Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro II/IV

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Libro II - Cap. IV

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CAPITOLO QUARTO.

Religioni dell’Impero della Cina.


N
Ell’Impero della Cina si professano più Religioni, secondo la diversità de’ popoli, che in quella sono. Cominciando dunque dall’Imperadore, colui per esser Tartaro segue l’Idolatria della sua nazione: la qual come che nel più sia uniforme alla Religion de’ Cinesi, e de’ Giapponesi, non però dimeno discrepano nelle sette, nelle quali nè anche fra se i medesimi Tartari convengono, non che accordar si possano co’ Giapponesi, e Cocincinesi: siccome nè men coloro fra se s’accordano. Nasce questa varietà da’ differenti Idoli, i quali ciascun si costituisce per suo Dio tutelare. Adorano i Tartari della gran Tartaria un Nume, che appellano Natagai, il qual tengono per Dio della Terra, e l’hanno in si gran venerazione, che non vi è niuno, che non ne tenga in casa l’imagine; e perciocchè si persuadono, che Natagai avesse avuto moglie, gli costituiscono quella a sinistra con piccioli Idoletti avanti, come fosser loro figli. [p. 153 modifica]

Fanno loro grand’adorazioni, e riverenze, spezialmente quando vanno a desinare, o a cena, ungendone le bocche dell’imagini del grasso della carne cotta: e parte del pranzo, o cena in onore ancor loro pongono alla porta, credendo che coloro se ne cibino.

Molto più empia, e da ridere è l’adorazione Mallet. descript. dell’Univers. to. 2 pag. 20., che i medesimi Tartari fanno ad un’Uom vivente, che chiamano Lama, cioè Gran Sacerdote, o Sacerdote de’ Sacerdoti; per cagion che da lui, siccome da fonte, venga loro tutta la ragion della Religione, e dell’Idolatria: chiamandolo perciò Padre eterno. Questo è adorato come Nume P. Kircher China illustrata cap. 4. pag. 72., non solo dagli abitanti del luogo, ma da tutti i Re della Tartaria, i quali si riconoscono a lui soggetti per la Religione; perloche non solo eglino, ma i lor popoli ancora vengono in pellegrinaggio con quantità di doni per adorarlo, qual Dio vero, e vivo. Ed egli a gran grazia in un luogo oscuro del suo palagio si lascia vedere, ornato di oro, e d’argento, ed Illuminato di più lampane appese; sedendo in un’origliere di drappo d’oro, sopra una predella ben elevata dal suolo, e coperta di finissimi tappeti. Così tutti gli si prostano avanti [p. 154 modifica]con la faccia a terra (non altramente, che noi facciamo al Sommo Pontefice) e con incredibile umiltà gli baciano i piedi: onde Padre de’ Padri, e gran Sacerdote, e Sacerdote de’ Sacerdoti, e Padre eterno vien detto: perciocchè i Sacerdoti, che solamente gli assistono, e servono in tutte sue opportunità, con grande studio, e sollecitudine danno a credere a gli semplici stranieri i prodigi della sua divinità. Ed acciocchè si creda immortale, dopo la sua morte, proccurano in tutto il Reame un’Uomo a lui molto simigliante; e ritrovato il ripongono nel soglio, e per tal modo fan tener di fede a tutto l’Impero (ignorante dell’inganno, e frode) che il Padre eterno sia risuscitato dall’Inferno dopo sette cento anni: e che dopo quel tempo egli sia sempre vissuto, e viva eternamente; la qual cosa si fermamente persuadono negli animi di quei Barbari, che non vi è persona, che ne dubiti, o non la tenga per certa: e n’è sì ciecamente adorato, che si reputa beato appieno colui, che per sua ventura, ottien degli escrementi di lui qualche picciola reliquia, comprata con grandi presenti; stimando, che portata dentro una cassetta d’oro appesa al collo ( [p. 155 modifica]siccome usano i Signori) sia un preservativo sicuro contro tutte sorti di mali, e di tutti morbi, e infermità salutare antidoto; ed avvi ancora (o cecità) chi la pone nelle vivande per devozione.

