Don Garzia (Alfieri, 1946)/Atto secondo

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Atto secondo

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Cosimo, Eleonora.

Cosimo No, non m’inganno io, no: piú degno figlio

non abbiam di Diego: a lui del soglio
preme l’onor, la securtá del padre,
e la quíete universale. Io n’ebbi
dal suo parlar non dubbie prove or dianzi.
Eleon. Non senno dunque, e non amor, né mite
indole trovi, né pieghevol core
nel mio Garzia?
Cosimo   Che parli? or qual mi nomi
rubello spirto? Ei tra i miei figli è il solo,
ch’esser nol merti. Or, che dich’io tra i figli?
Assai piú mi ama e reverisce ogni altri,
ch’egli nol fa. Nutro un serpente in seno,
che in me sua rabbia e il rio velen rivolge.
Oh, come a stento il furor mio rattenni
dianzi in udirlo! I miei sospetti fansi
omai certezza: e quel Garzía...
Eleon.   Che fece?
che disse? in che ti spiacque? Oimè!
Cosimo   Che disse? —
Mentr’io disegno di un mortal nemico
l’eccidio, ei consigliarmi osa il perdono.
Ei non abborre il reo Salviati adunque,

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quant’io l’abborro? I miei nemici adunque

suoi nemici non sono?
Eleon.   Ogni uom non conti
fra’ tuoi sudditi quí? Se questo, o quello,
spegner ti piace, or nol fai tu? Delitto
lieve è d’un figlio, il supplicare il padre
d’esser men crudo. È ver, Diego, né Piero,
te sconsigliar non ardirian dal sangue:
Garzía l’osò: ch’altro vuol dir, fuor ch’egli
benigno è piú, né l’altrui sangue anela?
Cosimo Troppo piú che non lice, omai ti acceca
questo soverchio, e mal locato, affetto.
Idol Garzía ti festi; e, oltr’esso, nulla
tu non ami, né vedi. In lui virtude
osi nomar, ciò che delitto io nomo?
Lite questa non è fra noi novella:
ma ogni dí piú mi spiace. A me non poco
opra grata farai, se in cor ben dentro
sí parzíale ingiusto amor rinserri.
Eleon. Ingiusto amore? ah! se pur v’ha chi tale
provar mel possa, io cangerommi. All’opre
finor mi attenni, e non de’ figli ai detti.
Cosimo Tant’è; se il vuoi malgrado mio, te l’abbi
caro per te; pur ch’io piú mai non l’oda
scusar da te. Prima virtude, e sola,
in mia reggia, è il piacermi: in lui non veggio
tal virtute finora: a te si aspetta
l’insegnargliela; a te;... se davver l’ami.
Eleon. E a’ cenni tuoi non inchinò pur sempre
Garzía la fronte?
Cosimo   E l’obbedirmi è vanto?
E ciò, basta egli? e di nol far, chi ardito
sarebbe omai? — Parlar, com’io favello,
non pur si de’; ma, com’io penso, dessi
pensar: chi a me natura non ha pari,
la dee cangiar; non simular, cangiarla.

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Son di mia stirpe, e di mio impero, io ’l capo;

io l’alma son, donde s’informi ogni altra
viva persona quí. — Né al reo Garzía
un cenno pur, pria di punirlo, io dava,
s’ei figlio a me non era. In lui piú grave,
certo, è l’error; ma voglio, anzi al gastigo,
sola una volta ancor fargli udir voce,
che da tristo sentiero indietro il tragga.


SCENA SECONDA

Cosimo, Eleonora, Piero.

