Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee - Vol. 1/Libro II. Capo XXVI

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Libro II. Capo XXVI. Periodo III. Dai primi tentativi della Lombardia alla propria indipendenza sino alla distruzione di Milano per opera del Barbarossa 1024-1162

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Libro II. Capo XXVI. Periodo III. Dai primi tentativi della Lombardia alla propria indipendenza sino alla distruzione di Milano per opera del Barbarossa 1024-1162
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CAPO XXVI.


Periodo III.


Dai primi tentativi della Lombardia alla propria indipendenza sino alla distruzione di Milano per opera del Barbarossa 1024-1162.


Riusciti vani i tentativi per ristabilire il regno d’Italia in un principe della propria nazione, i magnati, compresi gli stessi vescovi, ch’erano in buon numero divenuti in quest’epoca signori territoriali, non chè le città principali governate da proprii conti, rivolsero le loro mire, anzichè alla comune, alla [p. 351 modifica]propria individuale indipendenza. Questa rivoluzione, scrive il Durando, è dovuta all’influenza immediata e progressiva, ch’ebbe il regno di Ardoino sugli animi e sul governo degli Italiani, la quale a poco a poco li condusse a scuotere il giogo dei re di Germania.

Una prima prova l’abbiamo allorchè i principi Alemanni, adunati in Magonza per dare un successore ad Arrigo, invitarono a quella dieta anche i principi Italiani, e questi non solo si rifiutarono, ma tennero anzi essi stessi nel 1024 una dieta in Roncaglia allo scopo sovra indicato. Questi però non si accordarono nella scelta, e la loro discordia mosse l’Arcivescovo di Milano, Eriberto, ad offrire da se solo la corona d’Italia a Corrado il Salico1, già succeduto ad Arrigo nel trono della Germania l’anno medesimo della morte di lui (1024). Corrado con ricchi doni e larghe promesse comperò poi l’adesione di alcuni grandi del regno e fu incoronato dallo stesso Arcivescovo l’anno 1026 nella basilica di S. Ambrogio2. La potenza degli Arcivescovi di Milano, ch’era di molto accresciuta sotto gli Ottoni, ebbe da questo punto il suo maggiore sviluppo, come vedremo ben presto. Frattanto gioverà qui espor brevemente la successione dei re d’Italia in questo terzo periodo della nostra Storia.

Corrado fu poi l’anno appresso (1027) incoronato Imperator de’ Romani da Papa Giovanni XIX. Venne a morte nel 1038 e [p. 352 modifica]gli successe nella corona d’Italia Arrigo II, suo figlio, incoronato imperatore nel 1046. Regnò circa dieci anni e lasciò un figlio dello stesso suo nome, Arrigo III, che fu consacrato re d’Italia nella tenera età di anni sei l’anno 1056, e Imperatore l’anno 1084 in S. Pietro dall’antipapa Clemente III, vivente ancora Gregorio VII. Sono troppo note, e d’altronde fuori del nostro scopo, perchè possiamo occuparcene, le contese tra la Chiesa e l’Impero in questi tempi di universale sconvolgimento e perciò le lasciamo del tutto3.

Arrigo deposto alla fine dalla dieta di Magonza l’anno 1106, ebbe a successore il proprio figlio Arrigo IV, incoronato [p. 353 modifica]Imperatore nel 1111. Questi venne a morte nel 1125, e non avendo lasciato figli, la sua successione fu contrastata tra Federico e Corrado figli della sorella di Arrigo IV, Duchi di Svevia, originarii dal Castello di Hohenstaufen, dal quale vennero denominati, e Lotario, conte di Supplimberga in Sassonia. Quest’ultimo fu il fortunato, avendo ottenuto dopo una lotta di parecchi anni di essere incoronato Imperatore l’anno 1133 da Papa Innocenzo II. Morì quattro anni dopo nel 1137, e la sua successione fu egualmente contrastata tra il suddetto Corrado di Svevia e Arrigo d’Este, duca di Baviera e di Sassonia. La vinse il primo e dal suo tempo si propagarono da prima in Germania quelle funestissime fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, che lacerarono in processo di tempo anche la nostra misera Italia4.