Di tanta autorità è in tutta la Tartaria questa deità vivente, che niun Re si corona, che non abbia prima mandati Ambasciadori con preziosissimi doni per ottener dal Gran Lama la benedizione del felice, e prospero governo. Fà la sua residenza nel Reame di Barantola, o Lassa, usando quivi la dignità dì Re, benchè non si dia niuna briga del governo del Reame, contentandosi solo dell’onore, con un tranquillo, e profondo ozio, e lasciando ad altri (il qual chiamano Deva, o Dena) la cura, e pensiero del Reame; onde è, che si dice, che in Barantola siano due Re.

In Pekin dentro il palagio vi è un gran Tempio di questi Religiosi Lama; si chiama egli Lamarien, cioè a dire Tempio de’ Lama. Fu fabbricato dal Padre del Regnante Monarca per ragion di stato, e per compiacere a sua Madre, figlia d’un Regolo de’ Tartari Occidentali, la quale era molto affezionata alli Lama. Sopra una montagna a pan di zuccaro, [p. 156 modifica]fatta a mano da’ scogli condotti dal mare si vede una Torre rotonda di dodici piani, o solaj ben proporzionata, e di un’altezza strana: intorno a cui nel più alto sono quantità di campanelli, che mossi dal vento suonan di giorno, e di notte. II Tempio e ben grande, fabbricato in mezzo al colle dalla parte di Mezzogiorno. L’abitazioni, e celle de’ lama si stendono per Oriente, ed Occidente. L’Idolo è sopra l’altar del Tempio in forma d’un Uomo tutto nudo, e rustico, siccome il Dio Priapo degli antichi: nè da altri è adorato, che da’ Lama, e da’ Tartari Occidentali: abbominandolo gli Orientali, e’ Cinesi. Incontrai più Lama in Pekin; e l’abito loro è veramente singolare; portando la mitra gialla, la toga bianca avvolta per dietro; la cinta rossa, e la tonica di color d’oro; e pendendo lor dalla cintura una borsa, di modo che la veste loro e molto simigliante a quella, con cui si pingono gli Apostoli.

Il principale Idolo, ch’adorano in quel Reame di Lassa, o Barantula, è Menipe, fatto di nove teste umane, in forma conica: avanti al quale fannosi sagrificj, e pongonsi cibi per rendersi l’Idolo [p. 157 modifica]favorevole. Recitano corone, lasciando scorrere un grano ogni volta, che dicono Menipe salva a noi. Per malizia, e frode del demonio usasi in quel Regno di Barantula, come in quello di Tanguth un’esecrando, ed orribil costume: eliggono un Ragazzo ben robusto, a chi dan potestà in alcuni tempi dell’anno d’uccider con l’armi, che porta, chiunque egli incontra, di qualunque sesso, o condizion quello sia: a’quali uccisi eglino poi stimando, che abbiano conseguito felicissimo stato, siccome consegrati alla Dea Menipe, prestano eterni onori. Il fanciullo armato d’arco, frecce, scimitarra, e carico di bandiere per trofeo, in alcun tempo ossesso dal demonio (a cui è consecrato) va fuor di casa, come un furioso, e scorrendo per le piazze, e strade, ammazza chi gli si sa all’incontro, senza poterglisi far niuna resistenza; il chiamano in lingua del paese Buth, cioè a dire uccisore.

Oltre a ciò s’è avanzata sì fattamente la Religion Maomettana de’ Tartari, dalla gran Tartaria venuti a stabilirsi nella Cina, che mi raccontò il P. Grimaldi esservene due milioni di persone che quella professano. Entrarono quelli per la [p. 158 modifica]Tartaria Orientale, chiamati da’ Cinesi per discacciare il Tartaro Occidentale, detto Fluth, che ne’ passati secoli imperava nella Cina.

