Azioni egregie operate in guerra/1686

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Accogliere un esercito anche più copioso, con cui accingersi all’assedio di Nayasel. I due Duchi di Lorena, e di Baviera lo intrapresero. Ma capitata notizia, che l’armata Turchesca erasi avanzata all’attacco di Strigonia, i due Principi si mossero col corpo [p. 199 modifica]maggiore di truppe, per dar battaglia al nemico. L’incarico di continuare l’oppugnazione della piazza, fu appoggiato al Maresciallo Caprara. Esso applicò subito a ben istabilire sul margine del fosso le batterie da breccia, e a dilatare colla frequenza, e moltitudine de’ colpi le ruine nelle mura, e ne’ terrapieni della Piazza. Più volte erano state cominciate nel fosso le gallerie; ma ben tosto distrutte dal Presidio con fuochi artificiati. Il Caprara le fece lavorare con tal arte, che rimasero stabili, e riparate dalle materie incendiarie, che vi gettavano sopra que’ di dentro. Le breccie erano spalancate, le difese de’ fianchi atterrate; quando giunse l’avviso della vittoria riportata sopra gl’Infedeli dall’esercito Cristiano. Il Caprara invitò subito i due Serenissimi, a dare colla loro presenza l’ultima mano alla presa di Nayasel, giacchè tutto era apparecchiato per l’assalto. Que’ Principi con singolare modestia rimisero a lui il perfezionare l’opera; mentre con tanta applicazione aveva promosso ulteriori passi sin quasi all’ultimo. Il Duca di Lorena gl’inviò de’ prigionieri Turchi, acciocchè li lasciasse entrare nella Piazza, a ragguagliarne il Comandante della sconfitta data al Bassà Seraschiero. Ma perchè la pioggia aveva inondati gli approcci, e reso lubrico il transito su’ ponti fabbricati sulla fossa, nè per allora appariva gran mossa di truppe, il Governatore si persuase di aver tempo di arrendersi. Il Caprara, scolate l’acque in qualche modo, fece di notte segretamente accostare tre mila uomini, e collocarli ne’ siti opportuni per l’assalto, che seguì la mattina seguente. I Turchi si difesero bravissimamente; onde solo si pensava a stabilirsi sulla breccia; quando i due Principi di Comercì, e di Vaudemont, frammischiatisi co’ Granatieri, esclamarono: la Piazza è nostra, la Piazza è nostra. Queste voci infiammarono maggiormente l’ardire degli assalitori, sicchè rinnovati gli sforzi, entrarono nella Piazza colla strage di quanti furono trovati in arme, e la sottomisero. Soli quattrocento ebbero in dono la vita.

