Il nostro padrone/Parte seconda/XVII

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XVII

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XVII.

Ma passarono i giorni e le settimane e la notizia della morte di Bruno non arrivò.

Per Natale Predu Maria scese a Nuoro e trovò sola in casa la suocera che pestava noci per condire i maccheroni di magro. Sebastiana era andata da Marielène per aiutarla a preparare un dolce.

Sulle prime egli s’irritò, dichiarando che [p. 359 modifica]sua moglie non doveva far la serva a nessuno; ma all’improvviso si calmò e sedette davanti al focolare, con attitudine stanca.

— Se Marielène, che è tanto furba, le lascia frequentar la casa, vuol dire che non sospetta e che nulla è vero, — pensava; poi domandò:

— Che nuove?

La maestra aveva molte cose da raccontare, ma procedette con calma, senza smettere di pestare le noci. Anzitutto parlò dei suoi vicini di casa, dicendo che Bruno apparentemente stava bene.

— Ma se dicevano che moriva!

— Ha avuto un forte accesso, giorni or sono; ma ora sta meglio; l’ho veduto oggi che andava dal Perrò.

Egli si battè le mani sulle ginocchia e sospirò. Ah, dunque Bruno stava apparentemente bene, e a quell’ora forse chiacchierava e rideva con Sebastiana, mentre lui, babbeo, stava ad ascoltare le frottole di quella donna finta ed egoista che era riuscita ad ingannarlo e forse lo ingannava ancora.

Ella pestava e raccontava.

— Chi sembra malata è invece Marielène. Lavora come una matta, ma guadagna come un sotto‐prefetto. L’altra casa è già terminata ed è già piena di gente; [p. 360 modifica]lei però sembra una gatta a marzo, una gatta che non trovi da fare all’amore....

— Sarà gelosa....

— Di chi? Della morte? — disse la maestra. — Rabbiosa lo è, di sicuro. Oggi, finalmente, ha cacciato via la signora Arrita: l’accordo è durato troppo, ed è finito come doveva finire; per poco padrona e serva non si azzuffavano. Ma era da prevedersi, perchè quando la confidenza fra padrona e serva diventa eccessiva ne segue un’inimicizia feroce. È vero però che in questo caso si trattava di due serve.

— Come siete maligna, monna suocera! Voi pestate la gente come pestate le noci in quel mortaio.

La donna sollevò gli occhi e lo guardò con un’espressione di sorpresa più che di sdegno; era la prima volta che egli le mancava di rispetto.

— Ignori forse che Marielène è stata sempre una serva? E chi nasce quadro non può morir tondo, — ella sentenziò, alzandosi col piatto delle noci pestate in mano.

Col capo reclinato sul petto Predu Maria taceva, come immerso in un sogno; ed ella parve accorgersi finalmente dello stato deplorevole in cui egli si trovava.

— Tu sei magro, figlio mio; che cosa hai fatto? Sei stato male? [p. 361 modifica]

— Ho bevuto del veleno!

— Del veleno, figlio mio?

Egli sollevò la testa lentamente, quasi a stento, come se gli pesasse, ma non sollevò gli occhi.

— Monna suocera, sapete cosa devo dirvi? Perchè, invece di guardare nelle case altrui, voi non guardate entro casa vostra?

— Che cosa vuoi dire, Predu Maria Dejà? Io non ti comprendo.

— E allora peggio per l’anima vostra. Male voci sono salite fino al monte, sul conto di vostra figlia.

Ella andò a deporre il piatto sul forno, senza rispondere, apparentemente calma; poi tornò accanto a lui, che aveva di nuovo reclinato il capo, e gli battè una mano sulla spalla.

— Spiégati.

— Io non vi devo spiegazioni. Siete voi che ne dovreste a me, poichè io ho avuto fiducia in voi come in una madre e mi sono lasciato dominare da voi e dalla vostra presenza imponente come un bambino da una persona alta. Che mi abbiate ingannato quel giorno, prima di sposare vostra figlia, la vostra perla, va bene: peggio per me che sono stato uno stupido. Dovevo pensare: io non sono un uomo a [p. 362 modifica]cui si possa offrire una ragazza onesta! E lo pensavo, e ve lo dissi, e voi riusciste a convincermi del contrario. Peggio per me, dunque, ma che il gioco continui, no, perdio; no, non deve continuare! Ora basta, capite! Basta!