La Religion de’ Cinesi in tre Sette sopra tutto si riduce: una de’ Letterati, di Lanzù la seconda, la terza de’ Plebei. Quella de’ Letterati ha due fini, per cui tutta si regge: l’uno è il bene universal del Reame, alla cui prosperità, e mantenimento essa sola (che ne ha l’amministrazione) intende. L’altro è la privata felicità di ciascun di loro, da acquistarsi col merito dell’oprar virtuoso, secondo i dettami della ragione, coltivata, e perfezionata dalla filosofia morale: in cui tanto eglino si studiano d’avanzarsi. E perciocchè l’onorare i meritevoli (o che sia per debito di natura, come sono il Padre, e gli altri maggiori, o che ancor sia per merito di virtù, come sono i benemeriti) torna a gran prò del comune; essendo la speranza del premio grandissimo stimolo alla fatica: e perciocchè tal cosa a’ privati è giovevolissima, apprendendone i figliuoli la riverenza e l’amore, che debbono a’ proprj Padri, cui veggono rinovar sì sovente a’ sepolcri de’ loro maggiori le lagrime, l’offerte, le [p. 159 modifica]preghiere de’ Bonzi, e quanto altro vale ad onorar le ceneri, e consolarne lo spirito: perciò queste lor cerimonie son tutte operazioni politiche in grazia de’ vivi per bene ammaestrargli, non già a riguardo de’ morti, perciocchè credano di loro giovare; in tanto, che quelle non si trascuran da loro, benché non credano all’immortalità dell’ anime. Poiché oltre al pubblico danno, che ne seguirebbe, se senza il freno del timor dell’altra vita avvezzasser le genti a viver alla scapestrata, eglino nocerebbono ancora in gran parte a sè stessi, insegnando a’ propri figliuoli il non usar verso loro quelle espressioni di riverenza, e d’amore, che vedrebbon da essi negate a’ loro Padri.

Vero è nondimeno, che parendo a’ più saggi per l’una parte insopportevol cosa ad udir, che gli uomini, e le bestie quanto alla durazion del vivere, vadan del pari; anzi che molte di quelle gli avanzino, e tal’una d’uno, e forse di più secoli: per l’altra parte non parendo loro l’immortalità esser condizion di natura, ma ricompensa di merito, han sopracciò ritrovata una nuova filosofia somigliantissima a quella degli antichi Stoici, cioè [p. 160 modifica]che sia la Virtù una qualità, che partecipi del Divino, possente a torre dall’anima in cui è, tutto il corruttibile, e per conseguente il mortale, e tanto purificandola assottigliarla, ch’ella già più non sia patibile per la materia, a cui è non incorporata, ma unita: anzi partita ch’ella è dal corpo, che s’unisca con Dio, e come un ramuscello innevato in un albero, abbia seco un medesimo vivere immortale. Al contrario dicono, il vizio, per lo suo veleno, e malignità guastar l’anima, e ingrossarla, e tanto inveschiarla nella carne, ch’ella viva di lei, e con lei muoja, e corrompasi. In fatti questi letterati sono Ateisti, e credono che nell’altro Mondo non sia premio, nè gastigo: e che l’anima sciolta dalle catene del corpo ritorni al niente, dal quale ebbe principio, non altramente che sia il vento: e perciò attendono a darsi buon tempo in questo mondo con tante mogli (che approvano, come cosa necessaria all’accrescimento della Republica) e col maneggio del governo, e con le ricchezze, le quali per illeciti modi proccurano ragunare, A dire il vero ella è più tosto Accademia di letterati, detta Tucchiao, che Religion de’ Pagani: [p. 161 modifica]conciociosia che non hanno Tempj, nè Sacerdoti, ne Idoli, nè Sagrificj, nè Riti sagri.

Tanto è ciò vero, che il proprio Tempio de’ Letterati è quello di Confusio Principe de’ Filosofi Cinesi: il qual Tempio per ordinanza del Reame in ciascuna Città si fabbrica in un luogo superiore a’ publici studj, con grandissima spesa: dove sono scritti gli statuti di colui, o in lor vece il suo nome in una gran tavola a lettere d’oro, con più statue de’ suoi discepoli a lato, le quali i Cinesi venerano come Deità inferiori. In questo Tempio ad ogni Luna nuova, o piena ragunansi i Mandarini, e Dottori, e Baccellieri, per venerare, e far’ossequio al lor Maestro Confusio con umili genuflessioni: nell’istessa maniera, che gli Egizj il primo dì del mese Thoth celebravano solennemente al lor Dio Mercurio.

