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Istorie dello Stato di Urbino/Libro Secondo/Trattato Primo/Capitolo Quarto

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Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Quarto

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Libro Secondo, Trattato Primo, Capitolo Quarto
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CAPITOLO QUARTO.

Di Sinigaglia, sito, edificatione, e progressi.


N
ell’istessa riviera dell’Adriatico, dove trà Fano, ed Ancona il Misa fiume, con le salse acque, l’onde sue dolci accoppia, la bella Città di Sinigaglia si trova, ne i passati secoli chiamata Sena; Et appresso gli Antichi, non men che l’altre, di cui parlammo, celebre non tanto, per esser da i Galli Senoni eretta, e di quella Regione fatta Metropoli; quanto che à lei vicino, furono prefisse le mete del triangolo famosissimo, da Polibio nella Gallia Cisalpina descritto, come altre volte dicemmo, cosi nel secondo Libro delle sue Historie parlandone: Campi verò, qui inter Apenninum, & Adriaticum sinum medij sunt, usque ad Urbem Senam extenduntur: Et poco più à basso, nell’istesso libro il medesimo ratificando, soggionse: Est autem ea Urbs (quemadmodum supra memoravimus) in littore Adriatici Maris sita, sub Campi Italiæ terminantur. L’istesso accenna Pomponio Mela, nel secondo libro de situ orbis al quarto Capitolo in queste seguenti parole: Truentum, idest à flumine, qui præterit ei nomen est. Ab eo Senogallia maritima ad Aterni fluminis Ostia, &c. Plinio nel libro terzo al capitolo terzodecimo descrivendola, non punto la divaria dal sito, in cui si trova, mentre le assegna per lati l’Esino, e’l Metauro fiumi, come quì sotto scrivendone: Nunc in ora fluminis Esis Senogallia; Metaurus fluvius, &c. Plutarco nella Vita di Asdrubale, raccontando il viaggio di Claudio Nerone Console, che in sei giorni à questa Città fè da Venosa, quando venne in soccorso di Livio [p. 108 modifica]Salinatore, contro l’istesso Asdrubale, non molto discosto dal Metauro collocolla, dicendo: Nero Consul è Venosa cum militum copijs profectus, sex diebus Senam accessit ad flumen Metauri, Nè da questi (per mio credere) discorda Claudio Tolomeo nella sua Geografia, ponendola molto alla bocca dell’Esino vicina, quasi nel principio della Regione Senonia, come chiaramente si vede nella Tavola sesta di Europa; E Lucano nel secondo della medesima cantando il luogo, e la nobil positura disse.

Senaq, & Adriacas, qui verberat Aufidus undas.

Nè potevano questi, altrimenti del sito suo parlare; sendo che nel medesimo luogo, ove hoggi collocata s’incontra, fosse dal principio dell’origine sua fondata. Et quantunque dal furore de’ Barbari venisse più volte destrutta, nelle sue riedificationi però, fù sopra i proprij fondamenti rilevata sempre; benche non in quella grandezza, e primiera magnificenza (per quanto si raccoglie dalle ruine, che ne i campi alle sue nuove mura intorno da gli aratori si scuoprono.) Di Sinigaglia i primi Autori senza litigi furono i Senoni Galli, nel principio, che loro della Contrada pigliarono il possesso: il che avvenne (come altre volte scrivessimo) l’Anno del’edificatione di Roma 157. & avanti l’Incarnatione del Verbo 595. conforme si raccoglie dal citato Polibio, e da M. Portio Catone nei fragmenti dell’origine in queste seguenti parole: Ab eo ad Anconam Senogallia à Senonibus dicta, pu, pulsis Hetruscis, nunc Gallia togata. Da Silio Italico nell’ottavo libro si racconta l’istesso: Clasis, & Rubico, & Senonum de nomine Sena. Da cui il Volaterrano nel Paralipomene al trigesimo ottavo Libro, e molti altri non divarian punto. Havendo in sorte i Galli Senoni questo paese ottenuto niun conto