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Compendio de le istorie del Regno di Napoli/Libro III

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Libro III

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LIBRO TERZO

del Compendio de le istorie del regno di Napoli

a lo illustrissimo principe Ercule inclito Duca di Ferrara.

In questo libro terzo si tratta de la passata de’normanni nel regno di Napoli e de lo acquisto che feceno de la Sicilia e di piú fatti di essi normanni in esso reame di Napoli. Trattasi ancora de le incursioni de’ saracini e de’ fatti di Enrico imperatore e de la rotta che detteno i normanni a papa Leone IX e come lo preseno; e li egregi fatti di Roberto Guiscardo e de’ suoi figliuoli Roggero e Boemondo, e de le guerre fatte fra loro; e d’uno passaggio di oltra mare, e de le altre cose fatte da questi de la casa normanna, e come ruppeno e preseno papa Innocenzo II; e de la passata di Lotario imperatore in Italia; e de’ fatti di Guglielmo re di Sicilia e di Puglia, e di Federigo Barbarossa, e de la guerra di papa Clemente V e Celestino III per insignorirsi di Puglia e di Sicilia; e l’ultima rovina de’ normanni.


Avemo nel secondo libro con la possibile diligenza e brevitá raccolto le condizioni e stato di mille anni del regno di Napoli, secondo che da molti e vari scrittori avemo letto e ad una concordia ridotto. Seguitano ora 498 anni non meno intricati da li scrittori, né meno copiosi di mutazioni e varietá di casi, che sieno stati li mille precedenti, anzi piú mirabili di quelli; conciosiacosaché chi ben considera le cose in questi accadute, bisognerá che confessi il regno di Napoli altro non essere che una palestra di ambiziosi e di avari e di tiranni, esposta sempre a rapine e calamitá de le guerre, essendo per troppa sua fertilitá e molte altre sue doti, si come de le cose buone avviene, da molti desiderato. [p. 76 modifica] Dico adunque che ne l’anno di Cristo 1008, essendo in Roma pontefice Sergio IV e in Germania Enrico II imperatore e in Constantinopoli Michele Catalaico, il regno di Napoli in questo stato si trovava: che parte di esso tenevano per i romani, anzi usurpavano, alcuni principi e duchi, un’altra parte, cioè la Puglia e la Calabria, tenevano i greci sotto il governo di un capitano de l’imperatore chiamato Malocco; non mancando però che sempre in esso li saracini, che tenevano Sicilia, danni e molestie non déssino, si come quelli che nel regno di Napoli ancora alcuni lochi aveano occupati, e li duchi e principi de’ romani con li greci in continue discordie e guerre non fussino, quel regno in vari modi lacerando.

E perché circa questi tempi, oltra le predette tre nazioni, cioè romani, greci e saracini, una nuova gente si trovava nel detto regno, la quale in processo di tempo or parte or tutto 10 ebbe in signoria, per evidenza adunque bisogna sapere che in Romagna, in Toscana e in Campania si trovava in questi tempi una nobile famiglia discesa da li duchi di Normandia, la quale, avida di gloria e di acquistare lochi da poter vivere meglio che ne la sua patria non poteano fare mediante 11 mestier de l’arme, molti anni innanzi, e circa li anni di Cristo 900, era passata in Italia. Capi di questi normanni furono due fratelli, uno chiamato Roberto, l’altro Riccardo, discesi da Rollone primo duca di Normandia, del qual sopra nel primo libro parlando de’ normanni abbiamo fatto menzione, in questo modo: Rollone, detto a battesimo Roberto, generò di Gillia, figliuola di Carlo il Semplice, re di Francia, un figliuolo chiamato Guglielmo; Guglielmo generò Riccardo I; Riccardo generò due figliuoli, cioè Roberto e Riccardo II, de li quali ora parliamo. Questi due fratelli gloriosamente molti anni militorno; e mancati loro, trovandosi li suoi normanni al soldo del duca di Salerno, fecer lor capo uno chiamato Tristano cognominato Cistello, il quale avendo morto un serpente, infettato dal veneno di quello si mori. Successe a lui un altro normanno chiamato Raino, e fu quello che edificò Aversa. Dopo Raino continuò un Carlo, il quale fu principe [p. 77 modifica] di Capua, e dopo lui lordano suo figliuolo, e dopo lordano Riccardo figliuol suo. Mancato Riccardo, Guglielmo cognominato Ferrebac, che altro che ’forte braccio’ non si interpretava, figliuolo di Tancredo normanno conte di Altavilla, fu fatto loro capo. Ebbe Tancredo padre di Guglielmo di due mogliere dodici figliuoli, li nomi de li quali trovo esser stati questi: Sarno, Gottfredo, Drogone, Tancredo, Guglielmo cognominato Ferrebac, Umfredo, Roberto cognominato Guiscardo, Roggero, Riccardo, Gottfredo II, Frumentino e Malogero. Tancredo adunque in Italia con questi dodici figliuoli sotto vari stipendi ne l’esercizio de l’arme ne la compagnia de’ normanni si stava: né altro de la loro origine e causa de la lor venuta in Italia appresso li scrittori ritrovo.

Essendo il regno di Napoli adunque nel stato qual di sopra avemo detto e trovandosi alquanto quieto da movimenti notabili, Guglielmo Ferrebac fatto capo de’ normanni, come è detto, pensando di fare qualche gloriosa impresa, prima fece confederazione e lega con il principe di Capua e con il principe di Salerno, poi a la medesima lega indusse Malocco locotenente de l’imperatore greco in Apulia e Calabria: convenendo tra loro che tutti quattro insieme con quattro loro eserciti passassino in Sicilia contra saracini, e quella acquistata, cosi l’isola come anche la preda in quattro parti egualmente tra loro avessino a partire. Passati adunque in Sicilia questi quattro capitani, e infine vinti e cacciati e debellati i saracini, la preda egualmente fu divisa; ma le terre de l’isola Malocco le consegnò a li prefetti e magistrati, i quali dal suo imperatore innanzi la guerra li erano stati mandati. Guglielmo indignato per questa inosservanza de’ patti, e dissimulando lo sdegno, partito da li due principi suoi collegati, i quali a Salerno e Capua tornorno, voltò la sua armata intorno a la Magna Grecia e a la Calabria e se ne venne in Puglia occupando molti lochi d’essa. Et entrato in Melfi, il qual giá per loco forte era stato eletto da’ normanni e fortificato per ridotto di lor robe e famiglie pensando di guerra, apparecchiò tutte le cose necessarie a la difesa. Il che sentendo [p. 78 modifica] Malocco, partito subito di Sicilia, senza fermarsi punto, pose il campo a le porte di Melfi; ma Guglielmo peritissimo capitano, prima che li greci stanchi dal viaggio si componessino a l’assedio, usci fuora con grande impeto e assaltato e rotto Malocco, e morto tutto il meglio del suo esercito, lo cacciò de la maggior parte di Puglia, e possedettela chiamandosi lui conte di Puglia.

Morto poco poi Guglielmo Ferrebac, Drogone suo fratello ottenne la signoria di Puglia; il perché un altro catipano mandato da l’imperatore (ché cosi era il nome del magistrato imperiale in Italia) al primo assalto ruppe Drogone e cacciollo de la maggior parte di quel che in Puglia possedeva. Era chiamato questo catipano Melo; ma Drogone, uomo di gran virtú, riparato subito l’esercito, ad un’altra battaglia ruppe Melo e cacciollo di Puglia. Trovo questo Drogone esser stato uomo di religione e di prudenza e di forza e perizia militare famosissimo, in modo che in tre fatti d’arme fatti in un giorno superò li greci e ottenne la maggior parte di Puglia. Prodigato adunque Melo, l’imperatore mandò un altro catipano in suo loco, il cui nome era Bubagano, il quale in quel loco che anticamente si chiamava Castra Hannibalis in Puglia edificò la cittá oggi detta Troia, come loco opportuno per ridotto de’ greci a resistere a’ romani e conservare la subiezione di Puglia e di Calabria.

In questo medesimo tempo li saracini con potentissima armata entrorno in Italia e fatto del loro esercito due parti, con una assediorno Bari, con l’altra Capua. Bari da l’armata di Gregorio greco, mandato catipano da l’imperatore, insieme con l’armata di Pietro Urseolo duce de’ veneziani, fu soccorsa e li saracini rotti e levati da l’impresa. Capua da Enrico imperatore Germano, duca di Baviera e secondo di questo nome, fu da l’assedio liberata; imperocché trovandosi per la sua coronazione a Roma, andato al soccorso di Capua, superò i saracini e per forza a lasciare Italia li costrinse. E perché mentre Enrico era al soccorso di Capua, Bubagano catipano de’ greci aveva prestato favore a’ saracini, epperò, avuto che ebbe [p. 79 modifica] Enrico la vittoria, subito partito da Capua insieme con Benedetto VIII pontefice romano, che questa impresa avea molto nel cuore, pose il campo a Troia con intenzione di minarla, essendo appena le sue mura e fortezze fermate, come fatte di nuovo; nondimeno vi stette a campo quattro mesi et essendo il tempo caldo e pericoloso a la nazione germanica, fu contento averla per accordo, onde tolti solamente li ostaggi, a Roma se ne tornò.

Essendo dappoi creato imperatore romano Corrado svevo, primo di questo nome, poi la morte di Enrico, e in Constantinopoli imperatore un altro Michele cognominato Eteriaco successore al Catalaico, li normanni che tenevano la Puglia feceno una grandissima battaglia con li greci tra il fiume de l’Ofanto e il castello Olivento e furono vinti li greci, e allora i normanni tutta la Puglia interamente possedetteno. Enrico ili dappo’ la morte di Corrado venne a Roma a coronarsi da Clemente II, e da Roma andò sino a Capua, e avendo composte le cose di Campania se ne tornò in Alemagna, e in quel tempo li saracini vennero di nuovo in Italia e preseno Scanno in Calabria.