Piero Padre, altissimo affare a te mi mena:

teco esser deggio a lungo.
Cosimo   Oh! qual ti leggo
sul volto afflitto strano turbamento?
Parla; che avvenne? di’.
Piero   Narrar nol posso,
se non a te.
Eleon.   Qual sí novella cosa
narrar può un figlio al genitor, che udirla
una madre non possa?
Cosimo   È ver, son padre,
ma prence a un tempo: né il gravoso incarco
delle pubbliche cure assunto hai meco,
donna, finor; né il vuoi tu assumer, s’io
ben scerno...
Eleon.   Il ver tu scerni. Ebbi le rive
lasciate appena del natío Sebéto,
ch’io, compagna a te fatta, ogni pensiero,
ogni mio amore, ogni mio fine acchiusi
fra queste regie mura. In me trovasti
sposa ed ancella, e nulla piú. Ben vidi,
che il mio signor tutte credea raccolte
entro al cieco obbedir d’amor le prove:

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quind’io sempre obbedia; tu il sai; piú volte

men laudasti tu stesso in suon di gioja. —
Sol or vuoi rimaner? ti lascio: e induco
giá da chi ’l narra, qual sia questo arcano;
e so perché nol debba udire io sola.
Ma udir non vo’ di Pier la lingua, ognora
al nuocer presta: ah! degli estrani a danno
la usasse ei pur soltanto! almen tremarne
io non dovrei, come tuttor ne tremo.
Io mal gradito testimon, per certo,
son dell’arti sue note.
Piero   In un sol figlio
tutto hai riposto il tuo materno affetto:
colpa è degli altri; ed io ne soffro intanto
dura la pena; e in me pur solo cada!
Presta è mia lingua a nuocer sempre? il dica
quel tuo figlio diletto, a cui non porto
odio, ma invidia sí; dica, s’io mai
gli nocqui, o in detti, o in opre. — Orrida taccia
madre, or mi dai: pur mi dorria piú forte,
s’altri, che madre, a me la desse; o s’altri,
che il mio padre e signor, darmela udisse.
Ma il mio dovere io so; soffrir, tacermi
deggio; e soffro, e mi taccio.
Cosimo   Or, vuoi tu, donna,
con questi modi in iscompiglio porre
la reggia nostra?
Eleon.   In iscompiglio porla,
deh, non voglia altri! abbominevol peste,
deh, giá fra noi posto non abbia il seggio!
Il loco io cedo: di costui gli arcani
ch’io mai non sappia, e tu non mai li creda!

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SCENA TERZA

Cosimo, Piero.

Cosimo Or parla, Piero.

Piero   I vaticinj in parte
son della madre veri. Infra noi sorge
abbominevol peste.
Cosimo   Ov’io pur regno,
peste non v’ha, che allignar possa: svelta
fin da radice fia: parla.
Piero   Sta il tutto
in te, ben so: tu sanator sovrano
sei d’ogni piaga; indi rimedio pronto
cerco in te solo. — Or dianzi, ad aspri detti
venner Diego e il fratello: io l’ire loro
a gran pena quetai; ma non estinte
sono, al certo. Cruccioso, e torvo usciva
Garzía: con preghi a víolenza misti
Diego rattenni: ei l’aggressor non fia,
no, mai; ma, se uno sguardo, un motto, un cenno
esce dell’altro a provocarlo; oh cielo!
Tremo in pensar ciò che seguir ne puote.
Cosimo Discordi sempre; io giá ’l sapea: ma quale
nuova cagion tant’oltre ora gli spinse?
Piero Quí ne lasciasti dianzi; e ancor s’andava
ragionando fra noi. Diego, a cui sempre,
come all’opre, al parlar virtude è scorta,
con quella propria sua nobil franchezza,
Garzía biasmava apertamente (e parmi,
nol fesse a torto) dell’ardir solo egli
al tuo cospetto la colpevol causa
difender di Salviati. Entro il piú vivo
del cor Garzía trafitto, (era pur troppo
la rampogna verace) ei trascorreva
contro il fratello ai vituperj: e Diego

