Il ripostiglio di Lurate Abbate
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IL RIPOSTIGLIO DI LURATE ABBATE
A Lurate Abbate in provincia di Como, nell’agosto dello scorso anno, eseguendosi alcune riparazioni in una casa colonica di proprietà del Nob. D. Cesare Cagnola, venne scoperto un ripostiglio di numerose monete d’argento con qualcuna d’oro, le quali furono presentate per esame al Gabinetto Numismatico di Brera.
Erano ben 1273 monete medioevali, per la massima parte italiane; lo stato di conservazione, ottimo od almeno soddisfacente in quasi tutte, permise di ripartirle con sicurezza fra le varie zecche alle quali appartenevano, e di stabilire con molta probabilità il tempo cui risaliva la loro coniazione.
Si è appurato così, che nessuna di esse poteva assegnarsi ad un’epoca posteriore alla metà del secolo XIV; e che il ripostiglio dovrebbe datare anzi, presumibilmente, dai primi decenni di tal secolo, intorno cioè al 1320.
La quantità ragguardevole dei pezzi, la varietà delle zecche rappresentate, il pregio e in qualche caso la straordinaria rarità ed importanza storica di talune monete, ci sembrano rendere abbastanza cospicuo il ripostiglio di Lurate Abbate, perchè meriti di serbarne memoria nel suo complesso, in luogo di limitarci a dar notizia delle cose più peregrine in esso contenute.
Ci si permetta quindi una rapida rassegna dell’intero ripostiglio, nella quale non ci soffermeremo fuorché quando la rarità o l’interesse scientifico ci parrà giustificarlo.
Il maggior numero era di monete venete, e più particolarmente di matapani, che oltrepassavano le cinque centinaia, suddivisi come segue: 9 del doge Pietro Ziani; 10 di Jacopo Tiepolo; 6 di Marino Morosini; 90 di Renier Zeno; 39 di Lorenzo Tiepolo; 35 di Jacopo Contarini; 64 di Giovanni Dandolo; ben 317 di Pietro Gradenigo, e 4 di doge incerto. Vi si trovavano inoltre 6 zecchini di Pietro Dandolo, ed un bell’esemplare di quello rarissimo di Marin Zorzi.
Ai matapani di Venezia erano frammiste varie imitazioni, di gran lunga più rare, alcune preziosissime anzi, eseguite in altre zecche; ne diremo più avanti.
Venivano in seguito le monete di Merano, in numero di 188; di esse, 25 erano grossi aquilini attribuiti al conte Alberto, col nome della zecca, e 163 grossi tirolini di Mainardo II.
A questi ultimi se ne accompagnavano altri di ben maggior pregio, vale a dire sette grossi repubblicani d’Ivrea, e due di Acqui del vescovo Oddone Bellingeri.
La zecca di Trento era rappresentata da tre grossi vescovili del secolo XIII.
Le monete francesi tenevan dietro per numero a quelle di Venezia e di Merano; vi si noveravano infatti 181 grossi tornesi ed un mezzo tornese di Filippo IV il Bello, e 18 grossi tornesi di Carlo II d’Angiò, come conte di Provenza.
Anche con queste monete, belle ma comuni, si trovavano alcune rarissime imitazioni italiane, delle quali pure parleremo in seguito. Milano teneva il quarto posto con 84 pezzi, così ripartiti: 4 denari di Lodovico I il Pio; 49 soldi della prima Repubblica; 25 grossi da soldi due, e 6 esemplari del pregevole soldo dell’imperatore Enrico VII; infine un denaro di Lodovico V il Bavaro.
Il rimanente del ripostiglio abbracciava monete uscite da svariate zecche italiane, con predominio dell’alta Italia.
Genova vi era rappresentata da otto genovini d’oro, di epoca anteriore alla istituzione del Dogato; Tortona, Pavia, Brescia, rispettivamente da due, tre ed un grosso della Repubblica; Cremona da due bei grossi col Sant’Imerio; Piacenza da 26 grossi, pure repubblicani; Parma da un esemplare dell’interessante grossetto battuto fra il 1269 e il 1299; Reggio da un bolognino del vescovo Nicolò Maltraversi; Modena da 4 grossi col nome di Federico; Bologna da 26 bolognini repubblicani.
La Toscana figurava per quattro zecche: Firenze, con 14 fiorini d’oro e 13 popolini della Repubblica; Pisa, con 5 mezzi grossi col nome di Federico; Siena, con 4 grossi del principio del secolo XII; ed Arezzo, con 15 mezzi grossi repubblicani.
