Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. III/Libro III/V

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Cap. V

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CAPITOLO QUINTO.

Ritorno in Goa per la stessa strada.


E
Ra già così avanzata la stagione, che l’indugiare più lungo tempo a Galgalà, m’arebbe tolto il poter passare alla Cina; onde soffrendo pazientemente la fuga del Begarino, m’accomodai col tempo, e deliberai di pormi, così solo, in [p. 275 modifica]un cammino infestato da’ ladri, e da’ nemici del nome Cristiano. Udita adunque Messa la Domenica 27. mi posi a cavallo, non senza grave, e profonda malinconia: e credendo, giunto la sera in Edoar, trovare la Bojata di Bardes, o alcun Cristiano di Goa, rimaisi deluso. Quindi partitomi il Lunedì 28. venni prima di mezzo dì nel Casale di Rodelki; dove con segni, fatto intendere a un» Gentile, che mi facesse qualche focaccia; il furbo, in vece di farina di grano, servissi di Nacini, ch’è un seme nero, che fa vacillar la testa, e di sì mal sapore, che non lo tranguggerebbe un cane. Mentre fu caldo (accomodandomi alla dura legge di necessità) mangiai quel pane, veramente di dolore; ma freddo non lo potei, con tutto che per tre giorni mi mancasse. La sera pernottai vicino una Pagode di Mandapur.

Il Martedì 29. trovata la Bojata passato Onor, continuai a camminare in compagnia di essa, sino al cader del Sole; ma avendomi bisognato por piede a terra, e passando avanti la Caravana, la perdei di veduta, per la sopraggiunta oscurità della notte. Allora vedendomi rimaso solo in campagna, senz’aver di che [p. 276 modifica]cibarmi, o dove stare al coperto; e dubbiando di ladri, mi appiattai, con grandidimo timore, dentro alcuni cespugli.

Al comparir del nuovo giorno, il Mercordì 30. m’incamminai solo, senza aver altra contezza della strada, che l’orme della Bojata; e giunsi di buon’ora in Beligon. Questa Città, quantunque composta di case di terra, e paglia, è nondimeno molto popolata, a cagion del traffico. Vi si vede perciò un ben grande Bazar, ed una buona Fortezza (per essere di Mori) fabbricata di pietra viva, e circondata da profondo fosso, pieno d’acqua; però con poca artiglieria, a riguardo della sua grandezza, e del presidio.

Quivi credeva io di trovar la Bojata di S. Stefano, o almeno averne novella; ma il non saper farmi intendere, non fece venirmene a capo. Il Giovedì ultimo bensì comprendendo un Moro ciò, che io non poteva esplicar colla lingua, mi condusse a Sciapur (un miglio quindi discosto) dove trovai la Bojata, che stava di partenza per Bardes. I Canarini di essa, sudditi di Portogallo, mi fecero molte carezze; e vedendomi indebolito dall’inedia di tre giorni, mi provvidero [p. 277 modifica]all’infretta di galline, e riso; ma pane non ne trovarono, perche i naturali non ne mangiano. Il peggio fu, che bisognò partirmi all’ora medesima, in loro compagnia: e benche, per la debolezza, mi ajutasse a sostenere a cavallo un Canarino; non per tanto, me ne sentii molto male. La sera venimmo a pernottare in un bosco, vicino al Casale di Giambot, appartenente a un Say, o Principe dell’istesso nome: lasciando il Mogol godere di questi Paesi sterili a’ Signori, con annuale Tributo.

Passammo il Venerdì primo di Aprile, dopo poche ore di strada, per alcune capanne, dove erano le guardie della Dogana, e’ Custodi di cammino, che sono peggio che ladri. La sera alloggiammo nella montagna, presso alcune capannuccie di Contadini; da’ quali non trovai a comprare un pollo, nè alcuna altra cosa, per rinfrescarmi.