Morì Corrado nel 1152 senza aver mai posto piede nella nostra penisola, e gli successe il figlio di suo fratello, Federico I, detto Barbarossa, del quale or ora parleremo.

In questo lungo periodo di circa un secolo e mezzo la storia dei re e Imperatori di Germania e d’Italia non ci offre che una sequela di discordie e di guerre civili tra famiglie e famiglie, tra stato e stato, tra Chiesa e Impero, che a vicenda si dilaniano e mettono lo scompiglio per ogni dove. In mezzo a queste lotte intestine si può dire che la Lombardia sia rimasta come abbandonata a se stessa. Alcuni de’ regnanti erano fanciulli inetti affatto al governo, altri o non si videro mai in Italia, o non vi scesero che per lacerarla da un capo all’altro. [p. 354 modifica]Niuno poi d’essi si aveva il menomo pensiero di promuovere il migliore ben essere de’ proprii sudditi. Si direbbe che lavorassero tutti a distruggere, anzi che a edificare. Perciò non è maraviglia, se i principi e magnati d’Italia e le stesse città, nonchè i luoghi più considerevoli, e in generale i popoli da sì lungo tempo conculcati e depressi, e rimasti in parte estranei agli avvenimenti, cercassero di attendere in tanto rimescolamento di cose, e dissoluzione di principii, al loro interesse particolare. Di qua l’origine di quei tanti nuovi governi e si potrebbe dire anche stati, che sorgono quasi per incanto in ogni dove della penisola, nonchè nella Lombardia.

Notano gli scrittori che al principio dell’XI secolo non v’era città di qualche importanza che non avesse il suo conte, in buona parte delle quali era anche vescovo. La signoria territoriale di questi era stata largamente favorita dagli Ottoni5 e accresciuta da Arrigo. In Milano poi giunse al suo colmo sotto Corrado il Salico6, trovandosi sulla cattedra di S. Ambrogio uno di quegli uomini nati fatti per dominare, voglio dire [p. 355 modifica]Eriberto (detto da altri anche Ariberto), il famoso inventor del Carroccio7. Milano offrì sotto di lui il primo esempio certo che si conosca di quel Comune, che in breve fu estesamente seguito dalle altre città Italiane. In questo comune si vennero a poco a poco fondendo insieme le nobiltà grandi e piccole, antiche e recenti, i popolani ricchi, gli artieri e la plebe, in una parola tutti gli uomini liberi, come allor si dicevano.

A principio il governo era misto: il Vescovo in generale era il signore delle città, per lo più eccettuate e indipendenti dai comitati sino dalla fine del secolo X. Questo poi veniva aiutato nel governo dagli antichissimi scabini o assessori, e nel militare dai capi dell’esercito eletti da esso e nominati Capitani o Cattani, distinti in maggiori e minori, e chiamati anche Valvassori8. Ma come avviene di sovente che pel potere acquistato l’uomo nuovo trasmoda, la lotta tra i varii elementi fu inevitabile. I valvassori minori si rivoltarono contro i maggiori. Eriberto alla testa di questi impugnò l’armi contro di quelli. Io non lo seguirò nel lungo corso delle sue lotte, durante il suo episcopato (1018-1045), ora vincitore, ora vinto, ora in pace ed ora nuovamente in discordia. Dirò questo solo, che da ultimo per l’ammutinamento dei capitani e del popolo contro di lui [p. 356 modifica]e dei nobili del suo partito Eriberto fu obbligato a ritirarsi dalla città (1042), e che quando, dopo un inutile assedio di circa tre anni, in forza di un accomodamento tra le due parti, rientrò in Milano sulla fine del 1044, era gravemente ammalato e poco dopo morì al 16 di gennaio dell’anno seguente.

La pace conchiusa allora tra i nobili e il popolo fruttò a questo maggior potenza, e della quale seppe anche valersi a danno dei primi, ma alla fine con suo poco reale vantaggio. Frattanto successe in Milano quello scisma famoso per l’incontinenza del clero, del quale ho già altrove parlato9. La composizione di questo scisma finì coll’accrescere vieppiù ancora la potenza del popolo; sicchè il governo della città da misto, che era, a gran passi si avvicinava alla forma repubblicana. Negli ultimi anni di questo secolo XI noi già lo troviamo stabilito in Milano, la quale anche in questo precorse a tutte le altre città d’Italia.

