Il Re dell'Aria/Parte seconda/2. La caccia al Re dell'Aria

Da Wikisource.
../1. Un fatto emozionante

../3. Un nuovo disastro IncludiIntestazione 18 luglio 2019 100% Da definire

Parte seconda - 1. Un fatto emozionante Parte seconda - 3. Un nuovo disastro
[p. 232 modifica]

CAPITOLO II.

La caccia al Re dell’Aria.

Erano trascorsi quindici giorni da quando il direttore della Compagnia Teriosky era partito per Cronstad, quando un mattino il comandante dell’Orulgan ricevette l’ordine di portarsi immediatamente negli uffici del grande armatore.

L’ex-vice-ammiraglio, come di solito, stava seduto dinanzi al suo immenso scrittoio sempre ingombro di carte marine, affondato in un ampio seggiolone di velluto granata. Presso di lui stava un bell’uomo sui trentacinque anni, dai capelli biondi e gli occhi d’un azzurro profondo, gli zigomi un po’ sporgenti, distintivo, si può dire, della razza slavo-tartara, la pelle un po’ abbronzata ed i lineamenti improntati d’una straordinaria energia. Indossava la bassa tenuta di capitano di vascello della marina russa, con berretto di panno bianco, molto schiacciato e la visiera larga.

— Il signor di Teriosky!... — esclamò il comandante dell’Orulgan, tendendo la mano verso il capitano.

— Ben felice di vedervi, signor Orloff, — rispose il baronetto, stringendogli fortemente la destra. — Siete dunque voi che avete fatto quel brutto incontro.

— Sì, capitano; ma, come avrete saputo, ho ricondotto egualmente il mio transatlantico in Europa e senza avarie.

— Siete uno dei nostri migliori comandanti, signor Orloff, — rispose il baronetto. — Mio padre, prima che il suo cervello si sconvolgesse in seguito alla morte di mia sorella, sapeva scegliere i suoi uomini. Dove avete incontrato quella macchina misteriosa?

— A circa trenta miglia al sud dell’isola del capo Bretone, — disse Orloff.

— Siete ben sicuro che si trattasse veramente d’una macchina volante e non già d’un pallone?

— Ne sono sicurissimo e poi tutti noi, ufficiali, marinai ed emigranti, l’abbiamo veduta e benissimo, poichè la notte era chiarissima. [p. 233 modifica]

— Che forma aveva?

— Quella d’un immenso uccello, signor barone.

— Che il signor Langley sia riuscito a modificare la sua macchina e che l’abbia venduta a quel misterioso Re dell’Aria? — disse il capitano, guardando il direttore.

— Non ho l’onore di conoscere quel signore, — rispose l’ex-vice-ammiraglio.

— Io so che l’anno scorso fu inventato in America, dal segretario dell’Istituto Smithsoniano, un uccello artificiale.

Quel signor Langley dirigeva a Washington lo stabilimento più scientifico e più ricco del mondo e per di più aveva a sua disposizione le donazioni di moltissimi miliardari americani ben disposti a contribuire allo sviluppo delle scienze.

Le prove riuscirono da prima; ma, a quella ufficiale, l’uccello, non si sa il perchè, cadde miseramente nel Potomac e fu una vera fortuna pel suo inventore che piombasse nel fiume, poichè diversamente si sarebbe sfracellato col suo apparecchio.

Io non credo che il signor Langley abbia venduto il suo segreto a quel Re dell’Aria che ora ci dichiara la guerra, essendo una persona troppo onorevole.

È probabile invece che quello sconosciuto abbia migliorata quella macchina volante.

— E che cosa pensate di fare ora, signor barone? — chiese il comandante dell’Orulgan. — Di trattenere tutte le vostre navi nei porti o di decidere vostro padre a restituire quella fanciulla accennata nel documento?

— Conosco troppo bene mio padre per costringerlo alla resa. Egli ormai non vive che per quella signorina, che è mia cugina e che egli, nella sua pazzia, crede che sia mia sorella restituita dal mare; e poi, dove si trova ora? Non ho più notizie di lui da circa due mesi.

