L'incognita/Atto III

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Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Notte con luna. Bosco con capanna.

Colombina sola.

Oh povera la mia Rosaura! Le tue disavventure vanno sempre di male in peggio! Tante me ne hanno raccontate, tante ne ho io vedute, che mi fanno stordire. Io non credo che in un giorno si sieno mai combinati tanti accidenti per affliggere una povera donna! All’alba del giorno s’avvia, attendendomi in compagnia dell’amante. Lo trova il rivale, si battono, ed ella fugge. Si ricovera in casa di un finanziere, e la moglie la discaccia; toma a incontrarsi con Lelio, la rapisce e la conduce sull’osteria. Egli la tenta, ella si difende, alla fine cade svenuta, e liberata dalle mani di un assassino, passa in quelle di un [p. 166 modifica] altro, che la costringe a salire in un calesse e partire senza sapere per qual parte del mondo. Gran cose! Incontra l’amante fra la sbirraglia, balza dal calesse, e vien condotta prigione. Di là la libera Ottavio, trova il padre ed una cugina, e nel mentre si crede felice, le propongono un matrimonio che la rende misera e sconsolata. Risolve seguire il padre, l’amante giunge, piangono, si tormentano, e in questo mentre ecco Lelio, che la rapisce la terza volta. Oh Dio! Dove l’avrà egli condotta? Secondo quel che mi hanno detto i villani, si avviarono gli scellerati alla volta di questo bosco. Può darsi che non fidandosi Lelio di altro ricovero, qui destini celarla sino all’alba novella. Almeno li riscontrassi. Farmi di sentir gente. Cresce il calpestio. Oimè! Sono in truppa. Sento piangere, sento gridare, principia a tremarmi il cuore. La curiosità cede il luogo al timore. Oh Dio! Eccoli. Mi celerò entro questa capanna. (entra nella capanna)

SCENA II.

Lelio armato, Rosaura e vari armati.

Lelio. Custodite i passi, e alcuno di voi s’aggiri d’intorno al bosco, per essere di qualche sorpresa opportunamente avvisati. (tre armati partono)

Rosaura. Oh Dei! Che cosa sarà di me?

Lelio. Via, cara, non piangete. Accomodate l’animo vostro ad incontrar quel destino, che vi viene dalla sorte esibito. Io non intendo oltraggiar l’onor vostro: vi bramo mia sposa, e tal vi prego di essere.

Rosaura. Quai luoghi indegni e fatali scegliete 1 voi per le nozze? Prima un pubblico albergo, ed ora un bosco?

Lelio. Se foste stata meco meno severa, vi avrei data la mano in casa di Colombina; ma poichè voi mi costringete a rapire [p. 167 modifica] ciò che tante volte vi ho chiesto in dono, non è poca sofferenza la mia, che io pur continui a pregarvi.

Rosaura. Che pretendereste di fare?

Lelio. Potrei dir voglio.

Rosaura. Potreste uccidermi, e niente più.

Lelio. Vi sono degli alberi e delle corde.

Rosaura. Vi sono i Dei che proteggono l’innocenza.

Lelio. Bene, o disponetevi ad esser mia, o vediamo se vi sarà chi possa trarvi dalle mie mani.

Rosaura. Credete voi così poco nella provvidenza del cielo?

Lelio. Ora non ascolto che le voci dell’amor mio.

Rosaura. Amor perfido, amore scellerato.

Lelio. Se più l’irritate, lo cambierò in fiero sdegno.

Rosaura. Oh, quanto temo meno il vostro sdegno del vostro amore!

Lelio. Ne faremo la prova. Venite meco.

Rosaura. Dei, assistetemi.

Un Armato. Signore. (venendo dalla scena frettoloso)

Lelio. Che cosa c’è?

Un Armato. Presto. Siamo sorpresi. La sbirraglia è poco lontana.

Lelio. Amici, o salvarci, o morire. Se cadiamo in mano dei birri, la nostra morte sarà ignominiosa. Seguitemi, e non temete. Altre volte ho fatto fuggire questa canaglia.

Rosaura. Ecco, ecco il soccorso del cielo.

Lelio. Giubbili, indegna, lusingandoti di fuggire? Giuro al cielo! Non ti riuscirà questa volta. Entra in quella capanna.

Rosaura. Oh Dio!

