Elogio funebre del colonnello Francesco Nullo/Elogio

Da Wikisource.
Elogio funebre del colonnello Francesco Nullo

../Lapidi IncludiIntestazione 26 aprile 2012 100% Romanzi

Lapidi

[p. 3 modifica]

Perchè convenite oggi nel tempio di Dio, o Avellinesi, raccolti nel silenzio e addolorati? Perchè le funebri armonie risuonano in queste volte? Perchè un feretro sorge nel mezzo di questo sacro edifizio? Ahi! non pure la carità per gli estinti quì vi trae, ma l’amor della patria nostra amareggiata, che mesta lo sguardo, china la fronte, riversa le mani, scarmigliata le chiome presso quell’urna di recente aperta si asside lacrimando. O patria mia! o famosa infelice! e fino a quando sarai costretta ad angosciarti! Le tue membra sono ancora intrise di sangue; i tuoi figliuoli incerti dell’avvenire; le corti licenziose ti seducono ed oltraggiano; l’impero ti infiora di promesse e ti cinge il collo della gogna de’ schiavi; il sommo prete ti maledice nell’ira sua sacerdotale; le armi cosmopolite ti si appuntano al petto; i tuoi nati istessi contro le viscere tue rivolgono le unghie ferine. O patria mia! i tuoi ricchi siedono al banchetto ed ebbri non mirano alle tue ferite; inghirlandati di papavero riposano all’ombra. O patria mia! tu fai sforzi per sollevare il capo, ma una mano di ferro ti costringe a ripiegarlo. La tua voce par che volesse uscire imperiosa e solenne, come quella di una regina, e poi come quella di una schiava vien fuori piagnolosa. A somiglianza di aquila spieghi i tuoi vanni per posare sulla vetta del Campidoglio e le ali ti son tarpate dalla cesoia straniera; fin dalle tue lacune sei respinta barbaramente, o patria mia!

Ma che! tu piangi di nuovo o misera?! — e n’hai ben onde: [p. 4 modifica]nuovo sangue sgorga dalle tue ferite: un tuo figliuolo muore da te lontano e tu non puoi volgere a lui le tue braccia materne e vendicarlo!

Perdonate, o signori, all’ansia angosciosa, onde è oppresso il mio petto, perdonate al dolore dell’animo mio, se ancora più lungamente eludendo la vostra aspettativa non osi profferire un nome, che tutte mi scuote le fibre e tante memorie al pensiero ridesta. Quel nome rammenta il più insolito eroismo e la più invereconda brutalità, la fede politica più intemerata e la repressione più atroce, l’amore dell’umanità più ardente e l’egoismo più spietato. Quel nome rammenta l’Italia e i suoi tiranni, la Polonia ed il Moscovita, la indipendenza e la servitù, il coraggio e la morte. Quel nome è una scintilla che accende il petto della gioventù italiana, una voce che condanna le male arti di ogni tirannica genia, una tromba che sveglia, non che i dormienti, i morti a sollevarsi contro la mano che pesa su le genti oppresse. Quel nome richiama su l’Italia l’attenzione dei popoli, che in quello ravvisano un principio invincibile, la loro alleanza e la loro solidarietà, respinge le accuse di infingardaggine in cui parea ci avessero cacciato i tiranni, corrompendoci, desta, non gelosia, ammirazione e gratitudine nella gente polacca, presta, come l’italiana, a risorgere dal suo letargo.

Francesco Nullo (ecco profferito quel nome ormai venerando) Francesco Nullo conduttore di una legione italiana, ito a combattere per la indipendenza della Polonia, strenuo soldato della gran patria, non d’indole diplomatica ed infinta, non di altissimo e profondissimo ingegno, ma coraggioso e leale quanto altri mai è il difensore del diritto de’ popoli. Il perchè egli morto per lo riscatto della Polonia merita di essere ricordato ai presenti ed agli avvenire, affinchè dal suo esempio altri si accenda. Sia la vostra pietà verso l’estinto, o Avellinesi, come un segno del patrio sentimento, onde siete invasi; valga la vostra religione ad ispirare ne’ vigliacchi più nobili sensi; ascenda la vostra prece, come virgola di fumo, al soggiorno di Dio. [p. 5 modifica]