delle Città murate facendo, che levate havevano à Toscani (come si disse) ne i proprij campi le loro habitationi fondorono; ivi separatamente ciascheduno con gli suoi domestici habitando. Mà poi avendosi, che di manco far non potevano di un luogo raccolto, in cui la residenza il Magistrato tenesse, del qual’era l’ufficio di promulgar le Leggi, & di astringere i popoli all’osservanza di esse; come per la commodita degli alloggiamenti à quelli, che per occasione di lite v’andavano, ò dal Magistrato venivano per qualch’altra occasione chiamati: sin dal principio, che di questo terreno hebbero il possesso à guisa di Villa edificarono Sena, senz’alcun’ordine di Architettura, sopra il descritto Adriatico lido, il quale parve loro più d’ogni altri in quella Riviera conforme; non tanto per li maritimi traffichi à i loro legni, facendo sicurissimo Porto la bocca del Misa; quanto per la forte dispositione del sito, per esser quasi d’ogn’intorno circondato dal’acque; havendo l’Adriatico à Borea; di Penna le paludi, col fiume [p. 109 modifica]all’Oriente; & all’Occaso il Misa. Mentre che in questa Provincia regnarono i Senoni, fù Sinigaglia (come che di quelli era Metropoli) d’Italia la Città più famosa, per la bravura, e per lo temuto valore de i medesimi, che formidabili erano diventati, Non meno alle straniere nationi, che all’istesse, le quali di quà, e di là dal Pò nella Gallia Cisalpina erano soggiornati; nella cui stima, intorno à trecent’Anni si mantennero sempre, sinche di questi le forze andarono alle Romane del pari. Mà quelle poscia declinando (mercè all’eccesso enorme, commesso nel violare il Ius delle Genti, quando in essa uccisero i prigioni, che d’Arezzo nella giornata acquistato s’havevano, co’ gl’Ambasciadori, gionti ad essi per riscattarli con l’oro: Onde fù ella per ispecial Decreto Celeste da Romani riempita del sangue barbaro de’ Cittadini suoi, & quasi distrutta) andò con tutta la Regione de’ Vincitori in preda, circa l’Anno dell’edificatione di Roma 474. che fù inanti al parto della Vergine 278. à riferir di Polibio nell’allegato libro delle sue Historie. Piacendo sommamente a’ Romani questo sito ameno, e delitioso; tutto il paese dà sì fieri habitatori fatto libero, in Sinigaglia una Colonia dedussero; e questa per del tutto renderla sicura cinsero di muraglie: Indi, oltre i publici edificij, che vi trovarono (i quali si crede fossero di qualche decoro) specialmente il Palazzo del Magistrato, col Tempio, ancora molto accrescendola, magnifiche habitationi fondaronvi, tutte, secondo i principij Archititonici in ordinanza disposte; di cui i Romani si servivano in quel tempo nelle strutture più degne, anche nell’istessa Roma: Onde riuscì meravigliosa, e di si celebri edificatori opera famosa. A cui per honorarla d’avantaggio diero il titolo di Città, non alterandole punto di Sena l’antico nome, per la fede, che ne fà Polibio nel citato luogo: Nam ipsi Urbem Coloniam inducunt, eam veteri nomine, quod primo à Gallis habitata fuerat, Senam appellant. L’istesso afferma Livio nel primo Libro della seconda Deca, benche non incontri con Polibio nell’Anno, dicendo egli questo esser accaduto di Roma il 462. non molto prima che Pirro Re de gli Epiroti venisse al soccorso di Taranto, nella magna Grecia in Italia. E Polibio tre Anni dopò la navigatione di esso Pirro afferma esser stato. Mà perche la diversità di questi Autori gravi, solamente in dodici Anni consiste, non altera punto la verità dell’Historia. Quantunque per aviso di Marsilio Lesbio maggior fede prestar si deve à Polibio, che dentro à Roma, in quei tempi quasi medesimi ritrovandosi, di questo scrisse; che à Livio, il quale molti secoli dopò in Padova sua Patria le