Morto in questo mezzo Drogone conte di Puglia, poi che sette anni l’ebbe posseduta, per prodizione del conte di Napoli chiamato Vasone, Umfredo suo fratello successe nel contado c tenutolo sette anni passò di questa vita, e dappo’ lui Gottfredo suo fratello succedette nel contado, nel principio de la creazione di Leone IX pontefice romano; e nel medesimo tempo Guaimaro principe di Salerno, il quale era ancor lui di nazione normanno, da li suoi fu morto, e nel principato succedette Gisulfo: il quale avendo piú volte tentato di occupare Benevento e apparecchiandosi per andar li, Leone dimandò aiuto ad Enrico III. Enrico promise al pontefice di tórre li suoi Germani che erano a Vercelli e in persona andare a cacciare li normanni di Puglia; il perché convocando Leone, oltra li Germani, tutto lo sforzo poteva de le genti italiane, movendo da Roma si inviò verso il reame. Sentendo Gisulfo la venuta del pontefice, fu il primo con li altri normanni ad [p. 80 modifica] occupare Benevento; e poi che lo ebbeno fortificato, si feceno innanzi e aspettorno il pontefice ad una terra chiamata Civita, ove fatto un grandissimo fatto d’arme, li normanni furono superiori, e vincendo preseno Leone papa, il quale modestissimamente trattando, con ogni onore, accompagnato dal clero beneventano, lo feceno a Roma condurre. Scrive Andrea Dandolo duce di Venezia ne le sue Croniche , che tanta occisione di uomini fu fatta in questa battaglia da una parte e da l’altra, che ancora al tempo suo un monte di ossa si vedeva in quel luogo.

Circa questi tempi morendo Gottfredo conte di Puglia lasciò Bagelardo suo figliuolo successor nel contado, ma Roberto, prestantissimo giovine fratello di Gottfredo, ebbe grandissimo sdegno di non esser stato lasciato successore del fratello; per forza d’arme cacciò Bagelardo e occupò il contado di Puglia e di Calabria, e aggiunseli Troia, la quale sin a quel tempo a li Romani era stata subietta. Questo è quel Roberto, il quale per il vigore de l’ingegno e per la sua somma astuzia fu cognominato in sua lingua (ché cosi significa) Guiscardo, benché uno scrittore dica che tal nome significa * errante ’, perché i normanni andorno errando per molti paesi. Et essendo in quel movimento morta Aberada sua donna, de la quale aveva giá avuto un figliuolo chiamato Boemondo, tolse per seconda moglie Gigliegarda nepote di Gisulfo principe di Salerno e figliuola giá di Guaimaro fratello di detto Gisulfo, che da li suoi fu morto.

Ridotte le cose in questa forma, volendo Roberto come prudentissimo fortificare il suo stato di ottimi titoli et amicizie, mandò ambasciatori a Nicolò II pontefice romano, pregando che come buon pastore e padre si degnasse andare a lui per componere le cose di Puglia e di Calabria. Il pontefice che per la superbia e perfidia de li baroni romani, i quali allora si chiamavano capitanei, mai né di né notte avea quiete, insieme con li oratori di Roberto partito da Roma ne l’anno 1060, con esso venne a parlamento in un loco tra Amiterno e Furcone in Abruzzo, chiamato l’Aquisa, ove fu poi da Federico II [p. 81 modifica] imperatore edificata l’Aquila, come piú innanzi diremo; e in modo si composeno, che lui si fece uomo ligio e vassallo de la Chiesa romana e restituí tutto quel tcnea de la Chiesa, e specialmente Troia e Benevento, e promise ad ogni bisogno d’essa mandarli tutti li sussidi necessari, ancor con tutte le sue genti; e da l’altra parte il pontefice assolvette Roberto da ogni escomunicazione ne la quale fusse incorso e lo fece e creò duca di Calabria e di Puglia, investendolo del ducato col stendardo de la Chiesa. Fatti occultamente (per rispetto dei • capitanei) li capitoli, il pontefice tornò a Roma e comandò a Roberto che desse il guasto e domasse li capitanei di Roma; e cosi fu fatto, perché non restorno li normanni di combatterli, che prenestini e tusculani e numentani, e poi, di lá dal Tevere, Gallese e le terre del conte Gerardo insino a Sutri a la vera obedienza del pontefice ridusseno. Circa la morte poi di Nicolò II pontefice predetto, che fu al fine de li due anni e mezzo de la sua creazione, Roberto acquistò Matera in Puglia e Taranto per accordo.

Creato dappoi Nicolò Alessandro II pontefice et essendo agitato da un gran scisma per la elezione voleano fare li lombardi al pontificato di un altro chiamato Cadolo da Parma, si trovava allora imperatore de’ greci in Constantinopoli uno chiamato Romano Diogene, e teneva per catipano in Italia uno detto Ciriaco, il quale stava a Vestie cittá di Puglia; e avendo proposto Roberto Guiscardo levare in tutto li greci di Italia, andò a l’improvviso con l’esercito a Vestie e prese la terra e Ciriaco. Poi con la medesima celeritá andò a Monte Peloso, ove vtdendo bisognarli averlo per assedio, li lasciò Gottfredo li suo fratello con parte de l’esercito, e a Brundusio mandò Roggero (che suo fratello era ancora), che per mare e per terra lo avesse ad oppugnare. Lui con la maggior parte de l’esercito andò a campo a Barletta, ove si erano ridotti tutti li valentuomini et eletti di quanti greci erano in Italia; e vedendo esser libero il porto, ovvero statio per la protezione de la ròcca, e per questo le vittuaglie non essere per mancare a la terra, fece un’opera grande, però che cinse [p. 82 modifica] il porto di un buon muro di navi catenate insieme in forma di semicircolo, da le quali ancora (oltra che impedivano le vittuaglie a li inimici) combatteva la terra da la parte del mare. E nondimeno tre anni continui vi stette prima che la conquistasse, e in quel mezzo Gottfredo, che aveva espugnato Monte Peloso, si era unito con Roggero a Brundusio. Il perché seguitando la vittoria Roberto, lasciato a Brundusio Roggero e Riccardo ancor suo fratello al governo di Puglia, comandò • a Gottfredo che con l’armata la quale era a Brundusio, andasse a Regio in terra de’ Bruzzi, che giá tutta si chiamava Calabria, ove lui con l’esercito di terra si trovaria. Andando adunque a Regio, Roberto fortificò per la via San Marco terra di Calabria e procedendo inante e fermato il campo al fiume Moccato appresso l’Acque Calde, subiugò Cosenza e Marturano, poi andò a Squillace e di li per la via de la marina si pose a l’assedio di Regio, ove quasi ad un tempo Gottfredo con l’armata era arrivato; e stando a l’assedio di Regio, ebbe per accordo Neocastro, la Mantia e la Scalea. E in questo mezzo Roggero ultimo di etá de’ fratelli di Roberto, partito da Brundusio e stato alquanto con l’esercito sopra il monte di Bibona, prese la valle delle Saline e molte altre terre circostanti e forni la terra di Nicefora, ponendovi dentro buoni presidi di uomini. E in questo tempo ancora Roberto dette a Riccardo Guilinengo e Civita di Chieti con tutta quella regione, e lasciato Roggero a l’assedio di Regio, lui con l’armata e con Gottfredo passò in Sicilia e assediò Palermo. In quel mezzo Riccardo con Guglielmo suo figliuolo prese Capua e occupato ancora Benevento, andò a Ceperano, ma andandoli contra il duca di Spoleto e la contessa Matilda e Gottfredo suo marito con potente esercito ad instanza di Alessandro Il pontefice, senza aspettarli lasciorono tutto quel teneano de la Chiesa. Vedendo Roberto che l’assedio di Palermo avea troppo a durare, lasciato Gottfredo in suo loco, che per mare e per terra lo stringesse, tornò a Regio et espugnollo e prese Santa Severina, e avendo in pochi di conquistata tutta la Calabria e [p. 83 modifica] terra de’ Bruzzi, pose il campo a Trani del mese di aprile, e il gennaro sequente lui in Puglia ottenne Trani e Gottfredo in Sicilia vinse Palermo; e allora di comune consenso de’ fratelli fu chiamato Roberto duca di Puglia e di Calabria ne l’anno di Cristo incarnato 1073.

Una cosa notabile trovo scritta da fedeli autori in questo tempo accaduta, la quale per esser memorabile non mi è parso in modo alcuno pretermetterla. Trovossi in Puglia al tempo di Roberto Guiscardo una statua marmorea, la quale in testa in guisa di ghirlanda avea un circolo di bronzo, intorno al quale erano scolpite queste parole latine: Kalendis Maiis oriente sole AVREVM CAPVT HABEBO Cercò lungamente Roberto di intendere la mente di queste parole in effetto; né si potendo trovare chi vera intelligenza ne avesse, finalmente un saracino perito di arte magica, il quale si trovava prigione di Roberto, avendo prima domandata la sua liberazione in premio de la interpretazione di esse, in cota-1 modo le dichiarò: imperocché nel di di calende di maggio, nel levar del sole, osservò il loco a punto e segnò ove l’ombra del capo de la statua in terra terminava, e li comandò fusse cavato, ché cavando s’intenderla la sentenza di quelle parole. Fece Roberto cavare nel designato loco una fossa e in poco spazio li trovò un grandissimo tesoro, il quale a molte sue imprese fu ottimo instrumento. Il saracino mago, oltra altri premi, fu liberato.