Il Sabato 2. scendemmo la precipitosa, e lunga montagna di Balagati, e camminammo tutto il giorno per lo paese del Savagì. Le Guardie, che a modo di Banditi, stavano appiattate per que’ boschi, mi arrestarono; e per segni presero ad interrogarmi, se sapeva tirar [p. 278 modifica]d’archibuso, o d’artiglieria: e risposto anche per segni, che nò; alla fine, temendo che i Portughesi non facessero altrettanto in Goa a’ loro (poiche io passava per Portughese) mi liberarono. Quindi fatte poche miglia, restammo in campagna, e pasammo malamente la notte, presso uno stagno.

La Domenica 3. Pasqua di Resurrezione, dopo molte ore di viaggio, passammo per le Guardie, e Dogana del Mogol. Ivi di bel nuovo fui ritenuto prigione, non perche avessero bisogno d’Artiglieri, o Soldati, ma acciò pagassi il giuncone, o passo, a guisa di bestia: alla fine avvertiti da alcuni Idolatri, che i Portughesi (indi lontani un tiro d’archibuso) avrebbono fatto loro l’istesso, mi lasciarono andar via.

Passai subito in Tivi, e poi nel Forte di S. Michele; dove il Castellano, e sua moglie, vedendomi infermo, non permisero, che passassi oltre; ma in ogni modo vollero, che fussi loro ospite: mandando subito in Pumburpà (palmar o masseria de PP. Teatini) per far venire un Ballone, o Andora, per tragettarmi in Goa.

Mentre veniva il Ballone da [p. 279 modifica]Pumburpà, per forza se lo prese un’indisereto Soldato Portughese; nè trovandosi Andore, ringraziato il Capitano del Forte, e sua moglie, delle cortesie meco usate; gli pregai a darmi un soldato, che m’accompagnasse nel Palmar suddetto. Spiacque loro molto l’impertinenza del Portughese (di che lo fecero gastigare dal suo Capitano) e vedendo, che io non voleva più restarmi con esso loro, mi diedero, per iscorta, un soldato del Castello; col quale giunsi in Pumburpà il Lunedì 4. al cader del Sole. Quivi fui ricevuto, con molto affetto, dal Fattore; che mi diede una buona cena, e poscia un’agiato letto, per riposarmi.

Il Martedì 5. postomi in Ballone, o Gondola, passai il Canale; e ritornai in Goa, nel Convento de’ Padri suddetti, in malissimo stato. Vedendomi così infermo il Padre Prefetto, mi disse, che ciò m’era accaduto, per non aver voluto sentire i suoi consigli: gli risposi: Heu patior telis vulnera facta meis. Proccurò intanto così egli, come il P. Ippolito, farmi ristorare con buone galline, di cui il miglior condimento fu la lor cortesia: e così ritenni lo spirito, che già stava per rendere. La medesima debolezza obbligommi il [p. 280 modifica]Mercordì 6. a prender quattro Boes, o facchini, per farmi portare in Andora, a vedere ciò, che restava di più bello da notarsi in Goa. Si contentarono tutti, e quattro per quindici Pardaos al mese, che sono sei scudi Napoletani.

Il Giovedì 7. andai a visitare il corpo di San Francesco Saverio, nel Buon Giesù, o Casa Professa de’ Padri della Compagnia. La Chiesa è a volta, bastantemente grande; però di niuna bellezza d’architettura, essendo simile più tosto a una sala, che a Chiesa. Tiene un’Altar maggiore, con due altri allato, ben dorati; e a sinistra una Cappella, dove riposa il preziosissimo corpo di San Francesco. Egli era posto in una cassa di cristallo, dentro un’altra d’argento, posta sopra una base di pietra; s’aspettava però da Firenze una famosa tomba di porfido, che facea fare il Gran Duca.

Da che, con licenza del Sommo Pontefice, tagliossi il braccio del Santo (quasi egli l’avesse a male) si è andato alquanto corrompendo il rimanente del corpo; onde i Padri Gesuiti, sono già presso a nove anni, che non fanno vederlo, che al Vicerè, e qualche altra persona di qualità. Ciò sapendo io, sin dal mio arrivo [p. 281 modifica]in Goa, tanto feci, che interposi l’autorità del Vicerè, col Padre Provinciale; e quelli, non potendo negarglielo, volle almeno differire il favore fino a quella mattina; facendomi, a porte serrate, vedere il Santo Corpo, vestito del suo abito, che ogni anno si muta.

