Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/IX

Da Wikisource.
Cap. IX

../VIII ../X IncludiIntestazione 4 ottobre 2020 75% diari di viaggio

Libro III - VIII Libro III - X

[p. 321 modifica]

CAPITOLO NONO.

Si ragiona dell’Isola di Borneo, con un ristretto

della relazione, che di essa fece al Serenissimo

Re di Portogallo il P. D. Antonio

Ventimiglia; e della Missione

ivi istituita.


E
Ssendo l’Isola di Borneo la maggiore del Mondo, contenente in se preziosissime rarirà, e a gli Europei quasi incognita, per esser tutta all’intorno occupata da Re, e Principi Maomettani (che non fanno pattare gli stranieri dentro terra, ad aver commercio con gli abitatori Idolatri, da loro oppressi con dura tirannia; affinche possano col cambio di vili bagattelle, che mancano a quei meschini, eglino soli prendersi poscia il più prezioso) non avrà a male il cortese leggitore, che io interrompa il ragionare del mio viaggio, per fargli un brieve ristretto della relazione, che ne fece al Serenissimo Re di Portogallo il P. Don Antonio Ventimiglia Teatino, della Città di Palermo; primo Missionario, che avesse in sorte di penetrare nel cuore di sì grande Isola: e ciò senza tradurla di [p. 322 modifica]parola a parola dalla lingua Portughese all’Italiana, per non farla riuscire lunga. L’originale Portughese, che appresso di me si conserva, è degno di essergli prestata credenza; perocchè non può dubbitarsi, che sì zelante Religioso avesse altrimenti scritto da quello, che vide.

Frequentando i Cittadini mercanti di Macao il porto di Mangiar-massen, nell’Isola di Borneo; il Re del medesimo nome, si dichiarò più volte con alcuni Capitani, e spezialmente con Manuel d’Araugio Graces; che avrebbe avuto caro, che la Città di Macao stabilisse una Fattoria in quel porto, per sicurezza del traffico: e che egli, oltre il darle in ciò ogni aiuto, e favore possibie, si sarebbe contentato, che si facesse una Chiesa, per lo libero esercizio della Cristiana Religione. Niuno effetto produssero sì belle offerte nel Comune di Macao, per la piena contezza, ed isperienza, che avea dell’istabil fede di quei Maomettani: avendo però il Generale della Città, Andrea Coello Viera, fatto partecipe del trattato Don Roderigo d’Acosta, Governadore di Goa; questi consultossi con tre persone esperte, se convenia, per lo servizio di Dio, e del Re, tale erezione; e [p. 323 modifica]saputo, che sarebbe stata di molto profitto, non ostante che il Comune, e i particolari di Macao mandassero Proccuratore, acciò non si recasse ad effetto; diede nondimeno (nel 1689.) gli ordini necessarj, affinchè in nome di detta Città la Fattoria si stabilisse: imponendo a Giuseppe Pinero, ricco Cittadino di Macao, (che allora si trovava in Goa) che ne prendesse cura, e se la togliesse a suo carico. L’accettò quegli, per dargli gusto, con tutto che sempre avesse proccurato d’impedirla.

Prima di questa risoluzione, era venuto in Goa Luis Francesco Coetigno (col quale io fui ospite de’ Padri Teatini in quella Città), e questi sapendo il zelo, col quale desideravano i Padri Teatini, impiegarsi in alcuna Missione, sopra di cui altra Religione non avesse alcun dritto, per l’antichità (a fine di poter meglio come in propio campo seminar la parola di Dio, per raccogliere la messe della propagazione del Santo Vangelo, e conversione delle pecorelle smarrite dall’ovile del Signore) fecegli consapevoli della volontà, che mostrava il Re di Mangiar-massen, di concedere a’ Cristiani una Chiesa; la poca inchinazione della Città [p. 324 modifica]di Macao a stabilir colà Fattoria; e non esser in quell’Isola per anche entrata alcun’altra Missione.

Parve a quei Padri Luis Francesco un’Angelo, mandato da Dio, vedendosi alquanto aprire la strada alla loro santa intenzione: e senza molto indugio interpone, col parere d’altri, deliberarono maturamente di addossarsi il carico di tal Missione; tanto più che per facilitar l’impresa, impedita dalla povertà della Religione (che non possiede, nè può dimandar limosina) s’offerse prontamente il buon Luis Francesco, di far le spese necessarie, per farvi passare il suddetto Padre D. Antonio Ventimiglia, che, con molto fervore, fece istanza d’esservi mandato.

Fornitosi il buon Religioso del necessario, per suo uso, a spese di Luis Francesco suo benefattore, e compagno; e d’ogni altra cosa, che la Provvidenza Divina gli mandò, per quel che toccava all’esercizio della Missione; partissi da Goa a 5. di Maggio 1687. con molto sentimento del popolo, che rimanea privo d’un soggetto di tanto merito. Giunse egli in Malaca a 12. Giugno; dove pose piede a terra, più per esercitarsi nel [p. 325 modifica]pietoso ufficio di convertire alcuni Rinegati, e pascere quei Cristiani della divina parola, che per avere alcuno alleggiamento della sua penosa infermità.