Si trova ancora a Tristan de Cunha od altrove? Manderò qualche nave a visitare quelle isole, ma ci vorrà del tempo e quel terribile Re dell’Aria intanto potrebbe agire.

— E allora? — chiese Orloff.

— L’Ammiragliato è pronto a prestarmi il suo aiuto e mette a mia disposizione il Tunguska, uno dei più rapidi e dei più potenti incrociatori che oggi possegga la nostra marina da guerra.

— Per dare la caccia a quella misteriosa macchina?

— Sì, mio caro signor Orloff. Volete essere anche voi della partita? [p. 234 modifica] L’Orulgan per ora non prenderà il largo, quindi voi non avrete più nulla da fare e forse per lungo tempo.

— Purchè io navighi, non chiedo altro, — rispose il comandante.

— Appena il Re dell’Aria avrà dato segno di non aver voluto fare uno scherzo, noi andremo a cercarlo.

— Quel segno, signor barone, può costarvi una nave che vale qualche milione.

— Non sarà la rovina della Compagnia Teriosky, — disse il baronetto. — D’altronde l’Ammiragliato vuole, prima di muovere l’incrociatore, aver una prova che quel signor Re dell’Aria non ha voluto farci una pessima burla.

— E non avete alcun sospetto chi possa essere quel terribile nemico?

La fronte del baronetto s’aggrottò.

— Forse... — disse poi, — ma sono segreti che appartengono alla mia famiglia e che io non posso svelare.

Signor Orloff, quando riceverete un mio dispaccio, partirete senza indugio per Cronstad.

Per ora aspettiamo che il Re dell’Aria ci dia sue notizie. —

Si lasciarono, l’uno per ritornare a bordo dell’Orulgan e l’altro a Cronstad, dove allora si trovava il grosso della squadra russa e dove si stava allestendo il potente incrociatore che l’Ammiragliato intendeva mettere a disposizione della Compagnia transatlantica.

Purtroppo il misterioso Re dell’Aria non tardò a farsi vivo, come aveva già sospettato il capitano dell’Orulgan.

Erano appena trascorsi sette giorni da che era scaduto il tempo fissato per la consegna della fanciulla a Tristan de Cunha, quando un dispaccio spedito da Halifax avvertiva il direttore della Compagnia che uno dei più grossi transatlantici aveva ricevuto la visita del Re dell’Aria.

La misteriosa macchina volante lo aveva assalito a centotrenta miglia dalle coste meridionali di Terranuova e, dopo d’aver intimato all’equipaggio di salvarsi nelle scialuppe, l’aveva fatto saltare, lasciando cadere su esso due bombe d’una potenza terribile.

La nave, manco a dirlo, completamente sgangherata, era andata a picco in meno di cinque minuti insieme al suo carico, causando alla Compagnia una perdita di un milione e mezzo e di tre alle Compagnie di assicurazione.

La sera istessa, mentre i marinai di tutti i transatlantici che si [p. 235 modifica] trovavano in porto rompevano i loro arruolamenti, non osando più cimentarsi sull’oceano con navi che battevano la bandiera dei Teriosky, il capitano Orloff, avvertito da un dispaccio, partiva immediatamente per Cronstad, il gran porto militare russo, a bordo di un piccolo rimorchiatore.

Quattordici ore dopo, in causa del mare cattivo che aveva molto ostacolato la marcia del vapore, il bravo comandante abbordava il Tunguska, l’incrociatore che doveva incaricarsi della distruzione della terribile macchina volante.

A bordo dello splendido e potentissimo legno da guerra ferveva un lavoro febbrile. Si caricavano rapidamente tonnellate e tonnellate di carbone, valanghe di viveri e gran copia di munizioni da fuoco.

Il baronetto, a cui era stato affidato il pericoloso incarico, essendo il più interessato in quella straordinaria faccenda, dall’alto del ponte di comando, collocato dietro le torri poppiere, sorvegliava l’imbarco, incitando i marinai a far presto.

— Buon giorno, signor barone, — disse il comandante dell’Orulgan, salendo la scala.

— Ah!... Siete voi, mio caro Orloff, — rispose il capitano dell’incrociatore, il quale sembrava molto nervoso e molto preoccupato. — Vi aspettavo con impazienza: fra due ore noi partiamo.