Brindisi vi aveva 35 esemplari della bella moneta di Enrico VI imperatore, senza nome di zecca, colla leggenda: henricvs rex semper avgvstvs, da molti attribuita piuttosto, non senza valide ragioni, a Milano.
Di Messina vi si trovavano 8 tari di Pietro I di Aragona e Costanza, 3 di Giacomo, e 13 di Federico II.
Ma l’interesse maggiore del ripostiglio di Lurate Abbate risiede nelle monete d’imitazione che ne facevano parte, e che si scindono in tre gruppi: imitazioni del grosso tirolino, imitazioni del matapane, ed imitazioni del grosso tornese. Del grosso tirolino, come si è detto, vi erano alcune imitazioni di Ivrea e di Acqui.
Del matapane, oltre alcune contraffazioni del re Urosio II di Serbia, «che male ha visto il conio di Vinegia», vi erano le seguenti:
Un esemplare del matapane, assai raro, di Filippo di Savoia, principe d’Acaia1, pertinente alla zecca di Torino.
Sette esemplari del pregiato matapane battuto in Chivasso da Teodoro I Paleologo, marchese del Monferrato2.
Due esemplari del rarissimo matapane anonimo di Ponzone, colla leggenda: D.’ PONÇO3.
Tre esemplari dell’interessantissimo matapane cui accenna Domenico Promis a pag. 50 della citata sua memoria sulle Monete inedite del Piemonte (Supplemento, Torino, 1866); e ch’egli poi descrive più minutamente, in due varietà, pubblicandone anche il disegno, nell’ultima delle sue preziose memorie4.
Qui cadono in acconcio alcune osservazioni.
Di tale matapane, l’illustre nummografo non ebbe dapprincipio sott’occhio che un solo esemplare, scoperto alcuni anni prima, e poiché il medesimo era assai logoro non riuscì che a leggervi, dubitando: HEN...CVRI. «Quando invece di un I vi fosse un T, allora » osserva egli «si troverebbero le prime lettere di Curtismilia, ma altrimenti essendo, non so come ciò spiegare ». Più tardi, acquistò pel medagliere di S. M. un’altra varietà della stessa moneta, e coll’aiuto di essa potè completare la leggenda. Questa sarebbe, pel primo esemplare: HEN 7 CVRT, per il secondo: HER: E 3 CVR.5
Invece, pei tre esemplari del nostro ripostiglio, sull’uno, è vero, si leggerebbe pure: HER: E 3 CVR., ma sull’altro si legge: HER. 7 CVNR.., e sul terzo, infine, distintissimamente: HENR. 7 CVNR..
Ora, Domenico Promis, basandosi sul CVRT della sua prima moneta, attribuisce con acuta ed erudita indagine genealogica i suoi due matapani ad un Enrico marchese di Novello in unione ai Cortemigliesi, interpretando la leggenda cosi: «Henricus et Curtismiliæ marchio o forse marchiones»6, e li assegna alla zecca di Cortemiglia.
Ma questa interpretazione, se è ammissibile pel nostro primo matapane con: HER:E3 CVR., non lo può essere per gli altri due, che hanno chiaramente: CVNR.., dove il nesso NR esclude la lettura: Curtismiliæ.
Per questi due esemplari, noi proporremmo invece addirittura l’interpretazione: Henricus et Cunradus che è ovvia affatto per l’ultimo matapane con HENR. 7 C∇NR ; e crederemmo di poterli assegnare alla già mentovata zecca marchionale di Ponzone, sotto la signoria di un Enrico e di un Corrado. Infatti, nell’opera del Litta, alla Tav. III degli Aleramidi, troviamo ricordati appunto fra i Marchesi di Ponzone i due cugini Enrico (Enrichetto) e Corrado (Corradino)7, che vivevano sul principio del secolo XIV, ossia al tempo cui appartengono secondo ogni probabilità i matapani in discussione.
Ma la singolarità dell’abbreviatura HER per Henricus8 avendoci suggerito un esame più minuzioso del matapane con HER: E3 CVR., ci condusse casualmente ad osservare che sopra le lettere ER vi è una lineetta abbreviativa (HER) per indicare l’omissione della N; e allora, per analogia, abbiamo cercato e ritrovato la stessa lineetta sopra la lettera V, quantunque difficilmente discernibile fra le perline del contorno. Abbiamo dunque l’abbreviatura CVR., che a nostro avviso dovrebbe equivalere al C∇NR. degli altri due esemplari, e quindi essere interpretata: Cunradus.