Le rivoluzioni, o signori, sono lo svolgimento di un pensiero antico, ringiovanito per la interna vigoria, che ad ora ad ora ripullula. Le rivoluzioni sono il continuo giro delle cose mondiali, onde ora in questo, ora in quell’altro aspetto si mostrano. Le rivoluzioni sono un periodo del tempo, in cui i popoli, risentiti delle ulcerose piaghe, si rimettono in cammino per giungere alla meta. Le rivoluzioni sono come l’apparizione di una cometa, che dopo un corso di anni si mostra sull’orizzonte e sparisce. Ma se questa non lascia alcuna traccia, quelle segnano nel loro passaggio gli uomini e le cose del loro marchio indelebile. Ed hanno le rivoluzioni il loro cominciamento, il loro apogeo, il loro decrescere. Sono spesso sanguinose nel principio, illuminatrici nell’apogeo, barbare ed evirate nel termine. Cambiando spesso d’indole e di natura, non cambiano di modo, e quanto più vaste, più son durevoli, a differenze di tutte le altre forze che hanno la potenza in ragione della intensità. Non in breve tempo si compiono, ma finchè tutto il ciclo degli avvenimenti sia percorso. Il feudalismo baronale era da lunghi anni minato, la rivoluzione non si arrestava, finchè quello non fosse svelto dalle radici. Il feudalismo clericale si vuole atterrato, la rivoluzione non si arresterà finchè desso non sia distrutto. Nè la presente ha questo scopo soltanto; ella ad un altra meta intende, alla solidarietà de’ popoli, alla assimilazione delle nazioni, alla cattolicità della indipendenza, all’alleanza de’ principi, alla comunanza degl’interessi. Finchè questo scopo non sia raggiunto, la rivoluzione non avrà mai tregua. I paurosi si spaventeranno di questo prognostico; ma il lor timore sarà dileguato, quando saran persuasi, questa risoluzione non essere delle piazze, ma del pensiero, non de’ popoli soltanto, ma delle dinastie, non delle nazioni contro nazioni, ma delle idee contro idee. Lunga sarà la durata di questo periodo, ma l’alleanza dei popoli è la sola possibilmente duratura. Quando un popolo si leva a libertà, ogni popolo invia il suo contingente. L’Italia manda il suo grido di allarme, Inglesi, Francesi, Ungheresi, [p. 6 modifica]Polacchi pigliano le armi. Essi non combattono la guerra della indipendenza italiana, essi combattono la guerra della indipendenza delle nazioni, essi non pugnano per questo o per quell’altro popolo, essi pugnano per la solidarietà dei popoli. La Grecia si agita e si riscuote, a migliaia convengono nel Pireo i combattenti. La Polonia innalza la sua voce contro l’autocrata Moscovita, le nazioni corrono a propugnare la loro causa nei campi della insurrezione.

Quale vergogna non sarebbe stata per l’Italia, se nessuno de’ suoi figliuoli non fosse accorso a vendicare quel sangue versato?

Uomini di tempera antica non mancano alla patria nostra. Sorge tra i primi il colonnello Francesco Nullo, che nella sua non lunga esistenza, essendo egli morto in sugli anni trentotto, mai non ismentì la lode di coraggioso che noi gli tributiamo in questo pubblico elogio. Nè a lui solamente il coraggio militare, ma sì ancora il civile vuol essere consentito, perchè nell’esilio espiando la colpa di patriottismo incontrata per la difesa di Roma nell’anno quarantanove, mai non venne meno nella sua fede politica in qualunque occorrenza.

Nativo di Bergamo nella generosa Lombardia fino dai primi anni all’amor della patria intese il fortissimo animo e quando le battaglie italiane si cominciò a combattere, fu sempre tra i primi.

Allorchè la repubblica romana, surta così improvvisamente e sì tostamente caduta, resiste all’esercito di Francia repubblicana, Francesco Nullo combatte tra le file degl’Italiani. Giovine di anni, vigoroso e leggiadro della persona non è secondo a nessuno per nobiltà di animo, per ispontaneità di azione; inteso alla indipendenza del patrio suolo, non discutendo del modo mira dritto allo scopo. Simile a focoso destriero con l’empito gagliardo di giovanezza dove la mischia ferve più ardente accorre, nulla curando i perigli e la morte. Che cosa è la morte in battaglia per la difesa del giusto, se non il trionfo dello spirito [p. 7 modifica]su la creta? Spinto dall’amor della patria, raddoppia di zelo e di energia, quantunque volte il numero de’ nemici cresce, e non tanto la politica idea lo sospinge, quanto il pensiero di veder libera l’Italia già calpestata dall’unghia del cavallo tedesco o dalle armi francesi piegata, non vinta. Egli non odia nè l’uno nè l’altro, in cuor liberale non entra odio o vendetta; egli vuole la patria sua, ed ogni uomo ha diritto di averne una. Egli combatte, come gli eroi combattono, per una causa giusta, consentita da Dio e dagli uomini, per la causa della sua terra natale.

