Il matrimonio per concorso/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Giardino spazioso più che si può. Da una parte della scena alberi ombrosi. Tavolini di qua e di là1; sedie di paglia e banchette2 all’intorno.

Madame Plume, mademoiselle3 Lolotte, tutte due a sedere ad un tavolino4, bevendo il caffè. Monsieur la Rose ad un altro tavolino col caffè dinnanzi, ed un libro in mano, mostrando di leggere e di bevere il caffè nel medesimo tempo5. Madame la Fontene al medesimo tavolino di monsieur la Rose, bevendo il caffè. Indietro più persone che si può: uomini e donne di ogni qualità, o a sedere, o passeggiando, o leggendo6. [p. 520 modifica] Tutti questi si troveranno in iscena al cambiamento, e cambiata la scena, si procurerà che i tavolini siano portati avanti con buona disposizione, perchè i personaggi siano sentiti.

Fontene. Monsieur la Rose, che cosa leggete di bello?

Rose. Il Mercurio.

Fontene. Vi è qualche articolo interessante?

Rose. Sono ora all’articolo de’ teatri. L’autore del Mercurio dice molto bene di alcune commedie italiane7.

Fontene. Può dir quel che vuole8. Alla commedia italiana9 io non ci vado, e non ci anderò mai.

Rose. E perchè10 non ci andate11?

Fontene. Perchè non intendo la lingua.

Rose. Se è questo, vi do ragione. Io l’intendo, e ci vado, e mi diverto.

Fontene. Bene, divertitevi, tanto meglio per voi.

Rose. Ma so pure, che anche voi, madama, avete studiata la lingua italiana, e che avete tenuto per qualche tempo un12 maestro.

Fontene. Sì, è vero, l’ho tenuto per quattro mesi. Cominciava a intendere, cominciava a tradurre, ma mi sono annoiata, e ho lasciato lì13.

Rose. Ecco, scusatemi, il difetto14 di voi altre signore. Vi annoiate presto di tutto. Cominciate una cosa, e non la finite15. Poche donne vi sono a Parigi, che non abbiano principiato ad apprendere qualche lingua straniera, e pochissime sono arrivate a capirla. Perchè? Perchè non hanno pazienza, perchè s’annoiano, perchè le loro idee succedono violentemente una all’altra. [p. 521 modifica]

Fontene. Che importa a noi di sapere le lingue straniere? La nostra vale per tutte le altre. I nostri libri ci forniscono di ogni erudizione e di ogni piacere, e il nostro teatro francese è il primo teatro del mondo.

Rose. Sì, è vero, ma ogni nazione ha le sue bellezze....

Fontene. Eh! che bellezze trovate voi nella commedia italiana?

Rose. Io ci trovo piacere, perchè l’intendo. Voi non la potete conoscere, perchè non capite. Ecco perchè un autore italiano a Parigi non arriverà mai, scrivendo nella sua lingua, a vedere il teatro pieno. Le donne sono quelle che fanno la fortuna degli spettacoli, le donne non lo capiscono, le donne non ci vanno, gli uomini fanno la corte al bel sesso, e non restano per gl’italiani che i pochi amatori della sua lingua, alcuni curiosi per accidente, qualche autore per dirne bene, e qualche critico per dirne male.

Fontene. E bene! che cosa volete di più? La popolazione di Parigi è assai grande. Da un milione in circa di anime si può ricavare tanti amatori, tanti curiosi, tanti parziali, da fornire passabilmente un teatro.

Rose. Sentite quel che dice il Mercurio....

Fontene. Scusatemi, io non ne sono interessata, e lascio che vi godete l’elogio tutto per voi.

Rose. Benissimo, leggerò io. (Non vi è rimedio, le donne non ne vogliono saper niente). (legge piano)

Lolotte. No, madama, restiamo qui ancora un poco. Io amo questo giardino infinitamente.

Plume. Per me, la mia passione è la Tuglierie.

Lolotte. Avete ragione, quello è un giardino più grande, più delizioso e più ameno: il dopo pranzo vi è gran concorso, e ci vado anch’io volentieri, ma la mattina preferisco il Palazzo Reale, qui si vede il popolo più raccolto, più unito. Specialmente sul mezzogiorno è una delizia, è un piacere.

Plume. e che cosa dite del Lucemburgh?

Lolotte. Oh quello è il giardino dove vanno a passeggiare i filosofi, i malcontenti, i capi di famiglia, i matrimoni all’antica. [p. 522 modifica]

Plume. Voi, per quel ch’io sento, amate poco il ritiro, la tranquillità.

Lolotte. Quando voglio restar tranquilla, sto a casa mia, quando esco, esco per divertirmi.

Plume. Vi piacerà dunque il Boulevard16.

Lolotte. Oh sì, moltissimo; quel gran concorso, quel gran rumore mi piace infinitamente. Mi pare il più bello spettacolo della terra. Vedere una quantità di carrozze nel mezzo; un’infinità di popolo a piedi di qua e di là nei viali arborati, e difesi dalle carrozze. Tante magnifiche botteghe di caffè, piene di strumenti e di voci che cantano; tanti saltadori di corda, di bambocci, di animali, di macchine, di giochi, di divertimenti; chi siede, chi passeggia, chi mangia, chi canta, chi suona, chi fa all’amore. Sino alla mezza notte si gode, ed è un passatempo comune, che dura sei o sette mesi dell’anno.

SCENA II.

Monsieur Traversen e detti.

Traversen. Ehi dal caffè.

Garzone. Signore. (si suppone che la bottega da caffè sia dietro gli alberi17)

Traversen. Un caffè col latte ed un picciolo18 pane. (siede ad un tavolino)

Garzone. La servo subito.

Traversen. Ehi, ci sono i piccioli affissi19?

Garzone. Ho veduto in bottega il giovane dello stampatore, che li dispensa20.

Traversen. Mandatelo21 qui da me.

Garzone. Sarà servita. (parte)

Fontene. Ecco qui, tutti cercano le novità. (a Rose) [p. 523 modifica]

Rose. Un curioso qui si può soddisfare con poco. È bellissimo il comodo che vi è in questi giardini22; con due soldi si possono leggere tutti i fogli che corrono alla giornata.

Fontene. Ma non si portano via?

Rose. No, si leggono e si lasciano; vi sono delle persone apposta per questo.

Fontene. Per dire la verità, in Parigi i piaceri sono ben23 regolati.

SCENA iii.

Il Garzone del caffè ed il Garzone dello stampatore24. Il Garzone del caffè porta il caffè ed il pane. Versa il caffè col latte nella tazza, e parte.

Stampatore. E ella, signore, che domanda i piccioli affissi? (a Traversen)

Traversen. Sì, io, date qui.

Stampatore. Vuol leggerli solamente?

Traversen. Ecco due soldi.

Stampatore. Ho capito, aspetterò che li legga.

Traversen. Vi è qualche cosa di particolare? (allo stampatore)

Stampatore. Vi è un avviso al pubblico, alla fine del foglio, che è singolare.

Traversen. Vediamo.

Stampatore. Si accomodi, (va a sedere sopra una banchetta poco lontano25.)

Traversen. (Legge piano, e dì quando in quando fa26 delle ammirazioni)

SCENA IV.

Pandolfo e detti.

Pandolfo. (Questo è il ridotto27 delle novità, dei curiosi. Pochi mi [p. 524 modifica] conoscono. Voglio un poco sentire, se si dice niente del mio concorso28). (siede solo sopra una banca)

Traversen. Oh bella! oh graziosa29! oh ammirabile! (forte)

Rose. Vi è qualche30 novità, monsieur Traversen?

Traversen. Sentite una novità stupenda, maravigliosa. (Tutti si alzano dal loro posto, e sì accostano al tavolino di monsieur Traversen; lo stesso fanno i personaggi che non parlano31)

Traversen. Avviso al pubblico32. (legge forte)

Pandolfo. (Sentendo l’avviso, si alza dal suo posto e si avanza bel bello, restando però lontano dagli altri33)

Traversen. È arrivato in questa città un forestiere....

Rose. Qualche ciarlatano.

Pandolfo. (Che animalaccio!) (da sè)

Traversen. Non sentite34? Di nazione italiano, di professione mercante, dì fortuna mediocre e di un talento bizzarro....