Forma precipua di questo nuovo governo è la istituzione dei consoli. Si dubita tuttavia dell’anno preciso della loro introduzione. Nello scorso secolo un primo esempio si riteneva quello dato da una carta pisana del 109410, nel nostro quello di una carta del 1093, spettante al Comune di Biandrate11, d’onde si argomentò, che la loro istituzione dovesse essere molto più antica, se fu imitata da un comune piccolissimo quale era questo12. [p. 357 modifica]Verso la fine dunque del secolo XI i consoli governarono la città di Milano, e di concerto con altri magistrati provvedevano al'interno ordinamento della medesima. Vi era un consiglio chiamato di credenza, al quale era affidato il segreto de'pubblici affari ed era detto consiglio minore, perchè ristretto a poche persone. Le discussioni importanti sulla guerra e sulla pace, sulla scelta de'magistrati, in ispecie dei consoli, si sottomettevano al giudizio del popolo convocato in adunanza generale, detta anche consiglio maggiore. Il supremo dominio dell'Imperatore vi era ancora riconosciuto, ma come per forma, e nelle monete; mentre ogni comune intraprendeva guerre per proprio conto, faceva paci e conchiudeva alleanze. Non reco esempi su questo, nè cito autori, perchè le storie di questi tempi ne sono piene. Però la repubblica di Milano, e dicasi lo stesso di quella delle altre città Lombarde, era nei suoi primordii circoscritta tra le mura delle città e del suo limitato distretto; perchè le adiacenti campagne formavano altrettanti piccoli stati, che a somiglianza della città si governavano anch'esse da sè. Ma tra le prime Milano non andò molto, che agognando a maggior dominio, cercò di ingrandirsi a spese dei Comuni vicini, tentando coll'armi di sottometterseli. Le guerre intraprese da essa contro Lodi e Como, distrutte dalle sue armi, ne sono una prova13. [p. 358 modifica]Un tale stato di cose venuto su a poco a poco e quasi direbbesi di soppiatto e senza legittima autorizzazione, a lungo andare non poteva non attirare lo sguardo dei Re d'Italia; sicchè quando, morto Corrado, montò sul trono il Barbarossa, e si trovò sicuro in casa per la congiunzione nella sua persona delle due parti de'Guelfi, della quale aveva la madre, e dei Ghibellini, ben volentieri prestò l'orecchio alle grida degli esuli Lodigiani e Comaschi chiedenti un soccorso contro la prepotenza dei Milanesi, e scese tosto in Italia (1154). Piantò suo campo in Roncaglia, e dissimulando per allora con Milano, cominciò subito ad attaccare le minori città sue alleate (1155). Indi si fece incoronare re d'Italia in Pavia, e scese poscia in Roma per conseguire dalle mani di Papa Adriano IV altresì la corona Imperiale. La ottenne in quel medesimo anno 1155 e poscia tornossene nella Germania.

Milano lasciata per tal modo a parte d'inorgoglì e continuò ad accrescere con nuove conquiste la sua potenza. Se non che Federico vi discese una seconda volta nel 1158 e adunata similmente una seconda dieta in Roncaglia, stabilì di assediar Milano. Questa non potendo resistere per la fame si arrese, e a condizioni, se vuolsi, vantaggiose; poichè Federico concedeva loro la elezione de'consoli, solo ne chiedeva per sè il diritto d'investitura e il giuramento di fedeltà. Aveva maneggiata questa resa Guido conte di Biandrate, allora capitano de'Milanesi, il quale già da tempo secreto fautore del Barbarossa teneva a bada i Milanesi e gabbando così questi e quello con molta destrezza era giunto ad occupare pressochè tutto il Novarese, ad eccezione della città14. [p. 359 modifica]

Però quella non era che una semplice tregua: Federico aveva frattanto quasi a puntello dei suoi diritti convocati in Roncaglia, oltre i Grandi del Regno, anche i Giureconsulti dello studio di Bologna. Questi già avvezzi a spiegare i diritti imperiali sul Codice di Giustiniano, non solo non tardarono a riconoscere e a rivendicare all’Impero le regalie, ma e di più, lasciando sussistere i consoli, inventarono un nuovo modo per esso di dominare, proponendo che fosse stabilito in ogni città, dove poteva l’Imperatore, un magistrato suo, che dovesse rappresentare la potenza imperiale. Questo nuovo magistrato fu chiamato potestas, ossia podestà.