Giacchè sopravanzava buona parte dell’anno da campeggiare, l’Imperatore ripartì in più corpi le truppe a nuovi acquisti nell’Ungheria superiore. Il General Caprara fu incaricato dell’assedio di Cassovia, Città la migliore di quelle pertinenze, circondata da doppio recinto di mura, e bagnata da due fiumi. Il Presidio era copioso, e risoluto a lungo resistere. I Cittadini, infetti dell’Eresia Calviniana, vi davano mano. Le pioggie autunnali incomodarono gli Aggressori. Tra tante difficoltà esso Caprara accelerò l’avanzamento degli approcci, e già in dodici giorni era penetrato nel fosso1, e rassodati colà entro alcuni argini, sopra de’ quali preparava l’assalto. Quando capitò nel Campo il Petenhasio. Era questi uno de’ più intimi confidenti del Techeli. Riportò, come per ordine del Gran Visir il Bassà di Varadino aveva imprigionato il Techeli, e carico di catene lo spediva a Costantinopoli. [p. 200 modifica]Esso pertanto col sentimento de’ falli trascorsi, ricorreva alla Clemenza di Cesare, a cui prometteva una inviolabile fedeltà. Conduceva seco altri Compagni, guadagnati dalle di lui esortazioni. Il Caprara, compresa la sincerità del di lui parlare, permise, ch’entrasse nella Piazza, e ragguagliasse la Guarnigione, e gli abitanti del successo. Parlò egli con facondia. Rappresentò la disgrazia del Techeli, l’impossibilità del soccorso, e i pericoli imminenti. Esortò tutti a provvedere alla loro indennità, con arrendersi prontamente. Il Caprara accordò loro oneste condizioni, colle quali entrò al possesso della Città, e degli arsenali, provvedutissimi in abbondanza d’ogni genere di munizioni da bocca, e da guerra. Furono liberati molti Nobili Ungheri, e Tedeschi, rimasti fedelissimi, e perciò duramente, e lungamente imprigionati. Ordinò saggiamente gli affari del Paese, e spedì distaccamenti, i quali s’impadronirono facilmente di Patachino, Unguar, e d’altri luoghi inferiori. Sul primo fu disotterrato da profonda torre il Conte Stefano Cohari, Cavaliere d’eroica fedeltà verso l’Augusto Monarca. Questo Signore era stato tormentato per due anni con incredibili patimenti, e strascinato per più Città da’ sediziosi. Tra mille improperj mai non aveva cessato di rimproverare loro la ribellione. Fu preso in Filich, da lui difeso con estrema intrepidezza, e bravura dopo la strage di più migliaja di Turchi. Liberato dalle catene, godette poi vita lunghissima.

Correva fama, che il Bassà d’Agria ad istigazione del Techeli macchinasse di portar soccorso agli assediati. Il Caprara dispose, che il Generale Scultz s’avanzasse con parte della Cavalleria, per tenerlo indietro. Allora il Bassà cessò dal far moto veruno.

Cominciò in quest’anno ad acquistare fama grande in Ungheria la condotta militare del Conte Antonio Caraffa; perciò di questo eccellente Politico, e celebre Guerriero fa d’uopo dare esatta contezza2. Nell’Illustre Casato de’ Conti di Forlì nato, ed allevato il Conte Antonio, di ventitre anni cominciò a servire Leopoldo. Militò in più Campagne al Reno con tanti esperimenti di condotta, e di valore; talchè in pochi anni ascese alla dignità di Colonnello. Col suo reggimento passò di poi in Ungheria, e con esso solo nel Luglio del