A 20. si pose di nuovo in Mare, e continuò il suo viaggio, con sì prospero vento, che giunse a 13. di Luglio in Macao, dove smontò col Coetigno. Si trattenne quivi sei mesi, cioè cinque in un Romitorio degli Agostiniani, detto di Nostra Signora della Pegna, sulla cima d’un monte; e’l rimanente nel Convento de’ medesimi: esercitandosi sempre in udir le confessioni, e in altri atti di pietà Cristiana.

Gli venne fatto di andare a Borneo a gli 11. di Gennaio 1688. con navigazione sì prospera, che a’ 2. di Febbraio si trovò in Mangiar-massen. Quivi entrati per lo fiume sopra, diedero fondo nel porto a’ 5. Seppero fra questo mentre la stragge, fatta da’ Maomettani sopra un vascello di Siam, sotto colore di alcune false accuse; e sopra un’altro della Costa di Cormandel, fingendo, che avessero maltrattato alcuni Naturali, nella contesa, da da essi medesimi macchinata. Vi morirono molti Cristiani, particolarmente Portughesi. Non valse punto questa [p. 326 modifica]novella a disanimare, o intiepidire il zelo del Padre Ventimiglia; ma riponendo ogni cosa nelle mani del Signore, si stette, con ferma speranza, d’avere ogni difficoltà a superare.

Mentre esercitavasi egli divotamente nelle cerimonie di Settimana santa, un Moro Capitano di due Galere, veggendogli consumar tanta cera, mandogli alquanto d’oro in polvere; ma non volle accettarlo. Ardeva il buon Padre di desiderio di adoperarsi alla conversione de’ Gentili; e vedendosi così impedito, e neghittoso in quel porto, con molte preghiere, ricordava al Capitan Manuel Araugio Graçes (col quale era venuto da Macao) che giusta le promesse fattegli, s’ingegnasse di farlo parlare, con qualcuno de’ Gentili Beagiùs, non guari indi lontani. Gli dava quegli buone speranze; ma il Cielo, che non manca di secondare i santi desiderj, fece venire da per loro quattro Beagiùs, curiosi di vedere il vascello. Essi dimandarono istantemente, che si sparasse un pezzo d’artiglieria; ciò che fatto, per compiacergli, spaventati del suo maraviglioso effetto, se ne andarono.

Questa brieve visita fece infiammar [p. 327 modifica]maggiormente il Padre Antonio; onde di sommo dispiacere si struggeva, non veggendosi modo di farvi conoscenza, e di rimaner fra di loro: imperocchè a’ Maomettani non piacendo, che coloro con forestieri prendessero dimestichezza, proccuravano, terminare le negoziazioni colle navi Cristiane, con prestezza, ed alle volte con insolenza. In fine un marinajo gli condusse un dì due Beagiùs, che andavano per lo fiume in sù; ed egli per santamente adescargli al ritorno, trattogli con molto affetto: diede loro alcune cosette divote; e vedendo che nel licenziarsi, mostrò un di essi desiderio di un paio di scarpe, e l’altro d’un cappello di due de’ circostanti; fece ciò cortesemente dar loro.

Se n’andarono così soddisfatti i Gentili, che giunti alle loro Terre, fecero venire altri in desiderio, di guadagnarsi quei piccioli doni, e di vedere il buon Religioso; onde a’ 3. di Maggio ne vennero due altri, in compagnia però d’una spia de’ Mori, che non diede luogo, di rendergli consapevoli del fine, per lo quale eran chiamati. Furono licenziati, dopo qualche dimora, con un Rosario per ciascheduno, appeso al collo. [p. 328 modifica]Continuarono quindi a venirne altri; e’l Pad. Ventimiglia andavagli istruendo, ed accostumando alla venerazion della Croce.

A’ 27. di Maggio, avendo tutti i mercanti del vascello, con non picciol guadagno, recato a fine il loro negozio; e provvedutisi di pepe, ed altri aromi, in sì gran copia, che quantunque il vascello fusse uno de’ maggiori, che navigasse per quei mari, pure bisognò rimanerne in terra; si diedero le vele al vento: portandosi, suo mal grado, il P. Antonio, il quale arebbe voluto quivi rimanerci; con tutto che il Capitano, ed altre persone di qualità gli ponessero avanti gli occhi la perfidia di quei barbari Maomettani, e gli promettessero di ricondurlo l’anno seguente a’ suoi amati Beagìùs.

Con felice navigazione giunsero a’ 23. di Giugno in Macao. Quivi quantunque molti Religiosi offrissero abitazione al Padre ne’ loro Conventi; si scelse egli di bel nuovo la solitudine del suo romitorio, per andarvi a dormir la notte; esercitandosi il giorno in Città, ad udire continuamente le confessioni, e seminar la divina parola.

