Belisario/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Giustiniano, poi Belisario.

Giustiniano. Non mai fra venti combattuta nave

Tanto incerta agitò per l’onde irate1,
Quanto il mio cor fra due pensier s’affanna.
Se penso a Belisario, alla sua fede,
A’ suoi costumi, io sospettar non posso
Reo d’affetti sacrileghi il suo core.
Ma se penso a Teodora, e il di lei pianto
Meco rammento, e i replicati e fieri
Stimoli di vendetta a me diretti,
Falsa non posso no suppor l’accusa

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Senza macchiar l’accusatrice. Oh numi!

Di quanto peso caricaste mai
Della terra i monarchi! Oh quanto riesce
Difficil cosa il maneggiar sul trono
Le bilance d’Astrea! Spogliar si deve
D’ogni passion chi regna, e a spose e a figli
E ad amanti e nemici esser eguale.
Nè basta ancor. Chi assicurar ci puote
Dagl’inganni del mondo? I rei ministri
Oh quante volte con studiate frodi
Fan tradir la giustizia al re tradito!
Vadan lungi da me. Ma se ne2 viene
Belisario opportuno; ora mi giovi
L’arte del simular sino ch’io giunga
D’un tanto arcano a discoprire il fondo.
Belisario. Cesare, gli Affricani osan superbi
Con nuova ribellion scuoter il giogo
Che la tua mano al loro collo impose.
Io, signor, se il permetti, io tosto corro
A raffrenar quel forsennato orgoglio.
Giustiniano. Vi andrai, ma non sì tosto. Al loro ardire
S’opponga Ormondo: egli, cui dato è il peso
Di moderar que’ mostri, ei li punisca.
Vi andrai tu allor che più bisogno il chieda.
Belisario. E partendo e restando, e in guerra e in pace,
A te servo, signor, s’io t’obbedisco.
Giustiniano. Belisario, sediamo, e dimmi omai
Chi sia colei che adori, e che crudele
Non si move a pietà3. Mi palesasti
Poc’anzi l’amor tuo, ma poscia il nome
Della bella tacesti; or me lo svela.
Belisario. Dura cosa mi chiedi, e tal che puote
Svegliar nel petto mio l’usata doglia.

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Pur m’è legge tuo cenno, e dirlo io deggio.

Antonia è l’idol mio. Pria che io partissi
Da Bisanzio, giurammo entrambi a un punto
Con reciproco amor la nostra fede.
Ma oh Dio! Nel mio ritorno io già la trovo
D’amor cangiata e della fede immemore.
Giustiniano. Quai scuse addusse, o quai segni ti diede
Del cangiato amor suo la donna infida?
Belisario. Molti e crudei. Non mi guardò, ma fisi
Tenendo a terra i lumi, appena appena
Due parole mi disse, e furon queste:
Parti, non tormentarmi; e poscia un misto
Di sospiri e di pianto a me fe’ noto
Che quasi si pentia del tradimento,
Ma ch’era il male mio senza rimedio.
Giustiniano. E il tuo rival non conoscesti ancora?
Belisario. Lo conobbi pur troppo: egli è Filippo.
Giustiniano. E al tuo rival la libertà donasti?
Belisario. Vinto l’affetto mio fu dalla gloria.
Giustiniano. Se Antonia amasti con tal pace, altrui
Cederla non potresti?
Belisario.   Anzi l’adoro.
Ma se indegno di lei mi rende il fato,
Perchè devo infierir con chi n’è degno?
Giustiniano. Altra fiamma t’accese, e questa puote
Farti soffrir il tuo disprezzo in pace.
Belisario. Tolga il ciel che il mio cor arda giammai
D’altro amor che di questo.
Giustiniano.   È a me già noto
Più di quel che tu pensi. Il nuovo affetto
M’offende, è ver; ma questa prova ancora
Dell’amor mio vo’ darti. Io ti perdono
Ogni amoroso error, se il ver mi narri.
Belisario. Signor, il dubbio tuo mia fede oltraggia;
Altr’oggetto non amo, io te lo giuro.