mille seicento ottanta assalì alcune migliaja di Sollevati, e li cacciò da Calò, quantunque quattro Compagnie sue ne rimanessero maltrattate. Negli anni seguenti difese così bene il paese datogli in cura; onde Cesare lo dichiarò General di Battaglia. Nell’assedio, posto da’ Turchi a Vienna, l’Imperatore lo spedì suo Inviato al Re di Polonia, per sollecitarlo al soccorso della Piazza combattuta. Ritornato il Caraffa col buon annuncio della marcia, intrapresa dal Re Giovanni, fu rispedito al medesimo con grosso squadrone di Cavalleria, per [p. 201 modifica]assicurare il viaggio di quella Maestà dalle insidie del Techeli, mossosi per contrastargli il passo. Liberata Vienna, ed espugnata Strigonia, il Duca di Lorena lo propose a Cesare per uno de Generali, da destinarsi in Ungheria contra il Techeli. Spedito colà, si tenne in campagna tutta la vernata. Avvisato, che il Techeli con rinforzo di Turchi, e di Tartari minacciava d’invadere il Comitato di Scepusio, chiese altri reggimenti; avuti i quali marciò con diligenza, e sotto Unguar tagliò a pezzi la maggior parte d’una grossa partita nemica, ivi accampata. Nell’anno seguente si ritrovò alla battaglia d’Anschebega sotto il Duca di Lorena, ove gl’Infedeli furono disfatti. Nell’Inverno prossimo fu destinato ad impedire i soccorsi, che da Turchi si preparavano, ad introdursi in Nayasel. Dispose le truppe Cesaree in siti così acconcj, che due ne furono disfatti; l’uno dal Conte Terzi suo Maggiore, l’altro dal Marchese Doria suo T. C. colla prigionia de’ Capi condottieri. Intervenne di poi alla battaglia, che sotto Strigonia fu vinta dal Serenissimo di Lorena. Dopo la quale fu promosso alla dignità di Tenente Maresciallo, e comandato a custodire l’Ungheria Superiore. Giunto sul Tibisco, allargò gli alloggiamenti; gettò varj ponti sul fiume per la comunicazione de’ quartieri. S’avvicinò alla Transilvania, ed intimò al Principe Abaffi di dar ricovero, e sostentamente ad alcuni reggimenti Cesarei. L’Abaffi offerì di somministrare viveri, e denaro per il mantenimento di dieci mila Soldati, ma ricusò l’alloggio. Il Caraffa non ne fu contento. Avanzò alcuni reggimenti, e costrinse quel Principe a riceverli, e a provvederli del convenevole. Nell’inverno dispose gli apparecchi per l’oppugnazione del forte di S. Giob, munito di quattro bastioni, e circondato dalla natura con ampio marasso; attraverso del quale non vi è accesso che per due strade ben fortificate3. Vi si accampò sotto a’ dieci di Febbrajo. Appena cominciato il getto delle bombe, una d’esse portò il fuoco nella munizione, racchiusa in un maschio, o Cavaliere, e lo sbalzò in aria con l’uccisione di molti Turchi. Allora il Caraffa mosse le truppe all’assalto. Lo prevennero i Turchi coll’esporre bandiera bianca, e col rendersi a giusti patti. Era precorsa voce, come il Techeli fosse stato liberato dalla carcere, restituito agli antichi onori, e rimandato con nuove truppe per dr soccorso a Montgatz, in cui stava chiusa la di lui Consorte. Il Caraffa, subodorato, che questi con nove mila soldati fosse arrivato al Gran Varadino, radunò con diligente vigilanza altrettanti Cesarei, co’ quali obbligò colui a fermarsi, ov’era giunto.