Croniche de’ Romani compose, cosi nell’origine dell’Italia il citato Lesbio scrivendone: Nam degentis antiquitate, & orgine magis creditur ipsi genti, atque vicinis, quam remotis, & externis. Stette questa Città sotto [p. 110 modifica]il Dominio Romano intorno à 686. Anni, come Colonia, reggendosi con le Leggi del Senato; sotto la cui Signoria sinche le cose publiche felicemente sortirono, anch’essa nelle sue delitie posavasi, lieti, & in tranquilla pace gli suoi Cittadini vivendo. Mà poi essendo la Romana Republica travagliata, si vide anch’essa in mille miserie involta. Quindi al tempo di Asdrubale Cartaginese passò in Italia con potenti, e con numerosi Esserciti, l’Anno di Roma 564. quantunque Sinigaglia fosse come Colonia maritima essente di sacrosanta essentione; fù nulladimeno per aiuto di Roma forzata mandare la sua gioventù alla guerra, & à quella difesa fermarsi, sinche l’inimico usci d’Italia, come ne scrive Livio nel settimo libro della terza Deca, in queste note: Ea die hi populi ad Senatum venerunt: Ostiensis, Alsiensis, Antias, Anxuras, Linturnensis, Sinuessanus, & à Supremo mari Senensis. Cum vocationes suas quisq; populus recitarer, nullius, cum in Italia hostis esset, praeter Antiatem, Ostiensemque voatio observata est, & earum Coloniarum iuniores iure iurando adducti, supra quadraginta non pernoctaturos se esse extrà maenia Colonive suae, donec hostis in Italia esset. Havendo lasciata l’impresa di Piacenza il sudetto Asdrubale, à dritto camino l’Essercito suo dentro à Sinigaglia condusse, pensando ivi d’unirsi col suo fratello Annibale, il quale con altro Essercito ne i Brutij trovandosi contro il COnsole Nerone; ove con l’unione fatti invincibili, poi verso Roma si dispartissero, per affatto esterminarla, e per farsene con tutti i Regni à lei soggetti patroni: mà di Asdrubale i disegni, per lettere intercette, penetrati da i Romani, tosto alla medesima Città, con l’Essercito, Livio Salinatora Console mandarono, accioche limpedisse, e vani gli facesse riuscir i pensieri. Et esendo quivi ambi gli Esserciti giunti gli alloggiamenti solo distanti a cinquecento geometrici pasi l’uno dall’altro fermarono, per quanto nell’accennato luogo racconta Livio, cosi dicendo: Ad Senam Castra alterius Consulis erant; & quingentos indè fermè passus Hadrubal aberat. E da bastioni, & terra pieni de i medesimi alloggiamenti, che sino à questo giorno nelle rive Cesane intieri serbansi, chiaro si vede. Li quali non meno questa verità testificano; che Sinigaglia d’hoggi sia l’antica Sena, che fù de’ Senoni la Metropoli; Et quell’istesso, di cui in questo luogo parla il citato Livio. Quivi al soccorso del Salinatore, con sei mille de gli suoi più forti Cavalli venne in sei giorni da Venosa Claudio Nerone, che in quelle parti opponevasi ad Annibale, e di notte occultamente dentro à gli steccati amici entrò, senza che si dilatassero fuori de gli suoi termini punto, per non fare della sua venuta l’inimico accorto, quantunque dal suono delle Trombe egli se l’avisasse; onde intimorito, di notte abbandonando con le sue tende il posto, [p. 111 modifica]se ne fuggì con la sua fuga in mano de’ Romani la certa, e ben sortita vittoria. Quindi Sinigaglia più famosa, che mai in altri tempi divenne: havendo co’l Metauro, di questa sopra ogni altra gloriosa vittoria, inalzate le glorie in Campidoglio à Roma. Al tempo delle guerre Civili, non si allontanò punto dalla fè del Senato, & à gli suoi nemici non volle mai adherire; anzi di quelli sprezzando le forze, mai sempre à lor contraria mostrossi. Et se bene l’Anno di Roma 675. improvisamente sorpresa, fù da Pompeo Capitano di Silla, dopò la rotta di Martio saccheggiata, come Appiano Alessandrino, al