Venuta la stagione per lo viaggio di [p. 329 modifica]Mangiar-massen (quantunque gli dispiacesse di farlo per cammino interrotto, e non a dirittura) si partì finalmente a gli 8. di Gennaio, del 1689. menando seco un Cinese, ch’era stato schiavo del Coetigno, e un Beagiùs che l’anno precedente aveano i Mori venduto a Fruttuoso Gomez; a tale effetto liberati da’ lor padroni.

Giunse in quel porto a’ 30. con prospera navigazione, in tempo, che i Beagiùs stavano in guerra co’ Mori; accidente, che quantunque molto l’affliggesse, non perciò valse a farlo arrestar dall’impresa A’ 25. adunque di Febbrajo prese egli in affitto un Lentino (nave picciola, ma comoda) per dimorarvi, e potere poi più facilmente praticare co’ Beagiùs, per via del fiume, senza i disturbi del vascello, ed impedimenti de’ Mori della terra, come l’anno antecedente: e giovò tanto al suo proponimento, che subito cominciarono a concorrervi alcuni Beagiùs de’ Casali vicini, soggetti al Re Maomettano; quando non fusse stato per altro, almeno per vedere Lorenzo loro paesano. Ne vennero molti a’ 10. di Marzo, in tempo, ch’egli, nel medesimo lentino, avea principiata una [p. 330 modifica]Novena in onor di S. Giuseppe, con decente apparato di drappi, e di molti lumi.

Il giorno seguente venne un venerando vecchio, in compagnia della figlia, della nipote, e d’una matrona, per visitare il Religioso (che avea mutata la barca in una vistosa Cappella, e casa) il quale lo ricevette con grande amore, e significogli il fine, per lo quale era venuto la seconda volta in sì rimote, e strane parti: cioè, di mostrar loro il cammino della salvazione, addottrinandogli nella nostra Santa Fede. Piacque loro il parlar del Padre, ed assicuraronlo, che con estimazione saria ricevuto da tutti. D’allora in poi cominciarono a venire più Beagiùs al lentino, e a dar al buon Religioso nome di lor Tatum (cioè Avo) nome fra di loro di somma venerazione, e rispetto; trattando seco con molta familiarità, ed affetto, e portando le loro mogli, e figlie (benche fussero molto gelosi) acciò gli baciassero le mani, e l’abito, con ogni modestia, e civiltà. Accompagnavano queste visite con piccioli presenti di qualche pollo, di qualche paniere di riso, d’alcun pezzo di legno odorifero, o di qualche stuoja di quelle, che essi lavorano [p. 331 modifica]delicatissimamente; d’erbe, radici odorose, legna, ed altro: e ricusando egli ciò ricevere, lo lasciavano avanti la sua cameretta; sicchè poscia, per non dare loro dispiacere, l’accettava; purche non fusse oro, pietre preziose, o altra cosa di valore.

La Novena, cominciata con sì felici principj, finì con un giubilo, ed applauso universale, (e quel ch’è di maggior maraviglia) eziandio de’ Mori; imperocchè dal lentino, si pose innalberata entro un ballone una Croce, alta 20. palmi, che dopo esser gita per lo fiume, accompagnata da molti fuochi; fu salutata nel ritorno da tutta l’artiglieria de’ due vascelli di Macao. A questo concorso seguitò la visita dell’Anga (Capitano, o Governadore d’un Villaggio) con tutta la sua famiglia: ciò che fece con tanto rispetto, e decoro, che parve bene al Padre restituirgliela il dì seguente, accompagnato da 15. Portughesi del vascello. Lo ricevè con gran festa così il Governadore, come a tutto il Popolo, al suono di tamburi, e d’altri finimenti del paese; e ballando, come se venisse un loro Re. Prostrossi a terra il vecchio Anga, per baciargli l’abito, e col di lui esemplo tutti gli altri, vecchi, giovani, donne, grandi, e piccioli; [p. 332 modifica]e’l buon Religioso gli ricevette nelle braccia, per acquistare il loro affetto, ed agevolarsi la strada alla conversione, alla quale mostravano esser disposti. In fatti il Governadore dimandò allora istessa d’esser battezzato; protestandosi, che lo avrebbe seguitato vivo, e morto, per gl’impulsi della divina grazia, che sentiva il suo cuore. Aggiunse, che egli stimava, che tutti gli altri Beagiùs probabilmente avrebbono fatto il dovuto conto di lui; e che, per fargliene veder la pruova, volea andar di persona a farne consapevole il Tomangun, e Damon, Principi supremi nell’interiore di quell’Isola, uno de’ quali era suo genero. Si conchiuse perciò, ch’egli venisse il giorno seguente al lentino, per deliberarsi il tutto col parere del Capitan Manuel d’Araugio Graçes.

Straccò l’Anga per le feste, ed allegrezze, fatte dopo la ritirata del suo Tatum, non potè ademplire la sua promessa a’ 24.;però non mancò di venire a’ 25. col medesimo accompagnamento. Diegli il P. D. Antonio un buon desinare, ed alcune cosette di Cina; e in fine si conchiuse, ch’egli mandarebbe, per mezzo dell’Anga, alcuna cosa a’ Tomangun, [p. 333 modifica]e Damon: e come che quegli non potea fare il cammino senza licenza del Re Moro, di cui era soggetto; il suddetto Manuel, come tanto amico del Re, avrebbe proccurato d’ottenerla.

