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I boccali di Montelupo/Lettere di Eterofilo a Filetere

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Lettere di Eterofilo a Filetere

../Lettere e frammenti di lettere IncludiIntestazione 29 luglio 2024 50% Da definire

Lettere e frammenti di lettere

[p. 151 modifica]23. Chi l'amor fraterno ha in petto Opra bene, e ne ha diletto.

24. Chi possiede la prudenza Di virtude ha in se ogni essenza.

25. Chi perdona le altrui offese Avra Dio sempre cortese.

26. La speranza in cuor bandita Sia a chi brama lunga vita.

27. Viver retto, e amar Dio con cuor sincero Fonti percuni son di gaudio vero.

28. Della vera giustizia è la terrena Uno spettro servile, un ombra appena.

29. Gl'ignoranza in ogni steto E' un contagio tollerato.

30, Chi non doma sua passione E' uom privo di ragione,

31. Fugge il ben mondan qual vento, Sol virtù fà il cuor contento.

32. Chi al ben fare ha il cuor restio Mai propizio speri Dio.


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LETTERE E FRAMMENTI

DI LETTERE TRADOTTE DAL GRECO

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Queste lettere fanno luminosa prova dell’antichità dei vasi etruschi, come pure dei boccali, e del pregio in cui erano presso i Greci; e son poi meritevoli di considerazione per varie filosofiche osservazioni circa le idee metafisiche di quei tempi, e per rilevarvisi anche quanto avevano in abominazione gl’Idoli, i sacerdoti, e gli uomini dotti di quella nazione. [p. 153 modifica]

LETTERA

1DI

ETEROFILO A FILETERE.


Da che lasciaste Iouli, mio caro Filetere, io son rimasto vermente desolato, poichè sebbene in addietro abbia questa nostra Isola avuto non pochi uomini insigni nelle scienze, al presente, come sapete, non vi è più alcuno, partito voi, con cui possa io tener piacevole conversazione. Pare che la specie umana, independentemente dai vantaggi della cultura, produca gli uomini di spirito a epoche in maggiore, e minor quantità, appunto come nei nostri armenti sono in diversi anni più copiosi, o più rari i prodotti più belli, e perfetti. Ed oh quanto mi duole, che voi siate per trattenervi molto tempo lungi da noi, volendo portarvi, come mi dite, nell’Epiro, dopo il [p. 154 modifica] ro, dopo il giro dell’Etolia! Voi volete che io vi scriva spesso, e vi comunichi i miei pensieri sopra alcuno degli articoli, che si son fra noi incominciati a trattare, ed io lo farò volentieri; ma non lasciate di far voi lo stesso, poichè cosi si addolcirà alquanto il rammarico della nostra lontananza.

E’ finalmente tornato il nostro Teofilo di Samo dal suo lungo viaggio fatto nella magna Grecia, e in altre parti dell’Italia. Egli si è trattenuto qui per due soli giorni, nel suo passaggio per tornare alla patria, e mi ha chiesto con premura le vostre nuove, essendo già informato della vostra assenza. Non ho potuto dissuaderlo dalla sua determinazione di stabilirsi permanentemente in Italia, poichè come seguace di Pitagora, uno dei suoi antenati, è per tale affinità colà molto acclamato dai filosofi detti della setta Italica, che quegli vi fondò, cosicchè voi probabilmente non lo rivedrete più.

Minute relazioni egli mi ha date delle varie città, che ha vedute in quelle belle [p. 155 modifica]contrade, a dei popoli che ne sono i felici abitatori, che ho trovato molto istruiti, e giudiziosi; ma di ciò vi renderò inteso in voce quando avrò il contento di qui rivedervi, posto che avrete il piede in Ceo al vostro ritorno. Egli mi ha altresì detto, che avendo inteso dal suo genitore, che Pitagora aveva, dopo il suo primo viaggio in Italia narrato, di aver veduto in Etruria dei vasi di terra molto helli, e che fra gli altri ne venivano fabbricati, in un paèse lungo l’arno, alcuni per bevere il vino di una struttura, e vaghezza particolare, egli ha potuto ritrovar questo luogo, che è presso un piccolo monte vicino all’arno, sotto la Città di Fiesole mezza giornata, ma dalla parte opposta, ed ha ivi veduto alcune fabbriche di vasi di più sorte, cioè di quelli, che si fabbricano comunemente nell’Etruria in vari paesi, di maestose, e graziose forme, coperti di una terra bianca rilucente, con fiorami in colori bellissimi, di varie grandezze; di quelli più ordinari, e fragili di varie forme, ma in specie poi di quelli [p. 156 modifica]menzionati da Pitagora, di una particolare struttura, che alcuni piccoli, atti per bevervi alle mense, e alcuni pochi assai grandi, e sopra questi ha veduto esser dipinte varie figure significanti, o scritte delle utili massime, secondo la spiegazione fattagliene, che ha trovati veramente stimabili nel loro genere.

Nel rammentare così Pitagora, presemo a parlare dei dommi stabiliti da quel tanto sublime filosofo, in sostegno della sua nuova dottrina. Io non potei fare a meno di dirgli, che trovavo belle, e vantaggiose al ben esser dell’uomo le di lui massime, ma che non credevo niente necessaria quella stretta, e continuata austerità di vita, che veniva ingiunta agli osservatori di quel filosofico istituto; poichè essendo l’uomo circondato da ogni genere di delizie, per disposizione della provvidenza, indubitatamente perchè ne profitti, credo follia il non goderne, ed un preciso disprezzo del Donatore l'astenersi di gustare della parte maggiore dei suoi bhei doni; e che al più [p. 157 modifica] essendo da riprovarsi l’abuso in ogni genere, dovrebbe prescriversi, per precetto salutare rigoroso, la temperanza.

In seguito caduto il discorso sopra il domma della trasmigrazione, convenue meco Teofilo, che questo non era stato stabilito da Pitagora, per quanto non volesse egli che si uccidessero gli animali, nė si facesse uso delle loro carni, eccettuate quelle alcune volte delle vittime, e che tal domma era stato introdotto da Timco di Locri, uno dei di lui seguaci, onde veniva ad esser meno valutabile; ma lo trovai nondimeno attaccatissimo a simil domma, nè per varie ragioni, che gli addussi in astratto, potei punto dissuaderlo.

Come potete, gli soggiunsi in ultimo, sostener questo domma, quando mi avete accordato poc’anzi, che l’anima umana è di natura certamente diversa da quella dei bruti? l’anima umana, trapassata in un animale qualunque, dite voi, non può agire come nel primiero suo ricettacolo, perché ne è impedita per la diversa, e più [p. 158 modifica]imperfetta organizzazione dell’animale, in cui ha fatto passaggio; ed io vi rispondo, che la natura della nostra anima intellettuale è tale, che deve venire più, o meno a discuoprirsi in qualunque essere animato trovisi collocata, e nessun indizio dell’intelligenza propria di essa abbiamo nel bruti, essendo tutte le operazioni di essi puramente proporzionali alla respettiva loro organizzazione, attivata dall’istinto, e niente più conoscendosi in essi di occulta abilità, o di repressa energia delle loro anime.

Osservate all’opposto il sordo muto dalla nascita; egli, per la mancanza dell’udito, è di peggior condizione sicuramente degli animeli; pure da segni non equivoci, e non occorre notar qui i fatti usuali dai quali rilevansi, che ha l’intelligenza nella sua anima, egualmente che noi, ma che non può, per la sinistra disposizione degli organi del suo corpo, farla agire con egual successo. Ella fa però capire, per gli atti del corpo, quanto è dolenta di esser come inceppata, e quali sforzi va facendo farsi conoscere, come [p. 159 modifica] seguirebbe immancabilmente, se le fossero all’istante approntati i mezzi, con l’analoga abilitazione degli organi del corpo.

Così un anima intelligente, passata da un corpo umano in quella di un bruto qualunque, non potrebbe far di meno di darsi a conoscere in una maniera, o in un altra ella s’industrierebbe talvolta di eseguire, compatibilmente con la forza degli organi del nuovo più imperfetto corpo, le funzioni, cui fosse questo destinato, con esattezza; ella preverrebbe sopra di ciò le disposizioni del padrone, cui dovesse servire, ne eviterebbe sovente i gastighi, e forse si abbandonerebbe talvolta ad una tristezza letale, nel trovarsi tanto malamente imprigionata, e così denigrata la sua nobiltà, la sua primitiva grandezza.