Lelio. Cacciatela a forza. (a due armati)

Rosaura. Misera me! (entra nella capanna)

Lelio. (Chiude) Voi restate alla custodia di questa donna, e se tenta fuggire, uccidetela. Saprò rimunerare la vostra fede. Eccovi intanto due zecchini per ciascheduno. Ecco in questa borsa la maggior parte dell’oro che aveva mio padre. Sentite il calpestio. Prendiamo i posti, e attendiamoli al varco. (Parte cogli armati, restando due alla custodia di Rosaura, i quali si ritirano dietro alla capanna.) [p. 168 modifica]

SCENA III.

Arlecchino con lanterna accesa.

Sia maledetto sto servir zente matta. Se pol dar de sta me padrona, che la vol per forza che vada a st’ora a trovar Florindo? E tolì, per causa soa son andà squasi in preson. L’è che semo amici coi sbirri, da resto i me cuccava senz’alter. Sarà mèi che fazza quel che m’ha dit el barisello, e che chiappa sti quattro paoli, e se la patrona vol aspettar, che l’aspetta. Za non ho da far alter che zirar qua intorno, e se vien zente, avvisarlo. Oh, sto mestier el me pias più del servir. Quattro paoli vadagnadi senza fadiga? Mo l’è la più bella cossa del mondo. (in questo punto si sentono delle schioppettate) Oh poveretto mi! Coss’è sto negozio? Oimè, presto, dove me nascondio? Anderò in sta capanna. (i due armati escono collo schioppo, e fanno il chi va là) Aiuto, son morto. Salva, salva. (fugge via)

SCENA IV.

Lelio con armati.

Lelio. Eccoci liberati ed illesi; il lume della luna ci ha favorito. Quei vili parte son morti, e parte sono fuggiti. Vi siete portati da valorosi; tenete, eccovi il premio che meritate. (dà denari a tutti) Amici, entrate nella capanna, prendete la donna, guidatela a me viva o morta, e seguitemi. Io vi precedo, per iscoprire se qualche nuovo tradimento ci fosse. (parte con alcuni armati)

SCENA V.

Colombina condotta fuori dalla capanna a forza dai due uomini armati.

Colombina. Scellerati, che volete da me? Io non sono quella che ricercate. Aiuto, povera me! La mia pudicizia. (vien condotta via) [p. 169 modifica]

SCENA VI.

Arlecchino solo.

No me par che ghe sia più nissun. Posso arrischiarme de vegnir fora de sti alberi. Se savesse mo dove trovar el barisello, vorria andarghe a dir che ho sentido della zente e delle schioppetade. Mi crederla che i quattro paoli el me li dasse. Quando ghe digo quel che ho sentido, ho fatto el mio debito.

SCENA VII.

Rosaura dalla capanna ed il suddetto.

Rosaura. Oh Dio! Dove sono?

Arlecchino. Zitto, che gh’è dell’altra zente.

Rosaura. Sapessi almeno dove ricovrarmi.

Arlecchino. Una donna!

Rosaura. Oimè. Ecco un altro assassino.

Arlecchino. Come parlela, signora? Son un galantomo.

Rosaura. Mi par di conoscerlo. Dite... siete voi il servo del signor Ottavio?

Arlecchino. Oh diavolo! Siora Rosaura, ben tornada, cossa fala! Hala fatto bon viazo?

Rosaura. Deh, assistetemi per carità.

Arlecchino. Cos’è sta? Hala mal?

Rosaura. Conducetemi dal vostro padrone.

Arlecchino. Ma no posso; ho un poco da far.

Rosaura. Vi prego per carità.

Arlecchino. El barisello m’aspetta.

Rosaura. Tenete questo piccolo anello e fatemi un tal piacere.

Arlecchino. (Sto anello el valerà più de quattro paoli). (da sè) Basta, per farghe servizio, andemo.

Rosaura. (Oh Dio! E la povera Colombina? Dove sarà stata condotta? Che l’abbiano in vece mia strascinata?) (da sè) Ditemi, avete voi veduta un’altra donna per questo bosco? [p. 170 modifica]

Arlecchino. Mi non ho sentido altro che delle schioppetade, e andemo via, avanti che i replica el ponto.

Rosaura. Sì, andiamo. (Mi sta sul cuore la mia povera Colombina). (parte con Arlecchino)

SCENA VIII.

Camera di Ottavio con lumi.

Ottavio e Beatrice.

Ottavio. Orsù, preparatevi partire per Napoli, e in Aversa non pensate a villeggiare mai più.