Egli gridava. La donna s’era fatta livida in viso e un tremito convulso le agitava le mani.

— Io non credo a quello che tu dici! Parla più chiaro, pronunzia i nomi.... altrimenti ti dirò che mentisci....

Preso da un impeto di rabbia egli si portò le mani al capo indi alla bocca, quasi per impedirsi di pronunziare i nomi che la suocera voleva, e la guardò con disprezzo.

— Mentisco? Allora ve lo farò vedere.

E non disse altro, per quante suppliche e imprecazioni ella gli rivolgesse.

— Lo so, lo so chi ti ha sobillato. Antoni Maria Moro voleva i gioielli da Sebastiana, per andare ad impegnarseli, e diceva che lo avevi mandato tu.... Egli s’è vendicato del nostro rifiuto.... E quell’altra strega, la vecchia pettegola.... la serva di Marielène.... Anche quella parla per invidia.... Ma Sebastiana, anche se suo marito è assente, ha una buona madre che può custodirla.... Capisci, genero mio? In[p. 363 modifica]sultare tua moglie è come insultare una bambina in fasce. Io la custodisco.... Io te l’ho data pura e fresca come un garofano appena staccato dalla pianta, e tale è ancora....

Ma le frasi ricercate di lei non lo commovevano più. Egli taceva, e come suggestionata dal silenzio e dall’atteggiamento di lui anche la maestra tacque e ritornò calma e impassibile.

Poco dopo rientrò Sebastiana, che salutò suo marito con un certo sussiego; e la sera di Natale trascorse triste e fredda fra quei tre che non cercavano di rappresentare una commedia inutile, ma riuscivano a nascondersi scambievolmente i propri pensieri.

La più agitata e la più apparentemente calma era la maestra: talvolta però ella fissava gli occhi nel vuoto e aveva una impressione di terrore, sembrandole di vedersi circondata da rovine; ma poi si scuoteva e per vanità e per amor proprio si ribellava a credere che il suo edifizio fosse crollato.

— Se Predu Maria fosse stato certo del suo disonore, a quest’ora si sarebbe vendicato.... — pensava. — Sebastiana è stata calunniata. — Da chi? Da Antoni Maria, o dalla signora Arrita?

A sua volta Predu Maria pensava alla [p. 364 modifica]vecchia serva come all’unica persona che potesse svelargli la verità. E uscì e andò in cerca di lei.

Passando davanti alla casa di Marielène vide le finestre illuminate, e come spinto da un desiderio morboso più forte della sua volontà si accostò al portoncino, lo spinse, vide Bruno nel vano della porta di cucina.

— Come stai? — gli domandò, avanzandosi fino alla porta e guardando nell’interno della cucina. — La vostra serva dov’è? Avrei bisogno di parlarle.

Bruno si ritrasse, fissandolo coi suoi occhi tristi e chiari di malato; e Predu Maria ebbe l’impressione di averlo sgradevolmente sorpreso con la sua visita improvvisa.

— La nostra serva? Arrita? Da oggi non è più al nostro servizio.

— Ah, no? E dove potrei trovarla?

— Non saprei. Credo, presso certi suoi parenti, in vetta al Corso.

— Ah, bene; so dov’è....

Entrambi si fissavano con uno sguardo acuto e diffidente, senza sorridere, senza pensare a stringersi la mano.

A un tratto Marielène apparve sull’uscio in fondo alla cucina, e vedendo Predu Maria trasalì, poi si mise a ridere. [p. 365 modifica]

— Non t’avevo riconosciuto!

— Son così cambiato?

— No, son io che da qualche tempo in qua non ci vedo bene: ho un po’ gli occhi velati, — ella disse, passandosi le mani sugli occhi spalancati e sul viso scarno e rosso, ma d’un rossore livido. — Sebastiana poi non disse che dovevi scendere. E adesso lei che fa? Non torna? L’aspetto.

— Sì, non dovevo scendere, — egli disse, beffardo, — ma poi ho pensato: andiamo giù, divertiamoci. Voglio far festa!

— Vieni alla messa? Io e tua suocera abbiamo intenzione di andarci.