Ma se nel passaggio nell’animale ha perduto l’anima umana la cognizione, e per conseguenza la reminiscenza, bisogna allora dire, che non è più la stessa anima, essendo divenuta un anima di natura del tutto diversa. Non confondete le idee del vero con i [p. 160 modifica]fismi esiste in noi una sostanze intelligente, o uno spirito dotato di ragione, che non apparisce nei bruti; dunque la natura dell’anima loro è essenzialmente diversa senza dubbio, e molto inferiore alla natura della nostra: dunque l’anima umana, se trapassasse nel bruto, si lascerebbe travedere, ed agirebbe naturalmente a preferenza di quella del bruto, che resterebbe come preoccupata dalla prima; ma non scorgendosi nei bruti niente più che l’anima propria irragionevole, è forza il dire, che questa prevale all’altra, e per conseguenza che l’altra più sublime è soppressa, che è lo stesso che dire, che non vi è trapassata.

Evvi negli esseri tutti, che conoschiamo una gradazione ben chiara nel loro modo di esistere. I corpi inorganici, i fossili, non hanno che le qualità semplici comuni alla materia tutta; I vegetali hanno queste qualità, ed inoltre la forza vegetativa, la proprietà di vegetare; gli animali hanno le qualità semplici, la forza vegetale, e di più un anima semplice, resultante [p. 161 modifica]dalle sensazioni, e da esse per così dire formata, e spesso mal regolata, Gli uomini hanno tutte insieme queste prerogative, e di più l’intelligenza nell’anima. Come le piante banno a di più dei corpi inorganici la vegetazione fra gli esseri inanimati, così fra gli animati l’anima umana ha di più dell’anima dei bruti l’intelligenza, o sia il discernimento.1. Così posson esservi altre classi di esseri a noi affatto incogniti, forniti di un intelligenza più estesa, e più raffinata della [p. 162 modifica]nostra, fino all’Essere supremo, che è fonte d’intelligenza infinita.

Del resto quando l’anima umana agisce senza l’influenza, o l’uso della sua intelligenza, osia della ragione, agisce, e deve evidentemente agire come le bestie. L’esperienza giornaliera pur troppo conferma l’inevitahil successo di questo indoveroso contegno sopra coloro, che agiscono inconsideratamente, senza ascoltare, o consultare la propria ragione, o che l’hanno disgraziatamente poco sviluppata, siccome in quelli, che da essa dipendono, ci fa vedere azioni ordinariamenta giuste, ed oneste, e ci fa rilevar così la somma abilità, e preeminenza dell’anima umana sopra quella dei bruti; qualità, che non potrebbero mai restare affatto occulte, trapassata che fosse nei bruti; laonde ... ― Mi pare ― disse Teofilo ― interrompendomi ― che dichiata il vero sopra questo resultato; ma nel resto essendo i vostri pensieri più sublimi dei nostri, mi occorre ponderarli con più attenzione, per determinarmi ad aderirvi, ed ora non posso [p. 163 modifica]più trattenermi con voi, dovendo a momenti partire: ne parleremo altra volta, se potrò ripassare e prender terra in quest’Isola. - E prese subito da me congedo, alquanto confuso, e titubante sopra il suo domma.

Altro non ho presentemente da dirvi, che possa interessarvi. Attendo vostre lettere, e vi auguro salute.

ALTRA LETTERA

DI

ETEROFILO A FILETERE.

Vedo bene dalla vostra lettera, o mio Filetere, che non avete anche ricevuto la mia, scrittavi poco fà; forse ora vi sarà pervenuta, e cesserete di lamentarvi. Voi volete che [p. 164 modifica]io vi scriva a lungo, e frequentemente, e perciò vi rinnuovo ora la presente, siccome mi è dolce il trattenermi con voi, sperando che voi pure mi manderete delle lunghe lettere.

Sono stato tre giorni in Atene, e mi son parsi un momento, siccome circondato dai nostri amici, con i quali si è piacevolmente passato il tempo. Il giovine Aristippo fa gran progressi nelle scienze, e sembra che voglia a suo tempo avere, come Aristide suo padre, degno posto nell' Areopago.

Finalmente Liside ha sposato la vaga, saggia Leucippe. Voi v'immaginerete quanto mai si discorre in Atene di questo matrimonio, ineguale per le ricchezze, e l'illustre discendenza di Liside, mentre Leucippe è figlia di poveri, sebbene onesti genitori. Molti lo criticano, perchè poteva con adequato matrimonio accrescer molto la sua fortuna, ma la parte più sana degli Ateniesi lo encomiano, poichè Leucippe, giovine di placente aspetto, per quanto non molto bella, è rinomata per la somma abilità nei lavori [p. 165 modifica]femminili, la spontanea franchezza in tutte le domestiche occupazioni, e sopra tutto per la sua onesta, e virtuosa condotta. Si sa, che ella stessa, ancorchè nutrisse per la sua parte violenti sentimenti di affetto, più che di gratitudine, per Liside, mai glieli fece conoscere apertamente, ed anzi lo consigliò sempre a rivolgersi ed altra giovine, che fossa più degna di lui; ma Liside, che ben leggeva nel di lei cuore, non faceva che accrescere il suo trasporto, in vista di si penoso tratto di virtù. E chi non avrebbe fatto lo stesso fra le anime sensibili? ognun conviene, che una donna di tal fatta è una gemma rara, che essa in una famiglia equivale a tutte le ricchezze, è un tesore inestimabile. Nei matrimoni dovrebbero tutti gli uomini di senno avere unicamente riguardo a sì belle qualità, non alle ricchezze, che possono in più modi svanire, non alla nobiltà dei natali, che è un nebuloso appannaggio. Cost le giovini farebbero a gara di arricchirsi di qualità virtuose, piuttostochè di seducenti attrattive, e non si abbandonerebbero alla [p. 166 modifica]tanto pericolosa libertà di trattare troppo confidenzialmente con chiunque, senza poter conoscere i sedotti, divenenti a vicenda seduttori.

Ora vi narrerò un fatto curioso concernente Sofronimo, per cui ebbi seco un lungo colloquio in Atene. Questi è quel giovine sacerdote, che vi feci conoscere quando noi fummo insieme alle feste di Apollo in Delo, che assistè con gli altri al magnifico sacrifizio, che fu fatto in quel Tempio, di cui mi diceste, che vi piaceva molto lo spirito, ed il tratto, per quanto parlassemo seco per pochi momenti. Egli è di fatti di un singolar talento, e di somma vivacità, che è velate però all’esterno da un aspetto dolce, e modesto, e da un grave portamento. Per questo egli è stato di recente prescelto per primo sacerdote di quel medesimo tempio, essendo morto quel vecchio sacerdote, che voi vedeste; e ciò non ostante qualche opposizione importa a cagione della di lui troppa giovinezza. Egli è ottimo per l’esercizio di quel sacro ministero, che [p. 167 modifica]può adempire con franchezza; ma la sua stessa vivacità è stata per perderlo, secondo il seguente racconto fatto da lui stesso.

Mentre trattenevami col saggio vecchio Aristofane in Atene, discorrendo appunto del matrimonio di Liside, celebrato nel giorno avanti con gran pompa, comparve verso sera lì da noi esso Sofronimo molto sconcertato, e confuso; ma vedendo me pure ivi, esclamò con un grido di gioia, Oh cari amici! Qual fortunata riunione! io arrivo adesso in Atene, e vengo a voi come un uomo scampato da una gran burrasca ― Qui l’interruppe Aristofane, che volle prima dar luogo agli offici di ospitalità, e indi riprese Sofronimo, a nostra sollecitazione, il suo discorso.