Dimorava il Re in un Villaggio ben distante, sul fiume; e furono tali le contingenze, che per molti giorni non potè il Capitano andarvi, per la licenza; onde impaziente il Governadore di tanta dilazione, mandò a dire al P. D. Antonio, che gli mandasse pure il presente per gli Principi, che egli vi sarebbe andato, senza la licenza del Re Moro: risoluzione, che obbligò il Padre, ad essere il dì seguente a visitarlo, e consegnargli il suo presente; che consisteva in bagattelle, come fiori, chichere, annelli, maniglie di vetro, e cose simili, poste in due cassette; alle quali aggiunse un’immagine ricamata della Madre Santissima, e un’altra di S. Gaetano; sperando ch’esse avessero a toccare i cuori di quegl’Idolatri, per ridurgli al vero sentiero della salute.

Giunto l’Anga a’ Principi, presentò i doni; e riferita la causa del suo andare, fu ricevuto con tal giubilo, che subito disposero cento Galee, e Paraos (ch’erano ne’ loro fiumi) e fra l’altre una di 14. [p. 334 modifica]braccia, molto bene apparata, per torre in essa il lor’amato Tatum. Venuta quella picciola Armata nella bocca del fiume, dove finiva la loro giurisdizione, si ristette per la guerra, che aveano i Beagiùs co’ Mori; e quindi fu spedito l’Ànga, coll’Ambasciador del Re Moro (che era andato da quei Principi a trattar la pace) per proccurare licenza, d’entrare nel fiume, nel quale stava il lentino. Mentre l’Anga era in ciò occupato, il Damon, cui parea ogni ora mille anni di portarsi il P. Antonio, mandò a visitarlo per un suo Cognato travestito, in un picciolo parao d’un remo; e di là a pochi giorni fece andarvi un suo fratello, accompagnato da 12. di sua guardia, a dirgli, che se fusse stato di suo gusto, sariano colà andati a dispetto del Moro, e lo avrebber menato nelle lor Terre; ciò che non parve convenevole al buon Padre.

Non tardò molto, dopo quest’ambasciata, l’Anga ad essere dal Ventimiglia col dono del Damon, consistente in due vaghi canestrini intessuti di canna d’India, e paglia; e pieni d’erbe, e radici odorose, pezzi d’Aquila, e di altri legni odoriferi, che per la stima, in cui stanno appresso que’ popoli, non si danno che a [p. 335 modifica]persone grandi. Gli narrò anche, corno i Principi stavano molto edificati del suo distacca mento dalle cose temporali, e del zelo, che avea mostrato, in venire ne’ loro paesi. Di più, che l’attribuivano a spezial provvidenza divina; giacché in venendo essi, colla picciola Armata, aveano veduto un globo di fuoco nel fiume, dal quale compreso aveano, ch’era stato mandato da Dio, per illuminargli nella Fede.

Stando le cose in questo stato, si sparse una voce fra’ Mori di Mangiar, essersi i Cristiani intrometti co’ Beagiùs, con doni d’oro, e d’argento, per occupare la loro Terra: ciò che recò non picciol disturbo all’affare dell’entrata; alla quale già condescendeva il Re Moro, per potere, col mezzo del Tatum, meglio condurre a fine il negozio della pace. Però la Divina Provvidenza volle, che la notte de’ 4. di Giugno venissero al lentino un figlio del Tomangun, e un’altro del Damon (accompagnati da’ loro Zij, per lo molto rischio, che correvano) i quali, mandato a chiamare il Capitan Manuel d’Araugio, gli fecero sapere; che benche fusse più d’un mese, che eglino, con incomodo di loro persone, [p. 336 modifica]aspettavano; avrebbon con tutto ciò attesa anche la partenza del suo vascello, acciò non rimanesse esposto all’insolenza de’ Mori, e poi s’avrebbono preso il loro Tatum nelle loro Galere: in che essendo amendue d’accordo, uno de’ Principi chiese, con grande istanza, un coltello, per confermare, col sangue del suo braccio, a una promessa; e poco dopo si partì, per temenza di non esser sorpreso da’ nemici.