Beatrice. Perchè una si repentina risoluzione? Avete voi soggezione di Lelio? A momenti si aspetta da Napoli un rinforzo di birri con una compagnia di soldati per arrestarlo, e quando alla giustizia non riesca di averlo, a voi non manca il modo di farlo uccidere e vendicarvi.

Ottavio. GÌ’insulti che ho ricevuti da Lelio, non anderanno impuniti; ma questo non è il pensiere che più mi occupa, e che mi fa risolvere l’abbandonamento di questa terra.

Beatrice. Dunque che mai vi agita?

Ottavio. Voi e la vostra imprudenza.

Beatrice. Io? Come?

Ottavio. Avete fatto bastantemente parlar di voi. Le vostre premure per Florindo sono troppo avanzate. Ne dubitai alla prima, ora certo ne sono. Me lo assicurano i ministri del Governatore, me lo accerta la servitù, e Florindo istesso, tutto che colorir procuri con aria di pietà la vostra passione, non sa negarmi di essere da voi con tenerezza distinto. Una moglie onorata non deve nutrir pensieri, li quali a poco a poco scordar le facciano il suo decoro. Io non penso già che la vostra passione ecceda i limiti dell’onestà: che se ciò mi credessi, un veleno, uno stile sarebbero i vendicatori dell’onor mio. Ma poichè tutte le passioni si rendono col tempo pericolose, riparerò opportunamente ai disordini del vostro cuore. All’alba del giorno [p. 171 modifica] salirete nel carrozzino; andrete a Napoli, non vedrete più questa terra, e se non cambierete costume, più non vedrete la luce del sole. (parte)

SCENA IX.

Beatrice sola.

È svelata la mia parzialità per Florindo, nota è ad Ottavio, e domani principierò a disperare di più vederlo. Che mi suggerisce la mia passione? La via di mezzo è perduta. Siamo agli estremi, o perdere il cuore, o arrischiare il decoro. Ah, pur troppo ora m’avvedo che lusingava me stessa, allorchè mi credea che la parzialità per Florindo non fosse amore. Gelosia non si dà senza amore, e chi vuol far prova se ami o no il proprio cuore, esamini s’egli è geloso. Sì, partirò, mi scorderò di Florindo; ma non soffrirò mai la ria memoria della sua ingratitudine. Nel giorno ch’io lo traggo di carcere, pianger sugli occhi miei per una donna da me aborrita? Perfido! Ti odio quanto ti amai, e se dall’onor mio mi vien vietato l’amarti, non mi sarà impedito di farti tutto quel peggio che mai potrò.

SCENA X.

Arlecchino e detta.

Arlecchino. Siora padrona.

Beatrice. Ebbene, hai ritrovato Florindo?

Arlecchino. No l’ho trovà in nissun logo. Gh’ho da parlar.

Beatrice. Che vuoi tu dirmi?

Arlecchino. L’è tornada.

Beatrice. Chi?

Arlecchino. Rosaura.

Beatrice. Dov’è tornata?

Arlecchino. L’è qua in sala, che la domanda el patron.

Beatrice. Rosaura è qui? Come fuggì nuovamente da Lelio? Lelio dove si trova? [p. 172 modifica]

Arlecchino. Giusto adess, vegnindo in qua, l’ho visto a scuro e l’ho cognossù, che l’avriva la porta della so casa.

Beatrice. Ed egli non ha veduto te?

Arlecchino. No l’ha visto nè mi, nè Rosaura che era con mi.

Beatrice. Ma come Rosaura è teco?

Arlecchino. L’ho trovada per la strada.

Beatrice. Io ti ho mandato a ricercare Florindo; l’hai forse ritrovata verso la di lui casa?

Arlecchino. Siora sì, verso la di lui casa.

Beatrice. Voleva ella ricoverarsi colà?

Arlecchino. Giusto colà.

Beatrice. (È giunta a tempo nelle mie mani) (da sè) Dunque Lelio è in casa?

Arlecchino. L’ho visto mi.

Beatrice. L’hai veduto solo?

Arlecchino. L’era solo. In lontan gh’era dell’altra zente, ma no credo che i fusse con lu.

Beatrice. Fa che entri Rosaura... Tu non partire dall’anticamera, che avrò bisogno di te.

Arlecchino. Non occorr’altro. (Se sfadiga assai e se magna poco. Se no m’inzegnasse fora via, poveromo mi). (da sè, parte)

Beatrice. Costei mi somministra un’occasione opportuna per vendicarmi di Florindo.