La seconda setta si dice di Lanzù, o di Li-laokun, introdotta da un tal Filosofo, che vide ne’ tempi di Confusio. Fingon costoro, che colui fosse stato nel ventre della Madre 80. anni prima di nascere; per lo che vien chiamato Lanzù, cioè a dir Filosofo vecchio. Egli insegna, che il Dio Sovrano sia corporale, e che regga [p. 162 modifica]l’altre Deità, sicome un Re governa i suoi sudditi: nel che sembrano ancor costoro esser del sentimento degli Stoici. Egli promette gran cose della Chimia (onde alcuni giudicano, ch’egli ne sia stato l’Inventore) persuadendo, che per mezzo d’una tal bevanda lavorata si possa divenire immortale. I suoi discepoli vi accoppiarono ancor la Magia: e questa arte diabolica divenne in poco di tempo l’unica scienza delle persone di qualità; applicandovisi ciascuno con la speranza d’evitar la morte: e le donne tra per la curiosità, e per speranza ancora di prolungarsi la vita si abbandonarono a tutte sorti di stranezze, ed empietà. Coloro, che per mestier particolare s’impiegarono a sì perniciosa dottrina, furon chiamati Tien-se, cioè a dir Dottori celesti: a’ quali sono stare date dagl’Imperadori case per vivere in comunanza, e fabbricati Tempj in diversi luoghi al lor Maestro. I Sacerdoti di questa setta spezialmente s’applicano a scacciare i demoni dalle case per mezzo degli esorcismi, o ponendo orrendi mostri nelle mura dì quelle, dipinti con inchiostro: e ciò con sì terribili grida, che ne’ medesimi demonj par che si trasmutino. [p. 163 modifica]Arrogansi anche questi empi la potestà di far venir le pioggie a lor talento, e di farle cessare, e di divertir le pubbliche, o private sciagure. Questa setta ha oggidì ben pochi seguaci; essendo le due altre le più universali.

La terza setta è de’ Plebei, o Osciani, overo Bonzi, che hanno Idoli, e deità figurate in istranissime guise, e mostruose apparenze: e fra gli altri hanno quei due nominatissimi fin’ nell’ ultimo Oriente, Amida, e Sciaca. Questi han per contrario istituto de’ Letterati il nulla curarsi del publico, ma solo attendere a se stessi: e danno all’anima dopo morte una vita immortale, ed a quella premio, e pena a ragione de’ meriti. Lodano il celibato; e la verginità, sin’a condennare, almeno sotto voce, il matrimonio. E pur come non vi ha gente più vile di quella per condizione, così neanche più di lei trista, e nefanda per le bestiali immondezze; onde peggio de’ più sozzi bruti alla rinfusa si mescolano.

Scrivono, che questa setta sì pestilenziosa sia dall’Indostan venuta P. Philip. Couplet. de scientia Sinica in via Confucij. p. 120. in tal maniera, per quel che si legge nell’Istorie de’ letterati Cinesi. Regnava nell’Impero della Cina nel 65. anno dopo il [p. 164 modifica]nascimento di Cristo l’Imperadore Mim-tì, della quinta famiglia Han XVII. A costui si rappresentò in sogno la specie d’un Eroe santo: e persuaso anche dalle parole di Confusio, che vi fosse in Occidente un’uomo giusto, non potendovi andar di persona, vi mandò Ambasciadori çaicim, e çiukim in suo nome, per ritrovar l’uomo santo, con la santa legge. Costoro giunti in una Isola, che non era guari lontana al mar rosso, non avendo animo d’andar più oltre, ne riportaron un’Idolo, e statua d’uomo, Foc detto, (ch’era stato 500. anni prima di Confusio nell’India) come anche l’esecrabile sua Religione recaron nella Cina. Felici, e benemeriti della lor patria, se in vece di tal peste, la salutar dottrina di Cristo, che nel medesimo tempo da S. Tomaso Apostolo era predicata nell’Indie, avessero appresa.