Per la nuova Campagna eransi raccolti grandissimi apparecchi, e passata al soldo di Cesare quantità grande di milizie da varie parti dell’Alemagna. S’attendeva dall’Italia, dalla Germania, dalla Spagna un numero copiosissimo di Volontarj. Perciò il Serenissimo di [p. 202 modifica]Lorena persuase Leopoldo, a permettergli il ritentare l’assedio di Buda, senza l’acquisto del quale il guadagno delle altre piazze non poteva essere nè molto durevole, nè bastantemente sicuro. Bensì espugnata questa, alcune altre Piazze colla fame si darebbono alla di lui ubbidienza. Tanto aver insegnato ne’ suoi ricordi il General Conte Montecuccoli. Il Consiglio di guerra aveva opinato in contrario, e suggeriva diverse imprese, alle quali mostravasi propenso l’Imperatore. Finalmente concorrendo nel medesimo parere l’Elettor Bavaro, cioè che sopra Buda si scaricassero gli sforzi di quest’anno, con sopra sessanta mila bravi soldati fu investita quella Capitale dell’Ungheria.

Giovò mirabilmente alla felicità dell’impresa la providenza esperimentatissima, e l’attenzione indefessa del Commissario Generale Conte Rodolfo Rabatta, in approntare vettovaglie, foraggi, munizioni da guerra4, e tutto in copia, anche eccedente il bisogno. Cagionò stupor grande, e consolazione somma agli Ufficiali, e a’ soldati il ritrovar sulle Isole del Danubio eretti magazzini di farine, di biade, di fieni, di polvere, di palle, d’attrezzi militari, da lui congregati con grandissima fatica. Queste diligenze dell’intendissimo Cavaliere operarono, che nel Campo vi regnasse l’abbondanza; e tanto il cibo, quanto la bevanda, somministrate prontamente, tenessero in vigore, e in robustezza le soldatesche assedianti. Co’ medicamenti da lui apprestati in avanti risanarono più migliaja di feriti, o infermi. Il Conte Ridolfo Italiano di Gorizia aveva servito per molti anni sotto le insegne Cesaree, e in tutti i gradi della milizia aveva rese prove eccellenti di capacità, d’industria, di buon governo sulle soldatesche, a lui commesse. Erasi ritrovato in più battaglie, nelle quali aveva fatto spiccare bravura, e generosità, regolate da savia prudenza. Ma nella Carica presente superò qualunque espettazione, concepita degli egregj di lui talenti. Per l’avanti era stato famigliare agli eserciti Austriaci il patire penuria o di vettovaglie o di apprestamenti necessarj alle meditate imprese, per le quali deficienze si consumavano oziosamente le Campagne intere, si diminuivano le truppe colle malattie, e s’indebolivano i reggimenti colle fughe. Ma nel tempo, in cui amministrò il Conte Rabatta quella incombenza, tutto correva in abbondanza a cagione de’ provvedimenti anticipati maturamente. Il che coadjuvò sommamente al prospero corso del disegnato assedio di Buda. Da più secoli non erasi veduta Piazza, meglio provista di grossissima guarnigione, milizie sceltissime di vasto Impero, difesa poi con tutti gli sforzi d’arditissima audacia, e sostenuta con disperazione fermissima di prima perirvi tutti, che lasciarla agli assalitori. Anche le milizie Cristiane, per espugnarla, [p. 203 modifica]vi operarono prodigj d’imperterrito valore. Ma i Nobili volontarj nell’aggredire si portarono all’eccesso, e giunsero alle mete più eccelse dell’umana generosità. La memoria di molte gesta è perita per mancanza di chi le registrasse. Altre non sono universalmente descritte con le circostanze stupende, che le accompagnarono. Mi fermerò, sù quanto da penna diligente trovo scritto del Baron Michele d’Asti Cavalier Romano, e Signor Napolitano per il Feudo d’Acerno, dominio della sua Casa, prossimo a Salerno5. Egli nelle guerre di Ungheria si diportò da Eroe, non inferiore a quanti ne abbia vantati l’antica Roma. Fu fratello dell’Eminentissimo Cardinale Marcello d’Asti, Porporato di eminenti virtù, che assai bene risplendono nella di lui vita, data alle stampe. Il Baron Michele di ventitre anni passò alla Guerra, prima in Fiandra, poi sul Reno negli eserciti Austriaci sotto il Duca di Lorena, che sin d’allora gli prese grande affezione, sembrando a quel Serenissimo di vedere trasfusi nel di lui cuore i spiriti dell’antica Prodezza Romana. Si trovò il Baron d’Asti in Vienna al tempo di quell’assedio, ove con soddisfazione, ed applaudimento universale diede saggi straordinarj tanto di prudente condotta, quanto d’imperterrito coraggio, prima nella difesa del Rivellino fuori della porta di Corte con replicate sortite, e col ributtare vigorosamente più volte gli aggressori, poi nel ribattere gli ostinati, e lunghi assalti, dati al Bastion Cobel, o Leonino, in cui danneggiò notabilissimamente li Turchi con una continua, e folta grandine di Moschettate ne’ fianchi e nelle spalle. Sciolto l’assedio, in cui era rimasto ferito, ed investita la Palanca di Barchan, egli fu de’ primi a superarla con viva forza. Nell’anno seguente, assediato Vicegrado, egli alla testa de’ Granatieri sormontò le muraglie; saltò nella Città gettando contra i difenditori un nembo di accese granate. Nel primo assedio di Buda, destinato Capo de’ Venturieri per la presa della Città bassa, entrò fra’ primi dentro la breccia, e se ne impossessò. Poi vedendo dietro ad essa i tagli, e i ripari degl’Infedeli, li sorprese, abbattette le palizzate, e s’inoltrò verso la porta del Danubio, ove attaccò nuova zuffa co’ Nemici. Secondato da’ Capitani, che gli tenevano dietro, incalzò i Presidiarj sino alla porta della Città alta. In questo fatto perirono da mille ducento Ottomani. Due altre volte si portò sulla breccia della Città alta, e vi fu ferito malamente nel braccio. Ciò non ostante, poco curando la piaga, volle stare per lo più in piedi, e in azione.

