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L'impero del sole

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provenzale

Lucien Duc 1849 Emanuele Portal Indice:Antologia provenzale, Hoepli, 1911.djvu Letteratura L'impero del sole Intestazione 8 giugno 2024 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Antologia provenzale


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L’IMPERO DEL SOLE.

Il bel sole di giugno brilla; andiamo, mietitore, prendi la falce, chè la pianura è dorata ed il buon grano maturo! Al venticello che le carezza, le spighe, curvando la testa, dicono: ci abbisogna la siccità, soffia dolcemente, il nostro grano sarà duro!

E l’auretta soffia docile, e la pianura ricca e fertile sembra un mare mobile dalle onde d’oro. Ed il padrone che passeggia, dice fra sè: il mio granaio sarà pieno, ed anche i poveri avranno il loro guadagno; ciò che mi resterà, varrà ancora un tesoro. [p. 83 modifica]

Allora sente salire un’onda d’orgoglio, unita alla sua gioia e guardando intanto i suoi bei mandorli, i pini, le querce, che lassù fanno ombra sulle balze, dice fra sè che non è necessario correre in città per avere il proprio posto alla mensa.

Certo, il lavoro di campagna è assai penoso, ma se bagna la pelle più d’una volta, dà forza e salute; invece in città è il contrario, e vi accadono tanti inconvenienti, come narra la favola dei due cattivi soggetti; no, giammai cittadino come noi ha cantato.

L’operaio, se resta una settimana in riposo, sente la bufera ed è per lui il tormento, e forse la miseria. Il ricco coi suoi colpi di Borsa non è mai sicuro della sua corsa; [p. 84 modifica] La terra almeno ha delle risorse e non v’è più felice di colui che ha buone terre al sole.

Dal lato d’Aix ovunque mietono e le spighe s’ammucchiano innanzi alle legatrici e si fanno i covoni. Tutti si danno con buona volontà all’opera, perchè non v’ha nè maestro, nè manuale e nelle squadre i pigri non sono ammessi, qui ognuno guadagna il suo pane!

Tre a tre, genti di fiducia, partono dai diversi luoghi di Provenza, quando viene la metà di Giugno, per fare la mietitura; gli uomini colla veste sulle spalle, le donne in abito di percalle, verso Arles tutti scendono e il Capo tratta gli affari a suo modo.

Dalla prima alba all’imbrunire lavorano settimane intere, agli ardori del sole, senza un filo d’ombra. [p. 85 modifica] Ma che importa, se la giornata, quando suona la ritirata, è stata loro pagata tre volte? Si sa che una buona mercede rende la borsa piena.

Le squadre, di ritorno dal viaggio, apportano la gioia nel villaggio, allora se ne regalano abiti nuovi fiammanti! Alcuni, contenti, pagano i loro conti, quest’altro marita la figlia, altri mettono il vino in botte, ed è un agitarsi da far vedere che hanno denaro.

Ma ritorniamo alla pianura, ove il grano cade a misura, la vigilia di S. Giovanni, il giorno si spegne, ecco a braccetto, una coppia che viene sulla via e che si fa sentire con piacere, perchè dal cuore dei giovani zampilla la canzone. [p. 86 modifica]

— O Magali, mia tanto amata! — comincia il gentile garzone, un ragazzo di vent’anni, pieno d’anima e di vigore, e la sua compagna gli risponde, e per gustare meglio il miele di quel canto si poetico, presso la via più d’uno s’avvicina.

Alcuni passi dietro la coppia, cogli occhi rivolti verso le stoppie, s’avanza a piccoli passi un altro fiero giovane; ma sul suo volto maschile, a prima vista s’indovina che qualche cosa lo tribola; dopo una giornata di lavoro è spesso così.

I suoi compagni non lo sentono parlare, mai non hanno visto ridere la sua bocca e lo compiangono di cuore della sua dolce follia, [p. 87 modifica] Perchè dicono che piange una fanciulla, che l’ha fuggito come un’ingrata; d’allora la sua stella ha impallidito tanto amava d’amore colei che voleva.