Giunse anche in quei giorni, per suoi affari, un Cognato del Sindum (Principe il più poderoso, che fusse tra’ Beagiùs, abitante nelle parti più interiori dell’Isola) il quale avvegnache passato fusse per le Terre del Tomangun, e Damon, non sapeva però niente di quello, che si passava. Costui essendo informato del tutto, giunto nel distretto dell’Anga; senza torcer cammino, venne prima al vascello, e poi al lentino, per vedere anch’egli il Padre Ventimiglia. Lamentossi quivi de’ Principi, che non ne aveano dato parte al Sindum suo Cognato, in nome di cui, ignaro di tai cose, non era venuto con particolare ambasciata, e presente: ma che ciò non ostante, essendo il Sindum in pace col Re di Mangiar, s’arebbe tolto, senz’alcuno impedimento [p. 337 modifica]de’ Mori, il Tatum nel suo parao; o in qualunque, che gli fusse paruto comodo di quelli, ch’erano nel fiume, e portatoselo con lui: o pure nelle Terre de’ mentovati Principi, purche egli promettesse, dopo avervi fatta qualche dimora, andare dal Sindum; il quale senz’alcun dubbio, in avendone contezza, sarebbe venuto subito a visitarlo di persona: e in fine pregò il Padre, a non partirsi, senza la sua compagnia.

A’ 10. giunsero altri sei Beagiùs, i quali, per la fama divvulgatasi del Tatum, erano venuti ben 15. giornate lontano. Eglino altresì caldamente il pregarono, che li compiacesse di consolargli nelle loro Terre, dopo essere stato in quelle de’ Principi suddetti; e per quattro ore non si saziarono mai di baciargli le mani, ed accostarsele al volto. Il presente, ch’essi portarono, furono due cocchi, due sacchetti di riso, un poco d’olio, tre mazzetti d’erbe odorose; un grosso bambù, pieno d’un certo, come butiro, che si trae da un’albero, e un poco di cera: ciò che fu loro compensato con piccole cosette di Cina.

Ma come che il nemico dell’uman [p. 338 modifica]genere, sempre va cagionando disturbi a coloro, che s’adoperano in servigio di Dio, per la salute del prossimo; molto ebbe a soffrire il buon Religioso, prima d’aver l’entrata in quelle Terre: imperocchè tutti quelli di Macao, e particolarmente Manuel d’Araugio, si sforzavano dissuaderlo dall’impresa, dicendogli: che tutte quelle carezze, e spesse visite de’ Beagiùs, erano finte, per recarlo a mal fine; e che eglino non poteano lasciare in tal pericolo un soggetto, che poteva altrove acquistar anime al Cielo. Da queste parole, e da altri segni vedendo il servo di Dio, che essi aveano in pensiero disturbargli la sua entrata, come aveano fatto l’anno passato, parlò con qualche risentimento al Capitano; incaricando la di lui coscienza, della perdizione di quelle anime. Non fu gran fatto, ch’egli sentisse tanto le opposizioni del Portughese, giacche in una sua lettera trascorse in questi sentimenti; Che certo certo arebbe lasciata, per allora, la gloria del Paradiso, per attendere in quella vigna del Signore. sino alla fine del Mondo; senza altro premio, che di adempire la sua divina volontà. E perciò gli parea ogni picciolo accidente un grande imbarazzo alla sua entrata; [p. 339 modifica]tanto importante per l’aumento della Fede in quella vasta, ed inculra Terra; essendo egli risoluto di morir più tosto, che lasciar l’impresa.

A’ 25. di Giugno il vascello passò il Banco, e si pose in luogo atto, per far vela per Macao; onde celebrata da lui la santa Messa, con molte lagrime de’ circostanti, partì il Capitan Manuele Araugio, con cinque compagni Portughesi verso il vascello; e’l P. D.Antonio, presso da essi congedo, fece l’istesso per la sua Missione, con quattro servidori; cioè il Cinese, già schiavo di Luis Francesco, Lorenzo Beagiùs, un marinajo naturale di Bengala, e un’altro, che li offerse di accompagnarlo. Vi erano anche due Beagiùs parenti del Damon, e Tomangun, che essendo venuti co’ quattro, mandati da quei Principi al Capitano (acciò si trovasse presente a tal ricevimento, nel quale intendevano di rinovellare la pace, ed amicizia, già stabilità col loro sangue) si erano poi rimasi, per fargli compagnia.

Si rese più ragguardevole la partenza del Padre, portandosi seco una bella Croce di legno incorruttibile, in piedi della quale erano di mezzo rilievo [p. 340 modifica]scolpite l’armi della Corona di Portogallo, colle parole intorno: LUSITANORUM VIRTUS, ET GLORIA, significanti il zelo, e grandezza della nazione Portughese, per l’esaltazione della Santa Croce, e propagazione del sacro Vangelo; in adempimento del Divino oracolo, udito nel Campo d’Ouriche dal Re D. Alfonso Henriquez.