In tutti questi matapani enigmatici, pertanto, tranne forse in quello pubblicato da Domenico Promis al N. 49, Tav. IV della sua terza memoria, ove si legge veramente CVRT9, non si sarebbe voluto indicare il nome di Cortemiglia, ma bensì quello di un Corrado, associato ad un Enrico, e tali monete potrebbero essere attribuite, a nostro modo di vedere, alla zecca di Ponzone.
Si noti poi una circostanza: Domenico Promis, nella menzionata sua memoria, dell’anno 1866, parlando del primo matapane, allora per lui incerto, osserva che in esso si legge il nome del santo cosi: S. MICHAEL, mentre nel matapane di Cortemiglia (di cui dà il disegno) vi è scorrettamente: S. MICAEL, senza la H. Ed anche l’altra varietà della stessa moneta cortemigliese, pubblicata dal Morel-Fatio, ha: S. MICAEL10.
Invece, sui tre nostri matapani di Enrico e Corrado vi è correttamente S. MICHAEL, colla H; e S. MICHAEL vi è pure su quelli di Ponzone11. È vero che la varietà con HER: E3 CVR, pubblicata da Dom. Promis al N. 50 Tav. V della terza memoria, sembra scompigliare questa coincidenza; poiché vi si legge: S. MICAEL, senza la H; ma il ch. Comm. Vincenzo Promis, da noi interpellato in proposito, ci informò cortesemente che anche su quel matapane (conservato nel medagliere di S. M. in Torino) si legge in realtà: S. MICHAEL, e che la lettera H fu omessa per una svista nel disegno12.
Per conchiudere, i matapani che appartengono indiscutibilmente a Cortemiglia hanno la leggenda scorretta: S. MICAEL; quelli che pure indiscutibilmente appartengono a Ponzone hanno invece: S. MICHAEL; e S. MICHAEL si legge pure su tutti i suddetti matapani colla leggenda enigmatica.
Ci sembra che tale circostanza, per quanto possa giudicarsi secondaria, debba avere un certo peso nella determinazione di queste monete, e che la differente grafia potrebb’essere considerata in questo caso come l’impronta personale dell’artefice, che riveli la provenienza dall’una piuttosto che dall’altra zecca.
Per ultimo aggiungeremo un’altra ipotesi, che avrebbe il vantaggio di scostarsi meno, in parte, dall’autorità dell’illustre numismatico piemontese: i matapani medesimi, pur non appartenendo né a Cortemiglia né a Ponzone, potrebbero essere stati battuti bensì da Enrico marchese di Novello, ma in unione a suo fratello di nome appunto Corrado, marchese di Millesimo. In tal caso, questa di Novello o di Millesimo sarebbe una nuova zecca da aggiungere alle numerose degli Aleramidi.
Ma abbastanza ci siamo ormai trattenuti su quest’argomento; procediamo quindi nella nostra enumerazione.
Del grosso tornese, il ripostiglio di Lurate Abbate ci offriva imitazioni uscite da tre diverse nostre zecche, e due almeno di esimia rarità.
In primo luogo, tre esemplari del bellissimo grosso tornese repubblicano di Asti13, due dei quali appartengono a varietà distinte da quella pubblicata dal Promis, perchè alcune lettere hanno in essi una forma differente.
Indi un grosso tornese, battuto in Cuneo da Carlo II d’Angiò, come conte del Piemonte14. Questa moneta, già preziosissima per sè, costituisce essa pure una nuova varietà, per la forma della lettera C ch’é quadrata (E) invece di tonda, e per un differente modo di abbreviature nella leggenda (Tav. II, N. 3). Infine, per giungere alla perla del ripostiglio, uno splendido grosso tornese di Chivasso, battuto da Teodoro I., moneta non solo inedita ma, riteniamo, affatto sconosciuta.
Eccone la descrizione:
Peso grammi 3,980.
Diritto: — Croce nel campo, entro giro di perline. Intorno: + THEODORVS.
In altro giro esterno: + EXCELLET•I INPATORIS: GRECOR i FILIVS.
Rovescio: — Nel primo giro: (rosetta) MCH’O : MOTIS, e nel campo: FER fra tre punti.
Nel giro esterno: + BENEDICTV : SIT : NOM : DNI ː IHV : X (Tav. II, N. 4).
Com’è noto, Teodoro I di Monferrato era figlio di Andronico II Paleologo imperatore d’Oriente15.