La campana della Gancia suona a stormo: tutto un popolo si sveglia alla voce di Dio. Lo squillo che altra volta lo convocava a pregare, or lo chiama a combattere. Come la tromba dell’Angelo risvegliatore, quello squillo infonde la vita nelle ossa ammonticchiate: i cadaveri diventano uomini, gli uomini eroi. Palermo non ha obbliato di essere la città de’ vespri. Una volta i Francesi, ora vuol cacciati i pretoriani. La Sicilia si commuove a quel suono, e ascolta: il grido di guerra rimbomba su per i monti, per le valli e per i piani. La tirannide secolare è scossa; un popolo non giace eterno nel suo sepolcro. Siccome il Cristo dopo tre giorni dalla morte, il popolo leva il capo dopo i secoli di avvilimento, e si mostra ai suoi crocifissori vegeto e vivo e fiorente di bellezza, e dice loro: mi avete ferito, ma non morto, mi avete sepolto, ma non ucciso. Un popolo non muore; si addormenta un istante, poi sorge tremendo. L’ira di un popolo è l’ira di Dio inesorabile, onnipotente. Le ossa delle lunghe generazioni han bisogno della voce di un Profeta che le riscuota. Questa voce fu udita, le ossa si animarono. Garibaldi, il profeta del secolo decimonono, pronunzia la parola di guerra, ascende un naviglio, di mille uomini si circonda, degni delle Termopili, sfida i cannoni nemici, pone il piede in Marsala; le moltitudini gli si aggrappano intorno, come al loro liberatore. Uno di que’ mille che vanno al conquisto del vello d’oro, al conquisto della indipendenza d’Italia è Francesco Nullo. Dopo di essere stato tra le guide di Garibaldi dal Ticino al Tonale, non può [p. 8 modifica]mancare tra quelli che tentano la impresa ardita. Che dico ardita? la impossibile impresa e ridicola innanzi al sogghigno di un esercito millantatore.

Non basterebbe forse questo solo tratto del mio elogio per mettere Nullo al disopra di quanti prodi la storia rammenta? Uno de’ mille! cioè uno de’ pochi che han fatto l’Italia. Uno dei mille! vale a dire uno di quelli che volonterosi danno la vita in olocausto per la patria. Uno de’ mille! val quanto dire uno di quegli eroi degni di stare con Garibaldi. Non mi state a dire, che il senno degl’italiani, la influenza straniera, i sacrifizi degli esuli, i propositi de’ cittadini, le cospirazioni, la costanza, il martirio, e fino la tirannide borbonica abbiano fatto l’Italia. Senza di questi mille, che sono il nucleo a cui si aggruppa una nazione intera, non si sarebbe proseguita l’opera incominciata nel cenobio francescano della Gancia. Senza di questi mille, l’insurrezione si sarebbe forse circoscritta dentro le mura di quella città. Senza di questi mille non si sarebbe veduta una falange di uomini crescere appresso di loro, a guisa di torrente che porta seco alberi, armenti, case, e non si arresta, finchè l’esecrato stendardo non fosse scomparso dalle torri merlate.

I soldati del Borbone, occupato la chiusa di Calatafimi, attendono di piè fermo i soldati della libertà. Sono quattromila uomini bene ordinati e scelti tra i cacciatori, i carabinieri ed il primo battaglione del decimo di linea. Una mano di cavalieri con batterie di campagna si mostra animosa e gagliarda.

I soldati del diritto ammontano a settecento appena, il resto è in custodia del bagaglio ed alla retroguardia.

Il grosso delle forze napoletane è trincerato innanzi a Calatafimi, sopra un altura detta Monte del pianto de’ Romani, dove questi furono altra volta battuti dai Segestani.

