L'avvenire!?/Capitolo undecimo

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Capitolo undecimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo undecimo
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CAPITOLO UNDECIMO




Quando tornammo a casa, il dottor Leete non era ancora rientrato e la signora non era visibile.

«Vi piace la musica, signor West?» chiese Editta.

Le risposi che, a mio parere, essa era parte importante della vita.

«Scusate se ve l’ho chiesto», soggiunse. «Oggidì non ci facciamo più questa domanda, ma ho letto che, ai vostri tempi, anche nell’alta società, v’eran persone che non si occupavano di musica».

«Dovete riflettere», dissi, «che in quei tempi avevamo talvolta della musica assai insipida».

«Sì», replicò ella, «lo so; credo che essa non mi sarebbe piaciuta. E, mi fareste il piacere di udire la nostra, signor West?».

«Nulla mi sarebbe più grato che l’ascoltarvi», risposi.

«Ascoltar me?» esclamò sorridente. «Avete creduto che volessi suonarvi o cantarvi qualche cosa?»

«Certamente, era quanto speravo», replicai.

Vedendo che io era imbarazzato, ella trattenne la sua allegria e si spiegò: «Noi impariamo tutti a cantare a scuola e qualcuno studia anche qualche strumento, per proprio diletto; ma la musica professionale è talmente più grandiosa e completa, e sì facile da ottenersi, che non pensiamo nemmeno a chiamar musica il nostro canto ed il nostro suono. Tutti i buoni cantanti e suonatori sono al servizio musicale e noi stiam zitti. Ma desiderate davvero udire un po’ di musica?» [p. 60 modifica]

Le dissi ancora di sì.

«Allora venite nella camera da musica», disse, ed io la seguii in una stanza ad intavolato, senza tende e col pavimento lucidato.

Ero preparato a vedere nuovi strumenti musicali, ma non scorsi nulla che ad essi somigliasse. E pare che facessi anche un viso molto stupito che fece ridere Editta.

«Guardate il programma di oggi», mi disse porgendomi un biglietto, «e ditemi ciò che desiderate di udire; ma riflettete, ora sono le cinque».

Sul biglietto vi era la data: 12 Settembre 2000, ed esso conteneva il più grandioso programma che avessi mai visto. Era variato quanto lungo e consisteva in un’infinità di canzoni, di assolo, duetti e quartetti istrumentali, ed in vari pezzi per orchestra. Ero assai confuso nel vedere una scelta così variata; ma il roseo dito d’Editta mi indicò una parte ove vari pezzi erano indicati coll’aggiunta — 5 ore pomeridiane — ; allora soltanto osservai che questo grandioso programma era diviso in 24 parti, a seconda delle ore. Nella divisione per le 5, erano accennati pochi pezzi ed io indicai un concerto per organo che desideravo udire.

«Son contenta che vi piaccia l’organo», disse.

«Credo non vi sia musica che meglio s’addica al mio umore».

Mi fece sedere allora in un comodo sedile, attraversò la stanza, girò, per quanto potei vedere, due o tre viti, e nella camera risuonò un grandioso pezzo per organo; i suoni si addicevano perfettamente alla grandezza della camera. Ascoltai sino alla fine senza fiatare. Non mi era certamente aspettata una tal perfezione di esecuzione.

«Grandioso!» esclamai, allorchè si fu spenta l’ultima nota, «Bach in persona deve sedere all’organo, ma dove si trova esso?»