— Si è finalmente convinto l’Ammiragliato che non si trattava di uno scherzo?

— Purtroppo, signor Orloff, ma vi assicuro che quel furfante che si diverte ad affondare i miei transatlantici me lo pagherà caro quel milione e mezzo che ha regalato all’oceano.

Prima dell’acciaio e poi del buon canape per appiccare lui ed i suoi complici, poichè suppongo che non sarà solo.

— Ne sono convinto anch’io, quantunque non abbia scorto nessun essere umano su quell’uccellaccio del malanno.

— La Tunguska non è un povero transatlantico privo di difese e senza artiglierie formidabili. Abbiamo qui dei pezzi superbi che faranno sudare freddo e sangue a chi toccano. —

Il fischio acutissimo della sirena lo avvertì che il caricamento era terminato e che l’incrociatore era pronto a prendere il largo.

Gli ufficiali avevano già fatti ritirare i ponti e le gomene, mentre gli argani a vapore alzavano le pesantissime ancore con un fragore assordante di ferraglie.

— Partiamo, — disse il baronetto. [p. 236 modifica]

Dalle corazzate e dagli incrociatori ancorati nel porto militare s’alzavano fragorosi urràh, ai quali rispondevano i marinai del Tunguska.

Fissate le ancore, l’incrociatore sfilò a piccolo vapore dinanzi alle navi, poi aumentò gradatamente la sua velocità, muovendo superbamente verso il mare.

L’Ammiragliato, preoccupatissimo per la comparsa di quella misteriosa macchina la quale, come ne aveva la prova, poteva recare danni immensi al commercio marittimo russo, aveva affidato al giovane comandante una delle più rapide e anche più formidabili navi della sua squadra del nord.

Era infatti una delle migliori navi di battaglia che solcassero in quell’epoca i mari.

Spostava dodicimila tonnellate e poteva filare benissimo, a tiraggio forzato, i suoi ventidue nodi all’ora, mercè le sue due macchine gemelle della forza di ventimila cavalli.

I fianchi della nave erano protetti al galleggiamento da una corazza di cintura spessa al centro venticinque centimetri e che si assottigliava alle estremità fino a dieci.

Al di sopra della cintura aveva un’altra corazza di quindici centimetri.

La sua formidabile artiglieria era rappresentata da due grossi pezzi da trenta centimetri, uno chiuso in torre a poppa e l’altro a prora; da dodici pezzi da venti centimetri a tiro rapido, chiusi a paia in sei torricelle e da quattordici pezzi da settantasei millimetri, collocati sulla coperta superiore e nelle coffe degli alberi militari.

La portata normale era di mille e duecento tonnellate, ma i carbonili erano stati costruiti in modo da contenerne anche duemila.

Con una nave di battaglia così superba, nessuno poteva dubitare di poter facilmente trionfare su quei misteriosi pirati dell’aria, misteriosi per gli altri però e non già pel baronetto, il quale aveva ormai perfettamente capito che stava per misurarsi coll’ex-comandante della Pobieda, poichè lui solo poteva aver interesse a riavere Wanda.

Il Tunguska filò attraverso i mari europei colla massima velocità, premendo al baronetto di giungere nei paraggi di Terranuova e dell’isola del capo Bretone, i luoghi preferiti, a quanto pareva, dagli uomini che montavano quella terribile macchina volante.

Prima però di abbandonare definitivamente il vecchio mondo per muovere verso il nuovo, il baronetto, da uomo prudente, fece scalo nel [p. 237 modifica] porto militare spagnolo di Ferrol, per ricompletare innanzi tutto le sue provviste di carbone e per avere notizie dei suoi formidabili avversari.

Erano già giunte dall’America notizie della macchina volante e non certo tali da rallegrare il giovane comandante.

Un’altra nave della Compagnia, partita quattro giorni prima da Portland, era stata sorpresa a trecento miglia a ponente delle Canarie e affondata con tre o quattro bombe, dopo aver permesso all’equipaggio ed ai passeggieri di salvarsi sulle scialuppe.