Quindi è che quando Federico l’anno appresso (1159) mandò in Milano i suoi commissarii a questo scopo, il popolo, che era geloso delle fatte conquiste sul terreno della libertà, si sollevò, e scacciolli dalla città. Questa resistenza cagionò la guerra, che cominciata da prima coll’assedio di Crema il 4 luglio 1159, finì con quello di Milano nel 1161. I Milanesi dopo nove mesi di rigorosissimo assedio già esausti il 1º marzo 1162 si arresero a discrezione del vincitore. Questi volle assaporare la crudeltà facendone uscire a poco a poco gli abitanti, da prima l’Arcivescovo e il clero, poi i consoli e la nobiltà tutti con abiti dimessi a piedi nudi e la spada al collo; di poi la plebe parimente con fune al collo e tutti obbligati a portarsi a chieder perdono ai piedi di Federico, il quale, ciò fatto, ordinò che tutti i Milanesi fossero tosto dispersi tra le città e borghi vicini, e poscia entrato nella deserta Milano esso stesso, ne decretò la distruzione affidandone un quartiere ad ognuna delle città nemiche15.

Questo fine infelice ebbe allora Milano: noi non scendiamo ad altri particolari di questa luttuosa catastrofe ed anzi [p. 360 modifica]rimettendone ad altro luogo le conseguenze, passiamo, quasi a riposare lo spirito, sulle sponde del nostro Lago, per rilevare frattanto quello che di più importante è accaduto intorno ad esso durante questo periodo.

  1. Invitis illis, cioè gli altri principi, ac repugnantibus, scrive lo storico Arnolfo presso il citato Durando, della Marca d’Ivrea, p. 38. Questo mostra, che anche nella loro discordia, era però in tutti eguale l’avversione contro i principi di Germania; avversione che noi abbiamo già notato essere incominciata sotto gli ultimi Ottoni. Frutto di questa avversione più tardi fu pure una lega stretta per vent’anni contro i Tedeschi tra le città di Milano, Lodi, Cremona e Piacenza, che può considerarsi come un primo esempio di Leghe Lombarde. — Questa lega ebbe poscia a favorire Corrado figlio primogenito di Arrigo III, che ribellatosi al padre, venne a rifugiarsi in Lombardia e fu incoronato re d’Italia dall’Arcivescovo di Milano (1093).
  2. A quest’anno appartiene quello che abbiamo anticipatamente narrato intorno a Corrado alla pag. 197 e seg.
  3. Sotto questo Arrigo nel 1093 fu bandita da papa Urbano II nel Concilio di Clermont la prima e maggiore Crociata contro dei Saraceni per la conquista di Terra Santa, che terminò colla presa di Gerusalemme l’anno 1098. A questa crociata presero parte molti anche de’ nobili Milanesi, tra i quali dee ricordarsi Ottone, visconte dell’Arcivescovo di Milano, celebre pel fatto, che accennò il Tasso in quei notissimi versi:

    Il forte Otton, che conquistò lo scudo,
    In cui dall’angue esce il fanciullo ignudo.