SCENA XI.

Rosaura e la suddetta.

Rosaura. (Oimè! In luogo del marito trovo la moglie! ) (da sè)

Beatrice. Accostatevi, Rosaura mia, e non temete. Finalmente ho scoperto che siete una saggia ed onesta giovine, ho risaputo l’esser vostro, ho pietà delle vostre disavventure, e sono disposta a far tutto per rendervi consolata.

Rosaura. Signora, il cielo rimuneri la vostra pietà. Ma ditemi, se il ciel vi salvi, dov’è mio padre? [p. 173 modifica]

Beatrice. Vostro padre non è molto di qui lontano, e se bramate vederlo, vi farò scortare dov’egli presentemente si trova.

Rosaura. Non mi potete fare grazia maggior di questa.

Beatrice. Come avete fatto a liberarvi dalle mani di Lelio?

Rosaura. Oh Dio! Non lo so. Guidommi al bosco, mi chiuse in una capanna. Colà per prodigio vi ritrovai Colombina; ella mi fu levata, rimasi sola; trovai il vostro servo.... Signora, sono agitata a segno che non so nemmeno s’io viva.

Beatrice. Povera sventurata! Ditemi, avete più veduto Florindo?

Rosaura. Ah, non mi parlate di lui.

Beatrice. Lo vedreste voi volentieri?

Rosaura. Oh Dio! Non mi tormentate.

Beatrice. (Così potessi levarti il cuore). (da sè)

Rosaura. Per pietà, mandatemi dal mio genitore.

Beatrice. Florindo sarà poi vostro sposo?

Rosaura. Sarà di me tutto quello che è scritto lassù nel cielo.

Beatrice. (No, non sarà scritto che tu sia sposa di lui). (da sè) Via, rasserenatevi; se non potete esser lieta colla vista del vostro amante, lo sarete con quella del vostro genitore. Ehi, Arlecchino.

SCENA XII.

Arlecchino e le suddette.

Arlecchino. Signora.

Beatrice. Condurrai questa giovine a quella casa, ove trovasi il di lei padre.

Arlecchino. Ma dov’èia sta casa?

Beatrice. Sciocco, non lo sai?

Arlecchino. No me l’arricordo.

Beatrice. Nel venir che facesti a questa volta, non vedesti tu entrare un uomo solo in una casa?

Arlecchino. È vero.

Beatrice. Bene, colà devi condur Rosaura.

Arlecchino. Là donca sta so pader?

Beatrice. Sì, là sta suo padre. [p. 174 modifica]

Arlecchino. (Bisogna che la sia fioloa de Pantalon e sorella de Lelio). (da sè) Siora sì, la condurrò là.

Beatrice. Oh Dio! Che non errasse il vostro servo.

Beatrice. Non può errare. Avverti non isbagliare la casa.

Arlecchino. Non èla dove sta quel vecchio?

Beatrice. Sì, per l’appunto.

Arlecchino. Quel vecchio forestier?

Beatrice. Sì, quel vecchio è suo padre.

Arlecchino. (Oh bella! L’è fiola de Pantalon!) (da sè) Andemo, andemo, che ve menerò da vostro pader.

Rosaura. Lo conoscete voi?

Arlecchino. Oh, se lo cognosso. Chi diavol averia dito che quel fosse vostro pader?

Rosaura. Nè io certamente l’avrei creduto.

Arlecchino. Via, via, andemo.

Beatrice. (Senti. M’intendesti. Alla casa di Lelio). (piano ad Arlecchino)

Arlecchino. (Sì, ho inteso. In casa de so pader). (a Beatrice)

Beatrice. (E fa che passi nelle mani di Lelio).

Arlecchino. (Sì, de so fradello).

Beatrice. (Che dici?)

Arlecchino. (Ho inteso tutto). Son a servirla. (a Rosaura)

Rosaura. (Il cuore mi presagisce qualche nuova sventura). (da sè)

Beatrice. Via, andate. (a Rosaura)

Rosaura. Ah signora, non mi tradite.

Beatrice. Mi maraviglio di voi. Così parlate a una donna che vi soccorre?

Rosaura. Perdonate; andiamo. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Son qua. Sta notte fazzo el menador. (parte con Rosaura)

Beatrice. Se Arlecchino non mi tradisce per ignoranza, Rosaura torna in mano di Lelio, e Florindo rimane un’altra volta deluso. Più di lui non mi curo. Domani partirò per non più rivederlo; ma partirò contenta, se partirò vendicata. (parte) [p. 175 modifica]

SCENA XIII.