«Aspettate un momento», disse Editta; «vorrei che ascoltaste questo valtzer prima di far domande; esso è stupendo», e mentre ella parlava, i dolci suoni di un violino mi facevano provare l’incanto di una notte d’estate. Quando il pezzo fu finito, ella disse: «Non v’è nulla di misterioso in questa musica. Essa non viene eseguita da fate o da geni; ma semplicemente da abilissime mani umane. Il principio del risparmio di lavoro mediante [p. 61 modifica]l’associazione, fu da noi adottato anche nel servizio musicale. Nella città vi sono molte camere da musica che, acusticamente perfette, convengono ad ogni sorta di pezzo. Queste sale comunicano, per mezzo del telefono, con tutte le case della città, gli abitanti delle quali pagano una lieve tassa musicale, e vi garantisco che non v’è nessuno che ricusi di farlo. Il corpo musicale di ogni sala è talmente numeroso che, sebbene ogni singolo esecutore od ogni gruppo abbia un compito brevissimo, il programma giunge ad occupare 24 ore. Su questo biglietto sono indicati quattro di questi concerti, ognuno con carattere diverso; e, premendo il bottone che mette il nostro filo in comunicazione colla sala ove essi vengono eseguiti, potrete udirli tutti e quattro. I programmi poi sono ordinati in modo che, i pezzi eseguiti nelle varie sale permettono di scegliere, non solo fra la musica istrumentale e vocale e fra i diversi strumenti; ma anche fra la musica allegra o seria, a seconda del gusto, e della disposizione d’animo in cui uno si trova».

«Credo, signorina Leete», dissi, «che, se noi avessimo conosciuto una tale istituzione, mediante la quale ognuno può udire, quando vuole, della musica, perfetta come qualità, illimitata come quantità, ci sarebbe parso di aver raggiunta l’estrema felicità e non avremmo pensato a fare nuovi perfezionamenti».

«Non ho mai potuto capire come un amatore potesse sopportare di ascoltar la musica, eseguita col vostro antico sistema», replicò Editta. «La musica veramente buona non dev’esser stata accessibile alla massa del popolo, ma soltanto ai privilegiati e ciò con gran fatica e grandi spese e per un tempo assai breve, dipendente dalla volontà di un terzo. I vostri concerti, per esempio, e le vostre opere! Come doveva esser noioso il dover sobbarcarsi, per gustare uno o due bei pezzi, a sentire dell’altra musica che forse non piaceva affatto! In un pranzo si possono rifiutare le vivande che non piacciono; chi mai potrebbe costringere un individuo a mangiar di tutto? e mi pare che l’udito sia altrettanto sensibile quanto il palato.

Questa difficoltà di procurarsi il piacere di udire della musica realmente buona, vi costringeva certamente a sopportare il canto [p. 62 modifica]ed il suono di principianti. Riflettendo a ciò, non è da stupirsi che al tempo vostro la gente, in generale, si curasse poco di musica. Io credo che l’avrei detestata».

«E questo programma dura dunque 24 ore?» domandai, «se ho ben inteso ciò che avete detto. Ma chi ascolta la musica dalla mezzanotte al mattino?»

«Oh! molti» riprese Editta «non fossero altro che gl’insonni, gli ammalati ed i moribondi. Tutte le nostre camere da letto hanno un telefono, mediante il quale, uno che non possa dormire, si può procurare la musica a seconda del suo umore.

«Nella stanza destinata a me, c’è anche una simile disposizione?»

«Sì, certamente, e che sciocchezza da parte mia di aver dimenticato di dirvelo ieri sera! Papà vi mostrerà tutto prima che andiate a letto, e in grazia del corno acustico, i pensieri malinconici non vi fastidieranno più».

La sera il dottor Leete s’informò della nostra visita nel negozio, e nel corso della conversazione, paragonando superficialmente le abitudini del secolo XIX con quella del XX, il discorso cadde sulla eredità. Io dissi: «Il passaggio dei possedimenti per eredità non è forse permesso?»

