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L'ombra del passato/Parte II/Capitolo IV

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Capitolo IV

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IV.

Le «recite in persona» cominciarono verso la metà di agosto. Gli attori, chi per istinto, chi per atavismo, erano tutti animati dal sacro fuoco dell’arte: fra gli altri c’era un ex-comico, residuo di una compagnia d’infimo ordine.

Durante gl’intermezzi un vecchio burattinaio suonava la fisarmonica. Candido il «pittore» faceva da brillante. Celeste, la studentessa, era la prima donna più indiavolata e birichina che si possa immaginare. Per amore dell’arte Adone qualche volta si adattava a far da seconda donna, e Celeste lo compensava abbracciandolo e baciandolo durante la recita e qualche volta anche dietro le quinte. Egli lasciava fare: ma si sarebbe molto più divertito il mese scorso. Oramai egli pensava a Caterina come ad una sposa legittima, ed era deciso a non tradirla. Nell’intimità, poi, egli scopriva molti difetti in Celeste; sopratutto non le perdonava la sua leggerezza e la sua civetteria. Ella badava a lui perchè il pittore era partito!

Sulle prime le «recite» non ebbero molto successo. L’ex-comico, che faceva da direttore [p. 265 modifica]artistico, era un attore romantico, estremamente vanitoso. Volle dare la Croce d’oro e i Due Sergenti, che erano stati i suoi cavalli nella battaglia da lui miseramente perduta: la gente si annoiò. Ma un giorno, mentre la compagnia discuteva sul nuovo lavoro da rappresentarsi, e Adone proponeva la Morte civile, Candido si alzò, si levò il berrettino di carta e vi guardò dentro come per cercarvi un’idea.

— Se permettete dico la mia. El gh’è una commedia divertentissima, che ho veduto da bambino a Mezzano. El gh’è in questa commedia un personaggio che vien fuori con la spada e dice terribilmente:

Con questa spada in mano,
Faccio scommessa un paolo,
Che taglio la testa a Golo...

Che effetto, con rispetto parlando! Alle donne veniva fastidio dal ridere. Diamo quella!

— Se non ricordi il titolo! — disse Adone.

Candido morsicò il berrettino.

— Aspetta! C’era un omaccion cattif, chi turmentava la gente! Era bella, veh! Pareva una recita di burattini, tanto era bella!

— Ma se non ricordi il titolo! — ripetè Adone desolato.

Allora l’ex-comico disse con disprezzo:

— E’ Il Tiranno di Padova!

E Adone andò a Viadana in cerca del libretto: lo trovò e in compenso volle una parte forte: quella del personaggio con la spada. [p. 266 modifica]

Il successo fu clamoroso. Adone venne fuori con uno spadone che sembrava una croce.

Con questa spada in mano,
Faccio scommossa un paolo.
Taglio la testa a Golo...
...faccio la barba al diavolo!...

Quest’aggiunta rinnovò i deliri dei bei tempi di Candido. Le donne si svenivano dal ridere: a Carissima venne un singhiozzo così insistente e forte che gli spettatori zittirono. Da quella notte le sorti delle «recite» furono assicurate e se ne sparse la fama nei dintorni.

Il delegato di Viadana piombò a Casalino e mise la compagnia in contravvenzione perchè non aveva pagato la tassa d'apertura di teatro, nè adempito alle altre formalità legali.

Una sera, ai primi di settembre. Adone andò a prender Caterina e altre sue amiche per condurle a teatro.

La vecchia borbottò a lungo: seduta sullo scalino della porta, dichiarò che non si sarebbe mossa di lì fino al ritorno di Caterina: e fece promettere alle altre ragazze che non avrebbero abbandonato per un solo istante i due fidanzati. Ma appena furono nel viottolo i due amanti rimasero indietro, mentre le ragazze precedevano cantando. Del resto Adone quella sera pareva preoccupato, quasi triste. [p. 267 modifica]I suoi primi ardori smorzati, egli oramai considerava Caterina come sua moglie: non occorreva far pazzie ogni momento: qualche volta bisognava parlare anche di cose serie!

— Lasciale andare, — egli disse a Caterina che rideva e chiamava le amiche. — Senti, Pirloccia è partito.

Ella cessò di ridere, si ricordò, trasalì.

— Appena lui è andato via ho parlato con la zia, — egli riprese. — Col maestro siamo d’accordo: egli non rinunzia al posto finchè io non avrò compiuto gli studi. Così, fra due anni, se io non trovo di meglio, avrò sempre il posto di Casalino. Non gli è parso vero, di rimanere, a quel vecchio avaro!