In questo mezzo che queste cose si faceano, stando Roggero in Calabria, Bettimino ammiraglio di Bescavetto principe de’ Mori, il quale per il Soldano governava Sicilia, occultamente ne andò a Roggero e feceli intendere T isola di Sicilia essere paratissima a rebellarsi, e rimasto d’accordo con Roggero di quello avevano a fare e del premio dovea avere per il tradimento, li mostrò la via di pigliarla e ritornò in Sicilia. Roberto avvisato da Roggero del tutto, seguitò con Tarmata [p. 84 modifica] il moro e per la prima terra prese Messina; poi con celeritá cacciati in poco tempo li saracini, il dominio di tutta l’isola pienamente acquistò: e allora Roggero mandò a presentare ad Alessandro li pontefice quattro camelli de la preda de’ saracini. Cosa mirabile certo a considerare un si felice corso di vittoria, pensando che Roberto Guiscardo e li suoi fratelli tutte le predette regioni d’Italia e l’isola di Sicilia in non piú tempo che di anni diciotto al suo dominio ridusseno.

Essendo poco poi creato pontefice Gregorio VII, Roberto con tutti li normanni furon escomunicati per aver occupate alcune terre de la Chiesa ne la Marca, oltra li insulti predetti fatti da Riccardo; e fu detta escomunica fatta in Concilio solenne a Roma, nel quale si trovò la contessa Matilda e Gisulfo principe di Salerno, zio di Gigliegarda donna di Roberto. Il perché Roberto poi, essendo il pontefice occupato da la persecuzione di Enrico IV imperatore ne l’anno 1080, andò a campo a Salerno e avendolo duramente combattuto sette mesi, costrinse Gisulto a rendersi e darli la terra e la ròcca; cosi acquistato Salerno, subito andò a campo a Benevento e dopo quattro battaglie che li diede lo avrebbe finalmente preso, se non fusse che confortato e persuaso da Gregorio pontefice lasciò l’impresa, e nondimeno per non tornar vuoto prese per via il castel di Vico, il quale poi per sé ritenne.

Questo anno medesimo 1080 Michele cognominato Diocrisio, imperatore constantinopolitano, insieme con tre figliuoli Michele, Andronico e Constantino fu cacciato de l’imperio da Niceforo cognominato Bucamero. Onde presa la occasione da le turbazioni che erano ne l’imperio, Roberto cacciò li Greci da Spinacorba e da Otranto e da Taranto e racquistò quelle terre le quali ultime erano rimaste de’ greci, et essendo a campo a Taranto, il Diocrisio venne sconosciuto a parlare a Roberto e dimandarli aiuto. Roberto volontieri l’ascoltò e confortollo ad andare al pontefice, sperando ancor per questo mezzo potersi reconciliare con esso; cosi li venne fatto, perché ancora il pontefice detta reconciliazione desiderava: onde per poter parlare con Roberto lo fece venire a Ceperano, ove [p. 85 modifica] finalmente Roberto si fece di nuovo vassallo ligio del pontefice e de la Chiesa romana, e restitui tutto quello teneva ne la Marca d’Ancona e fu assoluto da l’escomunicazione. E fu conclusa la restituzione del Diocrisio a l’imperio, la quale impresa acciò che con piú autoritá e reputazione si potesse fare, donò il pontefice a Roberto il confatone di San Piero e Niceforo escomunicò.

Partito da Ceperano dappo’ questa conclusione, Roberto subito andò a Otranto, ove fatto locotenente de le cose d’Italia Roggero suo minore figliuolo e Boemondo maggiore di etá creato capitano de l’armata, lui montò sopra la nave pretoria insieme con Michele Diocrisio e fu il primo a far vela. E prese porto a la Valona ne li liti di Macedonia; poi partiti di li si accamporno a Durazzo, per mare e per terra stringendolo. Niceforo, che nuovo era ne l’imperio, non avendo altro aiuto, ricorse a’ veneziani, i quali sempre la parte de li imperatori greci seguitavano. Loro con potente armata a soccorso li mandorno Domenico Silvio loro duce, il quale venuto a le mani con Roberto per battaglia navale, non senza molta effusione di sangue de li suoi propri, al fin ruppe Roberto. Continuava nondimeno l’assedio da terra, del quale era a capo Boemondo; e Roberto tornato in Italia e riparata l’armata, lasciando il Diocrisio in Puglia, tornò a l’assedio di Durazzo. Niceforo in quel mezzo volendo soccorrere Durazzo, aveva commesso a Alessio Cornino suo capitano, del quale molto si fidava, che di greci e traci e saracini e turchi condotti a stipendio facesse in Adrianopoli un esercito e con quello ne andasse al soccorso di Durazzo. Alessio perfido, fatto un grosso esercito e fattoselo amico con prometterli Constantinopoli in preda, lasciando l’impresa di Durazzo, lo menò a Constantinopoli e per prodizione di un capo di squadra di Niceforo di nazione alemanno, chiamato Ammone, avuta una porta chiamata dei Bulgari, entrò ne la terra e quella miseramente saccheggiata, si fece imperatore. Niceforo, che in Santa Sofia si era ridotto, impetrato che ebbe per grazia la vita, fu tosato e fatto monaco. Cessata la direpzione di Constantinopoli, Alessio, per [p. 86 modifica] dimostrare che tal cosa era avvenuta per l’avarizia di Niceforo, non per ambizione sua, e per mitigare il popolo, fece suo consorte ne l’imperio Michele giovine figliuolo di Michele Diocrisio, poi con un esercito di settanta mila uomini, mandando innanzi Michele e lui seguitando, vennero a Durazzo. Roberto e Boemondo sentendo che i greci volevano fare fatto d’arme per terra e per acqua, li vennero incontro e feceno le spianate per la battaglia, la quale fu atrocissima e di gran sangue, e finalmente furono vincitori Roberto e Boemondo. Michele fu morto e Alessio con le reliquie de l’esercito lacerato e rotto si fuggi: per la qual cosa Durazzo disperato di soccorso a Roberto si rendette, e a l’esempio di Durazzo molte altre terre.

In questo mezzo che Roberto in Dalmazia guerreggiava, Roggero suo figliuolo locotenente in Italia, intendendo che Ascoli cittá di Puglia tentava di rebellarsi, li andò a campo e finalmente presa, saccomannata e bruciata, da’ fondamenti la spianò.

Enrico IV imperatore, persecutore di Gregorio VII pontefice, mentre che Roberto era in Dalmazia, era venuto a Roma et entrato ne la cittá Leonina stando al palazzo di San Piero, tutti li edifici di Roma ruinava e la terra in tal modo assediata teneva, che in grandissima fame e carestia era condotta. Il che intendendo per lettere e messi del papa, Roberto, lasciato in Dalmazia Boemondo, se ne venne con celeritá in Italia e fatto un grossissimo esercito per la via Latina si inviò verso Roma; giunto a Ceperano mandò a dire ad Enrico che sotto pena de la vita si levasse da Roma e da tutto il suo territorio. Enrico impaurito e raccomandata la terra a’ cittadini di Roma che la venuta di Roberto non sapevano, levò dal Capitolio li suoi Germani, lasciandolo abbruciato; e con tanta celeritá e furia si parti da Roma, che in un di medesimo arrivorno a Siena lui, e a porta Latina di Roma Roberto. Li romani li serrorno la porta, onde da li amici del papa introdotto per porta Flaminia (ora detta del Popolo) bruciò tutto Campo Marzio; poi dappo’ molte battaglie fatte in diversi lochi di [p. 87 modifica] I.IBRO TERZO 87 Roma, espugnando per forza il Capitolio ove li romani si erano ridotti e fortificati, li costrinse a darsi a discrezione. Il che fatto, lui con tutto l’esercito armato e trionfale andò al Castello sant’Angelo e fatto buttare a terra tutti li ripari e bastie li avevano fatto intorno i romani per assediare il pontefice, ne cavò fuora Gregorio e accompagnollo al Latcrano e ne la sua pontificai sedia lo ripose; ma dubitando che dopo la sua partita i romani perfidamente non rompessino la pace, seco a Salerno ne menò Gregorio.

Tornato nel regno Roberto e avendo giá conceputo ne l’animo di farsi imperatore di Constantinopoli, continuando la vittoria di Dalmazia e vedendo che Boemondo suo figliuolo era assai potente per terra, fece una grande e gagliarda armata; il che intendendo sin dal principio di essa, Alessio pregò i veneziani lo soccorressino e in quel mezzo ancor lui mise in punto un’altra armata da congiungerla con essi. I veneziani dubitando che la grandezza di Roberto a qualche tempo non fusse dannosa a la lor libertá, feccno una grossissima armata e fattone capitano Domenico Silvio la mandorno a l’isola di Corcira (oggi detta Corfú) a congiungersi con quella de’ greci. Appena s’erano messe insieme le due armate, quando inteseno Roberto avere giá fatto vela per passare in Macedonia e Dalmazia. Alessio con la celeritá possibile se ne andò verso Durazzo per impedire la entrata del porto a’ normanni, ma Roberto, niente impaurito per la moltitudine de li inimici, drizzò le prode de l’armata verso loro, con proposito di farsi per forza la via, e furono a le mani. La battaglia fu sanguinosa e crudele da ogni banda, ma infine Roberto, parte per sua virtute e fortezza, parte per il favore de l’esercito di Boemondo, il quale armato sopra il lito assisteva a la battaglia, rimase vincitore, avendo per una de le sue navi sommersone due de li inimici. Per la qual cosa Alessio da la man sinistra verso il Peloponneso fuggendo e Domenico Silvio da man destra verso Venezia navigando, se ne andorno; Roberto con la sua armata assai percossa, a salvamento in Durazzo si ridusse. Il Silvio per tal rotta fu da’ veneziani del ducato privato, [p. 88 modifica] e nel medesimo tempo Gregorio VII in Salerno mori e dappo’ lui fu Vittore III creato pontefice, il quale un anno e quattro mesi solamente nel pontificato durò.