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Giustiniano. Conosci questo foglio?

Belisario.   Io lo formai.
Giustiniano. A chi scrivi?
Belisario.   Ad Antonia.
Giustiniano.   E come ad essa
Parli di sposo?
Belisario.   Io di Filippo intendo,
Che gode l’amor suo, cui la sua mano
O diè la infida, o dar destina un giorno.
Giustiniano. Quest’è quel cui serbasti e vita e pace?
Belisario. Tu il sai, signor, se ben due volte i lacci
Io gli ho spezzato e da prigione il trassi
Mercè la tua clemenza.
Giustiniano.   (Ecco l’inganno.
È innocente l’eroe, più non v’è dubbio).
(da sè, contento
Troppo fosti pietoso ad un ingrato.
Tu nol conosci ancor, nè sai fin dove
Giungan le trame sue. La tua virtude,
Il tuo valor ha gran nemici in corte;
Ma dagli empi rubelli io ti difendo.
Belisario. I fulmini temer già non poss’io,
Se sotto a’ lauri tuoi vivo sicuro.

SCENA II.

Narsete e detti.

Narsete. Cesare, un fiero mormorio di voci

Spargesi per Bisanzio che minaccia
Io non so ben se a Belisario, ovvero
A te, signor, la morte. È sì confuso
Il loro favellar, che mal si puote
Scerner l’oggetto dello sdegno, e solo
Di vendetta si parla e di ruine.

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Pochi però sono gli armati, e questi

Della plebe più vile. I promotori
Son Teodora e Filippo, e il loro passo
Avanzato averian sin nella reggia,
Se l’avesser permesso i tuoi custodi.
Questi il ferro impugnaro e il sol tuo cenno
Attendon, per punir l’ardir degli empi.
Giustiniano. Intendo. Belisario, è questi un colpo
Destinato per te. Vedi, se sono
Possenti i tuoi nemici. Odi, Narsete,
Si disarmi Filippo; e fra catene
Chiuso in orrida torre, ivi l’indegno
Finisca i giorni e più non vegga il sole.
Una poscia s’appresti armata nave,
E con essa Teodora al patrio cielo
D’Antiochia vada; e non ardisca opporsi,
Per quanto ama la vita, al mio decreto.
Se si accheta il tumulto, a poco a poco
Perano di velen gli scellerati
Seguaci loro; e se durasse ancora,
S’adopri il ferro, e tutt’oggi si sparga
L’infame sangue di chi tanto ardisce.
Belisario. Per me sì gran vendetta? E che? Non basta
Il braccio mio per disarmar l’orgoglio
De’ tuoi, de’ miei nemici? Ah! lascia, io solo
Saprò tutti punir.
Giustiniano.   L’imperial cenno
Intendesti, Narsete; or l’eseguisci.
Belisario. Arresta ancor per poco. Io d’una sola
Grazia ti prego, o gran monarca invitto,
S’ami la gloria mia, s’ami l’onore
Di Belisario, ah! non voler che vada
Da te lungi la sposa. A me di scorno
Saria questa vendetta, e a te di pena.
Pera Filippo pur, giacchè il destino

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Finalmente lo guida al suo supplicio.

Egli è autor della colpa, e Teodora
Umil vedrai senza il nipote a’ fianchi.
Giustiniano. (Sarebbe mai questa pietade amore?)
(da sè, conturbato
Belisario, già sai che a conseguire
Basta sol che tu chiegga. Ah! pensa poi,
Che il chieder tuo troppo a costar non t’abbia.
(Facciasi un’altra prova ancor più forte
Dell’innocenza sua). Narsete, il cenno
S’eseguisca in Filippo, e fa che Antonia
A me tosto ne venga.
Narsete.   E l’uno e l’altro
De’ cenni tuoi ad eseguir non tardo. (parte


SCENA III.




Giustiniano e Belisario.