- Il posto in cui son collocato non era veramente per me. Io mi trovo da poco tempo impegnato nella carriera sacerdotale, non so neanche io come. Fino che fui assistente alla celebrazione dei misterj, io mi vi prestavo come macchinalmente, e [p. 168 modifica]non mi aveva ciò fatto la minima impressione; ma ora che devo io direttamente presiedervi, avendo più motivo di pensare a quel che faccio, sono entrato in un orgasmo, e disgusto terribile circa alla falsità della religione, che si vuol professare. Io la credo erronea addirittura per la moltiplicità degli Dei, priva di fondamento, sostenuta dall’impostura, e addobbata di massime incongruenti, e di pratiche ridicule. Non muove a sdegno per chi è persuaso, come noi, dell’esistenza di un solo Ente supremo, infinito, onnipotente, di un unico Dio incognito, li dover credere, che vi son più Dei, e molti fra loro parenti! e il dover tributare i nostri ossequi a delle pietre, a dei legni portanti ad arbitrio le loro diverse immagini? Non è ributtante all’estremo il pensare, che gli originali di questi vani Idoli sono stati qui in terra fra noi, soggetti alle stesse nostre miserie, e parecchi macchiati delle stesse perversità, e sceleraggini degli uomini? Ed il far poi parlare questi Idoli a fantasia, a seconda [p. 169 modifica]per altro delle vedute, e degl’interessi particolari degli uomini, o delle nazioni, non è una falsità, un procedere maligno, indegno dell’uomo onesto? Non è un abusare fraudolentemente della pia credulità del volgo?.... Pieno il capo di questi troppo giusti reflessi, nell’atto appunto che facevo avant’ieri parlare Apollo rendendo un oracolo, sorpreso da un opposto nobile entusiasmo, sletti per comparire avanti all’ara, e strapparmi in presenza del popolo quei goffi abiti sacerdotali, esclamando..... lungi da me divise della rea impostura! non voglio più ingannarvi popolo diletto! Si cessi ormai di tributare omaggi ai falsi Dei, a questi Idoli bugiardi! questi misteri son produzioni dell’arte, e della frode! il vostro culto è materiale, è indecente! rivolgetevi, o popoli, al vero, unico, incognito Dio, chè è il solo degno delle nostre adorazioni! Si spezzino ... e mi ero già mosso per far queste sortita; non so come mi rattenni, e compii le funzioni, con un poco in vero di trascuratezza, per l’ [p. 170 modifica]168 astrazione in cui ero, per il che intesi nel tempio qualche bisbiglio. Appena poi restato libero, mi ritirai solo in una stanza, e mi avveddi, a spirito alquanto calmato, della grave imprudenza, che ero stato per commettere: pensai quindi di qui portarmi nella mattina susseguente, per dissipare maggiormente il mio livore, e riacquistar fortezza nel seno degli amici.

Temo per altro ― continuo Sofronimo ― che non potrò sempre contenermi. Amo troppo la verità, non posso adattarmi a fingere, ad autorizzare in modo sacrilego un culto ingiurioso al Dio vero, ed ingannare, e tradire a man salva il popolo tutto. Quando penso alla cognazione, alla ganerazione degli Dei, che debbo accordarmi a far loro chieder vittime, e sacrifizi, a mettere a prezzo i loro oracoli, le loro grazie ideali, e minacciare la loro vendetta, mi accendo di furore per l'onore del mio Dio, non vedo più lume ... Si, segua ciò che si vuole, voglio disingannare la troppo credula plebe! ... voglio ... Ah no, no, gridammo [p. 171 modifica]169 Aristofane, ed io, voi andereste a perdervi senza il minimo profitto. Deponete, seguirai io a dirgli, questo vostro eccedente, e troppo inopportuno zelo; la vostra ingenuità vi tradisce in tali suggerimenti, il buon cuore, che in voi conosco, vi trascina sull'orlo del precipizio.

Voi avete ragione senza dubbio di pensare come ci dite della Divinità, ma non ne avreste però punta di contenervi come vorreste. Voi dovete ormai ben servire nel posto assegnatovi dalla provvidenza, e nel tempo stesso potete nel vostro cuore offerire al nostro Dio quel culto più puro, e semplice, che credete. È vero, che sono fittizj gli oracoli, incongruenti i misteri, irragionevole l'ammettere più Dei; È vero, che fa orrore l'associare all'idea di Dio, quella della vendetta, nel senso almeno popolare, poichè se Dio percuote i contravventori della sua legge, se fulmina il malvagio, lo fa per giustizia, non mai per vendetta; non fa che infligger la pena, che reclama la giustizia, nè vi ha che far


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[p. 172 modifica]la vendetta, ed è abominevole assurdo l’idearla. Ma con tutto questo l’abbandono del vostro posto, la vostra dichiarazione, sebben giusta, le vostre premure di meglio istuire il popolo sulle recognizione del vero Dio, non produrrebbero il minimo di quei buoni effetti, che desidereresti: esso porterebbero la vostra lapidazione, la vostra morte ignominiosa per mano dello stesso popolo, che cosi pegherebbe il vostro zelo, anzichè trarne profitto, e aprir gli occhi alla vera fede. Riflettete all’infausto fine del più grande dei filosofi, del nostro Socrate, della di lui perdite è tuttora fresca, e penosa fra noi la rimembranza; e il saggio Prodico, già mio concittadino, non dovè egli pure, per il vano tentativo di condurre il popolo al vero Dio, bevere la cicuta?

Voi, perdonatemi, siete ancor giovine, e non avete fin qui ben conosciuti gli uomini. Il popolo generalmente ignorante non vuol esser mai urtato nell’opinione; egli vuol’essere ingannato; non è possibile [p. 173 modifica]toglierlo dagli errori, fargli conoscere la materialità del suo culto, senza che sia prima rischiarata la sua mente: ancorché altri adottassero delle misure simili alle vostre, il popolo non si scuoterebbe. Bisogna prima renderlo capace di conoscer l’errore, che abbaglia il suo spirito, e poi da se stessa gli cade la benda dagli occhi senza strappargliela.

Accade, è vero, che mentre dai vostri colleghi potrebbesi concordemente, cd insensibilmente depurare la religione, e rettificare it culto, molti fra essi hanno cura all’opposto di mantenere circa a quella le massime erronee, le pratiche inconvenienti nel volgo; ma ciò non può dai pochi più saggi impedirsi. Questi ne gemono, e ne hanno rammarico, ma son costretti seguitar la corrente, diversamente henno fra i nemici. i più acerrimi, i loro stessi colleghi. Per questo non pochi di quelli, che hanno battuto, e seguono la vostra carriera, hanno pensato, e pensano come noi, adorando il grande Dio nel loro cuore come si deve, ma hanno, riguardo al popolo, seguitato scrupolosamente quelle [p. 174 modifica]pratiche, e quei sistemi religiosi, che esso adotta, e gradiace; così sono stati, e sono rispettabili avanti il popolo, e avanti di noi. Io ho trattato confidenzialmente con alcuni di essi, ed ho, credetemi, sempre rilevato essere tutti a noi conformi in così pensare, ed agire. Essi non posson essere addebitati di finzione, nè d’inganno, perchè, data l’ignoranza del popolo, e questa essendo nel momento invincibile, sarebbe un mal servirlo il togliergli il suo culto prima di renderlo capace di comprenderne, ed apprezzarne altro più conveniente. Fa d’uopo che per quest’intento siagli prima, torno a dire, squarciato il velo dell’ignoranza, che non gli lascia scorgere, che il materiale, e che sia frattanto lasciato credere a suo grado, altrimenti si rischia, che resti privo aflatto di ogni fede, della subordinazione agli Dei, e delle disposizioni ad obbedire ai savi insegnamenti, ai doverosi precetti, che in loro nome gli vengon dati; iļ che porterebbe il sovvertimento della società.

Ecco, voi vedete bene, la necessità della pubblica istruzione, e come dev’esser [p. 175 modifica]questa ben intesa, generale, e costante, poichè l’operazione è per se stessa difficilissima, e non può che a poco a poco rischiararsi lo spirito ottenebrato dal volgo, nè si è sicuri di un esito pienamente felice, e durevole, attesochè lo spirito umano, per la sua perticolar costituzione, non può giungere al possedimento completo della sapienza, e di più finchè trovasi negl’infimi gradi di essa, repugna al suo stesso avanzamento, e bisogna farlo come a forza progredire.

L’ignoranza è nemica ostinata della saggezza, e quella appunto è il retaggio naturale dello spirito umano. Per quanti sforzi faccia questa per abbattere quel brutale inimico, non giunge mai a portargli ferite considerevoli, non che letali. I ministri della sapienza, gli uomini veramente dotti, ed istruiti, atti ad agire, e puguar per essa, non son che pochi, e rari, ed i seguaci dell’ignoranza, gl’infetti di errore, i recalcitranti alla propria istruzione son senza numero; quindi non pouno che lentamenta farsi conquista per parte dell’umana saggezza. [p. 176 modifica]― Secondo ― quel che voi dite riprese allora Sofronimo - le cose anderanno così sempre alla peggio, e non vedremo nella nostra età il lento progresso della sapienza; e certamente se noi dobbiamo lasciar correre intanto tutti gli attuali errori, ella non farà mai progresso veruno; l’ignoranza trionferà sempre; gli uomini, sempre da questa acciecati, non conosceranno il loro bene; sempre travaglieranno all’universale comune infelicità; mai più adoreranno il vero Dio, ma sempre si curveranno avanti questi vani Idoli, questi meschini oggetti materiali, e sempre dovranno i sacerdoti servire di sacri istrumenti per confermare sopra le are gli errori i più pregiudicevoli, per mantenere i popoli nell’acciecamento.