L’ordine di attaccare è dato. La prima posizione è tolta ai soldati del dispotismo dall’avanguardia. I soldati del diritto respinti attaccano di bel nuovo. Lo stato maggiore, il generale, il corpo di riserva, tutto è impegnato. [p. 9 modifica]

I napoletani prendono l’offensiva, cinquanta uomini resistono al loro empito crescente. L’artiglieria garibaldina fulmina la borboniana che si sforza d’intervenire. Sono tre ore di combattimento; è mestieri finirla. Tutti si dispongono ad un’ultimo sforzo e decisivo. Palle e mitraglie piovono da per ogni dove: il generale e quanti generosi lo circondano si fanno innanzi per aprirsi la via che sola conduce a Palermo. I montagnardi spianano i fucili ed i nemici del proprio paese fiedono ed uccidono. Questa gente superba fugge alla dirotta, gitta armi e bagagli, la paura la insegue alle spalle. Di notte tempo esce frettolosa di Calatafimi per Palermo, dove corre a nascondere la sua ignominia.

Francesco Nullo in questo combattimento, al pari de’ suoi compagni d’arme, prode si mostra e degno della causa che difende. Non si arresta innanzi a nessun pericolo, pugna come leone, indeffessamente, coraggiosamente. La sua voce animatrice risuona per i boschi e per le valli: il suo braccio è sempre pronto a ferire, il suo petto sempre esposto al nemico. E quando ferve la mischia, mentre altri cadono estinti, a lui tocca una ferita. Gloriosa ferita gli è questa e doppiamente gloriosa, da prima perchè guadagnata per difendere i diritti della patria sua e dipoi perchè è il primo sangue versato in quella impresa che da coloro che questo tempo chiameranno antico non sarà forse creduta.

Riavuto in breve corso di giorni non manca a Palermo in quelle giornate, in cui la ferocia più vandalica fu mostra ed il coraggio più antico. Avreste veduto quella città patriottica in preda alle fiamme, le vie barricate e rotte, gli edifizi crollanti, le chiese saccheggiate ed arse, le sacre suppellettili disperse, la santa ostia calpestata, i monasteri di vergini consecrate al signore profanati, ogni ordine di cittadini manomessi, insultati, uccisi, mutilati dalle orde sostenitrici del diritto divino, che in fatto è la più flagrante ingiustizia contro il diritto de’ popoli.

Francesco Nullo combatte a Cajazzo, in cui le armi liberticide [p. 10 modifica]tante stragi arrecano; dove il valore non può sostenere l’empito di una ferocia da cannibali. Combatte in Isernia a tempo della famosa reazione; e dovunque o contro gli agguerriti o contro bande raccogliticce egli pugni, mai non lo abbandona il coraggio, è sempre il diritto degli oppressi in cima de’ suoi pensieri.

Ansioso di rompere gl’indugi che al compimento della indipendenza d’Italia si frappongono, tenta in Sarnico una improvvida ma generosa impresa. Pertanto a lui non giova il tentativo, a cui le diplomatiche arti che mettono sosta ai nostri voti, si opponevano. A quali uomini o quali circostanze si debba dare la colpa, non so; chè noi studiosi del meglio vorremmo andare allo scopo senza ambagi.

Chi si facesse a leggere innanzi ne’ misteriosi libri della diplomazia, avrebbe a maravigliare delle arti, degl’intrighi, delle menzogne, de’ temporeggiamenti, che a noi uomini del popolo, usati ad esprimere il concetto con le sue parole, sembrerebbero piuttosto delitti che ritrovati. Vi ha cotali tristi necessità, a cui la gente migliore è mestieri si sobbarchi. La volpina malizia ha spesse volte più facile accesso, che non la franchezza di un eroe; ed il volgo giudicando dagli effetti quelle imprese appella malaugurate che malamente sortirono il loro effetto.

Della qual cosa è chiara prova quell’Aspromonte, su cui come sul Calvario, si compieva un sacrifizio cruento. Su quell’altare pose ancor la sua mano Francesco Nullo, desioso sempre di attender la meta; ma la sua generosa offerta non tornò gradita all’universale. Gli eroi sono i capri emissari della umanità; i vigliacchi ed i tristi gl’inficiano sempre, i buoni talvolta per tema che l’opera grande non si guasti per via.

Il secolo decimottavo, o signori, dovea sorgere fatalmente infesto alla travagliata Polonia. Caterina II nata Sofia Augusta di Anhalt-Serbst, dopo di aver profanato il talamo di Pietro il grande delle Russie, fattolo miseramente uccidere ne usurpava il trono, quando la morte di Augusto III nuovi pretendenti a [p. 11 modifica]quello della Polonia poneva in mezzo. Ella gli altri respingendo un Poniatowski destina al trono conteso. Le opposizioni delle dietine a questa proposta la incitano maggiormente a far pago il suo voto.