— Andate pure! Io voglio far festa per conto mio....

— Egli cercava l’Arrita.... — mormorò Bruno.

Allora Marielène gridò:

— Non sai che l’ho cacciata via? Ah, ah, la signora! La vecchia bastarda, ruffiana e ladra! Ah, tu hai bisogno di lei? Ah, tu....

— Elena, basta! — gridò Bruno.

— No, volevo solo pregarti d’una cosa, Predu Maria. Se la vedi dille che si guardi bene dal continuare a calunniarci: se no... se no.... tu mi conosci, io non son donna da lasciarmi offendere....

Egli la guardava con ironia, senza ac[p. 366 modifica]corgersi che Bruno a sua volta lo osservava con inquietudine. Ma appena ella andò nella sala da pranzo, Predu Maria tornò a fissare il suo rivale, e strizzò un occhio, sogghignando, come per significare che fra loro si intendevano. Il suo viso, contratto da un’espressione strana, pareva una maschera macabra sogghignante d’odio e di scherno.

— Ella non si lascia offendere! Hai sentito? — disse a bassa voce, accennando con la testa l’uscio della sala da pranzo. — Diglielo tu come si lascia offendere, invece.... e come non se ne accorge!... Addio.

Bruno non lo richiamò, ma tornò sul limitare della porta e seguì con uno sguardo di spavento la figura nera che se ne andava come era venuta, in modo quasi misterioso.

E rimase a lungo immobile come se avesse veduto un fantasma. Gli sembrava d’aver sempre davanti quel viso sogghignante, quegli occhi che ammiccavano; e ripeteva parola per parola le frasi ironiche di Predu Maria.

— Non c’è dubbio: egli sa, o almeno sospetta. «Voglio divertirmi anch’io» «voglio far festa» «ella si lascia offendere senza accorgersene». Egli cerca la vecchia [p. 367 modifica]serva maligna e vendicativa. Perchè la cerca? Per farla parlare? O è appunto da lei che ha saputo, ed ha pronunziato il suo nome per spaventarmi?

Bruno sapeva che solo la vecchia aveva indovinato la sua passione per Sebastiana: nessun altro, neppure sua moglie, neppure la maestra, potevano sospettare: se avessero sospettato non avrebbero saputo fingere così bene, Marielène specialmente.

— Che accadrà? — si domandò atterrito. — Bisogna avvertire Sebastiana.

Ma Sebastiana non tornava, ed egli non osava muoversi dal vano della porta.

La notte era dolce, velata; sembrava una notte autunnale. A un tratto, nel silenzio interrotto solo dalle risate e dalle voci dei pensionanti che finivano di cenare, risuonò uno squillo di campane che parve spandersi nel cielo e inondarlo di una luce misteriosa. E tutte le cose, come svegliate da quel richiamo profondo, pieno di armonia e di luce, vibrarono e cantarono, finchè lo squillo cessò e tutto fu di nuovo silenzio.

Bruno provò un senso di vertigine, come se quel suono di campane gli ricordasse una vita anteriore e nello stesso tempo gli annunziasse che un avvenimento misterioso e terribile stava per compiersi. [p. 368 modifica]Ma a misura che il suono svaniva nell’aria tranquilla, anche il suo spirito si calmava: e dentro di lui, come intorno a lui, tutto di nuovo fu silenzio e tristezza.

A passi cauti uscì nel viottolo ed entrò nell’orto della maestra, deciso di avvertire Sebastiana del pericolo che li minacciava: ma arrivato all’angolo della scaletta sentì che le due donne questionavano fra di loro e si fermò.

La maestra parlava con violenza, ma senza dimenticare le sue espressioni ricercate.

— Era meglio che io non ti avessi dato il latte, figlia mia: era meglio che tu fossi morta appena nata. Tu hai fatto diventar bianchi i miei capelli innanzi tempo, e vuoi farmi morire scomunicata.

— Egli ha mentito! È il suo mestiere! — gridò Sebastiana. — Perchè non parlò con me? Ha forse paura di me, adesso, dopo che mi ha sempre trattata come una bimba di cinque anni? Ma l’aspetterò....

— Sta almeno zitta! Tagliati la lingua, poichè non puoi forarti gli occhi! Saranno pure calunnie, voglio sperarlo, ma non c’è fumo senza fuoco, e di una donna onesta non si sospetta neppure.