Camera terrena in casa di Pantalone.

Lelio ed un armato.

Lelio. Mio padre sarà ito al riposo; i servi non si sentono. Introduci nella mia camera la donna che levasti dalla capanna. (armato parte) Rosaura sarà mia a suo dispetto. Qui siamo in un appartamento terreno, dove difficilmente posso essere scoperto; abitazione ch’io scelta mi sono per essere in maggior libertà. Strilli pure Rosaura, non saranno intese le di lei voci.

SCENA XIV.

Colombina ed il suddetto.

Lelio. Che volete voi qui? (a Colombina)

Colombina. Voi che volete da me, che mi avete fatto condurre? (a Lelio)

Lelio. Io vi ho fatto condurre?

Colombina. Sì, voi; da me non ci sarei venuta, se avessi creduto di guadagnare un milione.

Lelio. Dov’è Rosaura?

Colombina. Voi lo saprete meglio di me.

Lelio. Ehi. Dove siete? (chiama)

Un Armato. Signore.

Lelio. Dov’è Rosaura?

Un Armato. Chi è questa Rosaura?

Lelio. Quella che vi ho ordinato togliere dalla capanna e condur meco.

Un Armato. Eccola qui.

Lelio. Questa?

Colombina. Sì signore, io era nella capanna con Rosaura, e quei bricconi mi hanno preso invece di lei.

Lelio. Oh stelle! Che cosa sento? Ma voi che facevate là dentro?

Colombina. Mi era rimpiattata per la paura. [p. 176 modifica]

Lelio. E perchè tacere?

Colombina. Ho gridato; ma coloro non si sono mossi a pietà.

Lelio. Voi perchè prender questa e lasciar quell’altra? (all’armato)

Un Armato. Questa è quella che si è presentata alla porta della capanna.

Colombina. (La mia curiosità mi ha fatto essere più vicina alla porta). (da sè)

Lelio. Son disperato. Son fuor di me. Non so chi mi tenga, che non mi sfoghi la mia collera contro di te.(a Colombina

Colombina. Non ci mancherebbe altro, che vi sfogaste contro di me.

Lelio. E tu, maledetto, tu me la pagherai. (all'armato)

Un Armato. Io non ci ho colpa.(parte)

Colombina. Signore, lasciatemi andare.

Lelio. No; giacchè ci sei, ci devi restare.

Colombina. Che cosa volete fare di me?

Lelio. Lo vedrai, lo vedrai.

Colombina. (Oh marito mio, ci sono).(da sè)

Un Armato. Signore, state allegro. (tornando)

Lelio. Perchè?

Un Armato. È qui da voi quella Rosaura che cercate.

Lelio. Come? Chi la conduce?

Un Armato. Arlecchino, servitore del signor Ottavio.

Lelio. Che favola è questa? Io non l’intendo.

Un Armato. Volete ch’ella passi?

Lelio. Sì, venga.

Un Armato. Manco male, sarà contento.(parte)

Lelio. Andate via.

Colombina. Lasciatemi vedere la mia Rosaura.

Lelio. Andate via. (a Colombina)

Colombina. Vi prego

Lelio. Andate, o vi caccio dalla finestra.

Colombina. Aiuto. [p. 177 modifica]

SCENA XV.

Rosaura ed i suddetti.

Rosaura. Dov’è Colombina?

Colombina. Mi caccia via.

Rosaura. Dov’è mio padre?

Colombina. Qui vostro padre? Altro che padre! Osservate. (le mostra Lelio)

Rosaura. Oimè! Son tradita. (vuol partire)

Lelio. Fermatevi, e voi partite. (a Colombina)

Colombina. Vado, vado.

Lelio. Subito.

Colombina. Sì, vado. (Oh, se mi riuscisse avvisar il signor Pantalone! Se potessi mandar gente a soccorrerla! Ma questi cani non lascieranno passar nessuno). (da sè, parte)

SCENA XVI.

Lelio, Rosaura ed armati.

Lelio. Eccovi per la quarta volta nelle mie mani.

Rosaura. Ah, mi ha tradita Beatrice!

Lelio. Chi? La consorte di Ottavio?

Rosaura. Sì, ella. Col pretesto di farmi trovare il padre, mi ha crudelmente sagrificato.