Finalmente, allontanatisi dal vascello, fecero il loro cammino, verso il fiume de’ Beagiùs; alla cui bocca giunti a’ 26. trovarono pronti 23. Paraos, con circa 800. uomini; fra’ quali era un di coloro, che si avea portato il cappello, ed era stato fra’ suoi una gran tromba della gentilezza Portughese. N’entrarono alcuni nella barchetta, per guidarla verso quella, ove stavano il Damon, e’l Tomangun; i quali poi passarono nella medesima, dov’era il P. D. Antonio, a buttarsegli a’ piedi. Segnalossi in questa azione il Tomangun; imperocchè, senza volersene staccare, esortava due suoi figli giovani, e tutti i suoi, che l’imitassero, perche ciò facevano al suo vero Signore. Sedutosi il Damon tra’l Servo di Dio, e’l Tomangun, gli fece questi intendere: esser venuto quell’Apostolico Religioso da [p. 341 modifica]rimote Terre, ad insegnar loro la vera, e santa legge, senza la quale non si potevano salvare; e ch’essendo il suo istituto lontano dall’amore delle cose temporali, altro non desiderava, che istradar le loro anime al Cielo. Rispose il Tomangun, e tutti ad una voce, piena di giubilo: che così così desideravano; e che si sarebbono obbligati di tenerlo, e di conservarlo con ogni stima, e decoro: e confermata avrebbono di già la promessa col sangue delle loro braccia, se dal Padre medesimo non fussero stati impediti. Allora consegnò loro la S. Croce (che tutti venerarono) per esser innalzata nella prima Chiesa, che essi promisero di fare subito nelle loro Terre; dichiarandosi di volere per l’avvenire stare sotto la protezione della Corona di Portogallo. Passato qualche tempo in questi, e somiglianti discorsi, entrarono tutti nel Parao del Damon, riponendo il Padre sopra un luogo più rilevato; al che egli condescese, per meglio acquistare i cuori, e l’anime al Cielo.

Questi furono i primi principi della nuova Missione di Borneo; allo stabilimento della quale, con tanto fervore, applicossi il P. D. Antonio, che in sei mesi [p. 342 modifica]battezzò 1800. Beagiùs: e narrava Luis Francesco Coetigno (che trattenutosi 40. giorni nel loro fiume, penetrò l’interiore dell’Isola) ch’egli trovò i figliuoli de’ medesimi Beagiùs sì bene istrutti, ed addottrinati nella Religione Cattolica, come se fussero nati in Cristianità.

Or per quello che appartiene all’Isola di Borneo (distante da Malaca 240. m.) ella è tagliata dalla linea Equinoziale; ed ha di circonferenza 1650. m. Italiane. Nell’esteriore è occupata da’ Mori, detti. Malay, che, col dominio di tanti anni, vi si sono stabiliti, co’ proprj Re; ma nelle parti interiori prevale il Gentilesimo, detto de’ Beagius; a’quali da 200. e più anni, che l’India è scoperta, non era ancor pervenuta la predicazione Evangelica, essendo da tutti riputati barbari, indomiti, ed incapaci di commercio.

I Mori sono governati da vari Re; i principali de’ quali sono il Re di Mangiar, o Mangiar-Massen, di Succadan (in un fiume del quale si truovano ottimi diamanti) di Bornei, ed altri. I Beagiùs però non hanno Re, ma Principi, ed altri Capi. Coloro, che sono sudditi del Re di Mangiar, o confinano, gli pagano tributo. [p. 343 modifica]

Sono varj porti nell’Isola; però il più frequentato è quello di Mangiar-Massen, per lo negozio delle droghe, particolarmente da’ Cittadini di Macao. Vien formato da un gran fiume d’acqua dolce, largo tre miglia, che nella bocca ha 14. braccia di profondità. Innoltrandosi nel medesimo, per quattro giornate di cammino, si truovano tre Isolette: la più grande è lunga due miglia, e i Portughesi pensano di fabbricarvi una Fortezza, per stabilirvi la Fattoria; l’altre due sono più picciole, e vicine a terra, e per conseguente mal sicure a tal disegno.

Tutto il paese è molto fertile, ed abbondante, particolarmente in riso, ch’è migliore di qualunque altro d’Asia: e le frutta, oltre la gran copia, sono di colore, sapore, e grandezza differenti dallo nostre d’Europa.

Vi è anche gran copia di cassia, cera, canfora (la più fina, e preziosa d’ogni altra) pepe nero, e bianco (detto Vatian) che serve per medicina, Lacra, che chiamano di formica, e di molte buone tinte. Produce anche diverse erbe odorifere, radici di legno nero, e un’altra spezie, che ha l’odore simile a quello dell’Aquila, e Calumbuch. Sonovi per [p. 344 modifica]fabbricar vascelli selve immense, dove si raccoglie altresì molta brea, o pece, ed altre ragie, per diversi usi.

I metalli, non sapendosi fondere, si lasciano in abbandono; si raccoglie però molto oro in polvere, fra l’arene di molti fiumi dell’Isola. V’ha gran copia anche di nido di passero (ben conosciuto da chi ha letto) tanto da’ Cinesi, ed altri stimato, che lo pagano a trecento pezze d’otto il picco; persuasi, che contribuisca molto alla virtù generativa, e ad accedere il naturale appetito, per essere di sua natura caldo. Ciò non è altro, che nidi fabbricati dalle Rondini (che in Asia sono cenerognole) sulle balze di precipitose rocche; dalle quali poi, con lunghi legni, si fa cadere da persone, che vanno in barca. Essendo simile a una pasta finissima, alcuni stimano sia fatto dalla bava; altri credono, che sia loto: io ne tengo quanto basta, per fare esercitare a’ studiosi il lor talento. Per lo stesso fine i sensuali Cinesi comprano a 40. pezze il picco le ali de’ pesci Tuberoni, che si truovano intorno a’ Mari della medesima Isola: e di qui nasce, che i Mandarini, ne’ loro lauti banchetti, tranguggiano in pochi bocconi molto oro; perocchè non [p. 345 modifica]ne mangiano che i nervicciuoli, conme fanno anche de’ Cervi.