Allora Sebastiana scoppiò a piangere, e fra i singhiozzi riprese a difendersi, con voce infantile ma con parole acerbe. [p. 369 modifica]

— Io sono onesta più di qualsiasi altra donna onesta. Che male ho fatto? Ditelo voi che male ho fatto. Non vi ho sempre obbedito? Potevo diventare ricca e correre il mondo e divertirmi; e voi, invece, mi avete gettato fra le braccia d’un uomo che non mi vuol bene, che è freddo e molle come la neve.... Io non dico ch’egli sia cattivo, ma non è un uomo, è uno straccio.... Questo è l’uomo che mi avete dato voi, questo!...

— Quello che ti meritavi, figlia mia, — disse la maestra con tetra ironia.

— Ah, quello che meritavo? E allora io dovrei essere quella che lui si merita.... Ma io.... ma io....

— Taci, o ti rompo le spalle con un bastone....

— Bastonate pure! Non avete fatto altro in vita vostra, — gridava Sebastiana, correndo per la cucina come una bestia feroce che si ribella al domatore. — Sì, mi avete bastonata, mi avete mandata in una casa dove io non doveva stare, mi avete perseguitata sempre, invece di difendermi. Adesso non ne posso più; adesso basta! Io non faccio male, ma se continuerete a calunniarmi commetterò davvero qualche pazzia. Lasciatemi in pace. È tempo! È tempo! [p. 370 modifica]

— È vero, è vero, — pensava Bruno, curvo e fremente, e sembrandogli che la maestra stesse per percuotere Sebastiana spinse la porta ed entrò.

— Che c’è? — disse turbato. — Marielène vi aspettava per fare un po’ di festa assieme, e voi questionate?

Allora la maestra, non sapendo che il genero sospettava appunto di lui, gli confidò le lagnanze di Predu Maria, e pur accusando Sebastiana di leggerezza, di poco rispetto verso sua madre, di malinteso orgoglio, la difese contro le calunnie giunte fino alla lavorazione e lo chiamò a testimonio della vita ritirata e onesta che lei e sua figlia conducevano.

— Nessuno meglio del buon vicino può giudicare una famiglia o una persona, — concluse con enfasi, — e tu, appunto da buon vicino, puoi dire se c’è nulla da ridire sul conto nostro. Hai mai veduto persone sospette, in casa mia? Non sono una madre vigilante e severa, io?

Egli stava per rispondere, quando Sebastiana scoppiò a ridere; ed egli capì che questa era la più crudele vendetta ch’ella potesse prendersi di sua madre. Ma guardandola vide che gli occhi di lei, ancora umidi di lagrime, fiammeggiavano cupi, ed ebbe paura: il presentimento che qual[p. 371 modifica]cosa cosa di terribile dovesse accadere da un momento all’altro tornò a dominarlo.

Infatti, mentre egli se ne tornava a casa, dopo aver tentato invano di rappacificare le due donne, certo ad ogni modo che ormai Sebastiana era messa in avvertenza, sentì ch’ella invece gli correva dietro richiamandolo a bassa voce. Si fermò, ed ella lo raggiunse e gli si aggrappò al collo, esasperata, folle d’imprudenza. Egli si sentiva battere il cuore pronto a scoppiare; gli occhi gli si velarono e non vide, non capì più nulla finchè, spinto da lei, non si ritrovò nella cucina di casa sua. Marielène non c’era; egli cadde a sedere davanti al camino e nascose il viso fra le mani.

— Stanotte, quando vanno tutti via vengo qui, vengo qui, — ella gli ripeteva all’orecchio. — Così mi vendicherò....

Egli taceva: sua moglie rientrò e osservò che Sebastiana aveva gli occhi rossi.

— Non lo sai, Marielè! Mia madre mi bastonava come un cane.... domanda a tuo marito, domanda! Non ne posso più!... Tutto quello che io faccio è mal fatto; io sono l’ultima delle donne, io sono una schiava: perchè vivere così? Sono stanca.... e non so cosa accadrà di me....

Ricominciò a piangere, asciugandosi il [p. 372 modifica]viso con la manica della camicia, e Bruno sollevò gli occhi e la vide così triste e disperata che dimenticò le sue inquietudini per ripetere fra sè la domanda di lei.