S. A. E. di Baviera, ammirando le prodezze del Baron d’Asti gli offerse un reggimento nelle sue truppe. Ma esso se ne scusò anche per consiglio del Generale Caprara, il quale scrisse, raccomandandolo al Marchese Grana allora Governatore de’ Paesi bassi. Il Marchese, a[p. 204 modifica]vendo inteso dalla fama gran cose del Barone, mostrò desiderio di vederlo. In fatti abboccatosi con lui, rimase tanto soddisfatto del di lui buon naturale, fina prudenza, e nobil modestia, che gli ottenne da Cesare la carica di Tenente Colonnello del proprio reggimento.

La munificenza dell’Augusto Signore infiammò vie più il zelo del Baron Michele, a servirlo costantemente senza risparmio del sangue, e della vita. Il Generale Scultz lo condusse all’attacco di Unguar. Protestò egli contra quell’impresa, giudicandola troppo pericolosa in tale stagione. Ciò non ostante volendola lo Scultz, ordinò egli in tutta sollecitudine, e buona regola gli avanzamenti; finchè colpito da grandissima moschettata attraverso il corpo, fu costretto a ritirarsi. Soli sei giorni volle perseverare in letto, per poter accorrere all’altro assedio di Nayasel. Nell’ultimo assalto, che si diede alla Fortezza, chiese d’essere scielto de’ primi. Il Marescial Caprara non volle accordarglielo, se prima non vestiva l’armatura sua, che gli prestò; giacchè negli altri assalti, memorati di sopra, mai aveva voluto assumere corazza. Egli fu tra’ più avanzati, che sforzarono l’ingresso nella Piazza. In avanti nel respingere una sortita era stato ferito da freccia sotto l’orecchio. Per allora non ne fece conto. Ma dopo qualche tempo comparsa l’enfiagione, si trovò ridotto a mal termine, per esser rimastra dentro parte del ferro colla punta rivoltata. Fu d’uopo tirargliela fuori con violenza, e con eccessivo di lui dolore. Egli però colla consueta sua generosità non si dolse; tutto che il Chirurgo lo esortasse a strillare per isfogo del gravissimo penare. Da Nayasel si trasferì sotto Eperies. Quivi pure una palla lo traversò dalla spina delle reni, e forse verso la spalla diritta. Subito gli fu tagliata fuori la palla, ed egli anche questa volta la scampò.

Nel secondo assedio di Buda rilevò tali, e tante ferite, che vi lasciò con somma gloria la vita6. La prima lo maltrattò in un piede, nel ripulsare che fece copiosissima sortita. Questa lo costrinse a farsi medicare in letto, e gl’impedì il presentarsi al primo assalto generale. Nel secondo volle intervenirvi. E perchè non poteva far passo da sè, si fece portare a basso della breccia. Ivi colla voce incoraggiva gli assalitori. Osservando poi, che per la violenza delle offese nemiche un battaglione Tedesco retrocedeva, egli più confidando nel vigore dell’animo, che nella possanza del corpo, si pose alla testa de’ soldati rampicandosi sull’erto della breccia. Spesso cadeva, e poi alzavasi. Non ostante il dolore della piaga rimise i Cristiani all’assalto, e vi durò, finchè fu percorso di nuovo nella coscia da palla di fucile. I Cesarei guadagnarono in questo [p. 205 modifica]fatto la prima, più malagevole, e più robusta muraglia di Buda.