Il Venerdì 8. andai a vedere la Chiesa de’ Padri Carmelitani Italiani, sopra una vistosa collina. Ella sebbene picciola, è molto bella, ed a volta (come tutte le Chiese d’India) con sei Cappelle, ed uno Altar maggiore, assai ben dorate. Il Convento è molto vago, e ben disegnato, con ottimi chiostri, e celle; e con un delizioso giardino, nel quale sono palme della Cina, che fanno gratissima ombra, colle loro basse, e spesse frondi. Vi sono anche due alberi di cannella, come quella di Seilan. Oggidì non si vede in questo stato, ch’era, prima che fussero, per ordine Regio, confinati i Padri Italiani; perche non puote un solo Padre Portoghese tanto adoperarvisi. Erano stati i primi ricevuti di nuovo in grazia, però ne morirono quattro per Mare, in venendo da Portogallo.

Il Sabato 9. temendosi de’ vascelli Arabi, scesero, per ordine di Monsignor [p. 282 modifica]Arcivescovo, tutti i Religiosi, e Sacerdoti armati alla Fortezza dell’Aguada, per difendere, con gli altri Soldati, il passo.

Andai la Domenica 10. a riverire il Signor Vicerè, che mi ricevè con molta cortesia; e volle trattenersi a discorrer meco, circa due ore in lingua Francese, intorno a varie novelle di Europa, e di Asia; e nel licentiarmi poi, fecemi gentilissime offerte.

Il Lunedì 11. sciolsero dal porto la Capitana, un vascello picciolo, e un brulotto da fuoco, per andare nel seno Persiano, in ajuto del Re di Persia, contro l’Imam di Mascati; il quale, con cinque suoi vascelli, avea bruciata nel Congo la Fattoria de’ Portughesi, e più case: rubata la Dogana, e portatisi via quattro cannoni, ch’erano nel Forte, coll’arme di Spagna, trasportativi dal Castello d’Ormus. Teneva allora il Re di Persia pronti 90. mila Soldati, per mandargli nell’Arabia felice, contro l’Imam.

Sono tre Palagi in Goa, per servigio de’ Vicerè. Il principale, detto la Fortezza, presso la Chiesa de’ Padri Teatini, e la porta di Vasco Gama, ha la veduta del Canale; ed è composto d’ottimi appartamenti, con Cappella Reale. Nella [p. 283 modifica]sala sono i ritratti di tutti i Vicerè, e Governadori d’India; e in un’altra stanza dipinti tutti i vascelli, ed Armate, che sono venute da Portogallo dopo lo scoprimento di quei paesi. Nel medesimo si tengono i Tribunali di Giustizia, dell’Azienda Reale, de’ conti, ed altri: e vi si coniano monete, come Pardaos d’argento; e San Tomè, e Pardaos d’oro. La moneta bassa è d’un certo metallo, che viene dalla Cina, il quale non è nè rame, nè ottone, nè piombo, nè stagno; ma una materia differente, non conosciuta in Europa, detta Tutunaga, che dicono contenere qualche porzione d’argento. Si servono della medesima i Cinesi, per far cannoni, mescolandola col bronzo. Or di questa, come dissi, si fanno in Goa monete bassissime, dette Bazaruchi, 375. de’ quali fanno un Pardaos, che vale quattro carlini di Napoli; e pure con uno di essi, si truova a comprare qualche picciola cosa, o frutto.

Per la cattiva aria, i Vicerè non abitano nel suddetto palagio, ma nell’altro, detto della Polveriera, due miglia indi discosto, situato nell’entrata della Città, come altrove è detto. Essendo l’edificio fatto, per fabbricarvi la polvere, non era, [p. 284 modifica]sul principio, capace per un Vicerè; però a poco a poco si è andato andato ampliando. Il terzo è la Fortezza di Pangì, vicino al Forte di Gaspar Diez. Sono molti anni, che non vi abitano i V. Rè; e serve di presente per abitazione de’ Soldati del presidio.