«Al contrario», rispose il dottor Leete, «ciò non è proibito. Sopratutto, signor West, quando ci conoscerete meglio, troverete che la libertà personale è meno limitata che ai vostri tempi. Da noi ogni uomo è costretto dalla legge a prestar servizio alla nazione per un dato tempo, mentre voi lasciavate ai cittadini la scelta fra il lavoro, il furto o il morir di fame. Ad eccezione di questa legge fondamentale che altro non è che una codificazione della legge naturale, il nostro sistema non dipende da nessuna legislazione; ma è completamente volontaria ed è la logica conseguenza dell’attività della natura umana sotto ragionevoli condizioni, di modo che la quistione sull’eredità illustra questo punto. Conseguentemente ancora, essendo la nazione l’unico capitalista e proprietario fondiario, il possedimento di ciascun cittadino si limita al suo credito annuale ed a ciò ch’esso si è procurato in fatto di oggetti personali e casalinghi. Il credito personale finisce [p. 63 modifica]alla morte, come a’ vostri tempi una rendita vitalizia, e viene assegnata una data somma per i funerali. Quanto a ciò che si possiede in più, se ne dispone a proprio piacimento».

«Come si fa», domandai, «per ovviare all’accumulamento degli oggetti di valore per parte d’ognuno, cosa che nuocerebbe all’uguaglianza dei mezzi finanziari?»

«Quest’affare si aggiusta facilmente», fu la risposta. «Nella presente organizzazione sociale gli accumulamenti di beni personali, diventano un peso, se sono al disopra dell’occorente per le necessità della vita.

A’ vostri tempi si considerava come ricco un uomo che avesse nella propria casa dell’oro, dell’argento, porcellane rare, mobili di gran prezzo, ecc.; poichè tali oggetti rappresentavano denaro ed in qualunque tempo se ne poteva realizzare il valore, mentre oggi, per ipotesi, se cento parenti, morendo contemporaneamente, lasciassero tutta l’eredità ad uno solo, quegli sarebbe tenuto per infelice, perchè, essendo gli oggetti invendibili, non potrebbe che servirsene per uso proprio e rallegrarsi nel rimirarli. D’altra parte, dovendo prendere altre case in affitto per custodirvi gli oggetti, diminuirebbe il suo introito annuo, e avrebbe inoltre da pagare persone destinate a serbare il tutto in ordine. In tal caso, nulla v’ha di meglio che distribuire gli oggetti fra gli amici, notando che ogni amico non accetta più di ciò che può contenere la propria casa. Vedete dunque, che da parte della nazione, sarebbe superflua la precauzione d’impedire la trasmissione ereditaria personale, essendo già certa che nessun cittadino si lascia sopraccaricare; ed anzi, a questo proposito, è tanto prudente, che rinuncia solitamente ai beni ereditari, riservandosi solo qualche oggetto particolare; quindi la nazione ritira la mobilia rinunciata e ne unisce il valore al capitale generale comune».

«Dovendo voi pagare il servizio e la cura delle vostre cose,» diss’io, «mi viene in mente una domanda che fui già più volte sul punto di farvi. Come avete sciolto il problema della servitù? Chi vuol sottoporsi a servire in una casa, quando tutti sono socialmente uguali? Per le nostre signore, ai nostri tempi, era una vera tribolazione l’aver da fare coi domestici.» [p. 64 modifica]

«Appunto perchè siamo tutti uguali e nulla può ledere questa uguaglianza, e perchè il prestar servizio è cosa onorevole in una società, il cui principio fondamentale è di renderci servizio reciprocamente, noi potremmo istituire un corpo di servitori casalinghi, come voi non avreste potuto sognare mai;» rispose il dottor Leete. «Ma non ne abbiamo bisogno.»

«E chi s’incarica allora delle faccende domestiche?» domandai.

«Nessuno,» rispose la signora Leete, alla quale avevo rivolta la mia domanda. «La nostra biancheria viene lavata a poco prezzo in una lavanderia pubblica; i lavori di cucina vengono fatti in una cucina pubblica, e gli indumenti tutti, cuciti, accomodati e rattoppati in laboratori anch’essi pubblici. Il riscaldamento e l’illuminazione vengono prodotti dall’elettricità. Quanto a noi non occupiamo case più grandi del bisogno e ci regoliamo in modo da avere la minor fatica possibile per tenerle in ordine, e così facciamo a meno dei domestici.»