Dappoi questa vittoria, avendo Roberto per molti mesi consultato il seguitar l’impresa di Constantinopoli, intese da le spie che Alessio e veneziani avevano di nuovo un’armata maggior che la prima preparata, e giá era levata del Peloponneso per condursi in Dalmazia: per la qual cosa animosamente levatosi con la sua da Durazzo e tiratosi in alto, si scontrò con l’armata inimica a l’isola del Sasono e fatta con loro una viril battaglia, al fin li ruppe facendoli ancora maggior danno che a la prima vittoria fatto non aveva. Per la qual cosa Alessio e Vitale Faliero duce de’ veneziani vituperosamente fuggirno. Dappo’ tanta vittoria, si come era ordinato dal cielo, Roberto facendosi innanzi verso la Grecia, andò a Cassiopoli, promontorio de l’isola di Corfu, del mese di luglio ne l’anno 1085; e in quel loco soprapreso da un’acutissima febre, infine di questa vita passò, avendo gloriosamente e con molte vittorie la sua vita settanta anni condotta.

Avemo fatto circa Roberto Guiscardo piú lungo discorso che forse ad epitome o compendio non conviene, pensando esser equissima cosa e molto debita a li scrittori non cosi succintamente li gesti de li uomini illustri trapassare, non avendo altro o maggior premio la virtú di’ questo de la immortalitá e de la gloria; oltra che a voler ben distinguere e notare le cose del regno di Napoli era necessario in questo modo commemorarle, essendo assai intricata istoria questa de la successione de’ normanni e de la loro successione, la quale ancor io (non senza molta fatica), da piú scrittori piú presto lacerata che scritta, ho in un corpo fedelmente ridotta. Era nel tempo de la morte di Roberto Guiscardo pontefice romano Urbano II creato dopo Vittore III, e Roggero succedette nel ducato di Puglia a Roberto suo padre, e tutti li popoli che furono subietti al padre, eccetto quelli di Sicilia, obedienza li renderno; ma Boemondo indignato che, essendo primogenito, niuna terra d’Italia in parte li fusse data, mise [p. 89 modifica] in punto un grossissimo esercito e con l’armata passò ad Otranto in Italia: e partito lui, tutte le terre di Macedonia e di Dalmazia si voltorno e a l’imperatore greco si renderno.

In questo mezzo Roggero avea preso Capua per forza, et essendo le cose. di Roma tutte in tumulto e per discordie conquassate, tanto occupò de le terre de la Chiesa, che tutti li lochi che erano da Tibure e da Velletri in giuso verso il regno di Napoli a Roggero si detteno in governo, conoscendo apertamente loro non poter essere bene da’ romani governati, i quali se medesimi governar non sapevano. Per la qual cagione ancora Urbano II avendo poca fede ne’ romani, levatosi da loro, con li cardinali e con la maggior parte del clero a Melfi in Puglia si condusse.

Boemondo riposato l’esercito e posto in ordine ogni cosa necessaria a la guerra, movendo da Otranto andò a ritrovare Roggero suo fratello, il quale preparato ancor lui lo aspettava a Farneto loco di Benevento. Feciono insieme li due fratelli gran fatto d’arme, ma con poco sangue; imperocché li capitani loro, i quali erano stati servitori di Roberto lor padre e i due virtuosi fratelli egualmente amavano, non lasciorono incrudelire la battaglia, anzi tanto operorno, che in mezzo la pugna rimaseno d’accordo che Boemondo avesse una parte de le terre di Puglia c Roggero ritenesse il titolo del ducato col resto de le cittá che il padre aveva tenuto.

Fatta la pace, Roggero andò a Melfi e fatta la fedeltá ad Urbano impetrò la confermazione del ducato di Puglia e di tutta la successione del padre; poi partito Urbano, con potente esercito passò in Sicilia, e prese Siracusa, ove tolse per donna Ala figliuola di Roberto Frisone conte di F’iandra, de la quale poi ebbe un figliuolo chiamato Guglielmo. In quel mezzo Boemondo, non ben contento de le terre a lui consegnate in Puglia, furtivamente occupò Melfi: il che non possendo in alcun modo comportare Roggero, né potendo li amici paterni proibire la guerra tra loro, Roggero condusse al suo stipendio venti mila saracini di quelli di Sicilia e con [p. 90 modifica] essi venne in Italia a l’assedio di Melfi insieme con calabresi, salentini e lucani e pugliesi de le sue terre, che li erano rimaste.

Boemondo avendo diecimila ottimi soldati con lui allevati e nutriti, legatosi con Riccardo principe di Benevento e di Capua, inimico del fratello, che per questa loro discordia era rientrato in signoria, deliberò animosamente difendersi; il perché tutte le cose necessarie a l' impresa contra il fratello preparò.

Ma miglior fine ebbe questa guerra fraterna che non estimavano li uomini, si per divina provvidenza, come anche per la generositá e virtú di Boemondo. Imperocché essendo ordinato nel Concilio fatto in Francia in Chiaramente di Alvernia ne l’anno 1094 da Urbano II il gran passaggio di oltra mare, nel quale molti signori de’ cristiani con infinito numero di uomini per la recuperazione de la Terra Santa andorono, il vescovo di Pois capitano de la compagnia francese e Ramondo conte di San Egidio, Ugo Magno fratello del re di Francia, Roberto conte di Fiandra e Stefano conte di Ciarte con molte migliara di uomini venendo per Italia, parte a Barletta e parte a Brundusio e parte ad Otranto si condusseno ad imbarcarsi per passare in Grecia; e con tanta modestia andavano senza punto danneggiare alcun loco, che Roggero e Boemondo, che erano in su l’arme e grossissimi, mai da la loro impresa si mosseno.

Era Boemondo d’animo molto generoso et alto, onde tirato da onestissima emulazione di gloria di tanti cavalieri e baroni che a si nobile impresa andavano, pensando quanto merito ne aspettavano, entrò in grandissimo desiderio di passare ancor lui a si laudabil’opera; il perché avendo parlato con li predetti signori e ancora da loro piú confortato, prima rassegnò Melfi a Roggero suo fratello e diedeli licenza che di Puglia si togliesse e disponesse tutto quello li piaceva, poi prese il segno de la croce rossa secondo l’ordine dato da Urbano e che li altri portavano; e fattosi portare da la sua salvaroba due gran mantelli di porpora, tanto minutamente li [p. 91 modifica] fece tagliare, che di essi dodici mila uomini che con lui andar doveano feceno le croci con le quali si segnavano. E Roggero diede licenza a tutti quelli che con Boemondo volevano andare, che liberamente a loro piacere n’andassino. In questo modo fini la guerra de li due fratelli, e Boemondo con Tancredo suo nipote, figliuolo di esso Roggero, che a quella impresa tutto acceso di gloria seguitar lo volse, e con li altri suoi cavalieri in Grecia passorno, e Roggero totalmente duca di Puglia e di Calabria rimase.

Boemondo per Bulgaria e per Tracia nel suo passare, et in Asia e in Soria nel tempo della guerra ierosolimitana fece di sé prove maravigliose e stupende, degne di qualunque grandissimo capitano del qual si scriva; le quali chi vuol sapere legga Roberto monaco e Guglielmo Gallico, i quali tutti li progressi di quella impresa ordinatamente descrivono; e per la sua virtú fu fatto principe di Antiochia. Poi circa li anni del Signore noi, come accade ne le varietá de le guerre, fu preso da’ turchi e stette circa tre anni lor prigione, poi liberato con promissione di denari e dati li ostaggi e lasciando Tancredo suo nipote al governo di Antiochia, tornò in Puglia a far denari per la sua redenzione. E per un anno stette in quella occupato a componere le cose de li suoi parenti normanni; imperocché Roggero suo zio, cognominato Bosso, fratello di Roberto Guiscardo, essendo conte di Sicilia, era passato in Puglia e avea assediata e presa Canosa, ove fra pochi giorni mori, lasciando dopo sé un figliuolo chiamato ancor Roggero, terzo di questo nome, che fu poi primo re, e la donna sua, la quale fu poi data per donna a Balduino primo re di Hierusalem, con patto che morendo lui senza figliuoli Roggero conte di Sicilia suo figliuolo succedesse nel regno ierosolimitano. In quel mezzo avendo trattato Boemondo di imparentarsi col re Filippo di Francia, passò in Gallia e tolse per sua donna Constanza, prima figliuola del detto Filippo, e Cecilia seconda genita tolse per Tancredo suo nepote: il quale poi che fu stato un anno in Francia, menò con seco in Puglia, e condusse con seco quattro mila cavalli e quaranta mila [p. 92 modifica] fanti di croce segnati peregrini per condurli in Soria. E intendendo clic Alessio imperatore greco molestava le sue terre di marina pertinenti al principato di Antiochia e maltrattava li cristiani che per il suo territorio passavano, deliberò non solamente difendersi da li suoi insulti, ma cacciarlo da l’imperio. Onde fatto in Puglia un potentissimo esercito e grande armata, passato il golfo, assediò Durazzo e in breve aria ottenuta la Macedonia e la Dalmazia per passar piú oltra, se non che Ordelafo Falerio duce di Venezia, per esser collegato con Alessio, con grossa armata usci fuora nel golfo e forni le altre terre di Dalmazia e di Macedonia. Poi non avendo ardire di affrontarsi con Boemondo nel porto di Durazzo, passò in Puglia e discorrendo la marina fece gran danni a le terre de’ normanni; nondimeno Alessio impaurito dimandò la pace et ebbela con tutte le condizioni che Boemondo li impose. Questo tornò in Antiochia, ove mori, lasciando dappo’ sé successore et erede Boemondo pupillo, nato di Constanza sua donna, sotto la tutela e governo di Tancredo suo nepote. Trovo che ne l’anno noi Columano re di Ungaria fece lega con veneziani contra normanni, essendo duce veneziano Vital Michele, e i veneziani feceno l’armata e l’esercito del re sopra essa passò in Puglia; e preseno Brundusio e Monopoli, e avendo per spazio di tre mesi scorso e predata la Puglia, se ne tornorno in Ungaria. Né molti anni stette poi in pace Brundusio; imperocché ne l’anno quarto essendo venuta nel golfo di Venezia l’armata de’ genovesi con aiuto de’ pisani per chiuder il passo a’ veneziani, i brundusini le detteno aiuto e ricetto e vittuaglia: il perché indignati i veneziani, essendo lor duce Enrico Dandolo, li mandorno incontra Giovanni Basilio e Tomaso Faliero capitani con potente armata, li quali fugati li inimici corseno poi a Brundusio e dopo molte rapine e incendi e danni che feceno, li strinseno ritornare a la prima amicizia loro e promissione di negare per lo avvenire sussidio a’ loro inimici.