Fontene. Sarà qualche impostore.

Pandolfo. (Il diavolo che ti porti!) (da sè)

Traversen. Egli ha una figlia da maritare...

Fontene. Oh bella!

Lolotte35. Bellissima.

Plume. Sentiamo, sentiamo.

Pandolfo. (Sentirete, sentirete). (da sh)

Traversen. Di età giovane, di bellezza passabile e di grazia ammirabile...

Lolotte36. Oh che pazzo!

Plume. Oh che animale!

Fontene. Oh che bestia!

Pandolfo. (Eh, mi onorano più che non merito). (da sè)

Rose37. Ma lasciatelo continuare. (alle donne)

Traversen. Sentite le ammirabili38 prerogative di questa gioja. [p. 525 modifica] Statura ordinaria, capello castagno, bei colori, occhio nero, bocca ridente, spirito pronto, talento raro, e del miglior cuore del mondo.

Tutti. (Ridono a coro pieno. Pandolfo resta incantato39

Traversen. Dice in ristretto, che darà la dote a misura del partito; che abita alla locanda dell’Aquila; e finisce dicendo: e i pretendenti saranno ammessi al concorso. Io non ho mai sentito una bestialità più grande di questa.

Fontene. Quest’uomo merita di essere legato40.

Traversen. Legato e bastonato.

Rose. Sarà41 un uomo capriccioso. Io non ci vedo questo gran male.

Fontene. Già, basta42 che sia un italiano, voi lo difendete sicuramente43. (a monsieur la Rose)

Lolotte. Per me dico che questi è un uomo senza cervello.

Plume. E senza riputazione. (Pandolfo smania)

Fontene. Per altro io sarei curiosa di veder questa forestiera.

Plume. Oh no, io conoscerei volentieri l’animalaccio del padre.

Lolotte. Anch’io pagherei a conoscere questo bel carattere originale.

Plume. È un uomo ridicolo, che veramente meriterebbe di essere conosciuto.

Pandolfo. (Manco mal che non mi conoscono). (da sè)

Traversen. Aspettate, Ehi quel giovane. (chiama il garzon stampatore)

Stampatore. Signore. (accostandosi)

Traversen. Conoscete voi il forastiere, che ha fatto pubblicar questo avviso44? (allo stampatore)

Stampatore. Sì signore; eccolo là. (accennando45 Pandolfo)

Pandolfo. (Un diavolo!)46

Fontene. Bello!

Plume. Grazioso!

Lolotte. Maraviglioso! [p. 526 modifica]

Rose. (Zitto, zitto, signore mie, rispettate il luogo dove siete47: qui non è lecito insultar nessuno. Se si continua, verrà lo Svizzero a mandarci fuori). (piano alle donne)

Traversen. A me, a me. Lo prenderò con disinvoltura. (alle donne, e s’incammina verso48 Pandolfo)

Pandolfo. (Sarà meglio ch’io me ne vada, per non essere obbligato a precipitare). (in atto di partire)

Traversen. Servo, signore. (a Pandolfo, incontrandolo perchè non parta)

Pandolfo. Padrone mio. (bruscamente, volendo partire)

Traversen. Favorisca. (Tutti gli altri si ritirano per godere la scena sedendo o in piedi49 )

Pandolfo. Cosa mi comanda?

Traversen. È forastiere vossignoria?

Pandolfo. Per servirla. (imbarazzato)

Traversen. Italiano?

Pandolfo. Per obbedirla 50. (come sopra)

Traversen. Ha una figlia da maritare?

Pandolfo. Ho una figlia da maritare.

Traversen. Bella, gentile, virtuosa?

Pandolfo. Più di quello che ella s’immagina51 padron mio.

Tutte. (Le donne, che sono in qualche distanza, si mettono a ridere52 dirottamente.)

Pandolfo. Che cos’è questo ridere? Che cos’è questo burlarsi dei galantuomini? Se mia figlia non fosse tale53, non mi sarei impegnato col pubblico; e non si ride di quello che non si conosce; e chi vuol vedere può vedere, e l’accesso è libero, e per gli uomini, e per le donne. E gli uomini54 possono venire per ammirare, e le donne per crepare d’invidia. (con calore55 e parte) (Le donne replicano la risata, tutti battono le mani, madame Piume, monsieur Lolotte, e tutti quelli che sono indietro, seguono Pandolfo, e partono56 [p. 527 modifica]

SCENA V.

Anselmo, Roberto e detti

Roberto. Che c’è di nuovo, signori miei? Che rumore è questo?

Traversen. Oh voi, che siete italiano, conoscete quell’uomo che parte ora di qui? Che va verso la picciola porta?

Roberto. Lo conosco per a57. In quanto al padre, accordo ancor io che non vi è niente di più ridicolo al mondo, ma rispetto alla giovane, vi assicuro sull’onor mio, ch’ella58 in tutti i generi è singolare. Possiede tutto: beltà, grazia, spirito, compitezza, talento, e soprattutto un fondo di virtù e di onestà impareggiabile.

Traversen. Anche virtuosa! anche onesta!

Rose. Quando il signor Roberto lo dice, sarà così.

Anselmo. (Povero signor Roberto, la passione lo accieca; ma io procurerò illuminarlo59. (da sè)

Traversen. (Roberto mi mette in grande curiosità. Se fosse veramente un affare buono, ci applicherei anch’io volentieri. (da sè)

Roberto. Signor Anselmo, volete che beviamo il caffè?

Anselmo. Veramente avrei necessità di spicciarmi.

Roberto. Questa è una cosa che si fa in un momento. Ehi, caffè per due. (Il garzone porta il caffè; Roberto ed Anselmo siedono60

Traversen. (Chi sa? Se mi piace la donna, se la dote mi accomoda, si può chiudere un occhio sulla caricatura del padre). (parte)

Fontene. Monsieur la Rose, volete che andiamo insieme a veder questa maraviglia?

Rose. Ben volentieri.

Fontene. Oh si sa61; quando si tratta di un’italiana, vi levereste di mezzanotte. [p. 528 modifica]

Rose. Eppure, senza che voi me lo proponeste, io non aveva la curiosità di vederla.

Fontene. Andiamo, andiamo a ridere un poco.

Rose. Circa al ridere.... bisogna usare prudenza.

Fontene. La locanda dell’Aquila sapete dov’è?

Rose. Lo so benissimo.

Fontene. Andiamo. (lo prende sotto il braccio62, e partono)

SCENA VI.

Anselmo e Roberto.

Roberto. Avete veduto quel signore che ora63 è partito? (ad Anselmo)

Anselmo. Sì signore, chi è?

Roberto. È un certo monsieur la Rose.

Anselmo. Mi pare che questo nome sia64 di uno dei miei debitori.

Roberto. È verissimo, ed è quello che vi deve più di tutti gli altri.

Anselmo. E perchè65 non gli avete detto nulla? Perchè non me lo avete fatto conoscere?

Roberto. Perchè era in compagnia, perchè qui non è il loco66 da presentarvi67 e mi riservo a condurvi alla di lui casa. È ricco, può pagarvi, e vi pagherà68: ma è un poco difficile, e conviene trattarlo con della destrezza. La guerra ha fatto del male a tutti69; egli ne ha risentito del danno grande, ma fidatevi di me, e son certo che farà il suo dovere.

Anselmo. Caro signor Roberto, sono penetrato moltissimo dalla bontà che avete per me. Il vostro signor padre è stato sempre mio buon amico, mi è sempre stata utile la sua corrispondenza, ho pianto la di lui perdita, ed ora mi consolo trovar in voi [p. 529 modifica] un amico di cuore, ch’è la sola cosa ch’io posso desiderar nelle mie disgrazie.

Roberto. Voi potete disporre di me e della mia casa. So che siete un uomo d’onore, so quanta stima faceva di voi mio padre, e so che non avete alcuna colpa nelle vostre disavventure. A tenor delle vostre lettere ho esaminato bene, come vi dissi, gli interessi vostri a Parigi: trovo che qui i vostri crediti sono considerabili, e i vostri debitori sono per la maggior part70 in istato di soddisfarvi. Consolatevi, che quanto prima vi troverete71 in grado di riprendere il commercio, se così vi piace, ed io vi esibisco la mia assistenza, e tutto quello che vi può giovare.