Giustiniano. Belisario, cotanto è nel tuo core
Il mio cor trasformato, che la stessa
Pena che provi tu, risento anch’io.
Soffrir non posso senza grave affanno
Di vederti languir. Farò che Antonia
Oggi tua sposa sia. Così te lieto
Render io voglio, ed il cor mio contento.
Belisario. Deh! mi perdona. Al letto mio non voglio
Donna che del mio amor piacer non senta.
Che vale il posseder rara bellezza,
Se il cor non si possiede? Io prima voglio
Morir anzichè al sen stringer colei,
Che crudel tanto e tanto ingrata è meco.
Giustiniano. (Sarebbe mai questa ripulsa inganno?) (da sè

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SCENA IV.

Narsete e detti, poi Antonia.

Narsete. Filippo in van cercai. Non so dir come

Da Bisanzio fuggì.
Giustiniano.   L’anima rea
Previde il suo destin. Fa che s’insiegua,
E per terra e per mar, nè possa l’empio
Andar fastoso de’ delitti suoi.
Narsete. Antonia ecco sen vien.
Giustiniano.   Parti, Narsete. (Narsete parte
Antonia. Ecco umile al tuo piè la più infelice
Donna di questa terra. (Ah! quasi dissi
La più fedel, ma sventurata amante). (da sè
Giustiniano. Dimmi, gentil donzella, e non ti prenda
Importuno timor: amasti mai?
Antonia. Amai pur troppo.
Giustiniano.   Ed or senti nel core
Le faville d’amor?
Antonia.   Le sento ancora.
Belisario. Ma più quelle non son.
Antonia. Sì che son quelle.
Giustiniano. Belisario, t’accheta insin ch’io parlo.
Sei corrisposta?
Antonia.   Lo sperai sin ora.
Giustiniano. Quali prove n’avesti?
Antonia.   Un giuramento.
Giustiniano. Dimmi: chi è il tuo diletto?
Antonia.   È Belisario.
Belisario. Ma tu quella non sei.
Antonia.   Sì ch’io son quella.
Giustiniano. Belisario, t’accheta; io parlo ancora.
L’ami tu daddovero?
Antonia.   Anzi l’adoro.

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Giustiniano. Sei costante al suo amor?

Antonia.   Costante e fida.
Giustiniano. Antonia, tu m’inganni.
Antonia.   Io te lo giuro.
Giustiniano. Ma non ami Filippo?
Antonia.   Anzi l’aborro.
Giustiniano. (Ah comincio a tremar!) (da sè
Belisario.   (Confuso io sono).
Giustiniano. Stendi dunque la destra a Belisario.
Antonia. Più felice destin sperar non posso.
Eccola.
Belisario.   Idolo mio.
Giustiniano.   Basta, serbate
Ad altro tempo i vani affetti. Intesi
Quel ch’io men mi credea. Sentimi, ingrato,
Sopra te caderà, guardam’in volto,
Il nero inganno, se ingannarmi ardisci.
Io sono il tuo Monarca; e se l’amore
Forse mi rese vili nel tuo pensiero,
Risarcirmi saprò coll’odio mio.
Belisario. Delitto in me?
Giustiniano.   Leggilo in questo foglio.
Egli t’accusa. Antonia ti convince.
Ti condanni tu stesso, io non t’assolvo.
Antonia. (Numi! Che sento mai!) (da sè, agitata
Belisario.   M’accusa il foglio?
Antonia mi convince? Io non intendo.
Antonia. Sappi, signor...
Giustiniano.   Taci che il so pur troppo.
Belisario è infedel.
Belisario.   Ah! che t’inganna...
Giustiniano. Bella crudel scrivi ad Antonia?
Belisario.   È vero.
Giustiniano. È crudel chi t’adora?
Belisario.   Io la trovai...

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Giustiniano. Mentitor! Per Filippo Antonia ardea?