Roggero I adunque, per ritornare a la istoria ordinata, dappoi la morte di Roberto Guiscardo suo padre tenne il du[p. 93 modifica] cato di Calabria e di Puglia nel modo detto venticinque anni (benché per rispetto di Roggero primo suo zio si possa chiamare secondo), et essendo di etá di cinquant’anni, a Salerno mori e ne la chiesa maggiore giá edificata dal padre fu sepolto, lasciando dappo’ sé Guglielmo, il quale fu detto primo, figliuol suo e di Ala sua donna, figliuola di Roberto Frisone conte di Fiandra: e puossi dire secondo per rispetto di Guglielmo Ferrebac, ma piuttosto terzo per rispetto di Guglielmo figliuolo di Riccardo..

Guglielmo adunque figliuolo del detto Roggero I, dappoi la morte del padre nel ducato successe; et essendo venuto a Benevento Calisto li pontefice romano, lui insieme con lordano duca di Capua e con lordano conte di Ariano e Roberto conte di Lauritello, che fu figliuolo di Gottfredo II fratello di Roberto Guiscardo, andorno da esso Calisto a giurare fedeltá e da lui furono confermati ne li suoi stati. Tornato in Puglia Guglielmo, li venne in animo di tórre per moglie la figliuola di Alessio imperatore giá morto, la quale piú volte li era giá stata offerta: per la qual cagione deliberò andare a Constantinopoli a sposarla e condurla, ma non si fidando bene de l’ambizione di Roggero III giovine conte di Sicilia, il quale a Roggero suo padre fratello di Roberto era in detto contado successo, non volse partire se prima Calisto non tolse in protezione tutto il suo stato che teneva in Italia sino al faro di Messina. E cosi fu fatto e lui parti per andare in Grecia. Appena era a mezzo del cammino Guglielmo, che Roggero conte di Sicilia poco stimando la tutela del pontefice, passò in Calabria e prima l’ebbe mezza subiugata che ’l pontefice la potesse soccorrere. Tuttavia si condusse Calisto a Benevento per rimediarli, ove infermato con molti suoi carissimi, i quali morirono, non possette fare cosa alcuna importante; solamente mandò Ugo cardinale a Roggero, il quale trovandolo a campo a la Rocca di Nicefora, non possette mai tanto con preghiere et esortazioni e minaccie operare, che volesse da l’impresa desistere. Il pontefice in modo perseverò ne la infermitá, che li fu forza farsi in una bara riportare a Roma; [p. 94 modifica] il perché Roggero, da questa occasione invitato, seguitando l’impresa, la Calabria tutta e la Puglia subiugò. In questo mezzo Guglielmo ingannato da’ greci senza donna tornando, come vide lo stato occupato da Roggero, si condusse al principe di Salerno che li era parente, e in Salerno non molto poi senza figliuoli morendo fu sepolto ne li anni di Cristo 1125, avendo diciotto anni il ducato posseduto parte in effetto e parte per solo titolo.

Roggero adunque, secondo duca di questo nome, benché terzo ne l’ordine dei Roggeri, essendo rimasto successor solo nel ducato di Puglia e di Calabria et essendo prima conte di Sicilia (come è detto), levato in superbia, non giá piú duca di Puglia ma re d’Italia si intitolava. La qual cosa non avendo potuto Calisto pontefice proibire e Onorio II suo successore avendola dissimulata, Innocenzo II, dopo Onorio creato pontefice, mosso da ira, senza altramente misurare le sue forze, fece un esercito tumultuario e con tanto impeto e celeritá andò contra Roggero, il quale de l’apparato del pontefice non avea inteso, che volendosi opponerli a San Germano fu ributtato da li ecclesiastici. Onde il pontefice pigliando San Germano e tutte le terre de l’Abbazia e cacciandolo, lo assediò nel castello Galluzzo, ove fuggendo s’era ridotto; ma Guglielmo figliuolo di Roggero e duca di Calabria, mosso da figliale pietá con potente esercito venne al soccorso’del padre, e fatto un gran fatto d’arme ruppe l’esercito ecclesiastico e fece prigione a man salva il pontefice con tutti li cardinali e liberò suo padre assediato. Ma Roggero usando ogni modestia e reverenza liberò il pontefice e li suoi, e da lui ogni cosa, salvo che ’l titolo di re, si come volse, ottenne, e tra le altre la cittá di Napoli, la quale allora si uni con le altre terre del regno, essendo prima sempre stata sotto l’imperatore de’ greci. Onde entrorno in Napoli il pontefice e Roggero con gran trionfo e festa de li cittadini, de li quali Roggero fece cento e cinquanta cavalieri e feceli molti gran doni e cortesie, facendo due mesi continui festa pubblica; poi stato due anni in Napoli entrò in mare e a Palermo se ne tornò. [p. 95 modifica] Liberato Innocenzo e tornato a Roma, trovò che in sua assenza era stato per potenza fatto antipapa Piero figliuolo di Pier Leone, e chiamato Anacleto; il perché montato sopra le navi de’ pisani, in Francia se ne andò. Per la qual cosa avendo Roggero visitato e adorato questo adulterino pontefice Anacleto, ottenne da lui, che cercava favore, il titolo del regno di Sicilia insieme con la corona, e fu il primo che questo assurdo titolo avesse di esser detto re de l’una e de l’altra Sicilia, citra et ultra il Faro.

Tornato a Roma di Francia il terzo anno Innocenzo, menò con seco Lotario III duca di Sassonia, il quale coronò imperatore, cacciando Anacleto e domando li romani ribelli. Poi ambi dui sommi principi de’ cristiani, mandando Tarmata de’ pisani innanzi per riviera, la quale prese Amalfi e Rivello, loro per terra con l’esercito entrorno nel regno contra Roggero e andorno insino a Barletta senza alcun contrasto: in modo che Roggero temendo tanta furia, se ne andò in Sicilia e perdette tutto quello aveva acquistato in Italia sino al faro di Messina. Lotario ne la sua partita lasciò al governo d’Italia un suo conte chiamato Rainone, attribuendoli titolo di ducato. Non passorno dappoi molti anni, che morto Innocenzo li ne Tanno 1143 et essendo eletti tre pontefici successivamente dappo’ lui, cioè Celestino II, Lucio II et Eugenio III, i quali o per naturale ignavia o per impedimenti che avessino non curorno le cose del regno, Roggero tornò in Italia e recuperò tutto quello di che era da Innocenzo e Lotario stato privato, cacciando il conte Rainone in terra di Roma (il qual fu poi governatore de’ Tusculani); e fu da Lucio, ovvero secondo alcuni scrittori da Celestino, legittimamente rinnovato re del regno di Sicilia citra et ultra il Faro. Nel tempo de li quali pontefici ancora Roggero passò in Africa con una potentissima armata e tanto danno diede a’ saracini e in tale estremitá li ridusse, che’l re di Tunisi fu sforzato a darli tributo, il quale piú di trent’anni poi fu pagato a li re di Sicilia.

Essendo poi andato al soccorso di Terra Santa Lodovico re di Francia a persuasione di Eugenio III e di Bernardo [p. 96 modifica] abbate di Chiaravalle, il quale fu poi santificato, Emanuele 11 imperatore constantinopolitano con la usata perfidia greca si portò male con Lodovico re e con li altri cristiani che lo seguitavano; il perché Roggero deliberò al tutto farne vendetta e con l’armata, la quale con vittoria aveva menata di Africa, prese per battaglia Corfú, cittá ne l’isola del medesimo nome, e Corinto nel Peloponneso e Tebe in Beozia e Negroponte in Euboia e misele a sacco. E deliberando di andare a Constantinopoli, intese che i veneziani avevano fuora del golfo Adriatico un’armata di sessanta galee con Piero Polano lor duce a favore di Emanuele. Per la qual cosa voltandosi a man dritta a le marine di Asia per far danno a li infedeli e per aiutare li cristiani di Soria, trovò che Lodovico re di Francia, partendosi dal porto di San Simeone di Antiochia per andare in Terrasanta, era stato preso da’ saracini: onde Roggero virilmente investendo l’armata loro li ruppe e riscosse il re Lodovico, il quale con molta letizia e reverenza a salvamento a loppa, cioè al Zaffo, condusse. E lá lasciatolo, avendo inteso che l’armata veneziana andava racquistando li lochi dei greci presi da lui e lasciati senza guardia, andò con l’armata a Constantinopoli e prese e bruciò li borghi innanzi a li occhi di Emanuele, e diede la battaglia al palazzo imperiale; e non potendolo espugnare, andò tonto innanzi, che di sua mano volse cogliere de le poma, del suo giardino per dimostrazione e gloria de la sua fortezza. Saziato al fine di molti danni e vergogne fatte al perfido Emanuele, tornando nel regno si scontrò ne l’armata greca e veneziana insieme congiunte, con le quali venuto a le mani, perse diciannove galee de le sue e infine a salvamento in Italia si condusse. Poi passato in Sicilia, mori a Palermo di etá di cinquantanove anni, essendone stato ventiquattro signore, e ne la chiesa maggiore di Palermo onoratamente fu sepolto ne li anni di Cristo 1154.