I Cinesi dunque inchinando a tali pestifere dottrine, a poco a poco si rilasciaron dalla men empia de’ loro maggiori: e in fine in dispregio d’ogni Religione son caduti nel vero atheismo. Doppia dottrina lasciò questo maestro d’Idolatria: una che di tutte le cose il principio, e’l fine sia il nulla: di cui i seguaci son Athei: e la [p. 165 modifica]chiaman interiore: l’altra esteriore acconcia ad ingannare il volgo, e gl’ignoranti. La prima, sicome dissi, abbracciarono i Letterati, che ripongon tutta la lor felicità, e beatitudine in questa vita, possedendo molte ricchezze, e godendo di più donne, e comandando a’ popoli; poiche danno la mortalità dell’anima. In tanto che mi narrarono alcuni Padri Spagnuolj missionari di S. Francesco, che in occasione di disputa alcuni Mandarini non si vergognaron di confessar, e che non crede vano nè a Dio, nè a gl’Idoli, ma al loro Confusio: mentre stimano, che oprando bene, Iddio gli guiderdoni in questa vita, ed oprando male, quì ancor gli gastighi. Se talvolta agl’Idoli fabbricano Pagodi, o sacrificano, è ciò per fine di solo interesse, per ottener il loro intendimento: il quale se mai loro fallisce, tosto lasciano in abbandono Pagodi, e trascinano per terra gl’Idoli, gastigandogli come ingrati, che non corrispondano al beneficio. Questo Maestro delle due narrate sette vogliono, che sia stato un Regolo, chiamato Sân-Vuan, e sua Madre Mô-gê-fû-giû: che per infinità d’apparenti miracoli traevasi la venerazion de’ popoli, e pretendeva esser [p. 166 modifica]riconosciuto per Dio Le P. Comte memoir de la Chine lett. X. pag. 125.. Morì nell’età di 79. anni: e dopo aver stabilita l’Idolatria in sua vita, procurò d’ispirar l’Atheismo nella sua morte, dichiarando, che in tutti i suoi ragionamenti non aveva parlato, che per enigmi: e che il tutto era uscito dal niente, e che dentro il niente il tutto debbia ricadere: e che in tale abisso termini ogni nostra speranza.

In questa Setta di Bonzi par che siano introdotti riti, e misterj della nostra Santa Fede, i quali forse poterono esser appresi dalla predicazione degli Apostoli S. Bartolomeo, e S. Tomaso, mentre quivi presso la propagavano; poiche tengono un Dio in tre persone effigiato in un’Idolo di tre capi: una Vergine Madre d’un Dio, rappresentandola in statua con un Bambino: ammettono il Paradiso, e l’inferno, e quivi il godimento, e la pena a misura dei merito: commendan la verginità, e la professano: usano il digiuno, e le penitenze: serban la volontaria povertà: lodan l’abbandonare il Mondo, e fuggirsene a contemplar ne’ deserti, o vivere ne’ Monasterj in comunanza: salmeggiano a vicenda, recitando un non sò che somigliante alle nostre corone: paransi in abito Sacerdotale, e [p. 167 modifica]dispensano indulgenze. Non perciò eglino hanno inviluppata la religione di tante favole, e menzogne, ch’appena quella serba dell’original tanto, che si ravvisi esser copia ricavata dalla legge Cristiana; percioche eglino danno la trasmigrazion dell’anime: e credono, che morendo alcuno, l’anima resti nella contrada tre giorni, acciocchè si faccia li processo del male, e del ben fatto da lei per lo Spirito Tusun (il quale in ogni strada esposto in pubblico venerano) Ricorrono perciò a’ Bonzi con denari, e presenti, recando ancor loro carta per uso dello scrivano, e danajo per rendersi favorevole l’Idolo, acciò che faccia un buon processo; indi ingannati da’ Bonzi presentano alle Pagodi più mazzi di carte rosse, argentate, e dorate; brugiandone la maggior parte, su la credenza, che la dorata si converta in oro, e l’argentata in argento, per servire nell’altra vita a’ loro morti. Compiti i tre giorni dicono, che passi l’anima davanti lo Spirito della Città; detto Cinguan (poiche il morto è credibile, che sia andato per la medesima) il qual riceve l’informazione di ciò, che colui oprò nella Città, infra il termine di cinque giorni; fra’ quali continuano i parenti del morto [p. 168 modifica]da’ Bonzi, acciocchè rendan benevolo con loro preghiere il Giudice, per mandarne ben dispacciata l’Anima. Con tali processi dicono passar quella all’inferno (dove i buoni, e mali debbono andare, secondo lor credere) e quivi per dieci tribunali, Ien-guan detti, si riconosce la causa, dimorandovi l’anima sette dì per ciascuno, finche secondo il buono, o mal’oprato si decreti la trasmigrazione in corpo umano, o di bestia. Io non so donde in loro sia nata da prima questa opinion della metempsicosi dell’anime: e se per avventura appresa l’avessero dagli Egizzii, o da’ Caldei, o da’ Druidi, i quali la ritrovarono, sicome vuol Cesare, e Lucano, perche si risvegliasse nel petto de’ popoli il coraggio col dispregio della morte; onde ancor dicesi, che appresa l’avesse Pittagora, e recata nella nostra Italia. Ma prima della trasmigrazione, vogliono i Cinesi, che l’anima giudicata debbia passar su per lo ponte di Kin-inchiau, che vuol dire d’argento, e d’oro: ove essendo Custodi, è necessario dar loro denaro, come per le narrate Udienze, acciò che non l’impediscano il passo; poiche se cade l’anima sotto, riman quivi per sempre nel [p. 169 modifica]fiume delle fiamme; e se passata può trovare un fiore detto Lienxoa, il cui frutto si noma Lanusa, si trasmuterà in persona ricca, e ben’agiata. Con queste favole i Bonzi cavano da’ poveri Idolatri il danaro, e le robe: e sì pertinaci sono nella lor trasmigrazione, che dicono, ch’i Missionarj Europei a modo di Capitani di leva vadan nella Cina per far gente, battezzando i Cinesi per trasmigrargli in Europei, a fine di popolare il nostro paese.