Lelio. Quando vedrò la signora Beatrice, la ringrazierò di una tal finezza. (Ma Colombina uscita andrà a spargere che è qui meco Rosaura). (da sè) Elà. (si accostano gli armati) Io chiudo la porta, voi restate in quell’altra stanza, e sia chi esser si voglia, nessuno entri. Mio padre sarà al riposo; ma se mai venisse, avvisatemi. Al nuovo giorno anderemo in luogo sicuro. In questa notte non abbiamo a perdere il frutto delle nostre fatiche. Andate, e niuno passi, e se alcuno si introducesse, ammazzatelo, (armati partono, e Lelio chiude la porta)

Rosaura. (Ahi, che il dolore mi opprime! Cielo, assistimi, che io non torni a svenire). (da sè) [p. 178 modifica]

Lelio. Orsù, Rosaura, è tempo che pensiate a rasserenarvi, considerando che di qui non si esce senza esser mia; siate saggia, e la necessità v’insegni ad accordarmi la vostra mano, se non volete ch’io mi prevalga dell’occasion favorevole per obbligarvi.

Rosaura. Signore, le tante volte che replicate mi avete simili ingiuriose voci, mi hanno insegnato a meno temerle. Vi dirò francamente che invano mi chiedete la destra, e che pria di concedervi una minima parte di questo cuore, spargerò tutto il sangue delle mie vene.

Lelio. Eh, giuro al cielo... Questo sangue che sparger volete... (si sente rumore alla porta laterale) Oh diavolo! Chi mai sarà che entrar tenti per questa porta segreta? Ah, altri che mio padre non può saperla. Ma giuro al cielo, non entrerà. (va a difender la porta, e si sente che la buttano giù) (Mio padre viene ad arrischiare la vita). (da sè) Amici, soccorretemi. (vuol aprir la porta)

SCENA XVII.

Pantalone e detto.

Pantalone butta giù la porta segreta, ed entra con lume e pistoiese.


Pantalone. Fermete, desgrazià.

Lelio. (Ah maledetta porta! Come diavolo l’ha egli gettata a basso sì facilmente?) (da sè)

Pantalone. Tocco de furbazzo! T’ho trova sul fatto. Xe un pezzo che so che ti te diletti de menar donne in sta camera. Cossa fastu de quella povera putta?

Lelio. Ma chi diavolo ha detto a voi che io era qui?

Pantalone. Colombina me l’ha dito. Sì, Colombina m’ha trovà a tola, che magnava la mia panada.

Lelio. Orsù, signor padre, io non sono quel perfido che voi pensate. Questa giovine io la desidero in moglie. Fino che ella era un’incognita, voi potevate negarmela con ragione; ma ora [p. 179 modifica] che si è scoperta essere la figlia del conte Ernesto dell’Isola, spero che mi procurerete una sì buona fortuna.

Pantalone. Cossa disela, siora, lo vorla mio fio? (a Rosaura)

Rosaura. No certamente, e prima morirò che sposarlo.

Pantalone. Sentistu? (a Lelio)

Lelio. Via, pregatela, ditele delle buone parole.

SCENA XVIII.

Ridolfo ed i suddetti.

Ridolfo. Oimè! Figlia? Sei tu qui? Sei tu salva?

Rosaura. Ah padre, assistetemi per pietà.

Pantalone. No ve dubitè gnente, son qua mi, e vostra fia la defendo mi. (a Ridolfo)

Lelio. Che pretendete voi qui? (a Ridolfo)

Ridolfo. Pretendo la mia unica figlia.

Lelio. Chi vi ha detto che ella era in mia casa?

Ridolfo. Lo seppi da Colombina.

Lelio. (Ah, lo dissi! Colei ha rotto ogni mio disegno). (da sè)

SCENA XIX.

Ottavio ed i suddetti.

Ottavio. Dove non è chi riceva le ambasciate, si passa per necessità. Signor Pantalone, di voi veniva in traccia. Trovai la prima porta chiusa e difesa, e Colombina mi facilitò per altra parte l’accesso.

Lelio. (Diavolo, portati Colombina. Ci mancava costui). (da sè)

Pantalone. Cossa me comanda el sior Ottavio?

Ottavio. Un uffiziale di Sua Maestà desidera con voi parlare. Egli è mio amico, ed io l’ho accompagnato alla vostra casa.

Lelio. Non introducete uffiziali. (a Pantalone)

Ottavio. Eccolo. Passate, signor tenente, passate. [p. 180 modifica]

SCENA XX.

Un Tenente con sei granatieri.