Fu Roggero uomo di gran statura e grosso di persona, con volto leonino e voce rauca, in pubblico severo, in privato umanissimo, di sottile ingegno in ogni cosa, industrioso [p. 97 modifica] a far danari, terribile contra saracini; resse con giustizia, edificò molte chiese e palazzi e giardini, facendo molte belle opere, e per aver posseduto Puglia, Calabria e Sicilia e fatta tributaria Tunisi in Africa, portava ne la sua spada questo verso scolpito: Apulus et Calaber, Siculus mimi servit et Afer.

Guglielmo, secondo nel regno, ma quarto ne l’ordine de’ Guglielmi, figliuolo primogenito di Roggero, a suo padre successe, e nel principio de lo stato corse ne le terre de la Chiesa e per forza d’arme occupò Benevento, Ceperano e Bauco terra di Campagna di Roma: per la qual cosa da Adriano IV allora pontefice fu escomunicato, e li sudditi assoluti da la obedienza sua. Né migliorando per questa censura ne li costumi suoi, avvenne dappo’ alcuni anni che, essendo giá stato a Roma la prima volta e partito Federico Barbarossa, vennero ad Adriano pontefice alcuni ambasciatori mandati da Roberto da Sorrento principe di Capua e da Roberto d’Altavilla e da Audoino da Capua e da altri baroni di Puglia e di Calabria a pregare il pontefice che in persona volesse venire nel regno a ricevere le terre che teneva Guglielmo, perché trovaria li popoli dispostissimi a dargliele e cavare di quel regno Guglielmo, il quale in esso avaramente e tirannicamente si portava: onde Adriano, non stato due mesi, fatto tumultuariamente un esercito, si condusse a Monte Cassino e a San Germano, ove trovò molti baroni del regno che con gran gente d’arme lo aspettavano e da tutti si fece giurare fedeltá. Poi mandato innanzi a Capua Roberto principe d’essa e il conte Audoino, lui se n’andò a Benevento, ove si fece fare la fedeltá dal resto dei regnicoli di Calabria, e de’ Salentini e di Puglia, che a San Germano non si erano ritrovati.

Aveva nel principio, quando fu promosso a questa impresa, Adriano scritto per aiuto contra Guglielmo a li due imperatori senza che l’uno de l’altro sapesse, cioè a Federico I Germano cognominato Barbarossa e ad Emanuele II greco; e Federico giá venne a questo effetto sino in Ancona de la Marca, ma sopraggiunto da una crudelissima peste nel suo [p. 98 modifica] esercito, li fu forza ridursi a Pesaro e di li ancora finalmente partirsi e tornare in Lombardia. Emanuele in quel mezzo che Adriano stava a Benevento aveva giá mandato alcune genti in Puglia, e fatto inimico de’ veneziani si era collegato con li anconitani in Italia e per questo aveva mandato in Ancona un suo barone chiamato Paleologo, il quale per lettere in nome del suo imperatore offeriva al papa cinquemila libre d’oro e di aiutare a cacciare con potentissima armata di Italia e di Sicilia Guglielmo, ma volea che ’l pontefice li desse tre cittá di Puglia sopra la marina.

Intendendo questo Guglielmo mandò solenni ambasciatori, cioè il vescovo di Catania con li suoi principali baroni al pontefice, per li quali umiliandosi domandava esser ristorato a la grazia di Santa Chiesa e investito del regno de l’una e l’altra Sicilia, e lui prometteva restituire tutto quello teneva de la Chiesa, e oltra quello darli Bauco, Montefoscoli e Moncone, terre confini a Benevento, e aiutare col suo esercito a cacciare e domare li baroni e popoli ribelli al pontefice, e darli tanto oro quanto premetteva Paleologo, purché qualche abile dilazione a pagare li fusse data. A le dimande di Guglielmo il pontefice prudente, sospettando de la perfidia greca, assentiva, ma trattata la cosa nel Collegio, li cardinali per imperizia e per avarizia non lo consentirne; onde appena partiti li ambasciatori di Guglielmo con la repulsa, giunse la nuova a Benevento che Guglielmo, con potente esercito, era entrato in Puglia e ogni cosa ruinava e aveva fatto fatto d’arme con l’esercito de’ greci e de’ pugliesi adunati insieme a Brundusio e avevali rotti: a la fama de la qual vittoria, tutti li regnicoli che a Monte Cassino e a Benevento avevano giurato fedeltá al pontefice si voltorono e a Guglielmo si detteno. 11 perché Adriano commosso da l’imprudenza predetta de’cardinali e da la infedeltá de li regnicoli e da la vigoria di Guglielmo, deliberò restringersi con lui: il che fatto secretamente intendere a Guglielmo, e ordinato con esso quello aveano a fare, mostrando voler tornare a Roma, mandò innanzi in terra de’ Marsi li cardinali e lui aspettò ne la chiesa di San Martino, [p. 99 modifica] nel territorio di Benevento, Guglielmo. Il quale prostrato a li piedi del papa e impetrata l’assoluzione e giurata la fedeltá, fu investito del regno di ambedue le Sicilie e tornò in Puglia: la quale come ebbe composta, tornò in Sicilia, e il pontefice ad Orvieto, per le spesse ribellioni de’ romani, tornò ad abitare. Li baroni ribelli del reame, veduto l’accordo del papa e la prosperitá di Guglielmo, si fuggirno per la maggior parte in Lombardia e il conte Roberto d’Altavilla fuggi in Alemagna. Roberto principe di Capua con buon numero di uomini ancor lui fuggendo, essendo giunto al Garigliano, il qual bisognava passare a guazzo, si fermò su la ripa facendo passare prima tutta la compagnia: la quale quando fu per la maggior parte passata, quelli pochi che erano rimasti con lui, perfidamente seguitando la fortuna del vincitore, lo preseno e legato lo presentorno a Guglielmo, il quale li fece cavar gli occhi e ponere in prigione, dove di doglia miseramente mori. Guglielmo poi con la Chiesa visse sempre concorde, e fatta una potente armata contra li infedeli, passò in Egitto ne l’anno 1155 e prese per forza e mise in preda la cittá di Thamnis, e nel ritorno scontrandosi ne l’armata de l’imperatore greco suo inimico, ancor che fusse di numero di navigli inferiore a lui, vigorosamente l’assaltò e ruppelá, avendo tra presi e fugati cento e cinquanta navigli de’ greci. Dappoi, essendo suscitata la discordia tra Alessandro III pontefice e Federico I Barbarossa, Guglielmo con le sue galee mandate a Terracina, fece condurre Alessandro in Francia e dappoi, al suo ritorno in Italia, essendo capitato a Messina, li mandò le sue galee, le quali a salvamento a Roma lo ridusseno; e benché in questo modo non senza fama di virile e vittorioso re si portasse, nondimeno a li sudditi non pareva che con loro si governasse giustamente, imputandolo che attendeva a congregar denari mediante l’opera e consiglio di un messer Marino suo creato, il quale avea fatto ammiraglio del regno di Sicilia, e che era avaro e faceva molte estorsioni a li popoli. Per la qual cosa ribellandosi li baroni, pigliorno il palazzo di Palermo e preseno Guglielmo e lo posono in prigione e [p. 100 modifica] miseno a sacco tutta la sua roba e gioie e tesoro, poi per ricoprire il loro peccato tolseno Roggero suo maggior figliuolo e lo elesseno suo re e lo feciono cavalcare e correre la terra, e il popolo andava gridando: — Viva viva il Roggero, mòra mòra il re Guglielmo che ha posto scandalo nel regno. — E cosi lo miseno nel palazzo regale.

Roggero adunque figliuolo di Guglielmo, fatto signore e re, vivente il padre, dal popolo di Palermo, pochi giorni durò; imperocché il popolo vario e mutabile, pentito de l’errore o forse temendo che ’1 figliuolo non vendicasse la ingiuria del padre, fece nuova deliberazione di deponere Roggero, e cosi corseno al palazzo, il quale trovando serrato cominciorno a combattere. Roggero sentendo il tumulto si volse affacciare ad una finestra del palazzo che era ad una torre detta de* Pisani, e per disgrazia li fu con un verrettone passata la testa per l’occhio e di quella ferita mori; onde il popolo e li baroni tutti, inteneriti del caso de l’infelice giovine e mossi a compassione del meschino Guglielmo, che aveva veduto il figliuolo si miserabilmente morto e sé in prigione, deliberorno riponerlo in stato, e cosi cavatolo di carcere fu da’ baroni nel regno restituito.