Da queste tre Sette son derivate molte altre col corso del tempo, et un’incredibil numero d’Idoli, i quali non sol si vedon per gli Tempj, ma nelle piazze ancora, e strade, e navi, e case pubbliche, e private: in cui eglino imitano, anzi avanzan gli Egizj, infami per la varietà di tanti Idoli. Solamente de’ Tempj più celebri, e frequentati per cagion della lor ricchezza, e magnificenza, e falsi miracoli fatti da’ loro Idoli, se ne annoverano 480. Dentro i quali, e negli altri ancor di tutto l’Impero abitano trecento cinquanta mila Bonzi patentati: e se si voglion contare anche coloro, che non tengon patente da’ Mandarini, monteranno ad un milione; essendovi dentro la sola Città, e Corte di Pekin 10668. Bonzi non [p. 170 modifica]ammogliati, chiamati Hoxam, e 5022. ammogliati, per quel che ne scrisse il Padre Magaillans nella relazione, che fa della Cina Chap. 2. pag. 57..

E nata la moltitudine di tanti Idoli dal porsi simulacri agli uomini, che per alcuna opra loro memorabile fur benemeriti alla patria, e s’acquistarono grande opinione appresso le genti, e ne meritarono statue, e Pagodi: sicome anche dal credere, che ne’ boschi, e monti, e mare, e fiumi sian particolari spiriti, a’ quali fabbricano statue, e consagrano. Nondimeno il principale Idolo, che venerano, è detto Giô.hoaňg, della famiglia Ciaňg, che visse in tempo ch’il Reeame delia Cina era governato dalla famiglia Sung, che gli diè titolo di Giô.hoaňg, ò per meglio dire con tal titolo il canonizò il Re Hoēy ciuňg. Prima di quest’Idolo vi erano i tre altri famosi, i quali uniti quivi s’adorano, e chiamansi Siňsiňg, e da’ Letterati Sānhoāng. Oltre a’ quali vi sono altri cinque Re, che pur sono Idoli raccontati nell’Istoria Tuňg kien: e chiamansi Xaò haò, Suōn hiū, Tygiao, Tyxūn, e Tykō per eccellenza detti ùtiì, cioè cinque Re.

L’Istoria Sù Ky-kày-cing reca tre Re [p. 171 modifica]antichissimi, ma favolosi, chiamato il primo Tiēn hoāng, il secondo Ty hoāng, e’l terzo Giū hoāng: favolando, ch’il primo ebbe dodici fratelli, e che ciascun di di loro visse 18. m. anni: ch’il secondo n’ebbe 18. che vissero l’istesso tempo: e ch’il terzo n’ebbe nove: i quali tutti resser l’Impero, continuando la successione di ciascun di loro fino a 150. generazioni.

Il più universale è l’Idolo Cin xùan, protettore delle Città, e delle Ville; non essendovene alcuna, che non abbia la sua Pagode con quell’Idolo, che si figura con cavalli sellati, e brigliati avanti la porta, tenuti da due valletti per servigio di lui, e narrano, ch’egli mentre visse andava mille leghe il dì.

Tengono i soldati, e le milizie per lor Idolo il Kuangie, della medesima maniera, che la Gentilità Europea aveva Marte.