primo libro delle Civili guerre accenna; per questo non cedè alla sorte dei vincitori: anzi rinvigoriti quei Cittadini, di modo fortificarono le quasi destrutte mura, che del medesimo Senato volle in ogni tempo essere dalla parte di questi Mari propugnacolo fido; in tanto, che non paventando di opporsi al valor di Cesare, fattosi formidabile per commune credenza, quando con gli Esserciti, contro il valor del Senato passò il Rubicone, il tenne dalle sue mura lontano. Quindi non havendola potuta con l’altre di quella Riviera occupare, ne gl suoi Commentarij, al primo libro delle guerre Civili, non sapendo come vantarsi di questa impresa, la passò con silentio, in tal guisa gli suoi avanzi notando: Ipse Arimini cum duabus legionibus subsistit, ibique delctum habere instituit Pisaurum, Fanum, Anconam, singulis cohortibus occupat. Volendo l’Anno del Signore 409. conservare la candidezza della sua fede verso l’Imperio Romano, fece ostinata difesa ad Alarico, da cui fù lì 8. d’Agosto nel medesimo Anno presa per assalti, saccheggiata, demolita, & arsa: indi quei poveri Cittadini, che dall’incendio, e dalla barbara fierezza di questo crudele avanzaro, dentro i vicini boschi, e trà le selve opache si ritiraron. Passati poi i nemici, ne i campi coltivabili le loro povere habitationi fondarono, dove stettero sin’all’Anno 562. nel cui tempo spenta la potenza de’ Goti, e del tutto in Italia il lor Dominio estinto, da i Capitani di Giustiniano Imperatore furono alla Città richiamati, la uale da Diogene Greco, dalle ruine alzata, & di belli edifici adorna, fù consegnata à gli Essarchi, sotto al cui Dominio mantennesi sin che d’Aistulfo Re de’ Longobardi fù presa; da cui venne goduta sin tanto, che rotto Desiderio in Pavia da Carlo Magno fù condotto con quei, che avanzarono dal conflitto nella Gallia prigione, il che successe l’Anno del Signore 779. Liberata Sinigaglia dalle mani de’ Longobardi, andò all’obedienza dell’Apostolica Sede, sotto il Pontificato d’Adriano Primo, con l’altre, che à i detti Essarchi già furono soggette, che però dal medesimo Pontefice annoverossi trà le Pentapoli, & sotto il governo del Magistrato si pose, che in Fano (come si scrisse) la residenza faceva; sotto il cui Dominio con sua particolar sodisfatione [p. 112 modifica]perseverò, sin’all’Anno 812. In questo (à lei tempo fatale) venne all’improviso da un’armata maritima di Saracini sorpresa, di cui era Duca Sabba Capitano fiero nelle risolutioni non meno, che valoroso in armi; e da quei Barbari essendo (come ogni luogo di quella vicinanza) e saccheggiata, & arsa, gli avanzati Cittadini ritiraronsi ad habitare nelle Ville del Territorio; dove i campo loro coltivando, se’n goderono un tempo tranquillamente i saporiti frutti. Mà in Italia, trà Prencipi risorti nuovi litigij, per le continue scorrerie de’ Ladroni, che le sostanze loro con violenza toglievano, e delle case dopò haverle saccheggiate facevano stalle, spinti dalla necessitade, l’Anno di nostra Salute 900. fecero generoso pensiero di riedificare, in luogo più sicuro, & eminente la destrutta Patria; E parendo loro, che il colle, il quale sopra tutti gli altri di quel contorno s’inalza, (ove di Bodio Romano erano i campi antichi) fosse à loro disegni proportionevole sito, di mura lo cinsero; e dalle Ville vi trasportarono l’habitationi. Compita poi l’opera (che riuscì d’incredibil fortezza, e sopramodo vaga) l’habitarono da Bodio poscia Monte alboddo chiamandolo, come afferma Conte Gabutio, nelle Croniche di questa sua patria, che manuscritte in essa conservansi. Hor questa dal corso di tanti nobili habitatori fattasi molto Illustre, non scemò punto dell’essere suo primiero; quantunque Sinigaglia sua madre