— Risparmiano i miei uomini, ma continuano a regalare al mare i miei milioni, — disse il baronetto, mostrando al comandante dell’Orulgan il dispaccio trasmessogli da un rappresentante della Compagnia, giunto appositamente a Ferrol, per ordine del direttore, sapendosi che l’incrociatore si sarebbe fermato in quel porto.

— Non ischerza, quel terribile Re dell’Aria, — rispose Orloff. — Voi però gli tarperete per bene le ali e lo manderete a tener compagnia ai vostri transatlantici.

— La sua macchina sì, — rispose il comandante, la cui fronte si era oscurata.

— E lui no?

— Preferirei prenderlo vivo.

— Per poi appiccarlo ad uno degli alberi militari?

— Ci penserò quando l’avrò in mia mano, — rispose il baronetto. — Ripartiamo subito, signor Orloff.

— Per Terranuova?

— Faremo una corsa prima verso le Azzorre. Sembra che il Re dell’Aria abbia lasciate le coste americane e che incroci in mezzo all’Atlantico. Ho capito perfettamente il suo piano. Egli aspetta i nostri transatlantici che devono giungere dall’America del Sud e ne abbiamo parecchi che frequentano l’Argentina ed il Brasile.

Cercheremo di arrestarlo. —

Cinque ore dopo il Tunguska, completate le sue provviste di carbone, lasciava il porto, muovendo diritto verso le Canarie, colla speranza di sorprendere in quei paraggi quel feroce distruttore di transatlantici.

La traversata di quella immensa distesa d’acqua, racchiusa fra le Azzorre ed il gruppo di Madera, e la costa africana a levante, non diede luogo a nessun incidente. [p. 238 modifica]

Invano ufficiali e marinai non avevano cessato di esplorare attentamente il cielo, di giorno e di notte: la macchina volante non era stata veduta in nessun luogo.

Sette giorni dopo la partenza da Ferrol, poichè il capitano aveva mantenuto una velocità ridotta onde avere le carboniere sempre ben fornite, l’incrociatore avvistava il Picco di Teneriffa, gigantesca montagna che si può scorgere all’incredibile distanza di duecentoventidue chilometri, quando l’orizzonte è purissimo.

Poche ore più tardi la Tunguska, che aveva affrettata la marcia, gettava le sue âncore dinanzi a Santa Cruz, il gran porto di Teneriffa, colla speranza di trovare ancora colà qualcuno degli uomini appartenenti al secondo transatlantico affondato dal Re dell’Aria.

Le Canarie formano un magnifico gruppo composto di sette isole: Teneriffa, Portaventura, Gran Canaría, Palma, Lanzarote, Gomera e Ferro e di altre cinque isolette che sono quasi deserte, con una superficie che viene calcolata a 867 chilometri quadrati.

Tutte quelle isole sono di formazione vulcanica, alte, aspre, montagnose, con coste molto dirupate che presentano, in taluni punti, delle roccie basaltiche di cento cinquanta a cento e ottanta metri d’altezza. Quantunque situate quasi sotto la zona torrida, godono d’un clima abbastanza tollerabile in causa dell’umidità e delle brezze che vengono dall’oceano e per le folte foreste che coprono le alte montagne e producono vini squisiti e granaglie in copiosa quantità.

Guai però se soffiano per qualche tempo i venti del sud e del sud-est. Bastano pochi giorni perchè la vegetazione si arresti immediatamente, i ruscelli inaridiscano e scoppino malattie pestilenziali.

L’incrociatore, dopo d’aver risposto a colpi di cannone al saluto della batteria di mare, andò ad ancorarsi a cento metri dalla banchina e prese pratica per poter sbarcare e rinnovare le sue provviste di carne fresca e di carbone.

Santa Cruz è il capoluogo di Teneriffa e sede del governo, con 9000 abitanti, due forti ancora in ottimo stato ed un ottimo porto, ove sostano principalmente i transatlantici diretti al Golfo del Messico.

Il baronetto, seguìto da Orloff, il quale conosceva a menadito tutte quelle isole, scese a terra per informarsi se vi era ancora qualcuno appartenente al Ladoga, il secondo piroscafo affondato dal Re dell’Aria.