Riunita la dieta di convocazione, le truppe tutte entrano in Varsavia per tutelarvi, come un programma dicea, l’ordine e la libertà. Il conte Branitzki ed il principe Radziwill prendevano le armi per impedire ai russi di forzare il pubblico suffragio.

Alla dieta di elezione veniva comunicata una lettera dell’imperatrice che in tuono di comando più che di commendatizia sollecitava la scelta del Poniatowski ed il conte veniva eletto.

In poca d’ora l’animo di lei ben si facea manifesto nell’aver voluto imporre alla Polonia il suo raccomandato. Un armata russa è inviata ad invadere il regno, la unità polacca è minata, aizzate le mal sopite divergenze tra cattolici e dissidenti. È domandato che questi godano i dritti medesimi de’ cattolici; nuovi confini si assegnano alla Polonia che ancora sotto il mentito nome di repubblica si regge. Le proposte indignano la nobiltà; e la soldatesca russa fino alle porte di Varsavia si avvanza. Stanislao-Augusto, chè tal nome avea preso il conte, tiene una dieta straordinaria nella quale il Vescovo di Cracovia (vedete differenza fra quello ed altri che ogni maniera di resistenza pongono alla patria loro!) sorge con acri parole contro la prepotenza straniera. Il prelato è tratto in carcere con gli altri oppositori. Il principe Repnin il giorno dopo questo attentato alla nazionalità polacca, dicea in una nota, averne violato la libertà per lo bene della Polonia! Tanto è la menzogna di cotale esecrata genia?

I nobili, sciolta la dieta, ritornano con la vendetta nel cuore, con la minaccia sul volto. Nuove associazioni sorgono, tra le quali primeggia quella di Bar, perseguitata a morte. Il re vien ferito nel capo da uno de’ congiurati, un odio novello sorge in cuore alla Czarina contro i Polacchi. [p. 12 modifica]

La peste desolando le frontiere della Polonia il Re di Prussia fin dentro il ducato di Posen spinge il suo esercito. L’imperatore di Austria, fingendo di appoggiare i Bar contro la Russia, il medesimo pretesto allega per mandarvi il suo. Così le tre armate straniere la Polonia invadono per farla a brani. I patrioti a quell’inumano tradimento si disperdono, la usurpazione del forte contro il debole propagando invano innanzi al tribunale delle nazioni.

La Imperatrice delle Russie non paga di avere con le altre due potenze una parte della Polonia le dichiara la guerra. Mille combattimenti insanguinano quella eroica terra nel 1792 che con gli sforzi di un popolo oppresso vince lo scettro che la soggioga. Fu allora che Taddeo Kosciusko, giovine di anni, per la sapienza della mente e per la forza del braccio l’ammirazione dell’Europa procacciasi. La diplomazia compisce quello che le armi non possono interamente: un alleanza russo-prussiana suggella un nuovo accordo di divisione. Il tradimento di alcuni patrioti degeneri aggiunge il peso nella bilancia. Un’armata di prussiani vince per il numero soverchiante, tre milioni di polacchi sono aggiunti all’impero moscovita ed alla Prussia altra estensione di terra verso il nord-est si accorda. Quella misera nazione è in preda ai suoi conquistatori, che, a simiglianza di Vandali, la straziano ed opprimono. Altro sangue è sparso -Kociusko, Potoki, Kapustas sono menati a Pietroburgo e cacciati nelle carceri.

Parea che un barlume di speranza sorgesse per la Polonia, quando i valorosi emigrati accolti sotto la bandiera di Francia erano condotti vincitori a Vienna a Berlino a Mosca, ma la santa alleanza la ricacciava di nuovo nell’usato avvilimento.

Nell’anno 30 quando il popolo francese levava il suo grido di libertà, che mai non rimane inascoltato da altri popoli, la Polonia fatto un appello dolorosissimo alle nazioni si leva in arme. Ventotto mila uomini sorgono contro masse di soldati fatti più forti e coraggiosi per le ultime guerre con la Turchia. [p. 13 modifica]

Varsavia addiviene una seconda Troia: la più sanguinosa battaglia si combatte sotto alle sue mura: i polacchi al cospetto; delle madri delle mogli, delle sorelle, de’ figliuoli, de’ vecchi genitori espongono il petto alle palle nemiche. Più di 20 mila Russi son morti. Ma il giorno otto settembre, sacro a Maria nascente, Varsavia è data in mano al Cosacco.