No replicai io; piccoli, e lenti sono i progressi, che fa la sapienza nello spirito umano, ma pure qualche acquisto sempre lo va fecendo; e questo acquisto crescendo sempre in ragione dell’aumento del numero dei di lei figli, ministri, e seguaci, ne accade che sempre maggiori sono i vantaggi, che ella riporta [p. 177 modifica]sopra l’ignoranza. Opra degna dunque sarà scopre dell’uomo saggio l’applicarsi a svellere con destrezza, ed in tutti i modi possibili dallo spirito altrui l’ignoranza gradatamente, e non tutta in un punto, come vorreste far voi. Non ci occuperemmo tutti con impegno a dar la vista, se si potesse, ai ciechi, ai privi di vista nel corpo? perchè dunque non dobbiamo applicarci ad illuminare i ciechi di spirito, allorchè può in ciò più, o meno riuscirsi? La sapienza vera, e perfetta è senza dubbio la stessa Divinità: la sapienza umana è senza dubbio un emanazione tenuissima, più o meno, della Divina: La Divinità dunque si compiace di una tale emanazione per favorire lo spirito umano, piccole scintille, spettando allo stesso spirito umano l’accrescere questo sacro fuoco. Dunque chi gode di questa emanazione, e si occupa a comunicare, e propagare la scienza, serve direttamente la stessa Divinità.

Così va avanzando la sapienza umana, a misura della premura, che si danno gli uomini saggi per la propagazione di essa; ma [p. 178 modifica]essendo eccessivamente abbondante il numero degli ignoranti, finchè il numero dei saggi non è reso meno sproporzionato, poco visibili, e fruttuosi saranno i resultati di tali premure. Facendo per altro il confronto da un secolo all’altro, bene potranno sempre discernersi. Infatti notasi una gran differenza fra il grado di scienza del volgo al tempodei nostri più antichi padri, ed inclusive dal secolo passato, e il grado di scienza in cui oggi lo vediamo, per quanto i veri saggi sian tuttora in piccol numero; e sebbene non possa dirsi il popolo in generale che poco, o punto istruito, è osservabile che in materia di religione era assai più rozzo in addietro, e il suo culto era anche più grossolano, materiale, che di presente.

Verrà un tempo, io spero per il bene dei nostri posteri, in cui la scienza umana sarà estesa in guisa più potente, in cui saranno i saggi men rari; e siccome la depurazione dei costumi è più facilmente eseguibile con la depurazione della religione, sorgeranno, si io spero dei filosofi sublimi più del nostro [p. 179 modifica]divino Platone, che potranno distruggere con mano forte questa religione, come voi dite, irragionevole, questo culto improprio, e fondare altra religione piu degna della Divinità, stabilire un culto piu nobile, ed adequato, e così renderanno i costumi piu retti, ed i popoli meno rozzi, e feroci. Ma che! ... perpetua essendo, finchè sianvi ignoranti, la guerra dell’ignoranza contro la sapienza, parmi già di vedere, che ad una si bella, ed utile religione si opporrà la prima, e non potendo direttamente atterrarla, la caricherà di addobbi superflui, nè pervertirà dei principj, nè farà accreditare delle false interpetrazioni, e rendendola con tali astuzie informe, e dispiacente, perverrà a dividerla in più branche, ad accendere vicendevoli odj, e contese fra i seguaci, e così a indebolirla, e distruggerne l’efficacia.

Pure essendo col volger dei secoli già diminuiti molto gl’ignoranti, se continueranno, come deve presumersi, i saggi a travagliare per l’universale istruzione, faranno [p. 180 modifica]essi sempre piu rapidi progressi; e potranno tanto piu facilmente agire, in quanto che avranno cura, che venghino gl’ignoranti istruiti senza che se ne avvedino. In tal modo aumentato, ed esteso molto il numero dei saggi, s’intenderanno essi fra loro da una regione ad un'altra senza conoscersi, e coopereranno così tutti concordemente in ogni parte allo stesso salutare effetto; e per conseguenza debellata quasi affatto l’ignoranza, poichè ristrette le di lei forze, non potrà essa più ergersi contro la sapienza, e potrà alfine trionfare la religione pura, e semplice, e con essa vedrassi regnare nella specie umana la vera saggezza, accompagnata dal nobil corteggio di tutte le virtù sociali, e private, che mai vanno da quella disgiunte.

Allora gl’ignoranti rari, come sono ora, e piu sono stati avanti di noi i saggi, non oseranno piu alzar la fronte. Allora falti i ricchi tutti meno insolenti, ed i poveri meno superbi, ed arroganti, cesserà la guerra sempre fra loro ostinata. Allora i pochi ignoranti saranno meno venefici, e pericolosi [p. 181 modifica]ed i malvagi saranno meno intraprendenti, poichè sebbene l’accrescimento dei lumi renda i men dotti, e meno virtuosi piu scaltri, e avveduti nel male oprare, piu facili, e pronti saranno altresì i mezzi di prevenire i delitti, di reprimere i male intenzionati, e di conoscere i rei, onde punirli. Allora i vizj saranno poco piu conosciuti, le passioni non trapasseranno tanto spesso i loro giusti limiti, il sordo amor proprio non isolerà piu verun uomo, il petulante egoismo non insulterà più l’altrui decoro, l’amor fraterno riscalderà tutti i cuori, e la beneficenza sarà resa comune, ed omogenea. Allora .... ma hoimè! dubito che più di uno degli anni magnifici di Platone debbino scorrere, per la pigrizia dei dotti, primachè il genere umano possa giungere ad un epoca di così grande, ed invidiabile prosperità2. [p. 182 modifica]Sofronimo dichiarommi di approvare pienamente quanto avevo detto, e di volere adottare i miei consigli, mentre io presi da esso, e da Aristofane congedo. Ma è tempo 3 [p. 183 modifica]ormai che io lo prenda qui pure da voi,giacchè non potrete dolervi che io mi sia poco con voi trattenuto. Vivete felice.

LETTERA

DI

FILETERE A ETEROFILO.


Appena arrivato qui in Larta ho avuto le vostre due Lettere molto ritardate, perchè Stratonico, che qui me le rimesse, non poteva sapere, che a motivo di una febbre indiscreta dovei trattenermi più giorni in Delfo, ov’erami portato per semplice diporto. Di li pertanto vi feci i miei lamenti, di non veder vostre lettere quando la vostra prima mi aveva forse qui preceduto. Io riconosco frattanto, mio caro Eterofilo nella


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[p. 184 modifica]vostra sollecitudine quei tratti di vera amicizia, che scambievolmente ci lega.

Quanto mi dite dei vasi di Etruria non mi giunga nuovo, perchè già ne aveva molto tempo addietro sentito parlare con onore dal vecchio Focione, steto grande amico di Cebete discepolo di Socrate, che diceagli averli colà veduti. Ed ora pol nel passaggio, che feci da Atene, combinai ivi un certo Aristippo di Samo, nomo molto istruito, qual diceva voler percorrere le belie contrade d’Italia per rivedere anche alcuni Pitagorici suoi amici colà stebiliti. E discorrendo dai Vasi di Etruria, mi narrò che fra vari scritti di Pitagora, che si conservano in sua casa, come monumenti di raro pregio, ve n’è uno, ove narra Pitagora alcuni suoi viaggi, e parlando dei bei Vasi Etruschi, dice espressamente, che in un paese sull’arno, distante da Alfea due giornate, se ne fanno elcuni per bere il vino assai graziosi, che son molto utili per le figure simboliche, e iscrizioni sentenziose, che hanno alla superficie, poichè facendosene uso [p. 185 modifica]ogni giorno, pongono sotto gli occhi di continuo delle verità importanti, e delle regole ottime per la propria condotta e che sarebbe bene s’introducesse in Grecia, e per tutto un tal sistema; che anzi bisognerebbe porlo in pratica in tutti gli utensili, e mobili delle case, perchè così servirebbero di diletto, e di singolar vantaggio, venendo ad istruire di continuo, ed insensibilmente la gioventù, e rammentando agli uomini tutti i più sacri loro doveri. Mi soggiunse poi Aristippo, che a Samo pure ai facevano in addietro dei Vasi di creta assai belli, sebbene senza figure, ma che non avea tal arte fatto avanzamento, per mancanza di terre adattate, che per qual che dicevasi dei Vasi Etruschi, erano ed essi inferiori anche nella struttura i Vasi samj.

Credo bene, che Sofronimo potesse esser malamente tentato, come mi dite, nell’esercizio del suo alto ministero, poiche conobbi in esso fin da primo un cuore ingenuo, ed uno spirito assai vivace. Le vostre osservazioni per altro tendenti a reprimere [p. 186 modifica]il di lui immoderato fervore, e fortificarlo con la prudenza, giacchè egli ha veramente poca pratica di mondo, debbon aver prodotto nel medesimo il bramato effetto; esse son giustissime, e degne di voi.