Belisario. Egli stesso...
Giustiniano.   Non più.
Antonia.   (Che sarà mai?) (da sè, turbata
Giustiniano. Tutto il resto del foglio ora comprendo.
Ma colui che a te deve e vita e pace,
E la pace e la vita or può levarti.
Belisario, m’intendi. In te ritorna,
E della colpa tua piangi l’eccesso. (parte

SCENA V.

Belisario e Antonia.

Belisario. Io traditor? Io mentitor? Deh! ferma,

Senti le mie discolpe; e quale mai
Delitto è in me, che disleal mi renda?
Antonia. Di qual foglio parlò Cesare allora
Che i rimproveri suoi scagliava irato?
Belisario. D’un foglio, oh Dio! che a te diretto avea,
E che giunse in sua man, nè so dir come.
Antonia. Ah! Belisario, siam traditi. E questi
Un colpo rio che minacciò Teodora.
Senti, l’imperatrice a me quel foglio
Tolse di man. Di leggerlo una volta
Ingrata mi negò. Col pianto agli occhi
Per pietà glielo chiesi. Ella a grand’uopo
Disse che avealo destinato, ed ecco
L’uopo fatal, cui lo destina un’empia.
Belisario. Svelisi il grande inganno e fia palese
Colla innocenza mia l’altrui delitto.
Antonia. Io stessa andrò di Giustiniano a’ piedi.
Accuserò Teodora, e dell’indegno
Amor suo narrerò l’enorm’eccesso.
Seguimi, Belisario.

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Belisario.   Ah! no, t’arresta;

La mia fè sostener a me s’aspetta.
Maggior contro di te cadria lo sdegno
Della donna inumana.
Antonia.   Un’innocente
Temer non sa delle calunnie indegne.
Belisario. Dunque mi sei fedel? Dunque tu m’ami?
Ed aborri Filippo?
Antonia.   Ancor n’hai dubbio?
Belisario. Ma perchè sì crudel mi fosti allora,
Che a rivederti io venni? Appena un solo...
Antonia. Sì, appena un solo sguardo io ti donai,
E furtivo tel diedi. Un rio comando
Della reina imposto m’ha silenzio.
Ella stessa nascosta ogni atto nostro
Mirava attenta e minacciosa in viso.
Belisario. Mostro crudel di ferità inaudita!
Ma qual prova mi dai tu di tua fede?
Antonia. Prendila in questa destra e il giuramento
Si adempisca così. Di Giustiniano
Vaglia qualunque siasi il regio cenno;
Ei mi volle tua sposa, e tal io sono.
Belisario. Eccoti in questo amplesso, idolo mio,
Un testimon...

SCENA VI.

Teodora e detti.

Teodora. Se un testimon cercate

Delle vostre dolcezze, io sarò quello.
Seguite, pur, felici amanti, il vostro
Reciproco diletto.
Antonia.   (Oh me infelice!) (da sè
Belisario. Ah! Teodora, t’intendo; ascondi sotto

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Il riso lusinghier sdegno feroce.

Già so che la mia morte oggi procuri;
So che mi sei nemica.
Teodora.   Io tua nemica?
T’inganni, Belisario; e poi, se tale
Ti fossi ancor, temer di me potrebbe
L’eroe di Grecia? il Cesare novello,
Che l’impero d’Oriente onora e fregia?
Belisario. Ben lo dicesti. È vero; io non ti temo.
Se temuto ti avessi, io non avrei
Impedito il tuo esiglio, a cui ti avea
Giustinian condannata in giusta pena
Della congiura tua. No, non ti temo.
Se temuto ti avessi, al tuo consorte
Narrato avrei... Sai di che parlo; e puoi
Da ciò meglio veder che non ti temo.
Sai di chi temo? sol di Giove io temo
L’inevitabil destra. Ei de’ mortali
Può disporre a sua voglia; e in varie guise
Fulmina per castigo o per pietade.
Di quello sì, di te timor non sento.
Antonia. (Che generoso cor!) (da sè
Teodora.   (Che cor superbo!) (da sè
Belisario. Antonia, idolo mio.
Antonia.   Mia dolce vita.
Teodora. O là; serba il rispetto al cenno mio.
In faccia di Teodora osi superba
Rivolger sguardi a Belisario?
Antonia.   Allora
Che tu me lo vietasti, io n’era amante,
Or sposa sono, e alle tue leggi ingiuste
Più soggetta non son.
Teodora.   Tu sposa? come?
Belisario. Restò compito in questo punto il nodo.
Teodora. Io disciorlo saprò.