Anselmo. Le vostre esibizioni, le vostre beneficenze72 sono per me una provvidenza del cielo; ma caro signor Roberto, voi siete interessato per me, ed io lo sono per voi: vorrei per vostro bene, e per mia consolazione, poter da voi ottenere una grazia.

Roberto. Dite, signore, voi non avete che a comandare.

Anselmo. Vorrei che abbandonaste l’attaccamento che voi mostrate di avere per la figliuola73 di Pandolfo74.

Roberto. Caro signor Anselmo, vi ho raccontato il modo, come mi è accaduto di vederla; la trovo amabile, sono intenerito dalla sua miserabile situazione; son di buon cuore, e non ho animo di abbandonarla.

Anselmo. Possibile che in una sola visita, in un solo colloquio, abbiate potuto accendervi in tal maniera?

Roberto. Ah signore, questi sono i prodigi della simpatia dell’amore. Sono quegli accidenti, che se si trovano scritti, se si vedono sulle scene, si credono inverisimili, immaginari, forzati, e pure io ne provo l’effetto, e cent’altri l’hanno egualmente provato.

Anselmo. Sì, è vero, so benissimo che si sono fatti de’ matrimoni ad un colpo d’occhio; credo però che siano stati contratti più dal capriccio che dall’amore. [p. 530 modifica]

Roberto. Avete voi veduta la figlia del signor Pandolfo?

Anselmo. No, non l’ho ancora veduta.

Roberto. Vedetela, e poi giudicate del di lei merito e della giustizia ch’io le rendo.

Anselmo. Voglio accordarvi ch’ella sia bella, ch’ella sia virtuosa, ma sapete voi chi è suo padre?

Roberto. È un uomo stravagante, ridicolo; lo so benissimo.

Anselmo. Sapete voi ch’egli è stato75 mio servitore?

Roberto. Servitore? Per verità è un poco troppo. Ma.... se lo ha fatto per necessità, per disgrazia....76

Anselmo. Non signore, l’ha fatto perchè tale è77 la sua nascita e la sua condizione.

Roberto. Presentemente è mercante....

Anselmo. Sì, è un mercadante78 che ha fallito tre o quattro volte.

Roberto. Miserabile condizion di un tal impiego! siamo tutti soggetti alle ingiurie della fortuna.

Anselmo. Fallir col danaro79 in mano non è azione che meriti compatimento.

Roberto. Io ho delle corrispondenze per tutto. Non ho sentito a reclamare di lui80.

Anselmo. Perchè i suoi negozi non erano di conseguenza.

Roberto. Se è così, non avrà fatto gran torto ai corrispondenti.

Anselmo. Voi difendete il padre, perchè siete innamorato della figliuola81.

Roberto. Povera sfortunata! Ella non ha alcuna parte nei disordini di suo padre. Ella merita tutto il bene.

Anselmo. Sareste voi disposto82 a sposarla?

Roberto. Perchè no? Lo farei col maggior piacere del mondo.

Anselmo. E soffrireste di avere un suocero sì villano?83

Roberto. Ella è piena di merito e di gentilezza.84

Anselmo. Uno stolido di tal natura? [p. 531 modifica]

Roberto. Sua figlia ha il più bel talento del mondo.

Anselmo. Che cosa direbbero i vostri parenti?

Roberto. Io non ho da render conto a nessuno85.

Anselmo. La vostra casa merita che voi non le facciate un così gran torto.

Roberto. Il maggior onore ch’io possa fare alla mia famiglia è di procurarmi una moglie onesta, saggia, virtuosa e morigerata.

Anselmo. Credete voi che non vi siano al mondo altre figlie saggie, oneste e morigerate?

Roberto. Conosco questa, credo ch’ella potrebbe formare la mia felicità, e ne sarei contentissimo.

Anselmo. Per esempio, se non vi avessi trovato affascinato in tal modo, mi avrei preso l’ardire86 di farvi io una proposizione.

Roberto. E qual proposizione mi avreste fatta?

Anselmo. Ho ancor io una figliuola da maritare.

Roberto. Avete una figlia da maritare?

Anselmo. Sì signore, e se l’amor di padre non m’inganna, parmi ch’ella sia degna di qualche attenzione. Posso impegnarmi sicuramente ch’ella è saggia, onesta, virtuosa e morigerata87.

Roberto. Non ho veruna difficoltà a crederlo, e me ne consolo con voi88.

Anselmo. Veramente non tocca a me a parlarvi di mia figliuola. La cosa è fuori di regola, e non vorrei passare anch’io per un ciarlatano, ma l’amicizia antica delle nostre case, e la bontà che voi avete per me, mi obbliga ad esibirvi di venirla a veder, se vi contentate.

Roberto. No, signor Anselmo, vi ringrazio infinitamente. Sarei venuto assai volentieri a riverirla, a far seco lei il mio dovere, senza un tale preventivo ragionamento. Ora parerebbe ch’io ne dovessi fare un confronto, e vi chiamereste offeso, s’io non le rendessi quella giustizia che le conviene. [p. 532 modifica]

Anselmo. Credete dunque a dirittura che la mia figliuola non meriti quanto l’altra?

Roberto. Non dico questo, ma il mio cuore è prevenuto, è risoluto, è costante.

Anselmo. Non occorr’altro. Scusatemi se vi sono stato importuno.

Roberto. Vi supplico non formalizzarvi della mia condotta.

Anselmo. Al contrario ammiro la vostra costanza, e vi lodo nel tempo medesimo ch’io vi compiango. (parte)

Roberto. Eh, non merita di esser compianto chi rende giustizia alla virtù, e sarà sempre degna di lode la compassione. (parte)

SCENA VII.

Sala nella locanda, come nell’atto primo.

Filippo solo.

Povero sciocco! ha serrato a chiave la sua figliuola89! non sa Pandolfo che noi abbiamo le chiavi doppie! S’io non fossi onest’uomo90 e Lisetta non fosse una fanciulla dabbene, non la ritroverebbe più nella camera dove l’ha lasciata91. Mi basta avermi potuto valer della chiave per comunicare a Lisetta la mia intenzione. Son contento ch’ella l’abbia approvata, e spero un buon effetto alla mia invenzione. Con questa sorta di pazzi è necessario giocar di testa.

SCENA VIII.

Monsieur la Rose, madame Fontene, ed il suddetto.

Rose. Amico, una parola.

Filippo. Comandi.

Rose. Si può vedere quest’italiana che alloggia qui da voi?92 [p. 533 modifica]

Filippo. Quale italiana, signore?

Fontene. Quella rarità che si è fatta scrivere sugli affissi.

Filippo. (Sono tante stoccate al mio cuore).

Rose. Abbiamo parlato a suo padre. Ci ha detto che ciascheduno la può vedere, non ci dovrebbe essere difficoltà.

Filippo. (Mi viene in mente93 una bizzarria). Signore, io non so niente degli affissi di cui parlate. So bene che in quell’appartamento vi è la figliuola94 di un mercante italiano. (accenna la camera di Doralice.)

Rose. Appunto è figliuola di un mercante italiano. Si può vedere? Le si può parlare?

Filippo. Presentemente non c’è suo padre. Non so se sarà visibile.

Fontene. Con una donna di tal carattere non vi dovrebbero essere tanti riguardi.

Rose. Ditele che c’è una signora, che vuol parlare con lei: sarà più facile che si lasci vedere.

Fontene. Mi fate ridere. La credete voi così95 scrupolosa? (a monsieur la Rose)

Filippo. Per me, le farò l’ambasciata96 (Sentiranno che non è dessa, e spero che se ne andranno, prima che ritorni97 Pandolfo). (entra nell’appartamento98)

SCENA IX.

Monsieur la Rose e madame Fontene; poi Filippo.

Fontene. Io credo che il locandiere istesso si vergogni d’avere in casa questa sorta99 di gente, e finga di non sapere.

Rose. Oh, per questo!100 Non è poi una cosa di tal conseguenza da far perdere la riputazione ad una locanda101. [p. 534 modifica]

Fontene. Eh, che cosa si può dare di peggio, oltre una donna, che si fa mettere sugli affissi?