— Che ha detto la Tognina?

— Mi ha detto che son pazzo! M’ha detto che non potrà mandarmi un solo centesimo. Anch’io gliene ho dette! L’ho fatta piangere. Però...

Tacque, insolitamente triste. Egli non diceva tutta la verità, e Caterina lo capì.

— Però?... — domandò ansiosa.

— Era forse meglio ch’io prendessi il posto. Sono stanco di vivere alle spalle degli altri!

— Tu non vivrai alle spalle degli altri! Se occorrevenderemo la casa: la nonna vuole...

— Non dire sciocchezze! — egli proruppe, adirandosi.

— Ma non è questo, lo lavorerò, vivrò con poco. Ma Pirloccia continuerà a dire ch’io sono un poltrone.

— Tu hai paura di quell’ometto? di quella trottola? — disse fieramente Caterina. — Tu? Se egli [p. 268 modifica]si permette di dire una sola parola e ficcare il naso nei nostri affari, io gli darò tanti schiaffi, ma tanti schiaffi da stordirlo! Sono donna da farlo!

Egli rise; ma ella era irritata davvero e continuò a profferire minacce contro i parenti di lui.

Arrivati sull’argine Adone le prese il braccio e si strinse a lei. E avrebbe voluto ch’ella tacesse, che gli lasciasse godere la dolcezza di quella loro prima passeggiata notturna.

Nella felicità del momento, egli avrebbe voluto dimenticare le volgarità della vita, la miseria morale dell’ambiente in cui viveva, i ricordi del passato che gli risalivano dal cuore come un sapore acre dallo stomaco. Ma Caterina ricordava appunto le confidenze che il ragazzetto col mantellaccio faceva, lungo quella stessa via, alla ragazzetta con lo scialle.

— Sì, bellezza mia, — continuava a inveire, — son capace di dargli tanti schiaffi al tuo ometto. Ed anche alla tua bella zia! Non ti hanno abbastanza tormentato? Ci lascino in pace, ora.

— Sì, sì, ma taci, — egli pregò.

— Perchè devo tacere? Credi tu che io non indovini quello che hai, stassera? Credi che io non indovini? Ti leggo negli occhi. Tu non hai confidenza in me; ma io non sono una stupida...

— Che hai, stassera, Caterina? — egli disse. Tormentami; sì anche tu, ora!

— Ah, sì, ti tormento? Ebbene, sì, voglio tormentarti. Devi essere sempre tu il padrone: sempre, sempre?... [p. 269 modifica]

— Lasciami pensare almeno a quello che devo dire in teatro! — egli esclamò allora, infastidito.

Arrivarono in ritardo.

S’udiva il suono melanconico della fisarmonica del vecchio burattinaio, che girava per il paese intonando il motivo d’una furlana. Quel suono avvertiva la gente che la recita stava per cominciare: tutti uscivan sui portoni dandosi scambievolmente la notizia:

Gh’è la recita in persuna! Gli uomini pagan tre soldi, le donne due!

Al suono della furlana anche le vecchie si animavano: la notizia che le donne godevano un prezzo di favore invitava molte di loro a recarsi alla recita: e dove vanno le donne gli uomini accorrono più volentieri!

Nel prato della chiesa Golo aspettava impaziente colui che doveva ucciderlo.

Golo era Candido: vestito di rosso e di nero come un diavolo, egli aveva in testa il berrettino di carta per non sciupare il «cimiero» di cartone dorato del quale, durante la recita, andava molto superbo.

— Presto! Presto! Presto! — cominciò a gridare, vedendo Adone.

— E che, c’è il fuoco? — domandò Caterina.

— Altro che fuoco! C’è tanta gente! Ma tanta! Corri a vestirti. Adone; io cerco il posto a queste donne.

E si mise a correre, precedendole.

Il teatro era nell’antica scuderia Dargenti: e Adone aveva paura che la marchesa desse da un [p. 270 modifica]momento all’altro ordine di chiuderlo. Ma un fatto accaduto quella sera dissipò le sue inquietudini.

Il locale aveva due ingressi: uno grande sulla strada e una porticina che dava sul prato e serviva solo per gli «artisti».