Riposto in stato Guglielmo, li baroni stimolati da la coscienza del fallo commesso contra il loro re, dubitando di vendetta, tutti si ridusseno a le loro terre e castelle e si feceno forti, in modo che sempre tutto il rimanente de la vita di Guglielmo tutto quel regno stette infermo di rebellione e di divisione e di vendetta, e fecesi molto sangue. E tra li altri fu punito messer Matteo Bonello, il quale di sua mano ammazzò l’ammiraglio di Sicilia, gran consiglierò e collaterale del re; e nel tempo di queste rebellioni e sospetti fu fatto il castello di Capuana in Napoli, rinnovato poi da Carlo I d’Angiò, e il castel de l’Ovo, e perché furono edificati da normanni, però buon tempo l’uno e l’altro fu chiamata Normandia. Finalmente mori Guglielmo II in Palermo, essendo stato anni quindici nel regno; e benché fusse bello di persona e gagliardo e vittorioso, nondimeno fu in sua vita mal fortunato [p. 101 modifica] e odiato da’ popoli e cognominato il Malo, a differenza del successore, di cui appresso diremo. Visse anni quarantasei; e ne la chiesa maggiore di Palermo appresso a li altri suoi fu sepolto.

Successe nel regno a Guglielmo predetto il suo figliuolo secondogenito, detto Guglielmo quinto ne l’ordine de’ Guglielmi normanni e cognominato il Buono, il quale del regno de l’una e l’altra Sicilia ne la etá di undici anni fu coronato. Ebbe molte singulari doti di animo, di corpo e di fortuna, fu bello di persona, graziosissimo di aspetto, eloquente e bel parlatore, fu moderato e casto, liberalissimo e clementissimo, e in tutte le sue cose usava volentieri il consiglio di piú persone, sempre accostandosi a la sentenza che piú era comunemente commendata. Amava e beneficava li uomini virtuosi, e onorò molto li uomini letterati, governò con grandissima giustizia e pace il suo regno, perdonò generalmente a tutti li ribelli, e quelli che erano banditi e scacciati del regno li ridusse a le loro patrie, li restituí li contadi e baronie, de li quali per lor demeriti erano stati privati, come uomo amicabile e benevolo ad ognuno; e sopra tutto amò molto li napolitani, et ebbe gran cura a le cose de la religione cristiana e a l’onor comune de la fede e de la Chiesa, ancora che non ne fusse richiesto.

Essendo assediata Roma da Federico Barbarossa, mandò ad Alessandro III pontefice un gran numero di denari e due galee, acciò che a’ suoi bisogni, o per difensione o per fuga, se ne potesse valere; e Alessandro accettò li denari, li quali divise tra la famiglia de’ Frangipane e li figliuoli di Pier Leone, che erano sopra la guardia de le porte e de la terra, e le due galee rimandò a Guglielmo insieme con due cardinali, li quali avessino a pigliar consiglio da lui a la giornata, come si avesse a governare. E per suo consiglio si fuggi da Roma e si ridusse a Benevento; fece lega con li veneziani per venti anni, né mai fu ragionato di pace che quelli che la trattavano non includessino sempre dentro il re Guglielmo. E quando Alessandro pontefice volse andare a Venezia per concordarsi [p. 102 modifica] col Barbarossa, il re Guglielmo a sue spese andandoli incontra con tutta la sua baronia e accompagnandolo insino a Vestie, cittá del Monte Sant’Angelo, con molti cavalli bianchi, i quali donò al papa per suo uso, li armò tredici galee ornatissime, con le quali il papa andando prima a l’isola de la Pelagosa e poi a l’isola di Lesena e di li a Giara, a Venezia onorevolmente si condusse. E fatto lo accordo, Federico fece la pace a Guglielmo per quindici anni, avendo con tutti li altri suoi inimici fatto solamente tregua per sei; e Alessandro tornò a Siponto similmente da Guglielmo onorato, e per Troia, Benevento e San Germano si condusse ad Anagnia.

Dipoi avendo Andronico greco perfidamente tolto l’imperio ad Emanuele pupillo, al quale lui era stato dato tutore, cacciò per sospetto da Constantinopoli tutti li italiani e que 1 che avevano il nome latino: per la qual cosa Guglielmo mosso da generosa indignazione deliberò punirlo, e fatta grossa armata per mare e per terra, prese Tessalonica, oggi detta Salonicco, e molto altre cittá di Grecia e di Tracia e molte ne guastò e ruinò. E non uscendo mai fuora Andronico contra Guglielmo per sospetto del popolo, al quale sapea esser odiosissimo, li constantinopolitani lo preseno e tagliorno in pezzi a membri a membri, e uno chiamato Isacco feceno imperatore, il quale fece pace e lega con Guglielmo; e se Lucio III pontefice romano non moriva, era ordinato che ambidui andassino a la impresa di Hierusalem. Tuttavia non mancò poi la pietá e la bontá di Guglielmo al tempo che ’l Saladino premeva li cristiani; imperocché sentendo che tra Guido da Lusignano re di Hierusalem e Bertrando conte di Tripoli erano gravissime discordie e perniciosissime a’ cristiani, armò subito quaranta galee e con esse mandò un suo capitano siciliano, valentissimo uomo che si chiamava Margarito, acciò che fusse in aiuto a’ cristiani e pronto a tutti li bisogni che occorrevano. La quale armata a tempo giunse a Tiro assediata dal Saladino, dappoi ch’ebbe recuperata Hierusalem, né mai fu creduto che quella armata fusse del re Guglielmo, perché niuno la aspettava, finché Margarito proprio in persona, notissimo per fama, non si [p. 103 modifica] fece vedere: e tanto aiuto porse a Corrado marchese di Monferrato, che era al presidio di Tiro, che ’1 Saladino si levò da campo. Essendo poi cacciati li cristiani di Hierusalem con patto che tanto avesse con seco ciascuno quanto sopra la persona portare potea, usciti fuora li meschini con Eraclio patriarca e con tutto il clero, parte andò in Antiochia, parte a Tiro e parte in Alessandria, e questi con l’armata Margarito portò in Sicilia. Dappoi quando al tempo di Clemente III fu fatto l’altro passaggio in Terrasanta, ove fu Federico Barbarossa imperatore c Filippo re di Francia e Riccardo re di Inghilterra e Ottone duca di Borgogna, il re Guglielmo tutto il mare con le sue armate tenne libero e netto da corsari, e tenne forniti li eserciti di frumenti e di biada e di ogni altra sorte di vittuaria, la quale di Sicilia faceva portare. Finalmente avendo per loro discordie ricevuto molti danni e perdite li eserciti cristiani in Terra Santa, questo non fu stimato inferior a li altri, che ’l buon re Guglielmo ne l’anno 1189, essendo li cristiani a campo ad Acri, passò di questa vita a Palermo, con lacrime non solamente de li suoi popoli e sudditi, ma con universal dolore e mestizia di tutte le nazioni cristiane, avendo regnato ventiquattro anni e visso trentasette. Non lasciò dopo sé figliuolo alcuno, fu ne la chiesa maggior di Palermo sepolto e sopra il monumento scritto in effetto questo epitafio: Qui iace il buon re Guglielmo.

Essendo adunque morto il buon re Guglielmo, parendo a Clemente III allora pontefice che il regno di Sicilia fusse recaduto a la Chiesa, deliberò recuperarlo per la Sede apostolica: la qual cosa intendendo li baroni del regno, o per amore che portassino a la memoria di Guglielmo e a la casa di Normandia, o per non essere subietti a’ pontefici, che naturali signori non sono e poco sogliono curare la utilitá de li sudditi, oppur per potere meglio valersi de la loro tirannia, subito elesseno per loro re un figliuolo reputato bastardo giá di Roggero IV, chiamato Tancredo, il quale Guglielmo, non avendo figliuoli, [p. 104 modifica] aveva revocato di Grecia e come nato del suo sangue l’aveva in corte onoratamente tenuto; e avendo detto Tancredo un figlioletto chiamato Roggero ancora piccolino, lo fece intitolare re insieme con lui. Per la qual cosa avendo Clemente mandato l’esercito a la recuperazione del regno in Italia, tutta la Puglia e la Calabria mise sottosopra; imperocché volendo racquistarla, e Tancredo contraponendosi, ogni cosa fu di rapine involta e di incendi e di ruine. Ma avendo per sopragiunta di maggiori cure, e per la morte che seguitò, lasciata l’impresa imperfetta Clemente, Celestino III, che a lui successe, deliberò seguitarla; onde il di sequente la sua intronazione de l’anno 1191 dichiarò imperatore Enrico VI figliuolo di Barbarossa, il quale da li elettori de l’imperio era stato creato Cesare, con queste condizioni: che ’l dovesse rendere a la Chiesa tutte le sue terre che lui occupava, poi a sue spese dovesse racquistare per sé il regno de le due Sicilie con la ricognizione de la Chiesa e con il pagamento del debito censo.