Nel suo villaggio ognuno l’ama, lodando la sua vita ch’è delle più belle: è gentile, lavoratore da non dirsi; d’essere sindaco del suo paese se un giorno tentava la fortuna, avrebbe avuto tutti i voti, ma non ha voluto mai occuparsi di ciò.

Un bisogno d’amare lo divora e se ne va a lavorare fuori, restando a volte mesi interi lontano dalla sua fattoria. Una volta vendemmia, una volta miete, ma se ha raccolto abbastanza denaro, sempre il suo verme lo tormenta e gli piace spesso di vagare, solo, nelle lande. [p. 88 modifica] Sembra che segua dietro le nubi l’imagine che tanto lo incatena, e sempre verso Lione va il suo spirito. Sempre dice fra sè che è degna d’odio, ma è un vano proposito, l’anima sua resta caritatevole e se la maledicesse, si troverebbe malvagio.

Forse è lei, infelice, lontana dai suoi colli ombrosi, forse ha bisogno di lui, che lo chiama: Battista? Tosto il nostro giovane trasalisce, è la sua testa ch’è ammalata? Gli è sembrato di sentire, a voce abbastanza alta, il suo nome, e presto i suoi occhi vanno di qua e di là.

Ma sulla via, ora deserta, non si vedono che ginepri e mirti, che laggiù alla destra imbalsamano la valle. [p. 89 modifica]

Allora ascolta un minuto e nella natura muta e che a bella posta sembra stare zitta, risuona ancora il suo nome verso le rocce bianche.

Presto, giovane, corri, corri, è lei che vedrai al piede di quei cespugli. E Battista che ha passato tante vicende, indovinando qualche mistero, del suo male risente l’impero e corre verso il luogo donde parti la voce. Là sotto una roccia bianca, che un ginepro ripara coi suoi rami, dorme o è morta una fanciulla dai capelli neri. A lei vicino c’è il cantore colla sua comare e tutti e due non sanno che fare; ed intanto a gran passi cade il crepuscolo. [p. 90 modifica]

Ma Battista è qui che giunge, tutto commosso corre alla riva, ove la poveretta è senza movimento. E ad un tratto: Marinette! grida con voce che ripete l’eco. E bacia le sue manine e poi nelle sue braccia la culla dolcemente.

Risvegliati, o bella dormente, oh! risvegliati o mia diletta! Sono io, il tuo amico che ti parla. O mio Dio! se me l’avete alfine resa, la poveretta ch’era perduta, non è perchè resti distesa, morta fra le mie braccia! non è possibile, no!

E per quanto abbia poca vita nel suo petto che la sostenga, io la risveglierò, anche a costo di morire. [p. 91 modifica]

Andiamo, voi, un fuoco d’erbe e di rami, le sue mani sono fredde come l’onda, ed intanto Battista le sta presso, la riscalda, le parla e non può star muto.

Ma già l’erba secca fuma ed i rami s’accendono, la fiamma scoppietta, salendo verso il cielo. È una pioggia di faville che spariscono come per incanto e il loro chiarore sveglia gli uccelli raccolti nei nidi.

Innanzi a quel focolare infine si riscalda la piccina e riprende a poco a poco i suoi colori. Il suo amante ha sentito che ritornava già alla vita, e l’anima sua n’è tanto rapita, che alla sua volta perde il calore. [p. 92 modifica]

Diviene pallido, rabbrividisce, trema, un momento la sua forza l’abbandona, ma riprende il suo coraggio e tosto, o felicita! sente la fanciulla che sospira, la vede muoversi e stirare le membra, aprire gli occhi e volgerli dal suo lato. Brillate, o stelle, nell’azzurro!...


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Lucien Duc

1849.

L’EMPÈRI DÓU SOULÈU.

     Lou bèu soulèu de jun dardaio:
     Anen, meissounié, prend ta daio
Car la plano es daurado e lou bon blad madur!
     Au ventoulet que li caresso,
     Lis espigo, clinant cabesso,
     Dison: Nous fau la secaresso;
Boufo douçamenet; noste gran sara dur!