Per le molte differenti specie di vaghissimi uccelli, supera ogn’altro paese; e quanto a’ quatrupedi, ve ne nascono stravagantissimi, di cui in Europa non se n’ha alcuna contezza. Fra tutti ve n’ha uno così singolare, che non dee passarsi in silenzio. Egli è detto Beagiùs, o uomo silvestre; assomigliandosi molto all’uomo nel piangere, e in altri atti esteriori, dinotanti qualche passione. Quello, che vidi, era alto quanto un bertuccio, e per la gran pancia non reggendosi in su le gambe, camminava trascinando le natiche. Mutando luogo, egli si porta seco la sua stuoja, per posarvi sopra, come potrebbe fare un’uomo.

Le Scimie di questa Isola sono di più colori: altre rosse, altre nere, ed altre bianche, dette Onca; però queste sono le più stimate. Hanno una lista nera, che cominciando dalla sommità del capo, scende vagamente sotto il mento, e forma un vistoso cerchio. Mi disse il P. D. Salvator Galli, che ne avea mandata una in presente al G. Duca di Toscana, che l’aspettava con gran desiderio; ma che se n’era morta per lo cammino. Vi è [p. 346 modifica]un’altro animale nell’Isola, con manto molto simile a quello del Castor.

Dalle Scimie suddette traggono i Beagiùs le più preziose pietre Bezoar, che stano al Mondo. Le feriscono eglino leggiermente, colle zampitte, in parte, che non muoiano subito; quindi per la ferita divenute insermiccie, si vanno generando loro nelle viscere tali pietre; dove poi uccidendole si truovano.

I costumi, e la Religione de’ Beagiùs sono ugualmente superstiziosi; prestando eglino molta credenza a gli augurj. Non adorano Idoli, ma i loro sacrificj di legna odorifere, e profumi sono indirizzati a un solo Dio, che credono darà gloria a’ buoni, e supplicio nell’Inferno a’ scellerati. Prendono in vita una sola moglie: e si stima così grave fallo l’offendersi dall’una, o l’altra parte sul punto d’onore; che o da se stesso, o per mezzo de’ suoi parenti, proccura ciascheduno la morte dell’offensore; e quindi è, chel a modestia, e ritiratezza delle donne è molto grande; maggiormente delle vergini, che non si lasciano vedere dallo sposo sino al dì delle loro nozze, che si celebrano, ricevendo esse la dote.

Sono i Beagiùs nemici del furto, e del [p. 347 modifica]falso, e grati a’ beneficj. Vivono fra di loro con molta carità, e unione; onde fatta la raccolta di quello, che ciascheduno ha seminato per suo uso, il di più ne’ monti, e valli è comune, senza distinzione di dominio particolare. Sono anche generosi, in cose di lor gusto, amici di acquistar gloria nella caccia; nella quale si procacciano alcune corna agute, che pulite portano poi, per bizzarria, alla cintola. Quella cintola altro non è, che una lunga lista di tela, che passa sotto a coprire le parti vergognose; e delle due estremità una ne cade avanti, e l’altra dietro. I villani fanno alcune tele di scorze d’alberi, che lavate poscia, e battute, rendono morbide, come se fussero di bambagia: e come che tali alberi sono in poter de’ Mori Malay, s’espongono, a cagion delle corteccie, alle tirannie, ed insolenze de’ medesimi.

Alcuni ne vanno nudi; ed altri portano un picciolo giubbone, fatto delle stesse scorze; alle quali si dà quel colore, che si vuole. Sulla testa, per ripararsi dal Sole, o dalla pioggia, portano un cappello di foglie di palme, fatto a modo di pan di zucchero, ben lungo, con falde, che pendono all’in giù. L’ar[p. 348 modifica]

L’arme, ch’essi adoprano, sono coltelli, fatti come i Cangiar de’ Mori; e Zampitte, o Zarabattane. Queste zarabattane, altro non sono, che un bastone lungo sei palmi, di giusta grossezza, e vuoto in modo, che vi possa passare quanto un cece. Or dentro di esse pongono una picciola freccia di legno, armata di ferro da una parte, e dall’altra, di un cartoccio; nel quale poi soffiando, la mandano, con gran violenza, dove vogliono; che talora, avendo avvelenata la punta, con erbe pestifere, rende la ferita mortale. Si servono anche di picciole palle di creta, per uccidere gli uccelli, colla medesima.

