicina, la quale mai non potrà cangiare il corso della natura. — Ma quelle d’altr’ordine, quelle di Locke sullo spirito umano; l'invenzione della stampa; le osservazioni continue derivate dalla storia; tanti libri profondi che hanno diffusa la scienza anche fra il popolo! — tante meraviglie insomma avranno [p. 167 modifica]pur contribuito a rendere gli uomini migliori; e quella repubblica saggia e felice, ch’io avea imaginata, e il mio secolo facea riguardare qual sogno impraticabile, oggi senza dubbio esiste in qualche parte del mondo?

A questa domanda il buon dottore abbassò gli occhj, e non rispose che colle lagrime, cui rasciugando col fazzoletto, fece girare involontariamente la sua parrucca, onde venne a coprirsi parte del volto. — Dei immortali! gridò Aspasia con uno strido: che strana figura? È forse un trovato dei vostri grand’uomini anche questo di cacciar così il vostro cranio nel cranio di un altro?

Aspasia, a cui le dissertazioni dei filosofi cagionavano lo sbadiglio, avea preso il giornal delle mode, che trovò sul camminetto, e lo andava da qual[p. 168 modifica]che tempo squadernando, allorché la parrucca del medico le fece fare l’esclamazione che udiste — E qui noterò come la sua seggiola essendo poco salda e stretta, e quindi per lei molto incomoda, ella avea, senza cerimonia, distese le ignude sue gambe, adorne di benderelle, sovra un'altra di paglia che era fra lei e me, e s’appoggiava col gomito ad una delle larghe spalle di Platone.

Non è un cranio, le rispose il dottore, prendendo la sua parrucca e gettandola al fuoco; è una parrucca, signorina mia, nè so perchè io non abbia scagliato quest’ornamento ridicolo nelle fiamme del Tartaro, quando giunsi fra voi. Ma le goffe abitudini e i pregiudizj sono sì inerenti alla nostra misera natura, che ci seguono per qualche tempo anche al di là della tomba. [p. 169 modifica]— Io prendeva un piacer singolare, ascoltando il dottore abjurar così tutta insieme la sua medicina, e la sua parrucca.

In verità, gli disse Aspasia, che la più parte delle pettinature, che sono rappresentate ne’ fogli che vo scorrendo, meriterebbero l’istessa sorte della tua, tanto sono stravaganti. — La bella ateniese parea divertirsi molto colle figurine di que’ fogli, e si meravigliava a ragione della bizzarrìa e varietà de’ moderni abbigliamenti. Una fra l’altre le cagionò più particolare sorpresa: era quella d’una giovane signora, pettinata colla più squisita eleganza, se non che i suoi capegli sollevati tant’alto sembravano ad Aspasia la cosa più nuova della terra. Più nuovo le riuscì il gonfiore de’ veli che coprivano il seno della figurina, e in cui [p. 170 modifica]il volto si nascondeva per metà. Aspasia, non sapendo che tal gonfiore è effetto dell'amito, non potè rattenersi da un’esclamazione che sarebbe uscita, ma per opposto motivo, più gagliarda se avesse veduto qualche figura vera, e i veli fossero stati trasparenti.

Spiegaci un poco, diss’ella, perchè le donne d’oggi usino abbigliamenti più atti ad occultarle che a vestirle? Appena lasciano esse vedere un poco il loro viso, da cui solo si può indovinare il lor sesso, tanto le forme del loro corpo sono sfigurate dalle pieghe bizzarre delle stoffe tra cui s'avvolgono. Di quante figure mi si presentano in questi fogli nessuna concede all’occhio alcuna parte del seno, delle braccia o delle gambe. Come mai i vostri giovani guerrieri non hanno essi tentato di cangiare un simile uso? — Con[p. 171 modifica]vien dire che le donne di questi tempi sieno d’assai più rigida virtù che quelle de miei. — E qui Aspasia mi guardò fiso, come aspettando la mia risposta. — Io simulai di non avvedermene; — e per darmi un’aria di distrazione spinsi fra le brage colle molle, che aveva in mano, gli avanzi della parrucca del dottore, sfuggiti all’incendio. — Accorgendomi in seguito che una delle benderelle de’ borzacchini d’Aspasia era snodata: permettete, le dissi, bellissima signora; — e in così dire mi abbassai con molta vivacità, stendendo le mani verso la seggiola, ov’io credea mirare quelle due gambe, che fecero un tempo girare il capo a gran filosofi.

E in quel punto, non posso dubitarne, io fui preso da vero sonnambolismo, poiché il moto, di cui parlo, [p. 172 modifica]fu realissimo. Se non che Rosina, la qual riposava infatti sulla seggiola, il prese per sè, e saltandomi lestamente fra le braccia, ricacciò in Averno l’ombre famose, evocate dalla mia anima — e dalla mia bestia — o piuttosto dal mio abito di viaggio.