Rose. E perchè dunque venite voi a vederla?

Fontene. Per curiosità.

Filippo. Signore, la giovane vi domanda scusa. Ella dice, che senza suo padre non riceve nessuno.

Rose. Possibile che sia così riservata?

Filippo. Io ho fatto il mio dovere. Ho degli affari, con permissione. (Mi preme di sollecitare la mia invenzione). (da sè, e parte)

SCENA X.

Monsieur la Rose e madame Fontene, poi Doralice.

Rose. Signora, che dite?102 Ella non è si facile, come vi pensate.

Fontene. Oh, sapete103 perchè fa la ritrosa? Perchè le avete fatto dire, che vi è una donna. Se avesse creduto che foste voi solo104, sarebbe immediatamente venuta. Ma io la voglio vedere assolutamente105.

Rose. Converrà aspettare suo padre.

Fontene. Eh, che questa sorta di gente non merita alcun rispetto. Andiamo, andiamo, entriamo nella camera liberamente. (va per entrare nell'appartamento106.)

Doralice. (Sulla porta) Signora, qual premura vi obbliga a voler entrare nelle mie camere?

Fontene. Oh! il piacere di vedervi, madamigella, (affettando allegria ed ironia107.)

Doralice. Questo è un onore ch’io non conosco di meritare108. Vorrei sapere, chi è la persona che mi favorisce.

Fontene. (Ci trovate voi queste rarità?) (piano a monsieur la Rose) [p. 535 modifica]

Rose. (Non si può dire109 ch’ella non abbia del merito). (piano a madama Fontene.)

Fontene. (Sì, del merito!) (a monsieur la Rose, burlandosi)

Doralice. E bene, signora mia, in che cosa posso servirvi?

Fontene. Avete tanta premura d’andarvene? (la guarda sempre con attenzione) (Non vi è male110 per dirla; ma non ci sono quelle maraviglie che dicono)111. (da sè)

Doralice. S’io sapessi con chi ho l’onor di parlare, non mancherei di usare quelle attenzioni che si convengono.

Fontene. Sapete parlar francese?

Doralice. Intendo tutto, ma non parlo bene, signora.

Fontene. (Oibò, oibò, non val niente, non ha spirito, non ha talento). (monsieur la Rose)

Rose. (Perdonatemi, mi pare che parli bene nella sua lingua112, e che abbia del sentimento).

Fontene. (È un gran cattivo giudice la prevenzione). (a monsieur la Rose)

Doralice. Signori, con loro buona licenza. (vuol partire)

Fontene. Dove andate, madamigella?

Doralice. Nelle mie camere, se non avete niente da comandarmi.

Fontene. Ci verremo anche noi.

Doralice. Perdoni, io non ricevo persone che113 non conosco.

Rose. Ha ragione. Io sono la Rose, negoziante in Parigi, vostro umilissimo servitore.

Fontene. E protettore delle italiane....

Rose. E questa signora è madama....114 (vorrebbe dire il nome di madama a Doralice.)

Fontene. Là, là, se volete115 ch’ella sappia il vostro nome, siete padrone di farlo, ma non vi avete da prendere la libertà di dire116 il mio, senza mia117 permissione.

Doralice. Mi creda, signora, ch’io non ho veruna curiosità di saperlo. (con caricatura) [p. 536 modifica]

Fontene. Graziosa! veramente graziosa!118 (con ironia119)

Rose. (Io ci patisco infinitamente. Trovo ch’ella non merita di essere maltrattata). (da sè)

Doralice. Sarà meglio ch’io me ne vada. (vuol partire120)

Fontene. Ehi dite.

Doralice. Che cosa pretendete da me? (si volta, e si ferma dove si trova121)

Fontene. ( una virtuosa feroce).

Rose. (Signora, usatele carità, che lo merita). (a madama Fontene)

Fontene. Dite: non volete che veniamo in camera vostra? Ci avete gente?

Doralice. Non sono122 obbligata di rendere conto a voi della mia condotta.

Fontene. (Ah, che bel talento!) (a monsieur la Rose)

Rose. (Ne ha più di voi, madama). (a madame)

Fontene. Ehi? come va il concorso? Quanti sono i pretendenti del vostro merito, della vostra123 bellezza? (ridendo)

Doralice. Ora capisco124 signora mia. (avanzandosi) qual motivo qui vi conduce, e per qual ragione vi arrogate l’arbitrio di scherzar meco. Mio padre, non so per quale disavventura, è caduto nella bassezza di espormi al pubblico, di sagrificarmi. Prima però di insultarmi, dovreste125 esaminare s’io merito il torto che mi vien fatto, se le azioni mie e il mio carattere rispondono alla miserabile mia situazione, e mi trovereste più degna di compassione, che di disprezzo.

Rose. (Ah! che ne dite?) (a madame la Fontene)

Fontene. (E che sì, che v’intenerisce?) (a monsieur la Rose)

Rose. (Un poco). (a madame Fontene)

Fontene. Non siete dunque contenta di essere sugli affissi? (a Doralice)

Doralice. Pare a voi che una figlia onesta possa soffrir ciò, senza sentirsi strappar il cuore? Ah fossi morta, prima di soffrire un sì126 nero oltraggio. [p. 537 modifica]

Fontene. (Or ora sento intenerirmi ancor io). (da sè)

Rose127. (Gran pazzia d’un padre! Povera fanciulla, mi fa pietà). (da sè)

Doralice. (Oh cieli! non ho più veduto il signor Roberto. Ah, che sarà forse anch’egli pentito di usarmi quella pietà che mi aveva sì teneramente promessa. Tornasse almeno mio padre). (da sè, con passione)

Rose. Oh via, signora, datevi pace; troverò io vostro padre; gli128 farò conoscere il torto ch’egli vi ha fatto129, e cercherò ch’ei vi ponga rimedio.

Fontene. Cosa volete voi parlar con130 suo padre, ch’è l’uomo più irragionevole, più bestial131 della terra? (a monsieur la Rose)

Doralice. Eppure è stato sempre mio padre il più saggio, il più prudente uomo del mondo.

Fontene. Oh, oh, ho capito. Se difendete vostro padre, siete d’accordo con lui, e non credo più nè alle vostre smanie, nè alla vostra onestà.

Doralice. Malgrado al pregiudizio ch’io ne risento, io non ho cuore di sentirlo a maltrattar in tal guisa.

Fontene. Vostro padre è un pazzo. Non è egli vero, monsieur la Rose?

Rose. Non so che dire. Il pover’uomo si è regolato assai male.

SCENA XI.

Anselmo e detti.

Doralice. Eccolo il mio povero padre132: vi prego di non mortificarlo soverchiamente.

Fontene. Come?

Rose. Chi?

Doralice. Non lo vedete il mio genitore?

Rose. Questi? [p. 538 modifica]

Fontene. Non è egli?....

Anselmo. Sì signori, io sono il padre di questa giovane. Che difficoltà? Che maraviglie?133 Cosa vogliono da lei? Cosa vogliono da me?

Fontene. (Non capisco niente). (da sè)

Rose. Favorisca in grazia....

Anselmo. Vossignoria non è ella monsieur la Rose?

Rose. Si signore, mi conoscete?

Anselmo. Vi conosco per detto del signor Roberto Albiccini.

Doralice. (Ah, il signor Roberto ha parlato a mio padre). (da sè, con allegrezza)

Rose. Ditemi in grazia, prima di ogni altra cosa, questa giovane non è la figlia del signor Pandolfo?

Anselmo. Come di Pandolfo? Ella è Dorallce mia figlia.

Rose. Oh cieli!

Fontene. Non è questa la giovane ch’è sugli affissi? (ad Anselmo)

Anselmo. Non signora134 mi maraviglio, non son io capace d’una simile135 debolezza.

Doralice. Non sono io sugli affissi? (ad Anselmo, con trasporto di giubilo)

Anselmo. No, figlia mia, non pensar sì male136 di tuo padre.

Doralice. Ah caro padre, vi domando perdono. Mi hanno fatto credere una falsità. Oh cieli! sono rinata, sono fuor di me dalla consolazione. (si getta in braccio ad Anselmo)

Rose. (Mi pareva impossibile). (a madame Fontene)

Fontene. (Penava a crederlo anch’io137)

Rose. Ma voi, signore, chi siete? (ad Anselmo)

Anselmo. Anselmo Aretusi, per obbedirvi138.