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SCENA VII.

Narsete e detti.

Narsete.   Cesare impone

Che Belisario a lui tosto sen vada.
Belisario. S’obbedisca il comando. (Ahi qual m’assale
Improvviso timor! Che mai pretende
Presagir di funesto il mio tremore?) (da sè
Antonia, io parto; il cor ti lascio; oh dio!
Sento una voce che mi dice al core:
Il tuo bene mai più non rivedrai.
Antonia. Deh! prima di partir...
Teodora.   Lascia ch’ei vada.
Antonia. Sulla tua bella man...
Teodora.   Taci, importuna.
Antonia. Lascia che imprima un bacio.
Teodora.   Io te lo vieto.
Belisario. Qual ragione hai, crudel, sui nostri affetti?
Teodora.   Quella del mio voler.
Belisario.   Tanto non vale.
Teodora. Valerà l’ira mia.
Belisario. Già non la temo;
Prendi, Antonia, la destra.
Antonia.   Al sen la stringo.
Belisario. Parto, mio ben.
Antonia.   Vanne felice, addio.
(partono uno per parte

SCENA VIII.

Teodora e Narsete.

Teodora. Questo l’ultimo fia, superbi amanti;

Odi, Narsete, un cenno mio; ma pensa
Che il tuo destin dall’obbedir dipende.

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Vo’ che muora costei. Tu la conduci

Su l’alta torre e in la vicina notte
Precipiti nel mar e si sommerga.
Narsete. Qual delitto commise?
Teodora.   Il suo delitto
A te saper non lice. Io la sua pena
Sol ti commetto, ed eseguir la devi.
Narsete. Questo di crudeltade ufficio indegno
A Narsete commetti? Avrò con tanti
Generosi sudori in guerra sparsi
Di carnefice alfin nome acquistato?
Perdonami...
Teodora.   Non più, vile, codardo.
Se ricusi l’impresa, a me non manca
Braccio del tuo più fido; e la tua vita
Cadrà d’Antonia colla vita insieme.
Narsete. (Il simular mi giovi; e a un tempo istesso
Si salvi Antonia e il mio dover s’adempia), (da sè
Teodora. Se ostinato ricusi...
Narsete.   Al fin m’è forza
Ceder al tuo voler. Giuro obbedirti.
Teodora. Guarda non mi tradir; che l’ira mia
Ti giugnerà.
Narsete.   Su la mia fè riposa.
Teodora. Vedrai dell’opra tua qual guiderdone
Ti prepara il mio cor. (Sarà tua morte
Per celar la mia colpa il premio tuo). (da sè, parte

SCENA IX.

Narsete solo.

Donna crudel, t’inganni ben, se credi

Che d’ingiusta vendetta io sia ministro.
Antonia è sposa a Belisario, ad esso

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Devo la mia fortuna. Ella è innocente,

E tradirla potrei? Ah! pria sul capo
Mi piombino dal ciel fulmini orrendi.
Misera umanità! l’uomo infierisce,
E la donna è crudel contro la donna?
Ah Teodora crudel, e delle belve
Ragionevole men e più feroce!
Più di libica selva il cuor umano
Carco è de’ mostri, ed oh! che mostri orrendi!
Invidia, gelosia, sdegno, vendetta,
Odio, interesse, ambizion, superbia.
Ma il più crudel, ma il più possente è amore.
Amor è quel che di Teodora in seno
Tanti mali produsse. In van si affida
Aver però dalle mie man vendetta.
Già la notte si avanza. Il benefizio
Dell’ombre servirammi a porre in salvo
Antonia dalle insidie. I dei superni
Avran con lor poter cura del resto. (parte

SCENA X.