Non era trascorsa un’ora, quando un vecchio marinaio, che sembrava assai malaticcio, si presentava a bordo del Tunguska chiedendo del comandante. [p. 239 modifica]

— Mi manda il capitano del porto, signore, — disse, quando fu in presenza del baronetto. — Io appartenevo al Ladoga.

— Uno dei miei transatlantici, — disse il capitano. — Sedete, amico, e narratemi, meglio che potete, come andò la cosa.

— È al figlio del signor barone di Teriosky che ho l’onore di parlare?

— Sì, amico. Sbrigatevi perchè non ho tempo da perdere e mi preme vendicare la perdita dei miei piroscafi.

Quando siete stati assaliti?

— Quindici giorni or sono, signor barone, — rispose il vecchio marinaio. — Venivamo da Portland con centosessanta passeggieri ed un carico completo di cotone, quando una sera scorgemmo una massa oscura, fornita di due immense ali, venire dall’est con una velocità spaventevole e librarsi proprio sopra il transatlantico.

Che cosa veramente fosse io non ve lo saprei dire, signore. A me parve un gigantesco uccello di nuovo genere, poichè al posto delle zampe aveva come due immense travi.

— Le ho osservate anch’io, — disse Orloff, il quale assisteva al colloquio.

— Continuate, brav’uomo, — disse il baronetto.

— Dopo aver descritto sopra di noi parecchi giri che andavano a poco a poco restringendosi, una voce — e quella era veramente umana — scese dal cielo minacciosa:

— Vi accordiamo dieci minuti, non un secondo di più, per mettere le scialuppe in mare, poi il piroscafo verrà tempestato di granate.

Obbedite!... —

Come potete immaginare, signor barone, immenso fu lo stupore che ci colse e, non ve lo nascondo, molta anche la paura, udendo quella intimazione, tanto più che sapevamo già che ad un altro dei vostri piroscafi era successo un caso simile.

Il capitano avrebbe bensì voluto resistere a quel brutale ultimatum, ma così non la intendevano i passeggieri, i quali minacciavano di buttarci in mare se non calavamo immediatamente le scialuppe.

Fummo costretti a cedere e fu una vera fortuna, poichè appena scoccati i dieci minuti, quando noi ci trovavamo a poche centinaia di metri dal Ladoga, tre o quattro bombe d’una potenza terribile caddero sulla coperta, aprendo delle falle enormi a babordo ed a tribordo.

Se aveste visto che rovina, signor barone!... Gli alberi caddero d’un colpo solo come fuscelli di paglia spezzati dal vento, le murate [p. 240 modifica] saltarono, le ciminiere furono scaraventate in mare, come se un terribile colpo di vento le avesse abbattute, ed il transatlantico, completamente sgangherato, affondò.

Ecco tutto, signore.

— E la macchina infernale?

— Fuggì, subito dopo d’aver compiuta la distruzione, verso il nord-ovest, — rispose il marinaio.

— E voi?

— Sulle scialuppe, con mare abbastanza pessimo, approdammo dopo tre giorni a Laguna e quindi qui.

— Non avete veduto quanti uomini vi erano a bordo di quella macchina volante?

— Era notte, signor barone, e non ci fu possibile scorgere nessun essere umano.

— Non si trattava d’un pallone, è vero?

— Oh no, signore! Io ne ho veduti molti e quella macchina dell’inferno non rassomigliava a nessuno. —

Il baronetto trasse da una tasca una borsa ben fornita di pezzi d’oro e la porse al vecchio marinaio, dicendogli:

— Curatevi e grazie delle vostre informazioni.

— Tuttociò è terribile, — disse il comandante dell’Orulgan, quando il marinaio lasciò il salotto elegantissimo del quadro. — Che specie di bombe saranno quelle che getta quella dannata macchina? Sapreste darmi qualche spiegazione voi, signor barone, che siete uomo di guerra. —

Teriosky non rispose. Appoggiato alla tavola che occupava il centro del salotto, pareva che si fosse immerso in profondi pensieri.

— Sì, sono veramente terribili gli uomini che montano quella macchina, — disse ad un tratto. — Ah! Quell’ingegnere!...

— Quale? — interrogò Orloff.