Rose. Il mio corrispondente di Barcellona?

Anselmo. Quello appunto son io.

Rose. Vi son debitore. Faremo i conti. Vi soddisfarò. Avete una figliuola139 di un merito singolare. Vi domando scusa, signora mia, se un equivoco mi ha fatto eccedere in qualche cosa.... [p. 539 modifica] ma io fortunatamente so di non avervi perso140 il rispetto. Veramente madama...... (verso madama la Fontene)

Fontene. Sì, madama Fontene si dà ora141 a conoscere a madamigella Aretusi, pregandola di perdonare....

Doralice. Madama, favorite, con licenza del mio genitore, favorite di passare nelle mie camere.

Fontene. Accetto con soddisfazione l’invito. (Ah quanto sarebbe necessario qualche volta142 un po’ di prudenza). (entra nell' appartamento143)

SCENA XII.

Anselmo e monsieur la Rose.

Anselmo. Se vuol restar servita ella pure. (a monsieur la Rose, nell'appartamento.)

Rose. No, no, restiamo qui. Ho qualche cosa da dirvi.

Anselmo. Per i nostri conti c’è tempo.

Rose. Sì, i vostri conti saranno pronti quando volete144. Il danaro forse non sarà sì pronto, perchè sapete anche voi come vanno ora gli affari....

Anselmo. Lo so pur troppo, ed ho fatto punto per questo.

Rose. Per altro, se avete premura....

Anselmo. Ne parleremo, signore, ne parleremo. Io non penso altro presentemente, che a dare stato a mia figlia; quando sarò nel caso, vi pregherò.

Rose. Signor Anselmo, io trovo vostra figlia di un carattere il più bello del mondo. Savia, onesta, gentile145 rispettosa a suo padre. L’ho veduta afflitta, e la sua afflizione me l’ha fatta ancora parer146 più bella. Se non avete di lei disposto, vi assicuro che mi chiamerei fortunato, se vi degnaste di accordarmela per isposa. [p. 540 modifica]

Anselmo. Ma signore, così su due piedi.....

Rose. Quale difficoltà vi può trattenere? Conoscete voi la mia casa?

Anselmo. La conosco, e sarebbe una fortuna per mia figliuola147.

Rose. Vi dispiace la mia persona?

Anselmo. Al contrario; mi è noto il vostro carattere, e ne sarei contentissimo.

Rose. Per la dote non ci avrete148 a pensare. Mi contenterò di quel ch’io vi devo.

Anselmo. Tanto meglio.

Rose. Qual altro obietto vi può dunque essere?

Anselmo. Non vorrei che una risoluzione così improvvisa fosse poi seguitata dal pentimento.

Rose. Signor Anselmo, io non sono un ragazzo. Ho differito a maritarmi, perchè non ho ancora trovata la persona149 che mi andasse a genio. Trovo nella vostra figliuola delle qualità personali che mi piacciono infinitamente150. Aggiungete a ciò l’amore, la passione ch’io ho per gl’italiani, aggiungete ancora la nostra amicizia, la nostra corrispondenza.

Anselmo. Non so che dire, tutto mi obbliga, tutto mi persuade.

Rose. Mi promettete voi vostra figlia?

Anselmo. Ve la prometto.

Rose. Parola d’onore?

Anselmo. Parola d’onore. (si toccano la mano)

Rose. Son contentissimo. (tira fuori151 l’orologio) Mezzogiorno è vicino. Deggio andare alla Borsa. Dopo pranzo ci rivedremo.

Anselmo. Sono pieno di consolazione....

Rose. Addio, signor suocero, addio. (si baciano152 e parte) [p. 541 modifica]

SCENA XIII.

Anselmo, poi Roberto.

Anselmo. Guardate, quando si dice degli accidenti che accadono; ecco un’altra maraviglia simile a quella del signor Roberto.

Roberto. Servitore, signor Anselmo.

Anselmo. Oh signor Roberto, appunto in questo momento pensava a voi.

Roberto. Si è veduto il signor Pandolfo?

Anselmo. Non l’ho veduto, e credo non sia ancora ritornato.

Roberto. Sono impazientissimo di vederlo.

Anselmo. Sempre costante, è153 egli vero?

Roberto. Costante più che mai. Vi prego non mi parlare sopra di ciò.

Anselmo. No, non dubitate154 non vi dirò altro. Vi parlerò di me, vi darò una buona nuova per conto mio.

Roberto. La sentirò volentieri.

Anselmo. Ho maritato mia figlia.

Roberto. Me ne consolo infinitamente; e con chi, signore?

Anselmo. Con monsienr la Rose. È venuto qui, l’ha veduta, gli è piaciuta: detto fatto, gliel’ho promessa.

Roberto. Oh, vedete se si danno i casi improvvisi? E voi vi facevate maraviglia di me.

Anselmo. È verissimo, è il caso vostro medesimo155

Roberto. Ora, se mei permettete, verrò a fare una visita alla vostra figliuola156.

Anselmo. Sì volentieri, andiamo. (S’incamminano)

Roberto. Oh scusatemi. Vedo venire il signor Pandolfo. Ho gran volontà di parlargli.

Anselmo. Servitevi, come vi piace. (Povero157 innamorato!) Andrò a consolar Doralice, le darò la nuova ch’è maritata. Spero che anche di questa nuova sarà contenta, (entra nell’appartamento158) [p. 542 modifica]

SCENA XIV.

Roberto, poi Pandolfo.

Roberto. Io non so cosa m’abbia. Sono inquieto, non trovo pace. Mi lusingo per un momento, dispero un momento dopo. Voglio uscirne sicuramente.

Pandolfo. Oh signore, ho piacere di avervi trovato. Siete avvertito che dimani non sarò più qui, ma passerò all’albergo del Sole.

Roberto. E perchè fate voi questo cambiamento?

Pandolfo. Perchè quel birbante di Filippo faceva all’amore colla mia figliuola159.

Roberto. Filippo il locandiere?

Pandolfo. Egli appunto.

Roberto160. Fa all’amore con vostra figlia?

Pandolfo. Con lei precisamente.

Roberto. Ma come? Filippo non è egli maritato?

Pandolfo. È maritato Filippo?

Roberto. Ho parlato io stesso colla161 di lui moglie.

Pandolfo. Ah scellerato! ah indegno! È maritato, e tenta di sedurre ed ingannare162 mia figlia? E quella disgraziata lo soffre, e gli corrisponde?

Roberto. Che? Vostra figlia corrisponde a Filippo?

Pandolfo. Ah sì, pur troppo è la verità, e tanto gli corrisponde, che avendole io parlato di voi, non cura163 di un uomo di merito, come voi siete, ed ha avuto la temerità di dirmi, ch’ella preferisce Filippo.

Roberto. (Oimè! cosa sento? Che colpo è questo per me!)

Pandolfo. Gran disgrazia per un padre, che ha qualche merito, avere una figliuola164 senza cervello. [p. 543 modifica]

Roberto. Signore, scusatemi, ho qualche difficoltà a persuadermi che vostra165 figlia sia innamorata del locandiere.

Pandolfo. Se ciò non fosse, non lo direi, e lo dico con mio rossore, perchè io amo166 di dire la verità; e se non lo credete, aspettate. Sentirete da lei medesima, se ciò sia vero. (va ad aprire la porta, ed entra167. Roberto, pensieroso, non bada dove entri Pandolfo.)

SCENA XV.

Roberto, poi Doralice.

Roberto. Ah sì, quando il padre lo dice, quando lo sostiene con tanta costanza, sarà pur troppo la verità. Perfida! chi mai avrebbe creduto, ch’ella sapesse fingere ad un tal segno? Ch’ella sapesse mascherare colla modestia la passione, e forse la dissolutezza? Ah, non si può sperare di meglio dalla figliuola di un padre vile: ecco l’effetto della168 pessima educazione. Ha ragione il signor Anselmo. Io sono un pazzo, uno stolido, un insensato. Ma sono a tempo di rimediarvi. Sì, ci rimedierò.

Doralice. Ah signor Roberto!...

Roberto. Ingrata! così corrispondete alla mia pietà, all’amor mio?