     E l’aureto boufo, doucilo,
     E la plano richo e fertilo
Sèmblo uno mar mouvènto emé de vago d’or...
     E lou mèstre que se permeno
     Se dis: Ma granjo sara pleno,
     E ’mai lou paure ague sa gleno,
Ço que n’estremarai vau encaro un tresor.

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     Alor, ié mounto uno boufado
     D’ourguei, à sa joio mesclado,
E regardant peréu si bèu plant d’amelié,
     Emai si pin, emai si roure
     Qu’amount fan d’oumbro sus li mourré,
     Se dis qu’es pas besoun de courre
En vilo, pèr agué sa plaço au rastelié....

     De-segur, travai de campagno
     Es proun penible; mai, se bagno
Lou pèu mai que d’un cop, douno forço e santa,
     Amor qu’en vilo es lou countràri
     E vous arribo mai d’auvàri;
     Acò’s la fablo di dous gàrri...
Noun, jamai ciéutadin coume nàutri a canta!

     L’oubrié, se rèsto uno semano
     A se pausa, sènt la chavano:
Es pèr éu lou tourment, la misèri belèu...
     Lou riche, emé si cop de Bourso
     Es jamai segur de sa courso!

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     La terro au mens trais de ressourso,
E i’a ’nca rèn de tau qu’un bon bèn au soulèu!

     Dóu coustat d’Aïs pertout meissounon,
     E lis espigo s’amoulounon
Davans li ligarello, e li garbo se fan.
     Tóuti bouton de cor à l’obro,
     Car i’a ni mèstre ni manobro,
     E, dins li sóuco, li fulobro
Soun pas amès: aqui, cadun gagno soun pan!

     De tres en tres, de couneissènço,
     Parton di rode de Prouvènço,
Quand vèn lou mitan Jun, per faire la meissoun;
     Lis ome, vesto sus l’espalo,
     La femo en raubo de percalo,
     Vers Arle tout acò davalo,
E lou capoulié trato afaire à sa façoun.

     De la primo aubo à la sourniero,
     Travaion de semano entiero
Au ràbi dóu soulèu e pas un fiéu d’eissu!

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     Mai, que ié fai, se la journado,
     Quand sono pièi la retirado,
     l’es estado tres cop pagado?
Se saup qu’un bon pres-fa rènd lou boursoun pansu!

     Li sóuco, de retour dóu viage,
     Aduson la joio au vilage;
Ah! se n’estreno, alor, de vièsti flambe-nòu!
     D’ùni, countènt, pagon si noto;
     Aquest mando sa pichoto;
     L’autre metra de vin en croto;
Es un boulegadis que se vèi qu’an de sòu!

     Mai, revenen dins la planuro
     Ounte lou blad tournbo en mesuro.
La vélo de Sant Jan, quouro lou jour falis:
     Veici, bras dessus, bras dessouto,
     Un parèu que vèn sus la routo
     E qu’emé plesi l’on escouto,
Car dóu cor di jouvènt la cansoun espelis.

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     «O Magali, ma tant amado!»
     Coumènço lou gènt cambarado,
Un drole de vint an, plen d’amo e de vigour;
     E sa coumpagno ié replico;
     E, pèr tasta miés la melico
     D’aquelo trobo pouëtico,
Plus proche dóu camin, n’i a mai d’un que s’encour...

     A quauqui pas darrié lou couble,
     Lis iue vira vers lou restouble,
S’avanço à pichot pas un autre fièr jouvènt:
     Mai, sus sa caro masculino,
     Dóu proumié cop, lèu se devino
     Que quaucarèn lou treboulino:
Après journado facho, es ansin proun souvènt.

     Si coumpagnoun l’auson rèn dire;
     Jamai an vist sa bouco rire
E lou plagnon de cor de sa douço foulié,

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     Car dison que plouro uno chato
     Que l’a fugi coume uno ingrato;
     Despièi, soun estello s’acato,
Tant amavo d’amour aquelo que voulié.

     Dins soun vilage, cadun l’amo,
     Lausant sa vido di plus flamo;
Es gènt, travaiadou, generous que-noun-sai.
     D’èstre Maire de la Coumuno,
     S’un jour tentavo la fourtuno,
     Tóuti li voues n’en farien qu’uno;
Mai jamai a vougu se carga d’aquéu fai.