— Non posso parlare, — rispose il capitano dell’incrociatore con voce un po’ triste. — Si vendica e come!...

— Si direbbe che voi, signor barone, conoscete quel Re dell’Aria.

— Può darsi, ma questi sono segreti di famiglia che io non posso, almeno per ora, svelare.

— Me lo avete già detto. —

Il baronetto si era staccato dalla tavola e si era messo a passeggiare nervosamente pel salotto, colle mani affondate nelle tasche dei suoi pantaloni. [p. 241 modifica] .... poi la lancia prese la corsa verso il Tunguska sempre immobilizzato dal banco. (Parte II, Cap. V). [p. 243 modifica]

— E nessuna notizia di mio padre, — disse poco dopo, arrestandosi di colpo dinanzi al comandante dell’Orulgan. — Egli solo potrebbe scongiurare tutte le disgrazie che minacciano la Compagnia.

Dov’è andato? Dove ha nascosto quella fanciulla? Quale pazzia!... Eppure non avrei mai creduto che un uomo di mare così intraprendente, così avventuroso, così intrepido come era mio padre, potesse venire assalito da una tale manìa e che...

Si era arrestato bruscamente, come fosse pentito di aver detto troppo, mentre un vivo rossore gli coloriva le gote.

— Orsù, — disse dopo qualche istante. — Farò il mio dovere, giacchè l’Ammiragliato ha posto tanta fiducia in me, quantunque ora mi sembri l’impresa più difficile di quello che avevo creduto. —

Un ufficiale passava in quel momento dinanzi la porta del salotto.

— Siamo pronti? — chiese il barone.

— Sì, capitano.

— È terminato il carico?

— Abbiamo stivato duemila tonnellate di carbone.

— Fate fischiare la sirena e partiamo. Ho fretta. —

Accese un sigaro e salì sul ponte, sempre seguìto dal comandante dell’Orulgan, il quale pareva che fosse diventato la sua ombra.

Un quarto d’ora dopo l’incrociatore tornava a uscire dal porto, salutato nuovamente dalla batteria di mare e si slanciava sull’oceano Atlantico, dirigendosi verso Terranuova.

Degli uomini erano stati collocati nelle larghe coffe degli alberi militari, affinchè sorvegliassero attentamente l’orizzonte, potendo darsi che da un momento all’altro la meravigliosa e terribile macchina volante comparisse.

Quella seconda corsa non diede però alcun risultato. Invano le grosse guardie degli alberi e dei ponti spiarono ansiosamente gli orizzonti. Soli dei grossi e dei piccoli uccelli marini, albatros, fregate e fetonti, volteggiavano sul cielo limpidissimo, piombando di quando in quando sulle acque dell’Atlantico, per predare.

Già Terranuova non era lontana più di centocinquanta miglia, quando un mattino l’incrociatore fece l’incontro di un piroscafo americano che pareva provenisse dagli Stati del Sud.

— Forse quello ne sa qualche cosa, — disse il baronetto, colpito da una improvvisa ispirazione. — Vediamo se mi sono ingannato. —

I segnalatori di bandiera fecero la domanda.

— Vi preghiamo darci schiarimenti urgenti. — [p. 244 modifica]

Il piroscafo, vedendo che aveva da fare con una nave da guerra, fece arrestare l’elica e fu pronto a rispondere colle sue bandiere di segnali:

— Aspettiamo vostri ordini.

— Diteci se avete incontrata macchina volante naufragatrice transatlantici Compagnia Teriosky — segnalarono gli uomini del Tunguska.

La risposta non si fece attendere.

— Sì, tre giorni or sono.

— Dove.

— Paraggi delle Bermude, centoventi miglia al sud.

— Grazie, buon viaggio. —

Il piroscafo riprese la sua corsa verso il nord, diretto forse a Boston o ad Halifax, mentre l’incrociatore cambiava immediatamente rotta, scendendo verso il sud, colla speranza di sorprendere il Re dell’Aria nei pressi delle Bermude.

— Pare che ci faccia correre, quel dannato naufragatore, — disse il comandante dell’Orulgan al baronetto, il quale passeggiava nervosamente dinanzi la torre poppiera.