Il Martedì 12. si seppe la perdita d’un vascello dell’Armata Portughese, detto la Fiscala; che dentro il porto di Varsava, avea urtato in alcuni scogli. Stando alquanto male il mio servidore Armeno, lo feci purgare coll’ottimo Rabarbaro, che avea comprato in Persia (dove si truova il migliore del Mondo) ed in brieve si guarì.

Mercordì 13. fummo, col P. Prefetto, e’l P. D. Ippolito Visconti, a diporto nella Villa, e Palmar di Pumburpà; e’l Giovedì 14. essedo venuti quivi alcuni amici da Goa a farci compagnia, godemmo d’un’ottima conversazione. Parimente il Venerdì 15. andammo a spasso nel Noviziato de’ Padri della Compagnia, dirimpetto la stessa Villa. Passeggiando il Sabato 16. per lo medesimo Palmar, mi venne compassione di tanti poveri Cristiani, ed Idolatri, che, in miserabili casette, abitavano sotto le palme, per renderle fruttifere (rendendosi cotal pianta [p. 285 modifica]feconda dall’alito umano); senza speranza di poter giammai dipartirsi, colla loro famiglia, da quel Palmar, nel quale sono nati; poiche andando altrove, i padroni gli ripigliano, col braccio della Giustizia, peggio che se fussero schiavi.

La Domenica 17. dopo desinare, fummo a vedere il vicino Palmar degli Agostiniani; dove un Padre di buon gusto avea fatta una bella casa, ed ornatala di buoni mobili.

Il Lunedì 18. godemmo della pescagione, che facemmo fare nel Canale. Esso non solo abbonda di buoni pesci, ma di più sorti di frutta; particolarmente d’ostriche, così grandi, che ve ne ha taluna con mezza libbra di polpa; però non così saporose, come le nostre. Delle scorze si servono i Portughesi, a far come invetriate nelle finestre, rendendole sottili, e trasparenti. Il Martedì 19. dopo avere allegramente desinato, ritornammo in Goa.

Il Mercordì 20. giunsero due vascelli da Macao, carichi di mercanzie della Cina; onde il Giovedì 21. montai sopra uno di essi, detto Pumburpà, per vedere molte bellissime rarità, che portava. Postomi poi in Andora il Venerdì 22. [p. 286 modifica]andai a visitare la Madonna SS.ma del Capo, posta nella punta dell’Isola di Goa, dove i Padri Francescani tengono una buona Chiesa, e Convento. Quivi sopraggiunto dalla notte, bisognò dormire in Convento; e’l Sabato 23. poi feci ritorno in Goa.

La Domenica 24. andai a sentire Messa in S. Agostino, per vedere il Pad. Francesco di S.Giuseppe, mio caro amico, e compagno in più mesi di viaggio. Il Lunedì 25. passai a diporto in una casetta di campagna, posta nell’Isola di Bardes; donde vidi il Martedì 26. entrar la Cafila (sono molte barche, che vanno di conserva) che facea ritorno dal Canarà, con buona provvigione di riso; perocchè l’Isole di Goa non ne danno bastante. Il Mercordì 27. andai parimente prendendo piacere in Ballone, per varie parti del Canale. Il Giovedì 28. si fece la processione del Corpus Domini, con molta solennità. Si fa quivi nel mese d’Aprile, a cagion delle tempeste, e pioggie grandissime, che sono nel mese di Giugno. Precedeva un Soldato, vestito d’arme bianche, a cavallo. Seguitava una statua di legno di S. Giorgio, intorno alla quale ballavano alcuni mascherati; e poi sei canonici [p. 287 modifica]con sei mazze d’argento. In fine sei altri Nobili portavano il baldacchino.

Andai il Venerdì 29. a vedere un Lione, ch’era venuto da Mozambiche al Vicerè, il quale dovea mandarlo in presente all’Imperador della Cina. E seguitando tuttavia a darmi buon tempo, per ristorarmi de’ passati disagi; vidi il Sabato ultimo la Polveriera, dove attualmente si facea molta polvere. La Domenica primo di Maggio fui nella Chiesa Arcivescovale a sentir una mezzana musica, per la festività de’ SS. Filippo, e Giacomo; e’l Lunedì 2. convitato dal Padre Francesco di San Giuseppe (a causa dell’imminente mia partenza) andai a desinar seco. Si prese la cura il padre D. Ippolito Visconte il Martedì 3. di far cambiare in pezze da otto le monete, che io teneva; perche nella Cina si perde molto, portando oro: e un mercante Portughese, pratico nel negozio di diamanti, me ne fece una picciola compra, per mio uso; avendosi a buon prezzo in Goa.