Belisario.+

Odi, Narsete... Non m’ascolta e parte?

Divenne forse mio nemico anch’egli?
Che sarà mai? Cesare a sè mi chiama,
Poi vedermi non vuol? Degli Affricani
Mi commette l’impresa, e fa il suo cenno
Che altri mi porga? Perchè mai? Non sono
Degno più de’ suoi sguardi? In un sol giorno
Così cangia per me volubil sorte?
Innocente son io; ma se ricusa
Udirmi, han trionfato i miei nemici.
Se sdegnato il silenzio egli m’impone,

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Sostengo in vano l’innocenza mia.

Ah mia sorte crudel! Non fia mai vero
Ch’io consenta partir con questa nera
Macchia d’infedeltà. Cesare m’oda
E mi condanni poi. Qui venir deve
Pria che tramonti il dì. Da’ suoi giardini
Alle stanze passar suol in quest’ora.
M’assiderò, l’attenderò. Vedessi
Pria di partire almen la cara sposa.
Io già sento che il sonno a mio dispetto
Empie di sè le mie pupille, e tanta
Fammi violenza che già cedo. Oh forte
Bisogno di natura! In tanti affanni
Non vaglio il sonno a superar? Si dorma;
Nell’appressarsi Giustinian, le guardie
Mi sveglieran. Ah! quai saranno i sogni!
Larve, spettri, terrori, o numi... (s’addormenta


SCENA XI.




Teodora e detto che dorme.



Teodora.   Al fine
Un disprezzato amor posa non trova,
Se vendetta non fa... Ma Belisario
Nel sonno immerso e abbandonato io trovo?
Ecco il temp’opportuno al mio disegno.
Questo ferro sarà la giusta pena
Della sua crudeltà. Se vaglion poco
I miei detti, il mio pianto, or questo acciaro
Vano non mi sarà... Ma Giustiniano
Giugner io veggo. Si nasconda il ferro.
Farà colpo maggior questo ritratto.
(Pone il suo ritratto sotto gli occhi di Belisario che dorme, e subito parte.

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SCENA XII.

Giustiniano e Belisario che dorme.

Giustiniano. Dorme qui Belisario? In lieti sonni

Passa l’ore tranquille? Ah! questo è un segno
Dell’innocenza sua; chè un’alma rea
Fra i rimorsi e il timor posa non trova.
Innocente il mio cor ancor lo crede
D’ogni sospetto ad onta; e se non fosse
Di Teodora il rigor, l’avrebbe assolto.
Misero Belisario! Or ch’egli dorme,
Permettasi al mio cor, che l’ama ancora,
Questo sfogo d’amor. (vuol abbracciarlo) Ma che rimiro?
Di Teodora l’effigie? Innanzi a gli occhi
Belisario la serba e la vagheggia?
Che più veder poss’io? Ecco il più certo
Verace testimon del suo delitto. (leva il ritratto
Perdonami, Teodora, se accecato
Dall’amor di costui fede a’ tuoi detti
Sì tosto non prestai qual io dovea.
Belisario infedel! (lo scuote
Belisario.   Chi mi risveglia? (s’alza
Cesare quivi? oh dei! signor, perdona
La violenza del sonno. Ad obbedirti
Pronto son io; sì, partirò, ma prima
Ah! dimmi per pietà...
Giustiniano.   Perfido, è vano
Studiar menzogne a colorir tuoi falli.
Più cauto esser dovevi; il tuo delitto
Fece l’accusa tua. Sì, vidi io stesso
Ciò che men mi credea; ciò che sin ora
Sol dubitai. Or che il tuo fallo è certo,
Certa fia la tua pena.
Belisario.   Oh dei! che dici?
Scopristi in me...