— Si direbbe che qualcuno lo ha avvertito che noi lo cerchiamo, — rispose il capitano dell’incrociatore, torcendosi rabbiosamente i baffi.

— E chi? Suppongo che non avrà osato, quel signore, prendere terra in America per provvedersi di giornali.

Egli attende, nei paraggi delle Bermude, i nostri transatlantici che lasciano il golfo del Messico. Ciò è chiarissimo, signor barone.

Abbiamo una buona linea di navigazione fra Vera-Cruz, l’Avana, Santiago ed i porti della Germania e del Baltico e probabilmente quel signor Re dell’Aria non lo ignora.

— Non continuerà però per lungo tempo le sue stragi di transatlantici, — rispose il baronetto. — Lo spazzeremo via con una terribile bordata.

— Se si lascierà cogliere.

— Lo perseguiteremo senza posa, finchè avremo una tonnellata di combustibile dentro le carboniere.

— Temo però che quell’uccello del malaugurio corra assai più di noi, signor barone.

— Finirà però anche lui il suo combustibile.

— E quale combustibile? Sapete voi che cosa adopera quella macchina d’inferno? Io non ho veduto alcun fumo sfuggire fra le sue ali. [p. 245 modifica]

— Non avete sentito odore di petrolio, per caso?

— Era troppo alto quell’uccellaccio, capitano.

— Quando riceverà in pieno corpo un obice da trenta centimetri, vedremo se avrà petrolio o carbone dentro la sua macchina. Aspettiamo: io ho ferma fiducia di poterlo sorprendere in qualche luogo dell’Atlantico. —

Il Tunguska continuava intanto la sua corsa rapidissima, divorando tonnellate su tonnellate di carbone.

Sapendo il baronetto di potersi ampiamente riprovvedere alle Bermude, dove il governo inglese tiene sempre grossi depositi di carbone, non badava a far economia di combustibile.

Quella terza corsa, più rapida delle due prime, durò quattro giorni e non si rallentò che in vista delle Bermude.

È questo un piccolo arcipelago perduto in mezzo all’Atlantico settentrionale, composto di quattrocento isolotti in gran parte aridissimi e perciò assolutamente inabitabili.

Bermuda è la più grande ed è lunga appena ventidue chilometri con una larghezza di solamente due; vengono poi San Giorgio, San Davide e Sommersis, tutte con buonissimi ancoraggi ed una popolazione totale di circa dodicimila persone, per la maggior parte di razza negra e tutti abilissimi, anzi inarrivabili marinai.

I ginepri (juniperos bermudiana) formano la principale vegetazione di quelle isole e servono benissimo per la costruzione di leggeri navigli di piccolo cabotaggio, però crescono benissimo anche gli aranci, il cotone, il tabacco, il frumento, il quale si raccoglie due volte all’anno e molte piante da frutta.

Essendo quelle terre battute da spaventevoli uragani, tutte le case non hanno che un solo piano e sono costruite con una specie di pietra porosa che somiglia alla pomice, onde resistere alla furia dei venti.

Scoperte nel 1522 dallo spagnolo Bermudes, rimasero moltissimi anni quasi sconosciute e quindi deserte.

Ritrovate dall’inglese Sommerset nel 1609, per puro caso, essendovi stato spinto dalle tempeste, vennero in seguito occupate da masnade di terribili corsari, antichi avanzi dei famosi filibustieri fuggiti dal golfo del Messico.

Ora gli abitanti non si occupano che della pesca delle balene, le quali si mostrano anche oggidì abbastanza numerose in quei paraggi.

Il Tunguska stava per dirigersi verso la Grande Bermuda, per [p. 246 modifica]rinnovare le sue provviste di combustibile, quando una detonazione secca, che pareva prodotta da un piccolo pezzo d’artiglieria, allarmò il suo equipaggio e soprattutto il suo giovane comandante.

Lo sparo veniva dal largo, al nord di San Giorgio. Chi poteva far fuoco in quella direzione, dove non esistevano né fortini, né batterie di mare?

Era qualche transatlantico che cercava di difendersi dall’aggressione del Re dell’Aria.

Il baronetto aveva dato un comando breve, deciso:

— A tiraggio forzato!... —