Il sì famoso pellegrinaggio de’ Cinesi è nella Provincia di Sciantūn nella Città di Taij gan cieù, sul monte detto Tayscian, cotanto celebre nella Cina, per esser di dodici miglia di salita. La Pagode si chiama San Kiaimiau, d’Idolo Tay scian-niaňg, o Tien sien sciňg mu, che [p. 172 modifica]vuol dire in frase Cinese: di questo monte la Reina del Cielo, dello Spirito Santo Madre. Fu questa una Religiosa, o Bonza, di cui s’invaghì un Re Cinese, mentre passava per colà: e presa la fe Reina in vita, e morta Santa, ergendole il Suddetto Tempio, ove ogni anno van milioni di Cinesi in pellegrinaggio: alcuni de’ quali per diaboliche sugestioni persuadendosi, che dopo veduta sì gran Deità, non possa vedersi cosa maggiore in questo Mondo, si precipitano giù per una rocca di più miglia di caduta. La Pagode è custodita da un Mandarino, che fa pagare il passo. In alcune di queste Pagodi vivono in comunanza Religiosi, e Religiose per servigio di esse: i quali son di due ordini, uno della lazetta del Foe, l’altro della lazetta del Tao. I primi menan vita celibe: gli altri, che son detti Tauzù, han mogli, e vivon nelle lor case con quelle, a modo de’ Preti Greci, lasciandosi crescere un cesso di capelli, il quale avvolto dietro la testa cuoprono con una scudella di legno, o conca d’ostrica, passando uno spillone per quella, e i capelli. Assiston di giorno a’ loro Conventi in comunità, e di notte alla loro famiglia. Coloro, che menan [p. 173 modifica]vita celibe, son detti Ho oscianh da’ Cinesi, e da noi Bonzi: portan la testa tutta rasa (ch’è segno di dispregio fra quella gente) vestono un’abito di colore, e taglio simigliante a quello, che portan i Frati di S. Francesco dell’osservanza, ma con maniche larghe, e collaretto intorno al collo. Le Religiose son chiamate Niùxosciang, o Nijsciun, Kùkù sciù, o Nicù, secondo la diversità delle Provincie; ma non osservan vita claustrale, andando per la Città quando lor piace, e permettendo che s’entri ne’ lor Conventi. Entrai io in Canton una volta in un di quelli, ove fui convitato dalle Bonze a bere il Te, o Cia; onde giudicai, che non sia puro zelo quella vita Religiosa, ma fine particolare per godere della libertà, ed usar dissolutezze tanto dentro, quanto fuori il Convento, ad imitazione de’ Bonzi, che fanno il medesimo, quantunque predichino il celibato; ma i Mandarini usano ogni diligenza per prendergli sul fatto, e gastigarli capitalmente; indi è, che per la vita scandalosa, che menano, come ancora per avvilirsi in tutt’i mestieri meccanici, e corporali, son tenuti in obbrobrio, e poca stima fra Cinesi: all’opposto de’ Giapponesi, e Siamesi, [p. 174 modifica]i quali venerano i loro Sacerdoti, e Talaponi. Intanto che per legge Imperiale son vietati nel Reame della Cina come stranieri venuti dall’Indie, e sol per disuso si tolerano. Professano tanto i Bonzi, come le Bonze una vita austera, senza mangiar carne, nè alcuna cosa vivente, cibandosi sol d’erbe; ma i Tauzù per durare al matrimonio mangian di tutto. L’un, e l’altro ordine di Religiosi son’obbligati al mattutino nell’udire a mezza notte il suon d’una campana, che si tocca a mano con un legno. Benche conoscano i Mandarini questi falsi Religiosi per persone infami, e disposte a far ogni malvagità; pur loro comandano di porsi in orazione per ottenere dagl’Idoli la pioggia, quando bisogna per gli campi: e quella non seguendo, gli fan battere crudelmente, e stare al Sole digiuni più giorni con catene a’ piedi.

Brugiano in queste Pagodi, come in altre, e nelle case ancora i Cinesi alcune corde di scorze d’albero peste, che si lavoran di diversi modi, alcune in forma conica, o piramidale, che durano un mese intiero avanti l’Idolo: e loro servon d’orologio; poiche quelle essendo uguali nella grandezza dal consumamento loro conoscesi l’ora, ch’è passata.