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solo avesse oltraggiato!... Ma, ridirti

ciò non degg’io, che a lui fervido d’ira
sfuggia dal petto: e nol pensava ei forse;
l’ira fa dir ciò che non è, talvolta.
E a me pur, mentr’io pace iva fra loro
ricomponendo, assai pungenti e duri
detti lanciò: ma, non rileva. — Or preme
che tuonar s’oda la paterna voce
sí, che piú non trascorra oltre tal rissa.
Cosimo Dubbio non v’ha; tutto mel dice omai:
Garzía, quell’empio, il suo signore, il padre,
e se stesso, e il suo onor, tradisce a un tempo.
Obliquamente ei nell’offender Diego
punger vuol me: cieca fidanza ei prende
nel cieco amor materno; e al colmo in lui
l’audacia è giunta. Or dianzi, udir voll’io,
s’egli ardirebbe appalesar securo
al mio cospetto i vili affetti iniqui,
ch’ei nutre in cor giá da gran tempo: e ascosi
non mi son, no, quant’ei, stolto, sel crede.
Piero Tu dunque pure il sai, ch’ei di Salviati
celatamente?...
Cosimo   Il so; convinto appieno...
Piero S’è, mal suo grado, ei stesso...
Cosimo   E voi finora
perché il taceste?
Piero   Ei c’è fratello...
Cosimo   E il padre
non son io di voi tutti?
Piero   Io pur sperava,
che al sentier dritto ei tornerebbe; ed oso
sperarlo ancora. In quella etá primiera
noi siam, ben vedi, in cui piú l’uom vaneggia.
Ciascun di noi potria, colto a tai lacci,
reo divenir di un simil fallo.
Cosimo   Ah! farvi

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nulla potrebbe traditori mai:

che Diego, e tu...
Piero   Certo ne son, di Diego;
di me, lo spero; e ogni uom di se lo accerta,
finch’ei rimane in se. Ma poi, che fia,
se di ragion nemico amor lo sforza?
Cosimo Amor! Che parli?
Piero   Il suo fallir men grave,
se pensi a ciò, parratti.
Cosimo   Amor, dicesti?
Amor di chi?
Piero   Padre, tu il sai.
Cosimo   So, ch’egli
è un traditor; ch’ei con Salviati spesso,
quí nella reggia mia, di notte, ascoso,
osa abboccarsi: ma, che amor l’induca,
nol seppi io mai. Qual fia l’amor? favella.
Piero Ahi lasso me!... Scusare il volli; ed io,
io l’accusai.
Cosimo   Parla: l’impongo; e nulla
mi taci, o ch’io...
Piero   Deh! padre, or gli perdona
il giovenil trascorso, e nulla in lui
a mal talento ascrivi. Amor soltanto
il fa parere un traditore. Egli ama
del reo Salviati la innocente figlia:
Giulia gentil, che tu, in ostaggio forse
della paterna fede, infra le illustri
donzelle in corte collocasti, e serbi;
Giulia è il suo amor: videla appena, e n’arse.
Celato l’ama, e riamato ei vive
in dolce e vana speme. Or, qual ti prende
poi maraviglia, che d’amata donna
il genitor, non reo paja all’amante?
Cosimo Ogni uom gli errori de’ miei figli or dunque
sa piú di me? gli scusa ogni uom? li cela?

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A parte anch’essa la pietosa madre

certo sará di un tale iniquo arcano;
e lo seconda forse...
Piero   In ver, nol credo...
ma pur, nol so.
Cosimo   Ch’altro esser può codesto
mentito amor, che a tradimento nuovo
un velo infame? A Giulia esser può caro
Garzía per se? figlia non è fors’ella
del mio nemico? e non succhiò col latte
l’odio di me, del sangue mio? Si asconde
gran tradimento in questo amor: la figlia
fatta è stromento dall’accorto padre
di sue vendette; io non m’inganno. E il mio
proprio figlio?...
Piero   Tu forse entro lor alme
ben leggi; ma nol creder di Garzía:
fervido amor davver lo sprona; e sempre
il cieco duce a buon sentier non tragge:
quindi ei fors’erra. Or che a te piano è il tutto,
deh! tu il rattempra, ma con dolce freno:
deh! non far no, ch’oggi ad increscer m’abbia
d’aver tradito, ancor che a caso io ’l fessi,
quell’amoroso suo fido segreto.
Vero è, ch’a me non lo diss’egli; in corte
a tutti ei chiuso, e piú a’ fratelli suoi:
ma pure, io ’l seppi. — Or, poiché il dissi, fanne
almen suo pro. Dal vergognoso affetto,
padre, lo svolgi; e la sua rabbia ingiusta
contro i proprj fratelli a un tempo acqueta.
Cosimo Ben festi di parlar: suddito figlio,
dover ciò t’era; a me il di piú si aspetta.
Ma, Diego viene.