Così pure i vostri prognostici del trionfo dopo moltissimi secoli della sapienza sopra l'ignoranza non so disapprovarli, ma il troppo gran desiderio, che venghino a benefizio dei posteri ad avverarsi, mi fa temere, che ciò non sia per accadere. E' troppo radicata negli nomini in generale l'ignoranza, troppo son essi recalcitranti alla sapienza. L'esperienza, che ci è nota degli avanzamenti della scienza nei tempi scorsi, ci fa conoscere, che fatti essa in un epoca dei notabili progressi, in altra posteriormente fa dei passi retrogradi. Ben è vero, che anche retrocedendo non perde mai tuttociò che be acquistato, restandovi sempre nuovi germi, nuovi depositi, per farla risorgero un poco più vigorosa in appresso; ma questo vicende trattengon molte il di lei propizio andamento. [p. 187 modifica]La malizia teme troppo i lumi della sapienza: vede che venendo per essa mostrata a chiaro giorno, è abbandonata dai suoi aderenti, irritati dal di lei ributtante aspetto, ed è soggetta a sconfitte; laonde è costretta allo splendore della saggezza di ritirarsi, per incominciare di nuovo le sue operazioni altrove, e riparar le sue perdite. Non potendo ella agir rettamente, siccome proclive essendo al male, crede che tutti pensino, ed operin male, ha cura sempre, sia, o nò il caso, di prevenire le cattive azioni, di cui sospetta, con delle pessime; ma fornita comunemente di un grado più, o meno eminente d’ignoranza, non sa effettuare i suoi ostili disegni, che per mezzo delle frodi; e queste dai meno stolti scoperte, ogni suo piano è distrutto, e non può in altro modo riuscirvi. Per questo, bramando evitare così dannosi successi, tenta sempre rimuovere, e distruggere quando può alcuni del sapienti, e pur troppo ottiene alle volta quest’intento.


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[p. 188 modifica]Essa vorrebbe che fossero tutti gli uomini ignoranti, perchè allora dominerebbe sopra i medesimi senza contrasto, mentre quanto ai maliziosi, che potessero fra questi sovrabbondare, non ne trarrebbe che profitto, perchè vi è adesione, e reciproca tolleranza fra loro. Essa è sempre a disposizione degli ignoranti potenti. Posta da costoro in attività, essa è capace di ogni frode, di ogni ingiustizia, di ogni gran male. Gl’ignoranti volgari son meno da temersi per il lato della malizia per loro stessi; ma non meno funesta è la guerra che fanno essi pure alla sapienza, allorchè in specie sonovi spinti dagl’ignoranti potenti, dai maliziosi. E’ per essa che sono i sapienti disprezzati, e posti in ridicolo, la loro dottriną screditata, son le loro più rette proposizioni stravolte, ed i semplici, ed imparziali ignoranti impegnati, e trascinati della maligna, iniqua tenzone. Di qul è che i saggi, se presumono urtare contro la folla suscitatigii contro dalla malizia, coadiuvata [p. 189 modifica]dagl’ignoranti potenti, devon necessariamente soccombere. Per questo deve a cautela la sapienza stessa talvolta occultarsi, la ragione deve tacersi, la verità deve velarsi, devono i falsi principj esser col silenzio approvati, e fino le più ree, abominevoli azioni, con occulto ribrezzo applaudite.

Queste luttuose circostanze forman tutte certamente dei grandi, e sempre rinascenti ostacoli alla propagazione della scienza nella specie umana. Non vi sono che i saggi potenti, e ricchi, che siano in grado di favorire, e accelerare francamente, e con sicuro successo questa propagazione; essi hanno possente braccio di trar seco moltissimi seguaci, e di rintuzzar l’orgoglio degl’ignoranti maligni, che devono al loro cospetto divorare il proprio livore. La provvidenza, che senza dubbio favorisce la propagazione della sapienza, pare che al di d’oggi abbia permesso, che sian dalla sapienza preoccupati non pochi dei ricchi potenti, per conculcare un poco più l’ignoranza a benefizio della società; ma questo [p. 190 modifica]raro, fortunato evento chi sa se sarà durevole? e come assicurarci il godimento conliquo di questo favore, allorchè da molti è altronde disprezzato, de molti è capricciosamente agito in opposizione? sorgono in fatti spesse volte dei vili, assai potenti ignoranti, che pare diansi particolar premura d’infievolire, e scoraggire i pacifici laboriosi ministri della sapienza, e di soffogare il genio loro sublime. Che se io spirito umano fosse in libertà di agire a suo grado, per il grandioso oggetto di render comuni a tutti i lumi propizi della saggezza, e fosse anzi instigato a far uso per quest’intento di tutta la sua energia, oh quali utili progressi si anderebbero mai facendo, e con quanta celerità! quanto diminuirebbero i mali, che affliggono la misera umanità! quanto esteso diverrebbe l’impero delle virtù, e sotto di esso quanto presto sparirebbero i vizj, e le perverse azioni, e quanto in conseguenza sarebbe dolce, e tranquillo il viver nel mondo!

Le vostre nuove lettere dirigetemele [p. 191 modifica]tuttavia per mezzo di Stratonico, poichè prevedo dover ripassar fra poco nell’Etolia, per ultimare da me stesso un mio affare colà. Intanto procurate star sano, come di cuore vi desidero.

FRAMMENTO DI LETTERA

DI ETEROFILO.


... ; Teodetto, che mi ascoltava taċito, e pensoso, prese allora la parola, dicendo. — No, l’interesse non mi da pena, l’invidia non mi anima. E’ l’ingiustizia quella, che avendomi già altre volte colpito, mi ha ora esacerbato all’estremo. L’ingiustizia è per me il delitto più grave, che possa mai commettersi avanti a Dio. Io non posso quasi vedere chi è macchiato di sì rea colpa. Dio, che è la stessa giustizia, è troppo direttemente dall’ingiusto oltraggiato; egli è come contradetto con orgoglio. [p. 192 modifica]Non è, che io mi creda ornato di una cultura speciale di spirito, fornito di eccellenti qualità personali, e perciò meritevole fra gli altri di distinzione, ma reputo ingiustizia, e ingratitudine somma il vedermi nelle dignità posposto a uomini, che, senza sorpassarmi nelle qualità, e doti dell’animo, hanno reso meno servigi allo stato, uomini i di cui diritti nascono dalle cognazioni, dall'adulazione, o da estranal influssi geniali, e che ....; ma non importa; si faccia coraggio; si cuopra l’ingratitudine di nobil disprezzo; si vada esule volontario in terra straniera, lungi dalla Macedonia, lungi dalla patria. Si, Tessalonica e Filippo più non mi rivedranno. Voglio con i miei viaggi divergere ogni trista idea d’ingiustizia fino che trovi un paese campestre, e dilettevole, ove passar con quiete quei pochi giorni, che mi resteno per portarmi nel regno della vera, imparziale, infallibil giustizia.

Credetemi, gli soggiunsi, che la fortuna, come vi ho detto, pocanzi, è il vostro più forte nemico. Essa, non saprei dirvi come [p. 193 modifica]acoada, ha senza dubbio gran potere, ed arbitrio nelle umane vicende; essa ha sempre gran parte nelle operazioni, e negli eventi degli uomini, e delle nazioni, nelle piu piccole cose, come nelle rilevanti. Essa è quella che vi ha più volte sottratto ai benefici influssi dell’umana giustizia, perchè, a seconda del suo solito stravagante procedere, ella favorisce comunemente i men degni, e trascura, e percuore i saggi, attesochè sa bene di esser da questi vilipesa, e screditata. Un tale di lei potere gli è, deve credersi, permesso dalla Divina Provvidenza, per eserci tare la sofferenza, e conoscer la fortezza di coloro, che son per di lei opra agitati, riservandosi il Nume d’interporre la suprema sua autorità per frenare i di lei capricci, e impedire i di lei trascorsi quando gli piaccia, e reputi necessario; ma frattanto il potere di costei, debole, ed instabile si, ma estremamente bizzarro, bisogna ammetterlo, e deve riconoscersi.

Io mi figuro la Forinna, dicevami il vecchio Timone di Sparta, come occupata [p. 194 modifica]sempre invisibilmente sopra le nostre teste a ravvolgere la sua gran rota, per trar seco, e indi rigettare questo, o quello dei miseri mortali, che più le aggrada. Essa domina ovunque per mezzo delle sue ministre, cui ha fatto parte della stessa sua autorità, dei suoi capricci. Queste, conformi ad essa nell’agire, trattengonsi ordinariamente sopra le grandi città, ma non lascian di quando in quando portarsi con i loro rotoni sopra le piccole, e fino sopra le umili capanne. Così ogni città, ogni paese ha nel suo cielo spesse volte in attività un egual rotone.