Ottavio. Questi è il signor Pantalone dei Bisognosi. (al tenente)

Lelio. (Se verrà per arrestarmi, l’ucciderò). (da sè)

Tenente. Signore, la vostra casa è circondata da sessanta soldati, e quaranta birri in distanza aspettano il vostro figliuolo. (a Pantalone)

Lelio. Io? Giuro al cielo...

Tenente. Fermate. Ecco sei granatieri, li quali hanno ordine di ammazzarvi, se resistete.

Lelio. Olà, dove siete? (vuol chiamare i suoi armati)

Pantalone. Fèrmete, cossa fastu?

Lelio. Dove siete? dico.

Pantalone. Vustu far una guerra in casa?

Lelio. (Ah, che i codardi mi hanno abbandonato. Spaventati dal numero dei soldati, mi hanno lasciato solo. Misero! Che farò?) (da sè)

Tenente. Arrendetevi per vostro meglio. (a Lelio)

Lelio. Sì, le armi onorate dei soldati fanno quell’impressione nell’animo mio, che non han fatto quelle dei birri. Io che ho rovesciata la sbirraglia giù per una scala, io che l’ho disfatta in un bosco, cedo e mi arrendo a un piccolo numero di soldati, assicurandovi che ho coraggio per saper morire colla spada alla mano.

Tenente. Cedete la spada.

Lelio. Eccola. (Maledetto destino). (dà la sua spada al tenente, ed egli ad altra persona)

Pantalone. Sior offizial, per carità, cossa sarà del mio povero fio?

Tenente. Siccome i suoi delitti non sono che di superchierie, non credo che il suo castigo eccederà la prigionia di un castello.

Pantalone. Vedeu? Questo xe quello che se vadagna a far el bravo, a far l’impertinente. No so cossa dir. Ti xe mio fio, e me despiase vèderte in sto miserabile stato; ma co penso che stando in t’un castello e provando i rigori della giustizia, [p. 181 modifica] ti poi far giudizio, schivar mazori pericoli e castighi più grandi, ringrazio el cielo; accetto sto dolor per una providenza del cielo, e morirò più contento, se te lasso in un liogo che poi essere un zorno la to salute. (a Lelio)

Lelio. Per quel che sento, voi non impiegherete un passo per liberarmi. (a Pantalone)

Pantalone. Ghe penserò. (Cagadonao, ti m’ha fatto paura anca a mi). (da sè)

Tenente. Per questa notte qui resterete in arresto con sentinella di vista. Ehi, prendete i posti. (i soldati con baionetta in canna occupano le due porte)

Ridolfo. Signor Pantalone, con vostra licenza, prendo mia figlia e meco me la conduco.

Pantalone. Per mi, comodeve pur.

Lelio. (Che smania non poterlo impedire). (da sè)

Ridolfo. Figlia, andiamo.

Rosaura. Eccomi ad ubbidirvi. (piange)

Ridolfo. Oh Dio! Quando avrai finito di piangere?

Rosaura. Quando avrò finito di vivere.

Ridolfo. Perchè non ringraziare il cielo di averti preservata da tante e tante sventure?

Rosaura. Ah, una me ne riserba, che avvelena tutte le mie contentezze.

Ridolfo. T’intendo. Tu peni per le nozze che io ti propongo. Odimi; io t’amo, e pria di vederti dolente, sagrifico anco la mia vita alla tua passione.

Rosaura. No, padre, andiamo pure; troppo avete per me sofferto, troppo a voi devo. Sarei un’ingrata, se ricusassi di compiacervi.

SCENA XXI.

Florindo e detti.

Florindo. Deh, prima che da me v’involiate, permettetemi, cara Rosaura, che due parole vi dica; me lo conceda il padre, me l’accordi il padrone di questa casa. Rosaura, io vi ho amata, [p. 182 modifica] vi amo e vi amerò sempre. Compatisco la necessità che vi stacca dall’amor mio, voi sarete d’altrui, ma io sarò sempre vostro. Voi vi sposerere fra poco, io morirò quanto prima.

Rosaura. Oh Dio! Non posso nè rispondere, nè mirarlo, (piange)

Lelio. (Manco male; se non l’ho io, non l’abbia nemmeno il mio rivale). (da sè)

Ridolfo. Rosaura, andiamo. Compatite. (a Florindo)

Tenente. Signore, chi sono questi che piangono? (a Pantalone)

Pantalone. Do poveri innamorai che se lassa. Questo xe un certo Florindo Ardenti, e quella la contessa dell’Isola, quondam Rosaura.