Il Mercordì 4. poi andai, col Padre D. Salvadore Galli, col P. Visconti, e col Generale di Salzette, a parlare a Girolamo Vasconcello, Capitano del vascello [p. 288 modifica]del Santissimo Rosario, che dovea passar nella Cina. A riguardo de’ medesimi, promise di portarmi; però non volendosi obbligare (col mio danajo) a darmi il vitto; mi fu d’uopo, coll’opra del P. Visconti, farmi il Giovedì 5. la provvisione necessaria per sì lunga navigazione. Il Venerdì 6. andai nella Chiesa de la Crux de Milagre, ed ivi umilmente pregai il Signore, acciò, coll’ajuto della sua Divina grazia, facesse farmi buon viaggio; e’l Sabato 7. fui a diporto per lo Canale.

La Domenica 8. essendo venuti alcuni amici a vedermi, si restarono anche a desinar meco: siccome feci io il Lunedì 9. col P. Francesco di S. Giuseppe, il quale in ogni conto volle, che di nuovo bevessimo al mio buon viaggio; ed in fine, con sentimenti di cordiale affetto, ci licenziammo.

Fui il Martedì 10. nella Casa della Polveriera, a riverire il Signor V. Re, e a pregarlo di una lettera di raccomandazione al Generale della Cina. Con molta cortesia egli me la fece, offerendosi di più ad ogni altra cosa, che mi occorresse.

Non volendo il servidore Armeno passare in Cina, comprai il Mercordì 11. uno schiavo, o Cafro, per 18. pezze da [p. 289 modifica]otto: e perche vi bisognava la licenza, per imbarcarlo, a causa che dovea passarsi per Malaca, dove comandano gli Olandesi Eretici; andai il Giovedì 12. dagli Inquisitori, per farla spedire. Fecero eglino molta difficultà a concederla, e rompere il divieto, da essi medesimi fatto: dicendo, che alcuni Cafri imbarcati altre volte, essendo stati presi, s’erano fatti Maomettani. Attesi a licenziarmi poscia dagli Amici tutto il Venerdì 13. essendo il vascello di già sceso nel Pozzo, vicino la bocca del Canale, per far vela ben presto; e’l Sabato 14. dopo desinare, riposta la mia roba nel Ballone de’ PP. Teatini, ed accommiatatomi dal Padre Prefetto, e dal Padre Visconti, co’ dovuti ringraziamenti, andai al Vascello. Quivi parlato col Capitano, per far ricevere la mia roba, e provvisione da bocca; ordinò, che si consegnasse al Contramestre, acciò la tenesse a disposizione del Piloto; il quale s’era compromesso di darmi a mangiare per lo cammino, unendo la mia provvisione colla sua. Ciò fatto ritornai nel Palmar di Pumburpà, per godere un’altro giorno degli agi della terra.

La Domenica 15. passai nell’Isola di [p. 290 modifica]Ciaron, dov’è il Noviziato de’ PP. della Compagnia, a sentir Messa. Avendovi trovati alcuni Padri Italiani, che doveano passare in Cina, sul medesimo vascello; mi fecero cortesemente vedere tutta la Casa. La Chiesa è picciola, con tre altari ben dorati; però la Sagrestia è circondata di casse, molto ben lavorate, di legno Indiano venato, e co’ Santi Apostoli dipinti sopra. La Casa è picciola, e le celle, per 30. Novizj, strette.

Nel ritorno, essendo a licenziarmi dal P. Costantino dello Spirito Santo (che slava nel Palmar de’ PP. Agostiniani) mi ritenne a desinare, e merendare seco. La sera poi me ne andai nel Palmar de’ PP. Teatini.