Questo rotone ha molto largo, e comodo il cerchio della circonferenza, ed al di fuori di esso sonovi dei forti adunchi ganci; egli ha un asse ben grosso sostenuto da varie alate ninfe di averno, che con l’incostanza, la bizzarria, e le volubilità son pronte ad ogni cenno della fortuna; questa Dea, priva degli occhi, e dell’onor della chioma sta sopra un lato assai prolungato dall’asse, in atteggiamento instabile, ed in sembiante indeciso, sollazzandosi a girare il rotone a sua fantasia. [p. 195 modifica]Quantunque non possa questa Dea vedere gli oggetti nel loro genuino aspetto, sa bene discernerli in virtù del fuoco celeste che l’anima. Essa portasi or quà, or là in un momento per attivare, istruire, e sollecitare le minfe del suo seguito nelle occorrenti operasioni. Chi per mezzo dei ganci del suo rotone è tratto espressamente d’infra la folla del popolo, se ha la destrezza di afferrare il cerchio, e introdursi francamente nell’interno, ivi è della Dea ben accolto, ed accarezzato, ed è indi fatto scendere dolcemente a terra, con esser prima ricolmo di donativi, consistenti in gemine, e ricchezze, che ha ella stessa ad altri involate, e rapite, e che hanno inerente la virtù di fare acquistar onori, e dignità, fra gli altri uomini. Chi tratto dal rotone resta ivi attaccato stupefatto, e non sa profittare dell’occasione onde presentarsi alla Dea, che lo ha così a se chiamato, è da essa, col volger più rapidamente rotone lungi da quello rigettato. Così pure è alle volte impedito ad alcuno per gelosia l’introdursi nel rotone da coloro che trovanvisi [p. 196 modifica]ammessi, quali lo respingono, tagliandogli le braccia, se fia d'uopo, e gli cagionano una aconcia, e fatale caduta.

Talvolta si compiace costei trarre di nuovo a se col rotone quello, che già distinse con i suoi donativi per colmarlo di altri più considerevoli, ed ora trae a se l'altro, che già beneficò, e si diletta spogliarlo da se stessa, non solo dei beni, di cui già lo colmò, ma dei dilui propri ancora, e rigettarlo quasi nudo in mezzo alla plebe, per vederlo ivi dileggiato, e alle volte percosso.

Alcuni all'opposto sono da essa, per caso però raro, ed insolito, tratti nel rotone più, e piu volta per quasi tutto il corso di lor vita, e questi hanno così acquistato pratica tale dei tuoghi ove suole il rotone piu comunemente star librato presso il suolo, a dei modo d'introdurvisi, che vi ascendono quasi ogni volta, che gli aggrada, e per il parzial trasporto, che ha per essi l'ingiusta Dea, posson anche seco condorre alcun altro di loro piacere.

L'avvicinamento poi alle volte soverchio [p. 197 modifica]del rotone al suolo fà si, che son per esso nel ravvolgimento tratti accidentalmente uomini privi di ogni merito, uomini rozzi, disonesti, ed anche malvagi, ai quali la fortuna si compiace in principio far buona accoglienza; ma questi per lo più son da essa in seguito cacciati fuori del rotone a forza, e col moto accelerato di quello scagliati lungi precipitosamente.

Se si potesse veder questo rotone, che sovrasta spesso in ogni paese, sarebbe facile ad ognuno l’avvicinarsi ad esso, ed introdurvisi, onde prostrarsi alla fortuna, e tentare d’incontrare il di lei genio, o per afferrarle bruscamente il mal fermo piede, e renderla per tal violenza propizia, siccome ella stima, e favorisce alle volte i più audaci, ed impertinenti; ma essendoci la manuvra invisibile, non si può rintracciar la fortuna quando si vuole, nè conviene sperarne in alcun tempo il benigno infinsso, perchè non si può esser tratti dal rotone che a caso, o se per di lei [p. 198 modifica]disposizione, non dipende questa che da un dilei strano, e troppo incerto capriccio.

Vi è un solo mezzo indiretto di procurarsi il favore della fortuna, ed è d’indirizzarsi ai prediletti di essa, che bene si distinguono dalle ricchezze straordinarie, che possiedono, dai beni accumulati con molta celerità, da onori acquistati con poco merito; e questi, come cogniti dei luoghi ore più spesso aggirasi l’amato rotone, posson volendo condurre ad esso, e presentare alla volubile Dea alcun nuovo adoratore: o si può anche ricorrere ai discendenti di tali Ah! non fia mai vero esclamò Teodetto che io mi valga di simili mezzi, che io possa umiliarmi a persone di tal fatta: i ricchi son generalmente tutti pieni di amor proprio, nemici occulti delle scienze, e degli scienziati, sprezzanti di coloro, che non son punto favoriti dalla fortuna, quasichè ella segnalasse. i più degni, insensibili per natura ai mali, che opprimodo gl’infelici, alieni dalla beneficenza, e [p. 199 modifica]dandone saggio per ostentazione, estranei alla gloria delle virtuose azioni. No, ripresi io, vi son dei ricchi del tutto diversi, quali son quelli, che non curati dalla fortuna, e niente bisognosi del di lei favore, discendono dai prediletti speciali di essa; e questi, divenuti per conseguenza senza attual dilei interposizione potenti, e dignitosi, ed alcun poco amanti della saggezza, e delle virtù, posson facilmente da loro stessi far riconoscere, ed apprezzare gli uomini, degni e colmi di meriti, onde venghin collocati nei posti, che giustemente gli si devono, e sia così sopra più stabili basi fondato il loro avventuroso avanzamento.

Intanto arrivammo all’isola di Renea, e si troncò tal discorso, che io andava facendo per sollevar Teoletto dal suo tristo umore. Ivi egli scese a terra, avendo destinato di trattenervisi alcuni giorni, e mi abbracció dicendo - Oh quanto invidio la vostra, indifferenza, e la vostra superiorità di animo nelle umane traversie! -Io prosegul il viaggio per Delo, ove arrivai poco dopo, [p. 200 modifica]essendo il vento propizio ed il mare del tutto placido, e tranquillo. Teodetto in realtà non si lamenta a torto; e voi che siete ben cognito del di lui sublime talento, e di quanto ha sofferto, e quanto ha dovuto sacrificare per il servizio della patria, converrete meco facilmente, che è stata una vera ingiustizia il trascurarlo, il non valersi della di lui abilità; ma egli è troppo probo, troppo attaccato alla giustizia per esser prescelto; egli non sa far conoscere i suoi talenti, molto meno sa umiliarsi; Altronde essendo da prevedersi ulteriore di lui avanzamento, alcuni di quelli fra i quali potrebbe un giorno militare amano di evitare un tal compagno temono, posti in linea, potervi scomparire, di avere un censore non sempre segreto, ed anche di poter esser supplantati, calcolando i procedimenti del saggio secondo la loro abitudine,

Dopo dimani lascierò Delo, e fermatomi un momento nella deliziosa Andro, mi restituirà in Iouli, ove spero trovar vostre [p. 201 modifica]{{Pt|lettere. State samo, e tornate presto in seno alla vostra famiglia, e fra le braccie del vostro

Eterofilo.


FRAMMENTO DI LETTERA

DI FILETERE


P
oco posso dirvi di Larta, e delle altre città dell’Epiro; pure vi darò in altra mia il distinto ragguaglio, che mi richiedete del mio viaggio in questo regno, e nell’Etolia, per quanto non sianvi cose di gran rimarco, in paragone delle amene contrade dell’Acaja, e della Tessaglia, e dei magnifici monumenti, di cui abondano le vaghe, e ricche città di esse. Vi dirò ora qualche cosa sopra agli articoll, che mi proponete circa all’anima, ma [p. 202 modifica]per pura intellettuale, mai però frustanea ponderazione, e con quelle reflessioni, che mi si presentano così all’improvviso, e senza garantirvene in conseguenza la solidità, poichè materie di questa fatta non posson trattarsi con ristrettezza di tempo, richiedendo assai lungo esame: noi le discuteremo maturamente al mio ritorno, quando riassumeremo le nostre filantropiche conversazioni.

Quanto alla trasmigrazione noi andiamo d’accordo a crederla una chimera: questa bizzarra idea di Timeo influisce però molto ad accreditare il nostro domma dell’immortalità dell’anima. Imperocchè, se l’anima umana è, secondo esso, abilitata a passar dal corpo di un uomo in quello di un animale, è certo, che anche ammettendosi, che dopo la morte di quest’animale, ella si dissipi, è già state, quanto alla morte dell’uomo, immortale, essendo passata nell’animale; e se è stata immortale una volta, chi può sostenere che non possa esserlo sempre? Se fosse mortale, non potrebbe [p. 203 modifica]sussistere dopo sciolta alla morte del primo corpo abitato, perchè al di lei scioglimento la sua deperizione sarebbe inevitabile, dovrebbe evaporare alla prima occasione, ma non dissolvendosi, al parer di Timeo, alla morte del primo corpo abitato, deve necessariamente riconoscersi in essa la prerogativa di essere per se stessa incorrultibile, di essèr per natura capace d’immortalità, dependentemente dall’Essere Supremo, di lei Autore.