Quanto al corpo, sono i Beagiùs di color fosco, di buon sembiante, e robusti. I Mori Malay, che abitano (com’è detto) nelle parti esteriori dell’Isola, e tengono oppressa parte di quella povera gente, sono senza fede, incostanti, ambizioni, traditori, e gran ladroni. Oltre l’armi bianche, tengono poche armi da fuoco, per servirsene sul Mare. Vanno anche eglino nudi; se non che certi si cuoprono con una tela, avvolta all’intorno, dalla cintura in giù, che viene a formare come una mezza gonna. Il capo lo portano avvolto in un moccichino di [p. 349 modifica]tela piegato; però quando piove, vi aggiungono il cappello di foglie di palme. Le loro case sono in barche, dette Parao (come anche fanno i Beagiùs) sopra il fiume suddetto di Mangiar-massen; o poste sopra cinque legni, alla riva del medesimo, per potervi abitare, quando viene la piena dell’acque. Il Re però di Mangiar abita molte giornate dentro terra; dove vive miserabilmente, perche il suo Regno si è andato dividendo tra’ rami della famiglia Reale, per dar loro il convenevole sostentamento.

La Fattoria, della quale si è parlato sul principio, ebbe funesto fine; perche stabilitavi da’ Portughesi, colla condizione apposta da’ Mori, che dovesse la Città di Macao tenervi sempre 40. mila pezze da otto di fondo (a solo fine di rubarle) dopo due anni, trovandosi quattro vascelli nel porto; si risolverono i Mori di prendergli, e rubare la Fattoria. Unitosi adunque gran numero di essi, finsero, altri per negozio, altri per visita, dovere andare ne’ vascelli. Quivi entrati amichevolmente, e conoscendo il tempo a proposito, per giugnere a capo di loro intenzione; tirarono tutti fuora il crisi, o coltello avvelenato; e proccurò [p. 350 modifica]ogniuno di far morire quel marinajo, col quale stava ingannevolmente parlando; a segno tale, che in tre vascelli uccisero quali tutti, come anche 2. Capitani, 2. Piloti, e Contramestre. Però il quarto, ch’era, di Capitan Manuel Araugio de Graçes, (sopra il quale era un Principe, e fratello del Re) avvedutosi della stragge de’ compagni, prevenne i Mori; ed uccisi quelli, che vi erano di sopra, obbligò gli altri, col cannone, a lasciare i tre vascelli, che aveano di già presi. Salvaronsi a nuoto i Mori, che restarono in vita; poiche molti di loro perirono, essendosi d’ambe le parti attaccata una sanguinosa zuffa. I tre vascelli suddetti restarono inabili a far viaggio, per mancanza di marinaj; però il Capitan Manuel vi divise i suoi, rimediando al meglio, che potè l’accidente, per ritornare in Macao.

Furono quindi i Mori a predar la Fattoria (ch’era stato lo scopo della loro malvagia azione) donde fuggendo il Fattore infermo, si cagionò anch’egli la morte. D’allora in poi non vollero i Cittadini di Macao praticare più in Mangiar; vedendo, che in quei Mori non alberga nè legge, nè fede. Non ebbero miglior trattamento gli [p. 351 modifica]Olandesi nella Fattoria, che vi stabilirono, anch’essi 35. anni sono; temendo, che comprando altri il pepe di quell’Isola, non potessero poi vendere eglino quello della Compagnia, a quel prezzo, che desideravano. Uccisero a bello studio i Mori il Soprantendente, con un colpo di zampitta avvelenata; e volendone indi a pochi giorni soddisfazione colui, che comandava in luogo del morto; risposero essi, che l’uccisore s’era ritirato in una Casa di campagna vicina, con molti suoi parenti: e che eglino non aveano forze bastevoli, per darglielo nelle mani; onde stimavano bene, che vi si andasse unitamente ad attaccarlo. Lasciatisi prendere nella trappola, vi andarono gli Olandesi co’ Mori, e vi rimasero tutti trucidati; alla qual funesta novella, fuggirono ben di fretta due vascelli di loro nazione, che stavano nel porto.

Dimandava il P. D. Antonio Ventimiglia, nelle sue lettere, compagni, per coltivare sì varia vigna del Signore; e che parimente il Serenissimo Re di Portogallo gli concedette facoltà, di poterò onorare alcuni Principi, e Grandi de’ Beagiùs, con titolo di Don, per stimolargli, ed obbligargli maggiormente; [p. 352 modifica]poiche s’eran fatti conoscere amici di gloria: però nel fervore del suo zelo, parve a Nostro Signore premiare le onorate sue fatighe, colla Gloria del Cielo essendosi avuta notiziari esser egli morto nel 1691. Ciò che si è andato confermando dall’essersi veduta parte degli ornamenti della Chiesa in Mangiar, con alcuni libri di sì buon Religioso. Mi riferì anche ii P. D.Gregorio Rauco (Religioso Teatino, che io trovai nel mio arrivo in Macao) che dopo morte, avesse il suo corpo operato prodigi; e che perciò i Beagiùs lo conservano onorevolmente, e con molta riverenza, sotto una capanna; dove avvicinatoci una volta un leproso, ad esemplo degli altri, lo fecero morire.