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Giustiniano.   Sì, traditor, scopersi

Il più nero delitto, e il più inumano
Tradimento vid’io.
Belisario.   (M’assista il cielo). (da sè
Giustiniano. Scordati del mio amor, ch’io già mi scordo
Di te; se non che mi sovvien d’averti4
Ingiustamente e ciecamente amato.
Belisario.   Son pur quell’io...
Giustiniano. Sì, quel tu sei che seppe
Giustiniano tradir; che con indegno
Amor rese macchiato il mio decoro.
Belisario.   Di qual amor favelli?
Giustiniano. Indegno! Io parlo
Di quel con cui tu m’offendesti. Osserva.
Parlo di questo amor. Perfido, dimmi,
Conosci tu questo ritratto?
Belisario.   Parmi
Di Teodora l’effigie.
Giustiniano.   Audace, e ardisci
Vagheggiarla, adorarla e innanzi agli occhi
Tenerla allor che tu li chiudi al sonno?
Belisario. Io? t’inganni.
Giustiniano.   Tu sei l’ingannatore.
Ma giuro a tutti della Grecia i numi,
Tal la pena sarà qual fu la colpa.
Belisario. Senti, signor...
Giustiniano.   Non più; già troppo intesi.
Belisario. Dell’innocenza mia...
Giustiniano.   Tu l’hai macchiata.
Belisario. Per quella fè...
Giustiniano.   Che fè? Sei disleale.
Belisario. Almen per l’amor tuo...
Giustiniano.   Cangiato è in odio.

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Belisario. La tua pietà...

Giustiniano.   Te n’abusasti, ingrato.
Belisario. Il mio valor...
Giustiniano.   Tutta la gloria hai perso.
Belisario. La gloria mia...
Giustiniano.   Sì, nel delitto oscura.
Belisario. Qual delitto, signor? Son innocente.
Giustiniano. Innocente sarà chi nutre in core
Impura fiamma e contumace affetto?
Belisario. Ah! non è vero...
Giustiniano.   Temerario, ardisci
Di negarmelo ancor? Contro il tuo fallo
Parla questo ritratto e i testimonj
Della tua reità son gli occhi miei.
Troppo audace ti rese il mio favore,
Troppo di mia pietà fidarti osasti.
E di Cesare il fregio e l’onorato
Nome di capitano e l’amor mio
Ti tolgo già da questo punto, e attendi
Dell’ira mia l’ultime prove ancora. (parte

SCENA XII.

Belisario solo.

Misero! a qual tormento, a qual destino

Mi preservaro i numi! Ah! fra le spade
Fossi caduto almen, che d’alta gloria
Onorato sarebbe il mio sepolcro!
Ah Teodora, Teodora, alfin vincesti,
E già sento smarrir la mia costanza.
Io non soglio temer chi la mia morte
Minacciar può; ma chi l’onor, la fama
Tenta levarmi e la mia gloria offende,
Temer m’è forza e paventar tremando.

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Chi formò quel ritratto? E come l’ebbe

Cesare? e come innanzi a gli occhi miei
Ritrovollo? E di me che mai fu detto?
Mille inganni tessuti alla mia fede
Ha la rea donna a vendicarsi intenta.
Apprenda ognun da ciò che non v’è al mondo
Mostro più fier di donna irata. Il cielo
Darmi già non potea più fier nemico.
Più d’esercito armato è poderosa
Questa crudel nemica, e l’armi sue
Son frodi, tradimenti, arti ed inganni,
Finzion, calunnie, simulati pianti,
Ira, sdegno, furor, rabbia, dispetto,
Invidia, gelosia, sfrenato amore,
Ambizion, crudeltà, lusinghe e vezzi:
Armi già tutte dalla donna usate.


Fine dell’Atto Terzo.

  1. Così il testo. Non sembra opportuno suggerire delle correzioni arbitrarie.
  2. Nel testo: sen.
  3. Nel testo c’è il punto interrogativo.
  4. Così nel testo.