Theodorus excellentissimi imperatoris Graecorum filius, sono, secondo il Sangiorgio16, le parole testuali con cui incomincia la lettera rivolta da Teodoro a’ suoi vassalli nel 1306 per dar loro notizia della sua venuta in Casale.
Con questo cimelio chiudiamo la nostra breve rassegna del ripostiglio di Lurate Abbate, aggiungendo che l’intero ripostiglio passò in proprietà del Cav. Ercole Gnecchi di Milano, la cui splendida collezione di monete medioevali si è quindi ornata di altri importantissimi pezzi.
Tuttavia, tre monete del ripostiglio di Lurate Abbate sono venute ad arricchire il Gabinetto Numismatico di Brera, cioè un grosso tornese di Asti, un matapane anonimo di Ponzone, ed uno di Enrico e Corrado, notando che la rarissima zecca di Ponzone non era ancora rappresentata nel medagliere braidense.
Note
- ↑ Promis Domenico, Monete inedite del Piemonte, Supplemento, Torino, 1866, Tav. II, N. 19.
- ↑ Promis D., Monete dei Paleologi» Torino, 1858, Tav. I, N. 1.
- ↑ Morel-Fatio, Cortemiglia et Ponzone Monnaies inédites, in Revue de la Numismatique belge, 1865, Tav. XV, N. 3.
- ↑ Promis D., Monete di zecche italiane, inedite o corrette, Memoria terza, Torino, 1871.
- ↑ Promis D., 1. c., Tav. IV, N. 49, e Tav. V, N. 50.
- ↑ Poichè, tanto negli esemplari pubblicati dal Promis quanto in quelli del nostro ripostiglio, lungo Pasta del vessillo si trovano disposte verticalmente le lettere MCH, come sui matapani di altri marchesi.
- ↑ Corradino è figlio di quel Manfredino che il 22 nov. 1290 aveva ricevuto investitura del marchesato di Ponzone dai Genovesi, facendone il giuramento con patti eguali a quelli fatti dal cugino Enrichetto, e comprendendosi nella investitura i discendenti dei due sessi. (Litta, l. c.).
- ↑ Non la troviamo infatti registrata nè dal Lexicon Diplomaticum del Walther, nè dal Dictionnaire des Abréviations dello Chassant, e neppure da un’opera speciale com’è il Numismatisches Legenden-Lexicon del diligentissimo Rentzmann, dove il numero delle abbreviature di Henricus è pure straordinario.
- ↑ Come gentilmente ci comunica il chiarissimo sig. Comm. Vincenzo Promis.
- ↑ Morel-Fatio, l. c., N. 2.
- ↑ Tav. II, N. 2 (dal ripost. di Lurate Abb.). Confr. anche Morel-Fatio, 1. c., N. 3.
- ↑ Così pure si legge in un matapane appartenente alla medesima varietà, il quale proviene dalla Collezione Montenuovo, ed è oggi posseduto dal Sig. E. Gnecchi.
- ↑ Promis D., Monete della zecca d’Asti, Torino, 1863, Tav. I, N. 10. — Della zecca astigiana, oltre ai grossi tornesi, si trovavano nel ripostiglio anche un grosso comune e due mezzi grossi.
- ↑ Promis D., Monete inedite del Piemonte, Supplemento, Torino, 1866, Tav. IV, N. 36.
- ↑ “Vedendosi a’ suoi ultimi momenti e senza figliuoli maschi Giovanni marchese di Monferrato direttamente discendente da Aleramo, con testamento del 18 gennaio 1305, lasciò il suo dominio alla sorella Violante, chiamata da’ Greci Irene, moglie di Andronico Paleologo il vecchio imperatore di Costantinopoli. Essa destinò questo stato al suo secondogenito Teodoro... Appena preso possesso del nuovo stato, Teodoro fece coniar monete d’argento a nome proprio in Chivasso... perchè si credè possedere tal diritto come figliuolo d’un imperatore di Costatinopoli.” (Promis, Monete dei Paleologi, pag. 10-11).
- ↑ Sangiorgio, Cronica, edita dal Vernazza, Torino, 1780, pag. 91.
- Testi in cui è citato Domenico Promis
- Testi in cui è citato Pompeo Litta Biumi
- Testi in cui è citato Vincenzo Promis
- Testi in cui è citato Ercole Gnecchi
- Testi in cui è citato Arnold Morel-Fatio
- Testi in cui è citato Johann Ludolph Walther
- Testi in cui è citato Alphonse Chassant
- Testi in cui è citato Wilhelm Rentzmann
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