Doralice. Deh signore, non vi dolete di me; non è mia colpa.

Roberto. E di chi dunque sarà la colpa, se non è vostra?

Doralice. Mio padre mi obbliga mio mal grado....

Roberto. Vi obbliga vostro padre ad amare un uomo ch’è maritato?

Doralice. Come? È maritato?

Roberto. Non lo sapete, o fingete di non saperlo?

Doralice. Oh cieli! che volete che sappia una povera giovane169 forastiera, che lasciasi condur dal padre....

Roberto. Che dite voi del padre? Egli ha miglior sentimento170 di voi, ed è vano che facciate pompa di una virtù, che non conoscete. [p. 544 modifica]

Doralice. Voi m’insultate, ed io non son fatta per tollerare gl’insulti.

Roberto. So che con una donna dovrei moderare la collera, so che dovrei abbandonarvi senza parlare. Ma sono acciecato dalla passione, da una passione concepita per voi, non so come, e che è maltrattata171 dalla vostra perfidia....

Doralice. Signore, vi sarebbe pericolo che v’ingannaste? Mi prendereste voi per un’altra?

Roberto. No, no, conosco il vostro carattere; mi è stato dipinto bastantemente, e sono inutili le vostre scuse.

Doralice. Ma è necessario che voi sappiate....

Roberto. Non vo’ saper d’avvantaggio.

Doralice. Che non sono quella altrimenti....

SCENA XVI.

Lisetta e detti.

Lisetta. E bene, signore, che cosa dite voi di Filippo?....

Roberto. Dico ch’egli è un indegno, ch’egli ha innamorato, ch’egli ha sedotto questa signora172 (accennando Doralice) e che se voi aveste riputazione, non soffrireste un oltraggio simile sugli occhi vostri. (parte)

Lisetta. (Ah Filippo briccone! ah perfido, scellerato173!)

Doralice. (Me infelice! posso essere più vilipesa di quel ch’io sono?)

Lisetta. E voi, signora mia, siete venuta da casa del diavolo per tormentarmi?

Doralice. Rispettate in me una fanciulla onesta e civile. La figliuola174 di Anselmo Aretusi non soffre di essere insultata da chicchessia.

Lisetta. Se foste onesta e civile....

Doralice. Non vi avanzate più oltre. Se non vi fosse nelle mie camere una francese, a cui vo’175 nascondere questa novella offesa [p. 545 modifica] dell’onor mio, chiamerei mio padre, e vi farei da esso mortificare qual meritate. Bastivi sapere per ora, che al mio genitore sono stata chiesta in isposa, ch’ei mi ha proposto176 un marito che177 non conosco, che la persona che mi onora nelle mie camere non mi ha permesso di rispondergli, d’interrogarlo, di formar parola. Se mio padre è ingannato, se un temerario ha avuto l’ardire178 di burlarsi di lui, s’egli è legato, s’egli v’appartiene179, tanto meglio per me. Informerò immediatamente il mio genitore. Saprà egli vendicare180 l’offesa, sarà giustificata la mia condotta, e si pentirà dell’ardire chiunque ha avuto la temerità d’insultarmi, e di perdermi villanamente il rispetto.

SCENA XVII.

Lisetta, poi Pandolfo.

Lisetta. Si scaldi quanto vuole la signora Aretusi, poco m’importa. Io non esamino se ella sia colpevole od innocente: dico bene, che Filippo è un ingrato, un infedele e un ribaldo181: convien dire ch’ei s’innamori di tutte le donne che vengono alla sua locanda. Briccone! quante promesse, quante belle espressioni d’amore, di fedeltà, di costanza! ed io, semplice, gli ho creduto, ed io ho lasciato ogni buon partito per lui. Perchè mettermi a repentaglio di disgustar affatto mio padre? Perchè insistere di volermi in isposa a dispetto suo? Perchè arrivare perfino a darmi ad intendere di volersi fingere un colonello, per deludere il fanatismo di mio padre182 e carpirmi con artifizio ed inganno? È ben capace di un’impostura; ma grazie al cielo, l’ho conosciuto in tempo, e non mi lascierò più ingannare.

Pandolfo. E bene, signorina garbata, che dite del bell’onore che fate a voi ed a vostro padre? [p. 546 modifica]

Lisetta. Signore, dico che avete ragione. Vi domando scusa del dispiacere che vi ho dato, e sono pronta a far tutto quel che volete.

Pandolfo. Mi promettete di abbandonare affatto Filippo?

Lisetta. Sì signore; ve lo prometto.

Pandolfo. Di accettare uno sposo degno di voi e degno183 di me?

Lisetta. Dipenderò intieramente da voi184.

Pandolfo. Di esaminare con attenzione il merito de’ concorrenti?

Lisetta. Questo è quello, per verità, che mi dà maggior pena. Caro signor padre, questo concorso è una cosa insoffribile.

Pandolfo. Sareste voi contenta del signor Roberto?

Lisetta. Piuttosto.

Pandolfo. Volete ch’io lo trovi, che gli faccia le vostre scuse, e che lo conduca qui di bel nuovo?

Lisetta. Sì, fate tutto quel che volete. (Per vendicarmi di quel perfido di Filippo).

Pandolfo. Brava la mia figliuola. Son contento, mi consolate. (Ah, colle giovani ci vuol giudizio, ci vuol buona testa. So bene io la maniera.... Oh, politica non me ne manca).

SCENA XVIII.

Il Servitore di locanda, e detti.

Servitore. Signore, è qui un colonello tedesco, che la domanda185.

Lisetta. (Ah indegno! sarà Filippo senz’altro).

Pandolfo. Mi domanda! Viene forse per vedere mia figlia? (al servitore)

Servitore. Io credo186 di sì.

Lisetta. Mandatelo via, non lo ricevete. (a Pandolfo)

Pandolfo. Oh diavolo! un colonello! Mi vorreste mettere in qualche impegno.

Lisetta. Ma non avete detto187 di voler terminare questo maladetto concorso? [p. 547 modifica]

Pandolfo. Via, via, un colonello non si può disgustare. Ditegli ch’è padrone. (al servitore che parte)

SCENA XIX.

Lisetta, Pandolfo, poi Filippo travestito con baffi.

Lisetta. Lasciate ch’io me ne vada.

Pandolfo. No, dovete anzi restare.

Lisetta. (Disgraziato! non lo posso vedere).

Filippo188. Star foi segnor189 Pantolfe?

Pandolfo. Io, per obbedirla.

Filippo. Star questa fostra figlicola190?

Pandolfo. Sì signor191, questa.

Lisetta. (Briccone).

Filippo. Per ferità star molte pella, star molte graziosa: parlare molto pene fostra gazzetta192, e ie trovar ancora tante più bellezze, tante pelle cose, che non afer mi lette gazzetta.

Pandolfo. È tutto effetto di sua bontà, di sua gentilezza.

Lisetta. (Mi viene volontà di cavargli gli occhi).

Filippo. Star molte modesta193: non fol mi foltati occhi pelli.

Pandolfo. Via, fate una riverenza al signor colonello.

Lisetta. (Maladetto). (da sè, senza mai guardarlo)

Filippo. Ontertien nigher diener, son fraul194 (passa nel mezzo, e si accosta a Lisetta195.)

Filippo. (Furbo, impostore). (si allontana un poco)

Pandolfo. Scusi, signor colonello, è196 vergognosetta.

Filippo. Je afer gran piacere de sua modestia. Mi dar licenza, signore, dir due parole a fostre figlie?197 [p. 548 modifica]

Pandolfo. Oh sì, signore; sono qui ancor io.

Filippo. (Lisetta, non mi conoscete?) (piano a Lisetta)

Lisetta. (Sì, birbante198, ti conosco). (piano a Filippo)

Pandolfo. Via, rispondetegli. (a Lisetta)

Filippo. Oh afer199 mi risposto anche troppo. (Non capisco, non so cosa diavolo abbia). (da sè)

Pandolfo. Che dice, signore? Le pare che mia figliuola200 sia degna de’ suoi riflessi?

Filippo. Jo restar innamorate de so pellezza201 e de so pone grazie.