venisse (come dirassi) rifatta; anzi con essa la medesima Fortuna correndo, aumentossi d’ogni hora: onde vedesi hoggi recinta di fortissime mura, e di sontuosi edificij adorna, tramezata da spatiose, e distinte strade, ne men da Nobili, che da numeroso popolo habitata. E reggendosi con Leggi Municipali dal suo Magistrato, e con le Romane da un Podestà, che mandato dall’Apostolica Sede, (come gli altri luoghi assoluti alla medesima soggetti) vive nell’abbondanza de gli suoi fertili campi felicissima; glorianosi d’esser stata in ogni tempo di molti huomini Illustri producitrice. Hebbe Sinigaglia anco nelle disgratie qualche fortuna, peròche quantunque fosse nelle ruine sepolta, e gli suoi Cittadini altrove portato havessero le loro unione, non perdè mai l’antico nome suo, ne meno lo splendor di Città, risedendovi per lo più con i Canonici, e con il Clero, i Vescovi; & à i tempi dovuti, à beneficio de’ Fedeli non mancarono mai d’essercitarvi le ordinarie funtioni: Et acciò che i medesimi non isdegnassero in luogo abbandonato la loro habitatione tenere; Gregorio Nono Sommo Pontefice à Giacomo fè donatione di essa: che in quel tempo era di lei patrone l’Anno di Christo 1232. il qual’essendo huomo generoso, e di svegliati pensieri, con somma industria procurò daogni parte di quei lidi huomini alle pescagioni instrutti, à cui per trattenerli diede commodità di case non solo, mà dà [p. 113 modifica]barche, come parimente con buona somma di denari gl’haveva condotti. E nelle Terre della Diocese, per l’istesso effetto, s’aggiustò con i popoli, che non comprassero le pescaggioni da altri. Dall’essempio di questi, altri molti vennero con le famiglie loro ad habitarvi; in particolar i Mercanti, i quali per la commodità del Porto, in lidi varij di quel Mare negotiando, arricchirono la Città di merci, come di pecunia i popoli vicini, quella trasmutando in formento, che del continuo à luoghi penuriosi trasportavano. Et perchè da’ ladroni, per le sue ricchezze, Sinigaglia insidiata veniva; il Comune, con l’aiuto del Vescovo, si risolse di cingerla di muraglie. Oltre modo piacendo questa magnanima risolutione al Cardinal Egidio Carilla, d’Innocenzo Sesto Legato, molto la generosità di questi Cittadini estolse: Indi per rendere la Città, non solo dalle incursioni de i ladroni terrestri libera; mà parimente dalla voracità de i Corsari maritimi sicura, edificovvi l’Anno 1357 un forte Rocca sopra il Misa fiume, la quale fronteggia il Mare con la bocca del Porto; & per honorarla poscia insieme nel Cattalogo, trà le picciole Città della Marca. Per la poca diligenza, che usarono i Ministri della Santa Sede sopra gli Stati, che ella possedeva in Italia, risedendo i Sommi Pontefici in Avignone, fù questa Città da’ Malatesti occupata, e longamente goduta. Quindi Sigismondo, per le ragioni, che sopra di lei, co’l longo possesso acquistato s’haveva, stimandola sua, molti bonificamenti vi fece; e l’Anno 1448. la ridusse in Fortezza, e per dieci Anni continui, à custodia un grosso presidio di Soldatesca vi tenne, e trovandosi alla sua difesa un’Essercito numeroso da Federico Feltrio Generale della Chiesa assediato fù per ordine di Pio Secondo Pontefice; & avvenendosi non poter lungamente resistere al valore di questo, di notte occultamente (la Cittade in mano à gl’inimici lasciando) si pose con tutto l’Essercito verso il fiume Cesano in fuga: ove giunto, dalle schiere Pontificie fù rotto. Alzò di questa vittoria in Sinigaglia i trofei l’invitto Federico, e quella ben munita, l’Anno 1458. alla Santa Sede restituilla, sotto la cui obedienza stette sino all’Anno 1474. nel qual tempo da Sisto Quarto à Giovanni della Rovere suo nipote fù data, insieme con la Terra