    Checchessia di questo fatto, è certo però che la biscia fu sempre quinci innanzi lo stemma di questa nobilissima famiglia, nella quale il titolo di Visconte ben presto fu tramutato in cognome. — Un’altra crociata poi bandì l’anno 1100 lo stesso Arcivescovo di Milano, Anselmo da Boisio, il quale si proponeva la conquista del regno di Babilonia. Raccolse a questo scopo un esercito di circa cinquantamila Lombardi, alla testa de’ quali si pose egli stesso. Tra i nobili Milanesi che lo seguirono merita particolare menzione Alberto di Biandrate, altra famiglia, che farà parlare di sè andando innanzi. L’esito di questa seconda crociata fu infelicissimo: ne fu vittima lo stesso Arcivescovo, il quale ferito in battaglia pose fine poco dopo ai suoi giorni in Costantinopoli nel 1101. — Una terza Crociata fu pubblicata da Eugenio III nel 1147, e, predicata da S. Bernardo, alla quale presero parte Guelfo fratello di Arrigo e Corrado III, ma sciaguratamente anche questa ebbe lo stesso esito della precedente. Tra i nobili Milanesi che vi presero parte dee annoverarsi un Martino della Torre, trucidato in odio della fede dai Saraceni; onde anche martire è chiamato dagli scrittori di questi tempi. Esso è il capo stipite di quella famiglia, che tra non molto vedremo in lotta coll’altra de’ Visconti. Vedi tutte queste indicazioni tra gli altri anche il Giulini, P. IV, pag. 413 e segg. e P. V, pag. 461 e segg.