Risanato dalle ferite, fu presente al conflitto, in cui tre mila Gianizzeri, superate le trincee Alemanne, si affaticavano per entrare nella Città. Il Marescial Caprara da un canto, i Generali Mercì, e Serau di fronte, il Baron d’Asti alle spalle li caricarono con tanto ardore, che li tagliarono a pezzi quasi tutti. Verso la fine di Agosto il Duca di Lorena gli appoggiò la custodia di un posto verso il Danubio, col dirgli, che gli confidava la custodia di quel sito il più importante; perchè sapeva di certo con qual prudenza, e valore l’avrebbe coperto, e sostenuto. Il Duca l’indovinò; perchè poco dopo un Corpo di Gianizzeri si gettò nel Danubio, per trapassare sù quelle acque in Buda. Il Baron d’Asti attentissimo, subito che vide coloro sotto il tiro dello schioppo, ordinò a’ suoi Soldati una salva, che ne uccise molti. Replicata una seconda salva, e fatte avanzare più Saiche armate, ne atterrò altri molti, e pose in fuga i rimasti, che poi furono trucidati da’ Generali sopraggiunti.

Non molto avanti il Duca medesimo aveva detto allo stesso Signore: Baron Michele, vi prego a non esporvi con tanta facilità, perchè ne ho dispiacere: Tengo bisogno di Voi; e vi riserbo per un’azione, del di cui buon esito mi dà fiducia il vostro gran cuore, nè posso confidarla ad altri.

La sera poi precedente all’espugnazione di Buda lo chiamò, e gli disse: Dimani sarà il giorno di gloria immortale per voi. Comanderete i primi sessanta Granatieri che assaliranno il Nemico7. Sono sicuro, che sarete il primo ad entrare nella Piazza. Rispose il Baron Michele: tanto spero, quando Iddio non mi faccia restar sulla breccia. Avvicinatasi l’ora dell’assalimento, il Baron Michele dispensò quantità di Ungheri a’ Soldati di suo comando, e gl’infervorò con breve ragionamento, a seguirlo bravamente. Dato il segno di muoversi, Egli salì intrepido la breccia. Atterrò di propria mano le palizzate Turchesche, ed altre difese: stabilì i suoi in possesso delle mura, non ostante un diluvio di fuoco, che avventavano i Presidiarj. Dopo breve tempo venne a lui un Ajutante del Duca di Lorena, a chiedergli, quale speranza si poteva concepire dell’impresa. Esso rispose: dite a Sua Altezza, che coll’ajuto del Signore la Città è nostra; ma continui a rinfrescare con celerità le truppe. Poco dopo fu trafitto da moschettata. Egli però non ne fece conto; e a chi lo esortò a ritirarsi, almeno per quanto si fasciasse la piaga, disse: questo non è tempo da curare la propria vita, quando si tratta del bene del Cristianesimo. Di là cominciò a calare dal terrapieno, per internarsi nella Città. Allora quattro archibugiate, scagliategli addosso, con l’impeto lo gettarono [p. 206 modifica]a terra, e con l’acerbità del dolore gli cagionarono spasimo. Erano prossimi a lui nell’assalto quattro Cavalieri, tre de’ quali Italiani, Domenico Saluzzo, Rainiere, e Grimani. Questi lo presero, e l’ajutarono ad essere trasportato altrove.

Le ferite tutte mortali accesero nelle di lui viscere una febbre micidiale, non potuta diminuirsi con tre cavate di sangue. Condotto a Pest, soddisfece ad alcuni suoi debiti. Il rimanente denaro lasciò in dono a’ Soldati del suo reggimento.

Tre volte si confessò, e poi ricevette gli altri Sagramenti. Rese grazie al Signore, che gli avesse lasciata la comodità di prenderli. Disse più volte: muojo allegro per l’onore di Gesù Cristo, e per il servigio di Sua Maestà Cesarea. Col nome del Divino Salvatore in bocca rese lo spirito a’ 9 di Decembre nel trigesimo anno dell’età sua.

