Il conte Rosso

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1844 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Il conte Rosso Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

A Luigia Abbadia A M... T...
Questo testo fa parte della raccolta VI. Dai 'Nuovi canti'
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VIII

IL CONTE ROSSO

     Fischia orrendo il piombo inglese
di Rosburga sulle mura;
tuona il colle e la pianura;
sta re Carlo alle difese.
5Di re Carlo nel cospetto
si presenta un giovinetto,
il piú bello e il più gagliardo
che combatta in quegli eserciti.
Fate largo al savoiardo!

     10— Re di Francia, io t’offro modo
di troncar la ingrata guerra:
     questo laccio d’Inghilterra
tu vedrai com’io lo snodo! —
— Lieta voce al cor mi suona.
15Parla, onor di mia corona!
— Io con lancia, mazza e spada,
solo in campo, a morte provoco
tutta l’anglica masnada.

     S’io soggiaccio, a me lo scorno,
20e il Signor non t’abbandoni.
Ma, s’io vinco, sui predoni
pesi l’onta del ritorno.
Cosí penso e cosí parlo
nel cospetto di re Carlo.
25Fa’ che il guanto sia raccolto,
e diman tu sarai libero,
o Amedeo sará sepolto!

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     — Del mio regno intatta gloria,
Dio ti salvi, illustre conte.
30Giá dagli occhi e dalla fronte
ti lampeggia la vittoria. —
Di re Carlo per comando
proclamato è tosto il bando.
Vien la notte, e riconfonde
35cielo e terra; e sol dei vigili
s’ode il passo e il suon dell’onde.


     Amedeo con mesta gioia
pensò allor le sorridenti
sue colline, i suoi torrenti,
40il suo ciel della Savoia;
e fors’anco nel pensiero
vigilante del guerriero
qualche dolce antico amore
ripassò, di pie memorie
45a inondar quel forte core.


     Ma quel cor sotto la maglia
ribaitea piú concitato,
ripensando al provocato
perigliar della battaglia.
50E sognò schierati in mostra
dame e prodi, e in quella giostra
vide errar famose larve,
e proferto in altri secoli
il suo nome udir gli parve.


     55E giá l’ali rosate apre l’aurora
e inonda l’aria di profumi e baci;
e il fiammingo oriente s’incolora,
e una zona di porpore vivaci
fascia i cerulei campi,

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60e una selva di lance a’ rai del sole
vibrano lampi,
e squillano le trombe; aspre parole
di cruciati guerrieri,
e scalpitio di fervidi cavalli,
65e cozzo di cimieri,
e come onde d’ocèano,
militi sopra militi
empion le mura e i valli.
O falco d’Inghilterra, inarca l’ugna!
70Quest’ora è della pugna;
questo è campo di morte; i drappi ondeggino
di Carlo e d’Amedeo.
Viva Inghilterra! Viva Carlo e Francia!
Con mazza e spada e lancia
75s’apre il torneo.


     

— Senti, Inghilterra:
se qualche forte
tu puoi vantar,
qui meco in guerra
80colpi di morte
venga a mutar.


     Vecchio o garzone,
prence o barone,
ricco o plebeo,
85quando lo provoca
conte Amedeo,
suo pari egli è.


     Ed io lo provoco,
io, cavaliero,
90conte e guerriero
del franco re ! —

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     Squilla il corno, ed ecco viene
primamente un giovincello:
trae la spada e in campo tiene
95fosco azzurro un bianco fior.
     Era il conte d’Arundello,
che lasciò nel patrio tetto
le ghirlande del banchetto
per i serti del valor.


     100Ma una vergine amorosa
ogni sera, a lui pensando,
mestamente si riposa
sotto un memore arboscel,
     e ogni sera, lagrimando,
105bacia un fior che ha tra le chiome,
e susurra il dolce nome
del suo conte d’Arundél.


               Povera vergine!
          Tu di due spade
          110le orrende folgori
          non vedi uscir!...
               Un d’essi pallido
          vacilla... e cade!...
          Povera vergine,
          115tu puoi morir.


     Squilla il corno, ed un secondo
si presenta al savoiardo:
lancia in resta e capel biondo,
per boscaglie a lungo errò.
     120Dalla furia del suo dardo
non fuggía pennuto o belva:
or le cacce della selva
per le giostre abbandonò.

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     Ma talora i cervi snelli
125gli rivengono al pensiere,
e, i piniferi castelli
ritornando a visitar,
     stacca l’arco ed il carniere
dalle vacue avite sale,
130e sui greppi il noto strale
torna orrendo a sibilar.


               Prepara un feretro,
          azzurra prole!
          D’Hington la gloria
          135passata è giá.
               Lasciate i vertici,
          o cavriole:
          egli a trafiggervi
          piú non verrá.


     140Squilla il corno, e, armato d’azza,
vien Pembrocco al terzo assaggio:
a lui serve un’umil razza
sparsa intorno al Devonsir.
     Quand’è in guerra o fa viaggio,
145menan festa i suoi vassalli;
ma il silenzio è nelle valli,
quando arriva il fosco sir.


     All’oltraggio il persuade
sempre un dèmone maligno,
150e ove son piú folte biade
cavalcando a furia va,
     e col perfido sogghigno,
perché l’onta ancor piú gravi,
ei dimanda dagli schiavi
155la canzon di libertá.

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               Ma nelle torbide
          pupille ardenti
          la vita al despota
          langue e dispar.
               160Sonate a giubilo,
          boschi e torrenti!
          L’inno dei liberi
          s’oda echeggiar.


     Or dunque la gioia non fu d’Inghilterra
165tre solchi di sangue coloran la terra,
tre corpi di prodi la Morte eredò.
     Al tacito e bello guerrier savoiardo
sorride ogni dama, festeggia ogni bardo:
le spoglie del lutto Rosburga lasciò.


     170Sue grazie reali re Carlo dispensa,
a prenci e baroni bandita è la mensa,
sonante è la reggia di plauso guerrier.
     Dagli atrii alle piazze si canta il torneo,
si chiedono gli anni del forte Amedeo,
175gli arditi sembianti si voglion veder.


     Or voi, savoiardi del tempo novello,
il nome e la storia del vostro fratello
recate sui labbri, pensate nel cor.
     Degli ozi blanditi non sente l’inganno,
180non sente la fede dei dí che verranno
chi l’opre non cura del patrio valor.


     E voi, che languite scorati e pensosi,
poeti d’Italia, dai lunghi riposi
sorgete una volta, sorgete a cantar.
     185Tendete concordi l’orecchio devoto,
ché un eco possente del tempo remoto
susurra sull’alpe, passeggia sul mar!