  4. I principii di queste malaugurate fazioni incominciarono a manifestarsi intorno all’anno 1118, come nota il Muratori nei suoi Annali, sotto di Arrigo IV, ch’era della prima e vera casa Ghibellina. Si rinfocolarono poi per le contese della successione di Lotario fra Corrado di Svevia e Arrigo d’Este, le cui famiglie erano da lungo tempo tra loro in discordia. Teneva la prima per l’imperatore siccome erede che era degli Arrighi di sangue Ghibellino; mentre l’altra di Arrigo d’Este e del sangue dei principi Estensi era erede della famiglia de’ Guelfi di Germania, che tenevano contro il partito imperiale. Questa seconda in generale era favorita a una buona parte de’ prelati di molte città insieme col popolo.
  5. Scrive il Giulini (P. II, pag. 320) che l’Arcivescovo di Milano, al dire dello storico Landolfo, era stato sopra tutti i principi Italiani privilegiato. Alle concessioni di questi egli infatti attuibuisce la facoltà dell’Arcivescovo di far guerra a suo piacimento. «Allora si riconosceva bensì, scrive, un Imperatore e re d’Italia, e un Marchese e Conte di Milano a suo luogo tenente, ma la loro autorità era ridotta a pochissimo, risedendo la maggior parte di essa presso l’Arcivescovo ed i principali capitani della città, i quali a poco a poco o per forza o per privilegio si arrogavano tutti quei diritti che ai conti appartenevano.»
  6. La mutazione iniziata da Arrigo, fu compiuta dal suo successore Corrado il Salico colla costituzione dell’anno 1037, in forza della quale i benefizii ottenuti non si potevano perdere se non per giudizio. Scrive il Balbo in un suo opuscolo Sui Conti, Duchi e Marchesi dell’Italia settentrionale, pubblicato nelle Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino (a. 1835, T. 38, pag. 211-291), alla pag. 260, che «d’allora in poi diventò certo e legittimo pei beneficii ciò ch’era stato allora più o meno incerto ed illegittimo, e gli onori già assomigliati ai benefizii o furono implicitamente compresi, o si trattarono d’allora in poi come compresi in quella costituzione. Quindi trovossi in vigore un nuovo sistema di certe proprietà governative e di governi proprietarii, che furono detti feudi ed il sistema fu detto feudale
  7. «Il Carroccio era un ampio carro trascinato da più coppie di buoi, sul quale eravi un altare per celebrare i divini misteri: nel mezzo sorgeva un’antenna con in cima un globo lucidissimo e più sotto due bianche bandiere ed un Crocifisso. Quando l’esercito si schierava in battaglia, il carroccio stava nel centro attorniato da una schiera di valorosi pronti a difenderlo; poichè se cadeva in mano de’ nemici si stimava perduto l’onore della città. Finita la guerra, era riposto, qual sacro arredo, nella Cattedrale.» Così il Cusani, Storia di Milano dall’origine ai nostri giorni, Milano, 1861, Vol. I.
  8. Verso la fine del secolo X incominciarono a comparire i vassi o militi, denominati Capitani e Valvassori, la cui istituzione si dee riportare secondo le testimonianze degli scrittori ai tempi di Ottone il Grande, trovandosene memoria presso Landolfo il vecchio (II, 16). Questi Valvassori erano distinti in maggiori e minori. Valvassori maggiori erano i nobili più cospicui, che avevano i loro titoli e feudi direttamente dall’Imperatore o dai Duchi e Marchesi: minori gli altri che gli avevano ricevuti dai primi in ricompensa dei loro servizi. Veggasi su queste ed altre particolarità anche il Giulini, P. II, pag. 299 e segg.
  9. Si vegga la Vita di S. Arialdo nel Vol. II di quest’Opera.
  10. Presso il Muratori, Antiq. Ital. T. 3, pag. 1100, citato dal Durando, Piemonte Cispadano antico, Torino, 1774, pag. 347.
  11. Presso il Balbo, Storia d'Italia, ed. cit. pag. 138. La carta poi fu pubblicata nei Monum. Hist. Patr. Chartar. T. I.
  12. La prima memoria dei consoli, ma non dei loro nomi, in Milano è in una carta del 1099 presso il Giulini (P. IV, pag. 423), il quale quindi opina doversi con molta probabilità assegnare ad esso anno la loro creazione. Ma rispetto ai nomi, egli non seppe trovarli la prima volta, che nell’anno 1117 (vedi P. V, p. 87). Io in questo più fortunato di lui ho trovato un console di Milano indubbiamente anteriore all’anno 1099 nella persona di quell’Alberto di Biandrate, che ho accennato qui sopra, e del quale ho pubblicato la prima volta l’epitafio nel capo V delle mie Memorie di Borgomanero. In quell’epitafio Alberto è detto consul erat magnus etc. se fu tale, dovette aver sostenuto questa carica certamente prima del detto anno, nel quale si facevano i preparativi della Crociata, alla quale prese parte. — Il numero poi dei consoli variava a proporzione dei bisogni della città. Se ne trovano due, tre, quattro, sei e più. In un documento presso il Lupi (vol. II, pag. 945 e seg.), si trovano nominati consoli 21 in Milano nel 1130, il più de'quali erano scelti tra i capitani, altri tra i valvassori minori, ed altri tra i semplici cittadini.
  13. Collo scadimento della potenza de'Vescovi sulle città, specialmente pei tumulti, che avvenivano in tempo di sede vacante, o d'intrusione di alcuno di essi eletto simoniacamente a scadere quella dei Conti nei comitati della campagna, i quali furono o distrutti aggregandosi alla città il contado, o ridotti nel loro distretto e forzati a mutar nome, o prenderselo da qualche parte di ciò che loro rimaneva. E così si venne sviluppando in breve quella che poi disse autonomia o indipendenza o libertà de'comuni, che fu poi la condizione di quasi tutta l'Italia dal principio del secolo XII in appresso. «Dopo quest'epoca, scrive il Balbo nell'Opuscolo succitato (pag. 261), non credo che si trovi più in tuta Italia nè un Conte, nè un Marchese col titolo di alcune delle città grandi. I titoli anche dei più potenti ed anche di quelli, che col tempo ripresero la signoria delle città, furono allora desunti da qualche corte o castello di poco conto, ovvero da un soprannome di famiglia. Così i Conti di Biandrate, del Verme, i conti Guidi, ecc.»
  14. Vix ipsa civitas excepta, come avverte Ottone di Frisinga (II, 15), presso il Muratori, Rer. Ital. V. 6, pag. 711).
  15. Narra il Brambilla (l. c. Vol. I, pag. 226), che quei di Varese e di Seprio due volte giurarono di unirsi all’Imperatore Federico a danni di Milano, la prima nel castello della Madonna del Monte, poi in Monza nel 1158, e che nel 1162 il Barbarossa, ordinata la distruzione di Milano, assegnò ad essi lo smantellamento del quartiere di Porta Nuova. — Alquanti anni appresso (1168) pentiti di questo i Sepriesi entrarono nella Lega Lombarda.