Il dottor Leete riprese a dire: «La circostanza di trovare fra le classi povere un’infinità di domestici, ai quali si lasciavano i lavori noiosi e disgustevoli, faceva sì che non vi curavate di sapere se questi lavori fossero più o meno necessari, onde evitarli quando ne fosse stato il caso; ma ora che tutti alla lor volta devono lavorare per la società, ciascuno ha lo stesso interesse personale di pensare ad alleggerire i carichi; per conseguenza si fanno invenzioni in tutti i rami dell’industria per risparmiare del lavoro, riunendo così, nell’ordinamento delle cose, le maggiori comodità colla minor fatica possibile. Nel caso poi di cose speciali, come sarebbe la pulizia generale, le riparazioni e le malattie in famiglia, ricorriamo per aiuto all’armata industriale.»

«Ma come compensate questo aiuto, se non avete denaro?»

«La nazione paga per noi. Mediante un avviso presso un ufficio apposito, si può assicurarsi dei servigi, e l’importo viene dedotto sul biglietto di credito».

«Il mondo dev’essere un vero paradiso per le signore», esclamai. «Ai nostri tempi, non v’eran nè ricchezza, nè servitori [p. 65 modifica]in gran numero che potessero esimere le donne dai fastidi della casa: quelle di mediocre fortuna od appartenenti alle classi più povere, vivevano e morivano martiri del loro dovere».

«Sì», disse la signora Leete, «ho letto e mi sono stupita che per quanto ne soffrissero gli uomini, assai peggio era la condizione delle madri e delle mogli».

«Le forti spalle della nazione», disse il dottor Leete, «portano ora il peso sotto il quale soggiacevano le donne ai vostri tempi. I vostri dolori e tutte le miserie della vita derivavano dalla mancanza di associazioni, conseguenza dell’individualismo sul quale era costruito il sistema sociale; e dall’incapacità, visto che avreste ottenuto dieci volte più aiuto dal vostro prossimo, vivendo uniti: invece vi separava la discordia, e mi sorprende che abbiate potuto vivere allora insieme, mentre al contrario respingevate ogni occasione che vi si presentava, di prestarvi servizio reciprocamente, e l’uno cercava di prendere all’altro ciò che possedeva».

«Eh via, papà, se tu sei così impetuoso, il signor West crederà che tu sia in collera con lui» obbiettò Editta ridendo.

«E quando vi occorre un medico, vi rivolgete semplicemente all’apposito ufficio, accettando il primo che vi viene mandato?» domandai.

«No, non è così» rispose il dottor Leete. «Il sollievo che un medico può portare ad un ammalato, dipende dal conoscerne la costituzione e le disposizioni fisiche, perciò ogni ammalato manda a chiamare il suo medico particolare, come facevate ai vostri tempi, e la sola differenza è che il medico percepisce lo stipendio per conto della nazione, stabilito da una tariffa e lo si quitanza sul biglietto di credito dell’ammalato».

«Penso», dissi «che lo stipendio essendo sempre lo stesso, e un medico non potendo rifiutare ammalati, i buoni medici saranno sempre chiamati e gli altri rimangono disoccupati?»

«Se volete scusare l’apparente arroganza di un povero medico quale sono» soggiunse sorridendo il dottor Leete, «son tutti buoni medici. Chi non ha che cognizioni superficiali in medicina, non può esercitare, come succedeva ai nostri tempi: per essere [p. 66 modifica]laureato, bisogna dar prova di capacità speciali; oltre a ciò, voi potrete osservare che al giorno d’oggi i medici non tentano di procurarsi la clientela a danno degli altri colleghi, poichè non c’è scopo: di più, siccome all’ufficio medico, ogni dottore deve dar relazioni sulla sua attività, quando uno non fosse abbastanza occupato, gli si trova del lavoro».