     Un besoun d’ama lou devoro,
     E s’envai travaia deforo,
Restant de mes entié, de-fes, liuen de soun mas.
     Un cop vendémio, un cop meissouno;
     Mai se d’argènt proun amoulouno
     Toujour soun verme lou chirouno
E s’agrado souvènt, soulet, dins lis ermas...

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     Sèmblo segui darrié li nivo
     L’image que tant lou cativo,
E sèmpre vers Lioun s’envai soun esperit,
     Sèmpre se dis qu’es ahissablo
     Mai aco’ s basti sus la sablo:
     Soun amo rèsto caritablo,
E, se la maudissié, s’atrouvarié marrit!

     Belèu qu’es, elo, malurouso,
     Liuen de si colo parpelouso;
Belèu qu’a besoun d’éu que lou crido: Tistoun?
     Subran, noste jouvènt ressauto:
     Es-ti sa tèsto qu’es malauto?
     l’a sembla ’ntèndre à voues proun auto
Soun noum... e lèu sis iue van pèr caire e cantoun.

     Mai sus ia routo, aro deserto,
     Vèi que de cade emé de nerto
Qu’eila, dins la drechiero, embaumon lou calanc...

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     Alor escouto uno minuto,
     E dins la naturo qu’es muto
     E qu’à l’esprès sèmblo ista chuto,
Restountis mai soun noum de-vers li roucas blanc.

     Lèu, juvenome, landò, landò!
     Qu’es ta chato que te demando;
Es èlo que vas vèire au pèd d’aquéli broues.
     E Tistoun, qu’a proun vist tempèri,
     En devinant quàuque mistèri,
     De soun mau ressènt mai l’empèri
E s’encour vers l’endré d’ounte a parti la voues.

     Aqui, souto uno roco bianco
     Qu’un cade sousto de si branco,
Es endourmido o morto uno chato à péu brun.
     A soun entour i’a lou cantaire
     De tout-aro, emé sa coumaire,
     Que tóuti dous sabon que taire,
E pamens à grand pas toumbo lou calabrun.

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     Mai Tistoun es aqui qu’arribo:
     Tout boulega, cour à la ribo
Ounte la pauro fiho es sènso mouvemen.
     E tout-à-n-un cop: Marineto!
     Fai em’un crid que tout n’en peto...
     E de poutouna si maneto,
E pièi, dedins si bras la brèsso douçamen!

     — Reviho-te, bello endourmido,
     Oh! reviho-te, ma poulido:
Es iéu, es toun ami que te parlo. O moun Diéu!
     Se me l’avès enfin rendudo
     La pauro enfant qu’èro perdudo,
     N’es pas perqué rèste estendudo
Morto dedins mi bras! noun es poussible! viéu!

     E tant pau que i’ague d’aleno
     Dins soun pitre, en ié prenènt peno
La reviéudarai proun, quand sauriéu de mouri!

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     — Anen, vous autre un fiò de broundo!
     Si man soun frejo coume l’oundo!
     E d’enterin, Tistoun la soundo
E l’escaufo, e ié parlo, e noun pòu tempouri...

     Mai adeja la bauco tubo
     Veici que la ramo s’atubo
E la flamo petejo en mountant vers lou cèu:
     Es uno plueio de belugo
     Que desparèisson coume à plugo
     E que sa darta n’esbarlougo,
Amaga dins lou nis, mai d’un pichot aucèu.

     Davans aquéu fougau pourtado,
     A la perfin es rescaufado,
La mignoto, e repren à cha pau si coulour.
     Soun calignaire l’a sentido
     Que revenié mai à la vido,
     E soun amo n’es tant ravido
Qu’es à soun tour à-n-èu de perdre sa calour.

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     Vèn palinèu, suso, tremolo;
     Un moumenet sa forse molo;
Mai prèn lèu lou dessus, e, subran, o bonurl
     Entènd la chato que souspiro,
     La vèi que boulego e s’estiro,
     Que duerb lis iue, que li reviro
De soun coustat... Brihas, estello, dins l’azur!
     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     

(Marineto C. V.).