Il Serenissimo di Lorena scrisse maraviglie della di lui saggia condotta, ed imperterrita generosità. Tutti i Generali confessarono, che il di lui valore era prodigioso. L’Imperatore dimostrò dispiacere, perchè lo amava, e voleva promuoverlo a gradi maggiori. Tante azioni coraggiose, ed eroiche in breve corso d’anni potranno annoverarsi in pochi d’altre nazioni.

Alla bellezza del corpo, con cui lo figurò, e lo colorì la natura, accoppiò Egli l’altra migliore, e più eccellente dello spirito. Modesto sopra modo, divoto, esemplare. Non fu mai veduto ozioso. Quando non rimaneva occupato in fazioni, se la passava ritirato nel suo Padiglione, o a recitar Orazioni, o a studiare massime Istorie, nelle quali era versatissimo; come anco in altre letterature, e nelle lingue straniere. Aveva scritti tutti gli accidenti delle guerre, nelle quali era intervenuto da dieci anni; di più un giornale dell’assedio di Vienna. Teneva registrato, quanto avvenne a lui in due Congressi, ch’ebbe col Techeli per commissione del General Caprara durante l’armistizio. Mai però v’inserì nulla delle proprie azioni per singolare modestia. Questi manuscritti, e per il carattere difficilissimo ad intendersi, e per essere passata in molte mani in gran parte perirono. Cristina già Sovrana di Svezia, nella sua galleria di Roma ne collocò il ritratto tra gli Illustri Capitani del secolo. Il Generale Co. Luigi Marsigli proccurò alle di lui ceneri l’onore del sepolcro nella Cattedrale di S. Stefano in Buda, sulla di cui tomba si legge intagliato uno splendido Elogio.

Non fu solo il Baron d’Asti, ch’entrasse il primo in Buda. Egli dalla sua parte, il Baron Toldo da un’altra, e da sito arduissimo il Colonnello Marchese Spinola Genovese. Questi aveva a fronte il Bassà Comandante col fiore de’ Presidiarj8, i quali al loro uso con barba[p. 207 modifica]bare voci assordavano l’aria, invocando il loro falso Profeta, e con estrema disperazione mettevano avanti la vita. Lo Spinola faticò assaissimo a sostener la breccia da lui occupata contra i maggiori sforzi nemici. Secondato opportunamente da altri Uffiziali, conservò il posto. Estese per terra il Bassà. Egli però, tutto traforato da palle nemiche, vi lasciò generosamente la vita.

Espugnata quella reggia fu abbandonata al sacco delle milizie, che ne riportarono grossi bottini. ma il fuoco, non si sa come insorto, consumò molte ricchezze. Ne sarebbero perite anche di peggio, se il Conte Rodolfo Rabatta non fosse accorso con indefessa vigilanza, e sollecitudine, ad assicurare dalle fiamme alcuni magazzini di polvere, di granate, e di piombi con quantità di vettovaglie, e di sali. Dispensò doni generosi a’ Soldati, perchè l’ajutassero, come fecero, ad impedire, che il fuoco non s’inoltrasse a quella parte; e vi riuscì felicemente a grande utilità della economia Cesarea. La Chiesa principale di S. Stefano aveva sofferto poco. In essa furono rese all’Altissimo Signore grazie giubilanti, e strepitosissime da’ due Duchi, e dalla Generalità.