Sorge l’anno 1860 foriero di libertà per l’Italia. I tirannelli che la divideano cadono successivamente: i fatti più inauditi si compiono con una elettrica celerità. La Grecia si riscuote all’esempio della sua figliuola; la Polonia si atteggia per gittare il guanto di sfida al suo perpetuo oppressore. I Polacchi aveano assai sofferto: cinquemila erano stati deportati dopo il trentuno; la coccarda tricolore abolita; l’università di Wilna soppressa; la lingua Russa sostituita alla nazionale: le scuole ristrette: abolita la uniforme, la procedura, la moneta. Le madri stringevano al seno i loro figliuoli e piangevano chè il marchio della schiavitù avrebbe lor segnato eternamente la fronte; i giovani fremevano di mal repressa ira; il clero istigava dai pergami il nazionale riscatto; tutto un popolo genuflesso per le vie di Varsavia intuona l’inno del riscatto.

La coscrizione eccita gli animi alla rivolta. I boschi di Plock, Tykorin sulla frontiera della Lituania, Beryesc, Labelska, Wanchock e Kaznicercz sono i punti ove la insurrezione si organizza.

Ogni dì la rivolta si avvanza, sanguinosi combattimenti s’impegnano, strage a strage s’aggiunge, vendetta a vendetta. L’Europa non impassibile, ma calcolatrice, guarda a quel sangue immobilmente. I parlamenti discutono, i popoli si adunano a compiangere la nazione generosa, ben pochi si affrettano ad aiutarla.

Tu, o Francesco Nullo, prode italiano, alla testa de’ tuoi bergamaschi prendi la spada e voli alla difesa della tua sorella. Quelli che aveano versato il veleno nel tuo cuore piegano lo sguardo vergognoso innanzi al tuo coraggio. I patrioti ti accompagnano [p. 14 modifica]accompagnano con i loro voti, l’Italia tutta palpita per te, come l’amante per la partenza del suo diletto.

E tu, o Francesco, con lo sguardo infocato, con la parola ispirata, con l’animo ardente i tuoi cinquecento spingevi alla pugna. Il tuo cavallo cadeva ferito nella battaglia di Olkucz e tu due volte ferito, nella fronte e nel petto, cadevi con lui. Tu morivi compianto, o generoso e vendicato, perchè morendo gridavi a’ tuoi di andare avanti; ed essi obbedivano, uccidendo.

Il dolore degl’italiani che con te pugnavano fu acerbo e crudele: ti chiamavano a nome singhiozzando: un altro prode mancava all’Italia ed alla Polonia - O Francesco, il tuo nome sarà immortale - Tu morivi per l’indipendenza de’ popoli, per lo diritto delle genti, per la solidarietà delle nazioni!

Allorchè alla madre tua giunse la nuova della tua morte, quante lagrime non dovè versare l’infelice!... Ma questa nuova non dovea giungerle inaspettata. Non fu ella che ti educò all’amore d’Italia fin dagli anni più teneri? Non ti seppe ella combattente, ancor giovane, per la difesa di quella Roma, ove i nostri desideri son volti? Non le furon narrate le tue imprese a Marsala, a Calatafimi, a Palermo, ad Isernia, a Cajazzo? Non le fu detto che tu movevi per la Polonia a combattere il più crudele tiranno che mai altro al mondo? Non le fu noto il tuo coraggio, la tua arditezza, il tuo spirito guerresco? Non conoscea la madre tua che avresti affrontato la morte dovunque?

Nullo, o signori, moriva il giorno 5 maggio, memorando nella istoria per la morte di un grande — in quel mese istesso che era ferito a Calatafimi, nel modo che avea desiderato, da prode — Questa morte sia marchio che la Polonia e le nazioni oppresse suggelli.

Quel sangue ricada sul fronte ai tiranni sordi al grido dei popoli. Da quel sangue risorgano eroi a vendicarlo. La gioventù italiana con quel sangue scriva la libertà delle genti, il regno del diritto e della giustizia, il trionfo del bene sul male, la indipendenza intera dell’Italia nostra, quando [p. 15 modifica]l’ora della riscossa risuonerà. Non tarderà quell’ora: Roma è nostra.