Pandolfo. (Questo sarebbe il miglior partito del mondo). Se mia figliuola202 avesse la sorte di piacere al signor colonello203 in quanto a me mi chiamerei204 fortunato. (a Filippo)

Filippo. Je star pon soldate, far tutte mie cosse205 preste: star pronte spossar quande folle206.

Pandolfo. E voi che cosa207 dite, Lisetta?

Lisetta. Io dico che mi maraviglio di voi, signor padre, che abbiate sì poca prudenza di credere ad uno che non conoscete208, che si spaccia per colonello e potrebbe essere un impostore.

Filippo. (Oh povero me! cos’è questo?) (da sè)

Pandolfo. (Per una parte209) ha ragione; ma sono cose da precipitare). (mostrando il suo timore210)

Filippo. (Lisetta, dico, non mi conoscete?) (prono a Lisetta)

Lisetta. (Ti conosco, briccone). (piano a Filippo)

Filippo. (Io resto di sasso). (da sè)

Pandolfo. Signore, scusi la libertà di una donna. Si sa che il signor colonello è una persona di garbo, che darà conto di sè, che si darà da conoscere.

Filippo. Jo far ie feder quante pisogne per sicurar mie contizione.211 (Ho tutto preparato per farmi credere tale, ma costei212 mi precipita). (da sè) [p. 549 modifica]

Pandolfo.213 e quando il signor colonello avrà giustificato il suo carattere e la sua condizione, sarete di lui contenta? (a Lisetta)

Lisetta. Signor no, non sarò contenta, e non lo prenderei se mi facesse regina.

Pandolfo. (Oh diavolo!)214

Filippo. (Che novità, che cambiamento!215 io non so in che mondo mi sia). (da sè, agitato216)

Pandolfo. (Ora ora mi aspetto217 qualche gran rovina). (da sè, osservando le agitazioni di Filippo218)

Filippo. Segnor Pantolfe219. (con smania220)

Pandolfo. Scusi, io non ne ho221 colpa. (a Filippo) Ma perchè, scioccherella, non sareste di lui contenta? (a Lisetta)

Lisetta. Perchè non gli credo, perchè conosco che mi vuol222 ingannare, perchè l’odio223, lo abborrisco, non lo voglio assolutamente, lo224 mando al diavolo. (parte, ed entra nella sua camera225)

Filippo. (Oh disgraziata! volubile, menzognera). (da sè, smaniando226)

Pandolfo. (Con timore) Signore.... (povero me) io non ne ho colpa.... Colei è una bestia, mi dispiace infinitamente.... (camminando227) Non vada228 in collera... Le farò dare soddisfazione.... aspetti un poco. (corre in camera e chiude la porta229)