di Mondavio, e suo Vicariato, dove stan poste molte grosse, e nobili castella (come dicemmo.) Gran fortuna fù di Sinigaglia essere in mano venuta di questo magnanimo Prencipe; stando che non solo ristorolla ne i cadenti luoghi, mà fondovvi molti sontuosi edificij; principalmente una fortissima Rocca, la quale rendendosi meravigliosa à i professori dell’arte, non viene punto inferiore à quella, che da Costanzo Sforza fù fondata in Pesaro, stimata. Piacque oltre [p. 114 modifica]modo questa nobil Cittade à Cesare Borgia: onde con stratagemma cercò d’occuparla, e dopò la morte di Giovanni, à forza, di mano à Francesco maria suo figlio levolla, essendo ancor fanciullo; il qual subito havuta in Dominio, s’imbrattò non meno dell’innocente sangue di alcuni valorosissimi, e nobilissimi Capitani; che del sozzo vomito delle sue sporcitie: onde non longo tempo vi tenne la Signoria; poscia che da questo, e da ogni altro Dominio, che con sceleraggine, dentro l’Ecclesiastico Stato havevasi goduto, ne fù con sua gran confusione scacciato. Liberatasi da si fiera tirannide Sinigaglia; con molto gusto de i Cittadini suoi ella tornò all’obedienza del sudetto Francesco Maria, primo Duca d’Urbino suo Signore legitimo: à cui (benche ritolta fosse da Leone Decimo) dopò la morte sua nondimeno, dal Successore gli fù, con tutto lo Stato d’Urbino restituita: Et havendola sino al suo caso quietamente posseduta, à Guido Ubaldo suo figliuolo lasciolla; delle sostanze non solo, mà dell’inclito valor suo herede, che l’Anno 1546. con cinque baluardi reali, all’usanza di questi tempi fortificolla: Indi aggiunse alcuni propugnacoli all’antica Rocca, e cinsela di terrapieni, e di profonde fosse. Mancato poscia Guido Ubaldo, Francesco Maria Secondo d’Urbino suo figliuolo, ridusse alla total perfettione le mura, cingenti quella parte, che situata giace in sù la sponda del Misa, verso l’Occaso, ove li marinari, & i fabricatori de’ legni, che solcano il Mare, hanno le stanze. Fù dal sudetto Francesco Maria, di sontuose strutture, e di abbondanti Fonti, accresciuta, i quali non con minor spesa, che la grandezza dell’artificio richiede, furono l’Anno 1598. alcuni miglia distante, per sotterranee caverne, dentro à quelle mura condotti; che sgorgando in diversi luoghi, trà i vasi di pregiati marmi l’acque salubri, e limpide; non meno delitiosa, bella, & allegra la rendono, che d’habitatori ripiena; i quali da questo commodo allettati, le stanze fermano, e longamente vi posano; il che nell’adietro (come l’esperienza insegna) il contrario accadeva; peròche altre acque non essendovi, che quelle de’ Pozzi, limose, & insalubri, abbreviavano à chi li usava gli Anni, e nelle stagioni dell’ordinario più calde, influenze pestifere cagionavano; siche in brevi giorni, di una metà del popolo spogliata, rendevanla della pallida morte miserabil trofeo, & à vicini funeste, e lugubre scena. Non solo dunque da questo saggio, e prudentissimo Prencipe riparossi alle ruine di Sinigaglia, con l’acque dolci, e salutifere (come si disse) mà insieme con altri bonificamenti, tanto in dentro nel far con mattoni cotti, salicar, & ampliare le strade, acciò che fossero capaci de i venti marini, dalla parte del Settentrione soffianti, & in quella Contrada [p. 115 modifica]tradagiovevoli; quanto in seccare alcune paludi, che di fuori le spalleggiavan i muri: specialmente dalla parte Orientale, ove la Penna le sue acque infami al Mare sgorga. Per lo che hoggi, con titolo giusto, ponno di quella i Cittadini gloriarsi di goder non meno che l’abbondanza de’ campi, e la dolcezza de’ frutti, dell’acqua, e dell’aria la salubrità perfetta. Perseverò Sinigaglia sotto l’ubbidienza di casa Rovere, dall’Anno 1474. sino