La morte di quel prode già incomincia a produrre il suo effetto, perchè da per tutto gl’Italiani ed i Polacchi ne onorano la memoria e si riscaldano di patrio affetto. Da Cracovia il dì 8 maggio queste parole venivano indirizzate agl’italiani «Il tristo suono della campana annunzia oggi alla città nostra la trista novella della morte del generale Nullo. Oggi questa perdita associa due grandi nazioni. Il sangue caldo ancora di figli italiani si mischia con quello de’ polacchi. Italia! tu piangi oggi il tuo figlio, e la Polonia piange il suo eroe. Grazie a te, o terra generosa, per tali sacrifizi; grazie a te, o madre virtuosa, che con occhio asciutto dasti il brando al tuo figlio, mandandolo a combattere e morire per la causa della tua sorella. Italia! il tuo figlio morì, ma morì con queste parole «Vendetta! Viva la Polonia!» Sì: egli morì per il mondo, ma vivrà sempre in ogni cuore polacco, la sua ombra insanguinata percorrerà sempre le file de’ combattenti, le sue parole suoneranno sempre negli orecchi di tutti i patrioti polacchi che combattendo grideranno «Vendetta! Viva l’Italia!» Piangano dunque le nazioni sorelle la perdita del degno loro difensore; ma fra poco, superbe di un tale eroe, rassereneranno la fronte, asciugheranno le lagrime, e coprendo le tombe de’ loro martiri con i fiori della gloria, grideranno con sorriso: Viva la libertà».

Il circolo de’ studenti della università di Parma inviava al Municipio di Bergamo queste parole:

«Salve, o generosa Bergamo, salve!

Ogni città d’Italia è terra di eroi, è terra di martiri.

Tu sei di esse regina, di tutte la più superba, la più feconda di ardimentosi figli.

Salve, o generosa Bergamo, gridano dall’Alpi al mare i giovani italiani.

Da te vennero virtuosi esempi, intrepidi compagni, strenui duci. [p. 16 modifica]

Salve, o generosa Bergamo, grida la democrazia tutta di Europa.

Grazie e riconoscenze a mille t’invia la risorta Polonia.

Quel paese combatterà ora più tremendo, dacchè deve difendere pur le ceneri d’italiani.

Oh! quanta gratitudine ti deve Italia, o fortunato Municipio.

Per te Italia sa di aver figli pronti a morire, ovunque una santa causa è a difendere.

Per te la gloriosa Polonia è divenuta cara parte d’Italia.

Ma a te anche un obbligo incombe:

Serba ai posteri la memoria e le gesta di Nullo.

Da quel sangue sorgeranno novelli eroi».

Bologna ne celebra le esequie nella chiesa di San Petronio, ove un popolo addolorato si raccoglie a spargere acqua benedetta e lagrime pietose sopra quel tumulo, innanzi a cui le destre si stringono a concordia, i cuori si aprono a carità perpetua, indefettibile, universale.

Brescia onora la memoria di Nullo con solenni funerali, le epigrafi ne rammentano il coraggio e la gloria.

Tutte le città d’Italia si preparano a celebrare quell’uomo che mai non cadrà dalla memoria de’ suoi compatrioti. O Avellino, città di sensi italiani, prima a scuotere il giogo della tirannide, sei prima tra le città meridionali a venerare il prode che il nome italiano innalza.

I Russi medesimi onorano la memoria del forte. Per comando del generale russo Szachowski il frale di Nullo è sepolto a Miechow con pompa imponente. Una cassa coverta di velluto rosso, sormontata da un berretto rosso da zuavo e da due spade in forma di croce, lo rinchiude. Alcune signore, pietoso uffizio e gentile! si tolgono il carico di portarne la bara; due prigionieri italiani son donati della libertà per rendere gli ultimi onori al loro colonnello; una folla compatta accompagna il feretro sino all’ultima dimora; e quando la salma è deposta nella tomba, [p. 17 modifica]un distaccamento di fanteria russa esegue la triplice scarica di uso.

O Polonia, prosegui la tua pugna — non passerà tempo, e tu sarai libera al pari di noi. — Dove le arti diplomatiche non giungeranno, arriveranno le nostre braccia, i nostri petti — Polonia! Italia! voi siete i baluardi della libertà; il vostro trionfo è il trionfo de’ popoli, la vostra ruina la loro ruina. Seguitate il vostro cammino, o generose; l’opera del Cristo sarà presto compiuta.