Filippo. Non so niente, non capisco, son fuor di me. Oh donne, donne! delirio degli uomini, flagello de’ cuori, disperazion degli amanti. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Ed.i cit.: qua e là.
  2. C. s.: panche.
  3. C. s.: madama.
  4. C. s.: tutte e due a un tavolino.
  5. C. s.: e di bere il caffè. Madama ecc.
  6. C. s.: Uomini e donne a sedere, passeggiando e leggendo, il tutto in ordinanza, e buona simetria. Poi comincia il dialogo.
  7. Nelle ed.i cit. si aggiunge: ma di poca fortuna.
  8. Mancano queste parole nelle ed.i cit.
  9. Ed.i cit.: Alle Commedie Italiane ecc.
  10. C. s.: Perchè.
  11. Segue nelle ed.i cit.: «Mad. Font. Per due motivi. Il primo, perchè non intendo la lingua. Il secondo, perchè i Comici Italiani sono in scena troppo presontuosi. Mons. Rose. Ed in questo vi do ragione. Io l’intendo, e ci vado e mi diverto, non delle loro sguaiataggini, ma per applaudire all’argutezza de’ moderni Italiani scrittori. Mad. Font. Bene, divertitevi. Tanto meglio per voi ecc.».
  12. C. s.: il.
  13. C. s.: e ho tralasciato lo studio.
  14. C. s.: Ecco il difetto ecc.
  15. Nelle ed.i cit. qui termina la scena. Manca il resto.
  16. Così corregge E. Masi, ed. cit. Nell’ed. Zatta è stampato Bubar.
  17. Ed.i cit.: si suppone la bottega dietro al giardino.
  18. C. s.: e un piccolo.
  19. C. s.: Ehi, vi sono piccoli avvisi?
  20. C. s.: che gli dispensava.
  21. C. s.: Mandalo.
  22. C. s.: che in questi giardini godiamo. Con due ecc.
  23. C. s.: molto ben.
  24. C. s.: e del stampatore.
  25. C. s.: siede sopra la panca.
  26. C. s.: e fa ecc.
  27. C. s.: luogo.
  28. C. s.: del concorso.
  29. C. s.: Oh curiosa!
  30. C. s.: qualche bella ecc.
  31. C. s.: Tutti si alzano e si affollano di ogni specie di gente al tavolino di Mons. Traversen.
  32. Mancano queste parole nelle ed.i cit.
  33. Tutto ciò manca nelle ed.i cit.
  34. Ed.i cit.: No. Sentite.
  35. Mancano nelle ed.i cit. le parole di Lolotte, Piume e Pandolfo che qui seguono.
  36. Mancano nelle ed.i cit. le parole di Lolotte e di Piume che qui seguono.
  37. Mancano nelle ed.i cit. le parole di Rose.
  38. Ed.i cit.: amabili.
  39. C. s.: Tutti ridono. Pandolfo smania di ammirazione.
  40. C. s.: di esser ben bene legato.
  41. C. s.: Eh sarà ecc.
  42. C. s.: Basta ecc.
  43. Nelle ed.i cit. si salta alle parole di Pandolfo: Manco male che non mi conoscono.
  44. C. s.: il forestiere che ha fatto pubblicare quest’avviso?
  45. C. s.: accenna.
  46. C. s.: Oh diavolo! Poi segue Rose: Zitte, zitte, signore mie ecc.
  47. C. s.: siamo.
  48. C. s.: alle donne, poi verso ecc.
  49. Manca nelle ed.i cit.
  50. C. s.: servirla.
  51. Così nelle ed.i cit. Nell’ed. Zatta: Più di quello ella ecc.
  52. Ed.i cit.: che sono in distanza, ridono ecc.
  53. C. s.: non avesse un gran merito ecc.
  54. C. s.: Gli uomini.
  55. C. s.: rabbia.
  56. C. s.: Le donne replicano le risate, e lo sieguono Mad. Piume e Mad. Lolotte, e tutti quelli indietro.
  57. C. a.: figlia.
  58. C. s.: che.
  59. C. s.: d’illuminarlo.
  60. C. s.: Garzone porta caffè. Siedono.
  61. C. s.: Eh si sa. Quando ecc.
  62. C. «.: per braccio.
  63. C. s.: adesso.
  64. C. s.: Quello nome mi pare che sia d’uno ecc.
  65. Segue nelle ed.i cit.: non me lo avete fallo conoscere?
  66. C.».: luogo.
  67. Segue nelle ed.i cit.: Ma è ricco, può pagarvi ecc.
  68. Segue nelle ed.i cit.: Trattalelo con destrezza, e son certo che farà il suo dovere. Ho esaminato gli interessi vostri e trovo che i vostri crediti ecc. Il resto è saltato.
  69. Alludesi alla guerra dei 7 anni.
  70. Segue nelle ed.i cit.: da soddisfarsi. Consolatevi ecc.
  71. C. s.: sarete.
  72. C. s.: assistenze.
  73. C. t.: figlia.
  74. Segue nelle ed.i cit.: «Rob. Ma l’avete voi veduta? Ans. Non l’ho ancora veduta. Rob. Vedetela, e poi ecc.. Il resto è saltato.
  75. C. s.: che egli sia stato.
  76. C. s.: Servitore?... Se l’ha fatto per necessità... per disgrazia...
  77. C. s.: No signore, l’ha fatto perchè è tale la sua ecc.
  78. C. s.: mercante.
  79. C. s.: Fallire col denaro ecc.
  80. C. s.: contro di lui.
  81. C. s.: figlia.
  82. C. s.: Inclinereste.
  83. C. s.: un suocero villano?
  84. Nelle ed.i cit. segue: «Ans. E cosa direbbero i vostri ecc.».
  85. Segue nelle ed.i cit.: «Ans. Ah signor Roberto, se non vi avessi trovato affascinato' ecc.».
  86. Segue nelle ed.i cit.: «di farvi una proposizione. Rob. E quale? Ans. Ho ancor io una figlia da maritare. Rob. Avete una figlia? Ans. Sì signore, e se l’amore ecc.».
  87. C. s.: e buona.
  88. Segue nelle ed.i cit.: ’Ans. Scusatemi, se vi sono troppo inopportuno. Rob. Vi supplico di non ecc.». Il resto è saltato.
  89. C. s.: la figlia! non sa che ecc.
  90. C. s.: Se io non fossi un onest’uomo ecc.
  91. Nelle ed.i cit. finisce qui la scena. Il resto è saltato.
  92. C. s.: questa Italiana, quella rarità che si è fatta scrivere sugl’affissi? E segue: «Fil. (Sono tante stoccate al mio cuore). Signore, io non so nulla. Rose. Abbiamo parlalo con suo padre ecc.».
  93. C. s.: in testa.
  94. C. s.: figlia. Così più sotto.
  95. C. s.: tanto.
  96. C. s.: Imbasciata.
  97. C. s.: torni.
  98. C. s.: parte.
  99. C. s.: sorte.
  100. Così nelle ed.i cit. Nell’ed. Zatta è stampato: Oh, perchè questo!
  101. Segue nelle ed.i cit.: «Fil. Signore, la giovine vi domanda ecc.».
  102. C. s.: Che dite, signora? Non è sì facile ecc.
  103. C. s.: Sapete.
  104. C. s.: Che foste solo.
  105. C. s.: Ma la voglio vedere.
  106. C. s.: va per entrar nella camera.
  107. C. s.: con ironia.
  108. C. s.: ch’io conosco di non meritare.
  109. C. s.: negare che non ecc.
  110. C. s.: Eh non vi è male ecc.
  111. Nell’ed. Zatta è stampato così: «(la guarda sempre) Non vi è male per dirla, ma (con attenzione) non ci sono quelle maraviglie che dicono».
  112. Qui finisce Rose nelle ed.i cit. e segue Font.: È un gran giudice ecc.
  113. C. s.: ch’io non conosco. Rose. Io sono ecc.
  114. C. s.: madama la...
  115. C. s.: La... la... se volete ecc.
  116. C. s.: dare.
  117. C. s.: la mia.
  118. Così nelle ed.i cit. Nell’ed. Zatta queste parole sono pure di Doralice.
  119. Così nelle ed.i cit. Nell’ed. Zatta è stampato di nuovo: con caricatura.
  120. Ed.i cit.: s'incammina.
  121. C. s.: si ferma.
  122. C. s.: Io non sono ecc.
  123. C. s.: della vostra singolare ecc.
  124. C. s.: intendo.
  125. C. s.: dovreste prima.
  126. C. s.: così.
  127. Mancano nelle ed.i cit. queste parole di Rose.
  128. Così le ed.i cit. Nell’ed. Zatta: le.
  129. C. s.: che egli vi ha fatto il torto.
  130. C. s.: parlare a.
  131. C. s.: bestiale.
  132. C. s.: Eccolo mio padre. Vi prego ecc.
  133. C. s.: che maraviglia?
  134. C. s.: No, signora.
  135. C. s.: tal.
  136. C. s.: non pensar male ecc.
  137. C. s.: anch’io a crederlo.
  138. C. s.: per servirla.
  139. C. s.: figlia.
  140. C. s.: perduto.
  141. C. s.: ora si dà ecc.
  142. C. s.: una volta.
  143. C. s.: parte. Segue nelle cit. ed.i: «Doralice. (Ora non mi manca altro per esser felice, che di rivedere il mio caro Roberto). parte».
  144. Segue nelle ed.i cit.: Sediamo. Signor Anselmo, io trovo vostra figlia ecc. Il resto è saltato.
  145. C. s.: civile.
  146. C. s.: parere ancor ecc.
  147. C. s.: per la mia figlia.
  148. C. s.: avete.
  149. C. s.: non ho trovato pensona ecc.
  150. Segue nelle ed.i cit.: Oltre la stima ch’io ò per gl’Italiani, aggiungete la nostra amicizia, la nostra corrispondenza.
  151. C. s.: si alzano. Mons. cava fuori ecc.
  152. C. s.: l’abbraccia.
  153. C. s.: non è ecc.
  154. C. s.: non vi dubitate.
  155. C. s.: e il caso vostro è medesimo.
  156. C. s.: a vostra figlia.
  157. C. s.: Davvero è cotto. Povero ecc.
  158. C. s.: parte verso Doralice.
  159. C. s.: con mia figlia.
  160. Segue nelle ed.i cit.: «Rob. Ma come? Filippo ecc.».
  161. C. s.: alla.
  162. C. s.: e d’ingannare.
  163. C. s.: non si cura.
  164. C. s.: figlia.
  165. C. s.: che la vostra ecc.
  166. C. s.: perchè amo ecc
  167. C. s.: apre la porta ed entra in camera. Manca il resto.
  168. C. s.: di una.
  169. C. s.: una giovane ecc.
  170. C. s.: senno.
  171. C. s.: e che maltrattato ecc.
  172. C. s.: ch’egli ha sedotta questa fanciulla.
  173. C. s.: ah perfido! ah scellerato!
  174. C. s.: figlia.
  175. C. s.: vuò.
  176. C. s.: promesso.
  177. C. s.: ch’io.
  178. C. s.: ha avuto ardire.
  179. C. s.: se egli vi appartiene.
  180. C. s.: giustamente vendicare.
  181. Segue nelle ed.i cit.: Altro che voler fingersi colonello ecc.
  182. Segue nelle ed.i cit.: Grazie al cielo l’ho conosciuto ecc.
  183. C. s.: degno di voi, degno ecc.
  184. Segue nelle ed.i cit.: «per vendicarmi di quel perfido di Filippo. Pand. Brava la mia figliuola. Son contento, mi consolate. Vado a ritrovare il signor Roberto, per pacificarvi. (Eh colle giovani ecc.)».
  185. C. s.: dimanda.
  186. C. s.: Credo.
  187. C. s.: diceste.
  188. Qui comincia nelle ed.i cit. la scena XIX. Il breve dialogo che precede fa parte della scena XVIII.
  189. C. s.: sennor.
  190. Così è stampato nella ed.e Zatta. Nelle cit. ed.i: figlia.
  191. C. s.: signore.
  192. Le parole di Filippo, che qui seguono, mancano nelle ed.i citate.
  193. C. s.: moteste.
  194. C. s.: Gotten morghen, jun Frau.
  195. C. a.: va in mezzo.
  196. C. s.: è un po'.
  197. C. s.: fostra figlia?
  198. C. s.: barbaro.
  199. C. s.: Afer.
  200. C. s.: figlia.
  201. C. s.: Jà je stare innamorate de soe pellezze ecc.
  202. C. s.: figlia.
  203. C. s.: di piacergli.
  204. C. s.: sarei.
  205. C. s.: cose.
  206. C. s.: sposar quando fole.
  207. C. s.: E voi cosa ecc.
  208. C. s.: che non si conosce.
  209. C. s.: per verità.
  210. C. s.: con timore.
  211. C. s.: Jà, far le felere quanto pisogna.
  212. C. s.: colei.
  213. Nelle ed.i cit. dice Pandolfo: Oh bravo! allora mia figlia sarà contenta.
  214. Nelle cit. ed.i mancano queste parole di Pandolfo.
  215. Qui finiscono nelle cit. ed.i le parole di Filippo.
  216. C. s.: smania.
  217. C. s.: Ora mi aspetto.
  218. C. s.: osserva Filippo.
  219. C. s.: Sennor Pandolfe...
  220. C. s.: con rabbia.
  221. C, s.: non ho.
  222. C. s.: vuole.
  223. Nell’ed. Zatta è stampato per isbaglio: lo dico.
  224. C. s.: e lo.
  225. C. s.: va in camera.
  226. C. s.: smania.
  227. C. s.: incaminandosi.
  228. C. s.: Sì signore, non vada ecc.
  229. C. s.: e si chiude dentro.