Tenente. Dov’è suo padre? Dov’è il conte Ernesto?

Ridolfo. (Oimè! Son conosciuto). (da sè) Eccomi ai vostri cenni.

Tenente. Con l’occasione che io venni ad eseguire in questa terra gli ordini regi, mi fu data una commissione per voi. Gli amici vostri, che trattato hanno il vostro accomodamento col conte Ruggiero, vi fanno sapere che il di lui figliuolo, il quale doveva sposar vostra figlia, ha confessato essere segretamente ammogliato in Olanda, con sensibile dispiacere del suo genitore. Egli per altro si è appagato della vostra disposizione ad un tal matrimonio, ed ha senz’altre riserve sottoscritti i capitoli della pace, li quali a voi offerisco per ordine dei mediatori, acciò vi consoliate e siate più lieto nel ritornare a Napoli colla vostra figliuola.

Ridolfo. Siano ringraziati i Numi.

Rosaura. Caro padre, io sarò dunque libera dal vostro impegno?

Florindo. Signore, quello che doveva sposar vostra figlia, è ammogliato in Olanda?

Ridolfo. Ah giovani innamorati, v’intendo. Figlia, l’amor mio vi dia quest’ultima prova della sua tenerezza. Non fia che il contento di conoscere il padre vi costi la perdita dell’amante. Abbracciatevi con giubbilo, con letizia, e dalle braccia di vostro padre passate a quelle del caro sposo. (si avvicina a Florindo, che la prende per mano.)

Lelio. Ah, questo è troppo! Toglietemi dinanzi agli occhi l’og[p. 183 modifica]getto della mia disperazione, o uscite di questa stanza, o fatemi passare in un’altra. (al tenente)

Tenente. Qui siete in arresto. (a Lelio)

Ridolfo. Fra poco usciremo. Ora non mi getterete più in terra. (a Lelio)

Pantalone. No so cossa dir. Lo compatisso. Sto veder magnar, aver fame, e zunar2, credo che la sia una gran pena), (da sè)

SCENA XXII.

Colombina e detti.

Colombina. Posso venire?

Rosaura. Sì, cara Colombina, venite ad abbracciare la vostra Rosaura, anzi la vostra contessa Teodora.

Florindo. Sì, la mia sposa.

Colombina. Evviva, mi consolo di cuore.

Lelio. Tu, disgraziata, hai sollevato tutti contro di me. (a Colombina)

Colombina. Sì, sono andata io per la terra a battere di porta in porta, per chiamar gente in soccorso di quella povera assassinata. La contessa Eleonora attende con impazienza di vedervi. Andiamola a consolare. (a Rosaura)

SCENA ULTIMA.

Mingone e detti

Mingone. Signore, la padrona è qui collo sterzo, e manda a vedere che novità ci sono.

Ottavio. Ditegli che in questo momento Florindo ha dato la mano di sposo alla contessa Teodora. (Mingone via) Signori miei, invito tutti a terminar la notte in casa mia.

Pantalone. Che i vaga pur; mi resterò per sta notte a far compagnia a mio fio, za che sa el cielo quando lo vederè mai più.

Lelio. Caro padre, vi domando perdono. [p. 184 modifica]

Pantalone. Adesso ti me domandi perdon? Va pur dove el ciel te destina; meggio fin no podeva far un bulo della to sorte. (Mingone torna)

Mingone. Signore, la padrona se ne torna a casa, e siccome spunta l’alba del giorno, a momenti partirà per Napoli, se V. S. si contenta.

Ottavio. Dille che si trattenga, che non si lasci vincere dell’impazienza, che avrò io il contento di accompagnarla nel viaggio. (Mingone via) (Conosco il motivo della sua intolleranza). (da sè) Orsù, andiamo, che l’ora si fa assai tarda. Sposi, siete alfin consolati: Conte, voi sarete felice. Povero signor Pantalone, voi mi fate pietà; e voi, signor Lelio, imputate a voi stesso il vostro destino. Gran casi, grandi accidenti accaduti sono in un giorno e in una notte! Nell’ore dell’ozio di tali avvenimenti vo’ formare un romanzo, dal quale un giorno potrà cavarsi una qualche buona commedia.

Fine della Commedia.



Note

  1. Così Paper.; Zatta: scieglieste.
  2. Stare a digiuno: v. Boerio.