Ma noi abbiamo già sufficienti prove altronde della sussistenza della nostra opinione sopra l’immortalità dell’anima, e nulla ne esclude la possibilità. Infatti perchè una sostanza intelligente, come la nostra anima nel grado competente non potrebbe essere immortale? Perchè l’Onnipotente Dio, che ha fatto esistere tante, e tante diverse specie di esseri materiali, e molti così tenui, che appena si vedono, e che ci fanno presumere essercene altri affatto impercettibili, non può averne create varie specie degl’immateriali, dei suscettibili d’immortalità? Non si può mai, senza renunziare al buon senso, [p. 204 modifica]sostenere la non esistenza di tutto ciò che non si vede, nè si puo con idee materiali comprendere; un tale irragionevol pensare ci porterebbe anche ad impugnare la stessa esistenza di Dio, della quale nessuno più dubita.

Qual bassa idea mai sarebbe quella di credere, che fuori di Dio non sianvi altri esseri intelligenti immortali, e che Egli non abbia adoratori altro che nella materia! ma quali adorazioni sarebbero in tal caso quelle degli uomini? adorazioni momentanee, e insignificanti; esse non differirebbero nella sostenza, e quanto egli effetti dal rauco suono della voce degl’insensati animali: idea falsa, e di assurda conseguenza, mentre è di fatto, che le adorazioni degli uomini son formate con cognizione, son proprie esclusivamente dell’intelligenza. Ease si ammette giustamente, che sianvi altri esseri intelligenti, da Dio creati, di natura consimile, corredati d’immortalità per farli partecipi della sua gloria, e fare in tal creazione altresì maggiormente risplendere la sua gloria, [p. 205 modifica]perchè non potrebbe l’anima umana, sostanza intelligente, esser pure ammessa, a dilui piacimento, a tanto onore?

Non osta che si opponga, che per quanto dicasi, che l’anima nostra è un emanazione della Divinità, la sostanza loro è senza dubbio sommamente diversa; che la sostanza dell’anima umana è puramento quanto alle facoltà intellettuali simile alla divina, ma son queste limitate, deboli, ed imperfette nell’umana, mentre nella divina sono infinite nell’attività, e nella perfezione, onde deve congetturarsi che sia la sostanza dell’anima umana per la sua tenuità, e imperfezione dissolubila; poichè a tale obiezione serve la replica, che avendo Dio par l’onnipotenza la facoltà di far sorgere esseri spirituali dotati d’intelligenza cospicua, e dell’immortalità, può altresì dar l’immortalità ad esseri di tenue intelligenza, e più inconsiderevoli, ed imperfetti, e ciò qualora non voglia ammettersi, che la sostanza intelligente qualunque ha in se stessa inerente per natura l’ [p. 206 modifica]immortalità, mentre ciò ammesso si rende superflua l’addotta replica.

Per questo io mi rammento sempre con piacere la vostra opinione, quanto adequata, e coerente all’onnipotenza di Dio, altrettanto probabile; che moltissime classi possino esservi di esseri spirituali di più, e meno intelligenza forniti, dal più perfetto per altro dal quali all’Essere perfettissimo debba sempre esservi una distanza infinita, che la nostra anima sia della classe infima di tali esseri, che lo stato di essa sopra questa terra sia, come della sua infanzia, della sua educazione, atta a dare il conveniente sviluppo alle sue intellettuali facoltà, e che dopo lasciato il corpo debba passare ad altro stato di più sublime, e nobile esistenza, dilettevole e gioconda, se abbia nel suo primiero stato quaggiù meritato questa propizia sorte, o ad uno stato di purificazione, e di Pena, se nel primitivo stato di educazione qui in terra, non ha bene adempito ai propri doveri, non ha depurato se stessa, con obbedire ai retti dettami della [p. 207 modifica]sua intelligenza, e praticato la virtù; pensiero in questa ultima parte conforme all’universale consentimento, che siavi uno stato di vita beata, o penosa in futuro nell’Averno.

Che possino poi gli esseri intelligenti essere abilitati dal Creatore, con le variazioni del loro stato a salire da un grado ad altro più notabile di perfezione, sempre però tenuissimo, riguardo all’Essere di perfezione infinita, è un idea, che voi non potrete mai appoggiare a verun dato, che sia atto ad accreditarla, ma non è per me punto improbabile, e sembrami coerente essa pure alla potenza, sapienza, e beneficenza infinita di Dio4


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Anche Aristomene il gran maestro di Socrate ammetteva l’esistenza di più classi di esseri spirituali, come di glorioso corteggio del Dio incognito, immortali com esso, sebbene inferiori moltissimo nell’intelligenza. Egli credevà di più che potessero esservi degli esseri intelligenti nelle classi inferiori, che non godessero per loro natura dell’immortalità, ma che non potesse sapersi qual grado d’intelligenza fosse il designato, e necessario perciò per godere dell’immortalità, e ne fosse così il distintivo. Ciò, diceva egli, è confermato dall’opinione di tutti i popoli, mentre hanno in generale collocato in cielo soltanto quegli uomini, che sono in vita stati qualificati per eroi, che nel rendersi in straordinario modo utili alla


Tompson, allorchè ha detto. Altronde chi sà per quali gradi di esistenza debba l’uomo inalzarsi a poco a poco, e pervenire ad uno stato più perfetto? The Seasons. The Spring. Visione filosofica delle meno forse aerae, e delle più dilettevoli, e lusinghiere. [p. 209 modifica]società, o segnalarsi nella probità, e nell’esercizio delle virtuose azioni, hanno mostrato avere inalzato la loro intelligenza ad un grado molto sublime.

Or riassumendo, il vostro propostomi argomento, l’ostacolo, che credete possa produrre nella mente di alcuno all’immortalità, l’indebolimento, che si osserva recato all’anima dalla vecchiezza, parmi possa plansibilmente appianarsi col semplice esame del modo con cui questa affligge il corpo. È vero che l’anima, decorso lo stato di giovinezza, e floridità del corpo che abite, perde il più delle volte una gran parte delle forze sue intellettuali, della propria energia, in guisa che, a misura che s’inoltra il corpo nella vecchiezza, essa si restituisce nel primiero stato di sua fanciullezza; e questo disgraziato suo retrogrado procedimento par che porti a dover congetturare, che alla morte del corpo debba altresì seguire la final deperizione della di lei tanto già attenuara intelligenza; ma prima di aderire ad un apparente conseguenza di tale importanza, [p. 210 modifica]convien fare le correlative osservazioni di fatto.

L’anima umana, dopo la sua conveniente coltura, e il completo ingrandimento del corpo, cui è addetta, mostra il competente sviluppo delle sue facoltà intellettuali, o di agir liberamente coll’energia propria del suo grado; Pur tuttavia le sue operazioni spirituali ella non le eseguisce, che dependentemente dai servigi prestatile il corpo, e non le manifesta, che col favore dei di luj organi: è certo che non posson quelle aver luogo senza tali correspettivi servigi. Dunque gli atti dell’intelletto nell’esercitarsi, e per rendersi manifesti devon necessariamente seguire le vicissitudini degli organi del corpo, in modo che devon restare occulti in tutto, o in parte, secondo che son gli organi in tutto, o in parte impediti a prestare il consueto servizio, e in proporzione dello stato di vigore, con cui posson essi prestarlo.

Così quando il corpo è stanco, e le di lui forze vitali sono affievolite per un lungo [p. 211 modifica]continuato, o breve, ma violento esercizio degli organi, e deve esso perciò abbandonarsi al sonno, l’anima non può più per di lui mezzo esternare le proprie operazioni, e deve agire occultamente, debolmente, ed in guisa alle volte stravagante, come i sogni comprovano, atteso il freno, che pongono alla di lei energia gli organi stessi, che intenti coll’inazione a riparare le perdute foize, ed a ristabilire il necessario equilibrio, ricusano, non si sa come, di corrispondere ai soliti dilei eccitamenti, e le impediscono la manifestazione fino delle più tenui, usuali dilei operazioni. Lo stesso, a molto maggiormente accade, e deve inevitabilmente accadere quando gli organi vengono a soggiacere a qualche parziale sconcerto, o dissestamento, quando il corpo è infermo.