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SCENA QUARTA

Diego, Cosimo, Piero.

Cosimo   O figlio mio, che brami?

Ragion? l’avrai.
Diego   Padre, che fia? ti scorgo
forte accigliato. A te disturbo arreca
forse il contender nostro? Era pur meglio
il tacerglielo, o Piero: e che? temesti,
che l’ira in me per un fraterno oltraggio
oltre il dover durasse? Ah! non ne prenda
pensiero omai, né se ne sdegni il padre.
Me non reputo offeso; io sol compiango
l’offenditor: la mia vendetta è questa.
Cosimo Oh degno in vero di un miglior fratello,
che quel Garzía non è! Tu le fraterne
ingiurie soffri; e ben ti sta: ma, prima,
sola cagion dell’ira mia profonda
non è, l’aver egli mie leggi infrante,
non, l’aver teco ei contrastato or dianzi.
L’impeto in lui, pur troppo, esser non veggio
di giovinezza figlio; è di mal seme
frutto peggior: andar mi è forza al fonte
del mortifero tosco; udire io tutto,
tutto indagare io deggio. In regal figlio,
che può nuocer piú ch’altri, e temer meno,
l’opre, gli affetti, le parole, i passi,
anco i pensier, tutto il saperne importa.
Diego Pure, a delitto or non gli appor, ten prego,
ciò ch’egli or dianzi irato a me dicea.
Piero Ben vedi, o padre, che se pari avesse
l’alma Garzía, tra lor ferma la pace
giá fora; e Diego non s’infinge...
Diego   E finto

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neppur finor credo Garzía, né iniquo.

No, padre; in lui, benché da me diverso
semi pur veggo io di virtú; dal dritto
sentier sol parmi traviato: ei nutre
privati affetti in principesche spoglie;
quindi è il suo dir, che a noi sí strano appare;
i disparer quindi fra noi sí spessi;
e l’alta pompa ingiuríosa, ond’egli
spiega fra noi le sue virtú romite.
Caldo di sdegno io primo, al tuo cospetto,
pungerlo osai, chiamandolo mendace,
e simulato: a un alto cor l’oltraggio
insopportabil era; e queta appena
fu l’ira in me, che assai men dolse. Io vengo
primo a disdirmi espressamente; e, ov’abbia
te indisposto contr’esso il parlar mio,
a tor tal falsa impressíon sinistra.
Cosimo Certo, assai meno è traditor Garzía,
di quel che tu sii grande.
Diego   A te siam figli...
Cosimo Tu il sei, davver: Piero, e tu pure il sei.
Piero Men pregio, almeno.
Diego   Ah! non perduto ancora
stima l’altro tuo figlio: a te il racquista,
e a noi, ten prego; ma con dolci modi.
Al tenace suo cor, piú che d’impero
forza si faccia or di consiglio; e mai
non gli mostrar, che tu di noi men l’ami.
Cosimo Basta or, miei figli, basta. Itene: a voi
compiacer vo’. Tu, Piero, a me tra breve
Garzía quí manda; io parlerogli. — Laudo
la sollecita cura in te non meno,
che in Diego il cor magnanimo sublime.

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SCENA QUINTA

Cosimo.

Degna coppia di figli! — Or, qual mia stella

terzo simíl vi aggiunge? Io nol credea,
benché fellon Garzía, fellon mai tanto. —
Ma, di qual occhio rimirar degg’io
Diego, che nato ad imperar, sol parla
di perdonare i ricevuti oltraggi?...
Doleami forte di dover con lingua
laudare in lui, ciò che in mio core io biasmo...
Ma ben esperto ei non è ancor di regno;
apprenderá: tutti di prence io veggo
entro il suo petto i semi. Io coll’esempio
gl’insegnerò, che a ben regnar, men vuolsi,
men perdonar, quanto è piú stretto il sangue;
quanto all’offeso è l’offensor piú presso.