— Che accadrà di lei? Che accadrà di lei, dopo? Ella si perderà.... prenderà un amante, molti amanti, e Predu Maria la ucciderà....

E mentre Marielène la confortava, ed ella continuava a lamentarsi, egli la guardava alla sfuggita; e la gelosia, l’amore, la pietà, la paura, tutte le passioni le più laceranti gli torturavano il cuore.

Rimessa in ordine la cucina, Marielène riaccompagnò Sebastiana a casa, e ritornò dicendo che la maestra si era placata e stava a vestirsi per andare in chiesa.

— Torneremo presto. Tu stai alzato? Stai bene, vero?

Gli accarezzò la guancia senza accorgersi che negli occhi velati di lui le pupille dilatate fissavano un punto lontano, invisibile a lei, invisibile a tutti.

— Va, va, — egli disse, respingendola, — chiudi bene la porticina e la porta. Io andrò a letto.

Ma quando la donna fu uscita, egli si alzò, mise altra legna sul fuoco, e tornò a sedersi come in attesa di qualcuno. La fiamma si alzò, rossa e violacea; i tizzi [p. 373 modifica] ardevano cigolando e a poco a poco tutte le cose intorno parvero muoversi come la fiamma e sospirare e cantare.

Le campane suonavano di nuovo.

Nonostante la sua inquietudine egli sentiva una sonnolenza invincibile; ma non voleva andar a letto perchè aspettava Sebastiana. Era deciso a non aprire, ma il pensiero ch’ella a momenti avrebbe picchiato alla porticina, e che Predu Maria avrebbe potuto vederla, lo colmava di terrore.

L’ora passava: Sebastiana non veniva, ma invece di calmarsi egli sentiva aumentare la sua inquietudine e trasaliva ad ogni rumore.

Finalmente sentì picchiare davvero al portoncino, ma non potè alzarsi subito, come se una mano pesante gli premesse sul capo: vide rosso, gli sembrò che la fiamma del camino si alzasse, larga e sventolante: e in mezzo, come un’imagine impressa su una bandiera color sangue, gli riapparve il viso macabro di Predu Maria.

Dopo qualche attimo tutto svanì; allora egli potè alzarsi e andò alla porticina e stette ad ascoltare. Silenzio. Ella se ne doveva essere andata. Gli sembrava di vederla, pazza di ribellione, correre attraverso il viottolo come un fantasma bello [p. 374 modifica] e terribile. E a un tratto gli parve di sentire come un fruscìo d’alberi e rivide suo nonno seduto sulla soglia del casolare, con gli occhi azzurri maliziosi fissi in lontananza.... Egli raccontava storie di briganti, di donne selvaggie, e nello stesso tempo indicava un punto lontano, al di là, al di là dei boschi tranquilli e dei monti senza roccie.... Poi di nuovo tutto svanì, il fantasma, il nonno, il punto lontano....

Egli attraversò di nuovo il cortile, oramai certo che Sebastiana non sarebbe tornata. La sua angoscia però non cessava. Rientrò in cucina e volle chiuder la porta, ma non appena tese il braccio sentì uno schianto, come se dentro al suo petto qualcosa si frantumasse, e cadde sul limitare e non potè più sollevarsi.

Visioni confuse tornarono ad attraversargli la mente; ma nè la figura di Sebastiana nè altre figure umane gli riapparvero più, come se il mondo abitato dagli nomini fosse già lontano da lui.

Gli sembrava d’essere caduto inciampando contro una roccia, sull’Orthobene: era un mattino luminoso e caldo, e dal punto ov’egli giaceva si scorgeva il mare e si scorgeva Nuoro, bianca nella valle come un agnello fra l’erba. I monti lontani sembravano mucchi di argento. [p. 375 modifica] Nuvolette simili a piccole onde bianche salivano, salivano coprendo il cielo: e nel bosco immobile fra le roccie le gazze cantavano imitando lo squillo delle campane.

A un tratto tutto sparì: egli riaprì gli occhi e vide solo, su uno sfondo nero, una piccola mano dorata che gli accennava di andare.... di andare verso un luogo lontano.... Era la fiamma del camino che s’era assottigliata e stava per spegnersi.