Fin qui nulla può opporsi da veruno a queste rilevanze di fatto; ma è ora osservabile, che, desto il corpo dal sonno, libero dalla malattia, per quanto sia stata lunga, e penosa, torna l’anima a spiegare la stessa


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[p. 212 modifica]attività, che aveva precedentemente, purchè sian gli organi tutti restituiti parimente nel loro conveniente stato, siccome l’inabilitazione di alcuno di quelli, che più direttamente servono a far costare delle di lei azioni, ne impedisce a proporzione la genuina manifestazione.

Se dunque lo spossamento della macchina umana per il lungo, e alle volte troppo violento esercizio degli organi non porta detrimento permanente, ma al più temporario nell’attività dell’anima, ed essa dopo il riposo, ed il sonno riacquista la primiera energia; se dopo l’infermità similmente ritorna essa, più o meno sollecitamente nel suo primitivo grado di perspicacia, ed intelligenza, è forza il concludere, che una volta che ha l’anima adequatamente sviluppato il proprio intelletto, e rischiarato il lume della ragione, sono come indistruttibili questi suoi progressi dalle vicissitudini disgraziata del corpo, dall’impotenza dei di lui organi a continuare a prestarla il consueto servizio.

E se durante il sonno, o l’infermità non [p. 213 modifica]’ 211 può l’anima agire, o mostrare le sue intellettuali operazioni, perchè gli organi del corpo non sono nella situazione favorevole, e necessaria per far manifeste queste di lei operazioni, o sia per la loro spossatezza, sia per la sopraggiunta fisica impotenza, è indubitato, che il semplice deterioramento della macchina umana, indotto dalla vecchiezza, deve similmente portare, più, o meno marcata inattività nel servizio surriferito degli organi alle operazioni dell’anima; e questo deterioramento, o indebolimento graduate degli organi, deve necessariamente tango andare equivalere ad una vera, e reale infermità, quantunque sia il corpo nel suo complesso sanissimo.

Applicate pertanto queste osservazioni di fatto all’indebolimento delle forze intellettuali dell’anima nella vecchiezza, e scopertane la causa nell’indebolimento degli organl del corpo, che non corrispondono, secondo il consueto, ed il necessario, ai loro offici, si può con tutta probabilità dedurne, che se i sonni reiterati, le lunghe malattie non [p. 214 modifica]alterano il grado delle forze intellettuali dell’anima, dato sempre il ristabilimento nello stato primiero degli organi, neppure la vecchiezza, l’indebolimento sempre crescente di questi, devon portare intrinseco nocumento al grado di forza, e di energia dell’anima; e per conseguenza, che dato, per ipotesi aerea, il ringiovirimento istantanco della macchina umana, il ristabilimento dei di lei organi nel già proprio vigore, in mezzo alla più inoltrata vecchiezza, dimostrerebbe subito l’anima di nuovo quel grado stesso di cultura, e d’intelligenza, cui erasi potuta nella giovinezza elevare.

Così dunque se può un anima, un essere intelligenta vivere senza il corpo, come noi convenghiamo, è del tutto presumibile, che possa l’anima umana esistere senza il corpo, sopravvivere allo scioglimento di esso, che, la vecchiezza, l’indebolimento dei di lui organi non recando all’anima nocumento permanenta, con impedirne l’attività, riprenda questa subito, e [p. 215 modifica]pienamente, dopo la morte di quello, il primiero grado, che fra gli esseri intelligenti aveva, vivente il medesimo acquistato.

Speriamo che i nostri posteri potranno un giorno, anche con altre ragioni, rimuovere ogni dubbio sopra l’immortalità della nostra anima; ma frattanto quanto sia plausibile, e regolare la soluzione, che vi pongo con l’occhio, di quello, che mi avete proposto lascio giudicarlo al vostro perspicace intelletto; e quanto sia grato, e consolante l’adottarla lo sentirete nel vostro cuore.

Del modo poi dell’esistanza dell’anima; sciolta che sia dal corpo, che potrò dirvi? Qui non vi son fatti, l’analogia ci abbandona; una oscura nube adombra l’intelletto: l’immaginazione si avvilisce:. della deboli congetture posson divertirci, ma non persuaderci. A quest’unico oggetto pertanto ...

Fine

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INDICE

DELLE MATERIE.


Lettera I. Ricerche dei Boccali con iscrizioni, e inesitienza attuale di essi |||
 pag.3
Lettera II. Parte prima dell'istoria di Eusebio, narrata da lui medesimo. |||
 14
Lettera III. Seconda Parte dell'istoria di Eusebio narrata da lui medesimo |||
 51
Lettera IV. Fine della storia di Eusebio |||
 76
Succinto ragguaglio del ritrovamento, e della successiva deperizione dei Boccali scritto da P. Giacomo |||
 81
Notizie circa ai Boccali, redatte dal P. Carlo |||
 95
Descrizione delle figure dipinte sopra i Boccali antichi, e loro spiegazione |||
 108
Descrizione delle figure dipinte sopra i Boccali meno antichi, e loro spiegazione |||
 130
Nota dei Motti dei Boccali con iscrizioni |||
 144
Lettere, e frammenti di Lettere tradotte dal Greco |||
 150
Lettera di Eteofilo a Filetere |||
 161
[p. 217 modifica]
Ottima opzione fra i Greci dei Vasi Etruschi, e dei Boccoli con figure |||
 151
La trasmigrazione confutala. |||
 155
Altra lettera di Eterofilo a Filetere |||
 161
Qulità delle giovani valevoli a procupar loro un vantaggioso maritaggio |||
 162
Disprezzo dei dotti della Grecia verso gl’Idoli |||
 165
Guerra ostinata dell’ignoranza contro la sapienza, e vantaggiosi, ma lenti succejsi di quest'ultima. |||
 173
Letter di Filetere e Eterofilo |||
 181
Dell’elogio di Pitagora dei Boccali figurati. |||
 182
Danni gravissimi recati alla sapienza della lega della malizia umana con l’ignornza |||
 185
Frammento di Lettera di Eterofilo |||
 189
Descrizione della fortuna, e del di lei strano governo. |||
 191
Frammento di Lettera di Filetere |||
 199
Pensieri di questo filosofo circa all’anima. |||
 200
[p. 218 modifica]

errori

correzioni

pag.   6 v. 1   er paisuaso    eri persuaso
"  8 " 16   piaceva   piccava
"   12 " 13   jubas     jubes
"   15 " 4   essermi    essermivi
"   16 " 18   felicità   Felicità
"   29 7   da me   dal
"   95 " 6   redotti   redatte
"   117 " 5  colpi   colpire il
"   130 " 15  vecia   varia
"   150 " 20  siut et   sint, vivant, et
"   164 " 22   imporla   insoria
  1. Questo pensiero di Eterofilo circa alla gradazione degli esseri non è dispregievole, Tostoché il dottissimo S. Agostino ha detto uniformemente parlando degli attributi di Dio Qui ommia tangis, nec tamen omnia tangis aequaliter. Quaedam enim tangis ut sint, non tamen ut vivant, sentiant, et discernant, quaedam vero tangis ut sint, et vivaut, non tamen ut sentiant, Et discernant. Quaedam vero tangis ut sint, et senJiant, non tamen ut discernant. Quaedam vero tangis ut sint, vivant, sentiont, et discernant. Et cum Jubimetipsi numquam dissimulis sis, dissimiliter tamen tangis dissimilia etc. Meditat Cap. 19.
  2. Oh quanto giubbilerebbe Eterofilo, se fosse vivo al di d’oggi, e vedesse come nella massima parte dell’Europa si vanno, con l’
  3. istituzione delle scuole primarie, a preparar nuovi, e piu forti eserciti, atti ad espugnare le falangi numerose dell’ignoranza; e come nelle nostra Etruria altresì, madre feconda di sublimi ingegni, dai molti prediletti della sapienza, che in essa mantengono non poco dell’antico splendore, si travaglia ora possentemente ad un si proficuo stabilimento, onde aumentare il numero dei di lei combattenti; cosicchè, con la cooperazione delle legioni sempre vittoriose della prudenza, è sperabile, che si ottenghino presto dei considerevoli vantaggi, con accrescersi sommamente lo sviluppo dell’intelligenza fra gli uomini, dal quale la sana morale, la vera religione, e il ben essere conseguente della società unicamente dipendono, e che l’ignoranza, e le malizie, con la loro vili, disordinate milizie, debbino esser costrette a batter la ritirata, e contentarsi di esser lasciate vivere in pace, purchè inattive, nei loro accantonamenti!
  4. Vedesi bene da tutto questo, che avevano i dotti dell’antichità un idea, non però ancora adequatamente sviluppeta, di una vita futura, correspectiva al contegno tenuto nel monde. E quanto al perfezionamento deli’anima un consimil pensiero è caduto modernamente in mente all’Anglico Genio