al 1631. nel cui tempo si duole per la morte del sudetto Francesco Maria ultimo Duca d’Urbino all’Apostolica Sede, sotto il Pontificato di URBANO VIII. la qual con somma pietà, e giustitia, vien hoggi da gli suoi Ministri governata. Quindi piena di Mercanti si vede, che per l’Adriatico tutto hanno di varie merci importantissimi traffichi, al cui Porto (che per la sua sicurezza, e capacità, nell’istesso Adriatico è di grandissimo nome) del continuo infiniti legni concorronvi; ne’ quali molto copiosamente si caricano grani, Biade, Frutti, Vini, Oglio, Seta, Lini, e simili cose, che da quel terreno produconsi; i quali ad altre parti, non con minor utile si mandano de’ compratori forastieri, à cui le sudette merci tragittansi; che de’ Sinigagliesi, ed ogni altro popolo di quella Vicinanza: Onde riparando quelli à proprij bisogni con gli avanzi altrui, rendono abbondanti questi nella rimessa del prezzo. Benche questa Cittade, à pena connumerata venga trà le mediocri d’Italia, in quanto al recinto delle sue mura, & al numero de gli habitanti: nondimeno, al pari delle maggiori camina in credito; non tanto per ritrovarsi ella di negotianti, di Cittadini nobili, & di molti Monasteri di Religiosi ripiena: quanto per la grandezza del suo Vescovato, il quale in ricchezza, & in Giurisdittione, à i primi della medesima Italia inferiore non resta; del quale i Vescovi (per lo possesso che tengono del Temporale Dominio sopra i vassalli,) s’intitolan Conti: & per l’entrate grosse, che dalle Contee riscuotono con incredibile pompa la dignità Episcopale sostentano, dentro la Città non meno, che nella Diocese, la qual fecondissima essendo (peròche in essa non si ritrova pure un passo di terreno, che al suo tempo non renda in abbondanza il frutto) si vede piena di ricchi Villaggi, di populate Castella, e di cinque nobilissime Terre, che di grandezza avanzando Sinigaglia, e di numero de nobili Cittadini alla medesima uguagliandosi, ponno, com’essa, dalla Sede Apostolica essere dichiarate Cittadi. Quindi, à ciò havendo la mira i Sommi Pontefici, non conferiscono questa Dignitade à persone ordinarie, mà ben sì à i primi soggetti della Romana Corte: Anche à Cardinali, quali più de gli altri sono tenuti in conto; sicome due al tempo mio, ciò è Girolamo Rusticucci, e Frate Antonio Barberino german fratello di URBANO VIII. Sommo Pontefice [p. 116 modifica]hoggi vivente. Hà Sinigaglia, in ogni tempo generato huomini eccellenti in armi, & in lettere, come parimente molti Soggetti dati alla Chiesa, à cui conferite hà Dignità sublimi; anco de gli eminenti, come conobbi Cintio Passare Cardinale di San Giorgio, che trà gli altri fù di grande stima; non tanto perche egli era di Clemente VIII. nipote caro, quanto per le sue singolari virtù, le quali più che lo splendore del sangue furono sofficienti à porgere il motivo à quel Santo Pontefice d’inalzarlo alla suprema dignità della porpora. In quanto à i valorosi nell’armi, che dalla medesima sono usciti, basterà per aviso mio solo far noto à chi legge, ch’ella fù di Francesco Maria Primo Duca d’Urbino producitrice: Onde sol per questo si può dar vanto di essere stata Madre del più valoroso figlio, che in quei giorni havesse nel suo grand’ambito generato il Mondo; il quale dall’invidia forte fù co’l veleno estinto: mercè che prevedeva l’empia, questo glorioso Heroe non solo in Sion dovere in breve delle sue vittorie ergere i trofei (all’impresa di cui era già dalla Christiana Lega, per supremo General eletto) mà insieme accingersi per comparir trionfante nel Campidoglio in Roma; tirando solo à gli suoi merti i vanti, con sempiterno scorno della viltà di lei, à cui proprio nel valore altrui discreditar se stessa.