Presidiata Buda, si divisero le truppe Cristiane a nuovi acquisti. Un buon corpo d’esse s’incamminò all’oppugnazione di Seghedino, Piazza di grande importanza per il sito, in cui è fabbricata sulla sponda del Tibisco. A’ cinque d’Ottobre fu attorniata la Fortezza. Dieci giorno dopo s’intese, che si avvicinavano per soccorrerla sei mila Tartari. A combatterli fu spedito il Co. Federico Veterani Cavaliere d’Urbino con sei mila tra Tedeschi, ed Ungheri. Questi, tutta la notte movendosi in silenzio, e schierati ottimamente sull’alba i suoi Soldati, al nascer del sole, incontrò i nemici, accresciuti da altro stuolo di Turchi. Colle parole, e coll’esempio spronò tutti al cimento9. Egli investiti con feroce ardore cacciò presto in fuga i Tartari. Abbandonati i Turchi si rifuggiarono nella Terra prossima di Pentela. Con carri, travi, ed altri ripari si fortificarono alla meglio, che il tempo lo permise loro. Il Veterani, fatti calare a piedi i Dragoni, coll’opera di questi ruppe quello steccato. Allora la Cavalleria Alemanna, entrata dentro, tagliò a pezzi i Gianizzeri, e rovesciò i Spay, che si dileguarono altrove. Raccolte le spoglie assai pingui, il Veterani meditava il ritorno co’ suoi, affaticati dal viaggio notturno, e dalla Zuffa presente. Quando le guardie avanzate osservarono sollevarsi una polvere assai folta, argomento di un nuovo esercito, che veniva per assalirli. Erano in circa dieci mila infedeli. Il General Veterani, restituita a’ suoi l’ordinanza, commise al Conte Castelli il coprirgli con alcuni squadroni il fianco dagli insulti de’ Tartari. Egli poi si tenne fermo a ripulsare il conflitto contra de’ Turchi. I Barbari, conoscendosi [p. 208 modifica]assai superiori, si divisero in varie truppe. L’una assalì di fronte, altre sù i fianchi, ed alcune pur anche alle spalle. I Cesarei, formato un circolo sempre immobili da tutti i lati, con ispari ben regolati gettavano a terra gli assalitori. I Nemici, conosciuta impenetrabile la falange Cristiana, finsero di dar addietro sù un Colle, ove stavano in aguato alcune Colubrine, custodite da seicento Gianizzeri10. I Tedeschi, asceso il Colle, niente atterriti dall’improvvisa comparsa di nuovi Nemici, sostennero bravamente la prima scarica de’ Moschetti, e de’ Cannoni Turcheschi: poi con ardore feroce si scagliarono addosso a’ Gianizzeri, e li tagliarono a pezzi: indi rivolsero le bombarde a danni de’ loro Padroni, con che obbligarono tutta quella moltitudine di Cavalli a trafugarsi altrove. La vittoria, quanto inaspettata, altrettanto riuscì insigne, e strepitosa per i Vincitori. Il Veterani, temendo ulteriori insidie, se andava più avanti, distribuiti i Cavalli, i giumenti, ed altre prede alle benemerite Milizie, ricondusse seco le artiglierie, e i prigioni fatti. Questa azione, regolata con sommo giudizio, e bravura inalzò a gran fama il nome, la condotta, e il valore del Veterani, che seppe coglier all’improvviso i Turchi, e in tre differenti zuffe successive mescolarsi ben all’ordine contra di loro sino a sbaragliarli affatto.

Il Comandante di Seghedino, avvertito della disfatta de’ suoi, cedette la Piazza quasi intatta al General Vahis, rimasto a quell’assedio. La conquista assicurò all’Imperatore il possesso di tutto il Tibisco, e di vasta estesa di paese, solito a nodrire quantità grandissima di animali, che si vende ad altre Contrade.

Passate le truppe a’ quartieri il Commissario Co. Rodolfo Rabatta con incredibile prestezza applicò a raccogliere provvisioni sterminate per la Campagna del

  1. P. Vagner suddetto pag. 672 tomo I.
  2. P. Filamondo: Genio bellicoso tomo I pag. 54-55.
  3. P. Filamondo suddetto pag. 57,58, 59, 60.
  4. P. Vagner Istoria Leopoldi C. tomo I p. 686.
  5. P. Filamondo tomo 2 pag. 513, 515, 517.
  6. P. Filamondo tomo 2 pag. 520, 521, 522.
  7. P. Filamondo tomo 2 pag. 524, 525, 526.
  8. P. Vagner tomo suddetto pag. 722.
  9. P. Vagner tomo primo pag. 726.
  10. P. Vagner Istoria suddetta tomo primo pag. 726.