Il che acciò che piú coloratamente e meglio potesse fare, cavò occultamente, per opera de l’arcivescovo di Palermo, Constanza figliuola giá di Roggero IV, figliuolo del re Roggero, avo del buon Guglielmo, la quale era abbadessa del monasteri© di Santa Maria di Palermo e giá di etá di cinquant’anni, male atta a produrre figliuoli, e fecela condurre a Roma e in Roma glie la diede per donna, dispensandola de la religione, ancora che buon tempo fusse stata professa; e lei insieme con l’imperatore coronò l’anno 1191, acciò che sotto specie di successione e di dote avesse Enrico piú onesto titolo a l’acquisto del regno. Ma acciò che piú chiara notizia di Tancredo c di Constanza si abbia e la varietá de le cose umane ad instruzione di qualunque che legge si intenda, è da sapere che Roggero III, primo re di Sicilia, ebbe un suo primogenito figliuolo chiamato ancor lui Roggero, e per farlo instruire di lettere e di costumi pensando far meglio a levarlo de la malizia e delizie de la corte sua propria, lo mandò a Roberto conte di Lecce [p. 105 modifica] suo parente, che lo tenesse in sua corte. Essendo fatto bello e leggiadro giovine, di una figliuola del conte Roberto bellissima e sua coetanea fieramente si innamorò, e pervenuto al desiato fine de li amanti, due figliuoli ne ebbe, un maschio detto Tancredo e una femina detta Constanza, i quali secretissimamente facea nutrire. Perseverando poi sfrenatamente ne li amorosi piaceri, cadde in una gravissima infermitá, per il che fu forza che ’1 re Roggero suo padre Io revocasse; ma essendo giá estenuato e fatto tisico e vedendosi non poter campare da morte, narrò teneramente e con lacrime al padre tutto l’error suo e la causa de la sua morte. Il re fieramente adirato minacciò di far vendetta del conte e di tutta sua progenie, estimando tal cosa per opera sua esser processa; ma il povero giovine Roggero tanto pregò il padre per conforto de la sua morte, che impetrò due cose: prima la venia al conte Roberto, poi, che ’l potesse prima che morisse sposare quella sua figliuola, acciò che li due figliuoli rimanessino legittimi per sussequente matrimonio; il che fatto passò di questa vita. Morto il meschino giovine, il re suo padre non servando la promessa fatta al figliuolo si diede a la persecuzione del conte Roberto, in modo che lui con tutti li suoi e con Tancredo suo nepote fu forza se ne fuggisse in Grecia e lá stette fin che visse e mori; e Constanza il re la fece mettere nel monasterio di Santa Maria di Palermo. Morto poi il re Roggero e pervenuto il regno in mano al re buon Guglielmo, come avemo detto di sopra, tolse per donna una figliuola del re d’Inghilterra: la quale avendo tenuta un tempo e non ne avendo figliuoli, pensando a un successore che fusse del suo sangue, fece ricercare per Grecia questo Tancredo e ritrovatolo, in Sicilia onoratamente lo tenne appresso di sé finché visse e fecelo conte di Lecce. Questo è quel Tancredo adunque che da’ baroni dappo’ la morte del buon Guglielmo fu fatto re di Sicilia e quella fu quella Constanza che del monasterio fu tratta, come è detto di sopra.

Tornando ora a l’ordine de l’istoria, Enrico coronato rese subito la cittá di Tusculo al pontefice, come cosa de la Chiesa, [p. 106 modifica] la quale da’ Romani subito fu ruinata da’ fondamenti e li sassi portati a Roma in Capitolio, che ancora al di d’oggi si mostrano. Li tusculani dispersi parte a Roma, parte a Tibure, parte a Velletri ad abitare si ridusseno; alcuni altri ristretti insieme si feceno nuove abitazioni in quelli lochi circa Tusculo edificandosi alcuni castelletti, che ancor vi sono, fabbricati de la ruina di Tusculo, come sono la Mulara, Rocca di Papa, Rocca Priora, Borgo e San Cesario. Dappoi andò insieme con Constanza Enrico a l’assedio di Napoli, di donde rimandò Constanza in Sicilia; ma essendo l’aere indisposto e cominciata una gran pestilenza nel suo esercito, si levò da campo e in Alemagna se n’andò, avendo prima rimandato a chiamare Constanza con ordine che venisse drieto e lo seguitasse in Alemagna. Dipoi essendoli significati alcuni movimenti nel regno di Napoli, li impose che dovesse ritornare ne li confini del regno, e cosi ritornò in Gaeta. Lasciò ancora in Puglia Enrico un suo capitano chiamato Diepoldo, il quale avendo ricevuto da esso un grandissimo denaro, fece dappoi potente esercito et espugnò per forza Salerno e tenne la Puglia.

Ne l’anno poi 1194 Tancredo acquistò, poi la partita di Enrico, il regno di Napoli. Andando da Gaeta a Salerno Constanza, uscita a pena de le mani di alcuni malandrini, che a Cuina li feceno molti oltraggi, fu presa a Salerno da Tancredo e tenuta occulta in un castello, talmente che per tutta Italia si credeva ch’ella fusse morta. In questo mezzo Roggero VI figliuolo primogenito di Tancredo, il quale il padre avea fatto solennemente coronare e datoli per donna Irene figliuola di Isacco imperatore constantinopolitano, passò di questa vita; e poco dappo’ lui Tancredo suo padre vinto da dolore e passione mori, essendo stato non ben nove anni in signoria, lasciando dappo’ sé tre figliuole femine e un figliuolo maschio chiamato Guglielmo: il quale Sibilla sua madre subito fece coronare del regno di Sicilia e fu chiamato Guglielmo terzo, benché sesto di questo nome ne l’ordine de li Guglielmi, che dal primo Guglielmo disceseno. [p. 107 modifica] Enrico VI imperatore, pretendendo quel regno spettare a lui, come è detto, tornò di Alemagna l’anno 1195 e con potente esercito entrò nel regno di Napoli e tutto senza contraddizione alcuna l’ottenne, recuperando lo stato perduto e Constanza sua donna, la quale giá da molti per morta era tenuta. Sibilla giá moglie di Tancredo insieme col suo figliuolo Guglielmo e con le tre figliuole, vedendo non potere resistere a l’imperatore, accompagnata da l’arcivescovo di Salerno in un forte castello di Sicilia si ridusse. Fece Enrico trattar la pace con lei, la quale facendo de la necessitá virtú si accordò con queste condizioni giurate da Enrico, che Guglielmo suo figliuolo e dappo’ lui li suoi eredi, avessino il contado di Lecce in Terra d’Otranto e il principato di Taranto; e fatto questo, la regina Sibilla si pose ne le mani di Enrico a sua discrezione e fede. Ma Enrico dimenticato il giuramento e la fede, mandò lei, Guglielmo suo figliuolo e le tre figliuole prigioni in Alemagna, benché alcuni scrittori dicono che le figliuole lui le lasciasse in libertá: il che piú facilmente credo per quello che poi seguitò, come diremo. Mandò ancora con essi insieme alcuni altri nobili, quali avea sospetti: tra li quali fu l’arcivescovo predetto di Salerno e li suoi fratelli e Margarito sopradetto capitano di mare. De li prigioni dispose in questo modo: l’arcivescovo confinò in prigione, a li suoi fratelli cavò gli occhi, Guglielmo fece castrare acciò che non fusse piú idoneo a produrre di sé stirpe e fecelo accecare con bacini affocati; di Margarito sopradetto non si legge quello determinasse. Irene figliuola di Isacco imperatore greco, la quale tornò in casa vedova e fu moglie del detto Roggero VI primogenito di Tancredo, la diede per donna a Filippo Svevo suo fratello. Disposte in questo modo le reliquie de’ normanni, tutti li antichi tesori loro con gran diligenza raccolse, et oltra quelli, tante gravezze e tributi impose a li sudditi, che spogliò quelle provincie de li due regni di oro e di argento. Questo lacrimabile fine ebbe la linea mascolina de la nobilissima casa de li Guiscardi normanni nel regno di Napoli e di Sicilia, avendo di sé prodotto molti magnanimi [p. 108 modifica] e valorosi cavalieri e signori e re, come da le cose giá scritte si può comprendere.

Né piú fortunata, se ben piú onorevole, fine ebbe prima di questo, ne la parte orientale, questa generosa famiglia. Imperocché Boemondo figliuolo di Roberto Guiscardo, dappoi molti gloriosi fatti in Soria nel tempo del gran passaggio, fu creato di comune concordia de la milizia cristiana principe de la magna Antiochia, e dappoi la sua buona morte, lasciò un piccolo figliuolo di sé e di Constanza sua donna figliuola di Filippo re di Francia, chiamato ancor lui Boemondo, il quale fanciullo faceva allevare e nutrire in Italia appresso Roggero suo fratello; e fidandosi del suo sangue, ordinò che Tancredo suo nepote, figliuolo di Roggero, che con lui era andato in Soria, come di sopra dicemmo, amministrasse lo stato di Antiochia finché il minor Boemondo fusse in etade da governo e poi li resignasse il principato. Questo Tancredo fu valorosissimo cavaliero e fece gran prove di sua persona, quanto alcun altro capitano che in quella impresa si trovasse, ma nel resignar di Antiochia al suo cugino se ne andava pur lento; ma infine in un gran fatto d’armi con turchi fu morto. Onde il minor Boemondo fu chiamato di Italia da Balduino II, terzo re di Hierusalem, e con dieci galee e altri legni venne in Soria al principato paterno, giovine di diciotto anni, bello di persona, formosissimo di aspetto e grazioso, umano, piacevole, animoso e gagliardo e pieno di molte singolari virtú: al quale, poi che fu giunto in Soria, Balduino diede per donna Ailisa sua figliuola primogenita. E in fine ancor lui trovandosi in un certo piano di Cilicia senza alcun sospetto e riposandosi, fu assaltato e morto perfidamente da Rodoan turco signore di Aleppo, e di sé non lasciò altro che una figliuola, la quale ebbe da Ailisa, chiamata Constanza, che fu poi data a Raimondo conte di Pontieura: il quale mediante la persona di detta Constanza ottenne il principato antiocheno, et ebbe un figliuolo che dappo’ lui nel detto principato successe e dal nome de l’avo materno fu chiamato Boemondo III, si come ne le Istorie orientali si legge. Né altra prole mascolina [p. 109 modifica] di questi normanni, detti vulvarmente li Guiscardi, in Italia o in Soria si trovò che rimanesse, se bene de la nazione de* normanni e d’altra stirpe nel regno si trovassino molti che ducati e contadi e principati tenevano. Onde, si come l’altre cose umane, col tempo questo vetusto e nobil sangue ebbe il suo termine, non senza imputazione forse de la romana corte, la quale, si come piú volte in questo regno e in molti altri stati ha fatto, le altrui fatiche e regno e persone volse nel sangue alemanno transferire; onde poi non senza notabil giudizio de la divina giustizia e provvidenza condegno premio ne ricevette. [p. 110 modifica]