Dall’arco del portone sulla strada si scorgeva l’interno del teatro. Il bigiiettario stava seduto davanti a un tavolino, nell’angolo dietro il portone, e lasciò passar Golo e le donne che lo seguivano. La folla rumoreggiava, impaziente. E fra l’ondulare grigio e nero dei cappelli di feltro, si scorgeva qualche graziosa testa femminile, i cui capelli rossi o castanei avevano lievi riflessi d’oro.

Sulle pareti sporche serpeggiavano bizzarre decorazioni di foglie di vite, nastri, larghe striscie di carta dorata.

Pochi lumi a petrolio illuminavano quella confusione di figure e di cose: grandi ombre vagavano sul soffitto, e in fondo al quadro il piccolo sipario di grossa tela grigiastra pareva una vela latina ondulante alla brezza.

Mentre Golo conduce va le donne ai loro posti, Adone era corso a vestirsi. Gli «artisti» già pronti borbottavano per il suo ritardo. L’ex-comico, vestito da tiranno, disse con boria:

— Il pubblico rumoreggia. Non bisogna stancarlo; se no non rispondo dell’esito!

Celeste finiva di vestirsi, dietro un lenzuolo che funzionava da paravento.

— Signor Adone? — cominciò a gridare. — Mi sente? Faccia presto! So una cosa; so una cosa! [p. 271 modifica]

— Che c’è, Dio mio? — egli disse infastidito.

La ragazza montò su una sedia e sporse al disopra del lenzuolo la fronte e gli occhi luminosi e birichini.

— Non mi guardi! Non mi guardi! — strillò Adone, che si spogliava, fingendo un esagerato pudore.

— So una cosa! Ma bella! Presto, chè gliela dico! Ma soltanto a lei. Presto, — ella ripetè. Stassera... noi... avremo...

— Dica! Dica!

— Venga qui! — ella invitò. — La dico solo a lei: niente agli altri.

Il tiranno sogghignò.

Adone, mezzo vestito, entrò nel volante camerino della prima donna: ella saltò giù dalla sedia, lo abbracciò, gli soffiò sull’orecchio:

— Stassera verranno a teatro... la marchesa... e Maddalena Dargenti!

Adone arrossì per la gioja: abbracciò la fanciulla, la trascinò fuori, s’inchinò, gridando:

— Signori della bella compagnia, stassera avremo nobili spettatori! La marchesa... la signorina! Le sorti del teatro sono assicurate.

— Perdio! — gridò il tiranno, e corse di qua e di là, agitato, mentre gli altri attori si guardavano ridendo di gioja e di paura come bambini. [p. 272 modifica]

I «nobili spettatori» tardavano ad arrivare: il pubblico rumoreggiava sul serio quando nell’arco del portone apparvero due figure. Una era grossa e nera, con un piccolo viso rosso e paffuto, i capelli bianchi, gli occhiali d’oro; l’altra era sottile e bianca, così vaporosa che attraverso le maniche del suo vestito si scorgeva la luce azzurrognola dell’acetilene che illuminava la strada. Tra l’esile collo nudo, olivastro, circondato da un filo di perle, e i capelli neri divisi sulla fronte e sbuffanti sulle tempia, spiccava il fosco pallore d’un piccolo viso severo, dagli occhi lunghi socchiusi, dalla bocca lunga chiusa.

Tutti i cappelli di feltro, tutte le teste brune e dorate si volsero verso la porta: e nell’improvviso silenzio Adone, che spiava da un buco del sipario, vide il bigliettario alzarsi, precedere le due signore sino alla prima fila dei «posti riservati». Cinque persone s’alzarono di scatto; s’udì uno scricchiolar di panche, un mormorio confuso; poi la fisarmonica, funzionante da orchestra, intonò la marcia reale come all’ingresso d’una regina!

Adone palpitava: non sapeva perchè, ma palpitava. La signora con gli occhiali s’avanzava col suo passo elastico, col suo petto prepotente. [p. 273 modifica]col quale pareva ch’ella potesse farsi largo fra qualunque folla: la figurina bianca camminava anche lei quasi in punta di piedi, e pareva pronta a spiccare il volo come una farfalla!

— E l’altra non viene! — esclamò Adone, deluso.

— Andiamo, andiamo, — disse Celeste, tirandolo per la mano.

Ma egli attese ancora. La signora Maria e la signorina Dargenti s’erano già sedute.

Molti spettatori guardavano tuttavia verso l’ingresso, aspettando ancora l’arrivo della marchesa.

Caterina, ancora accigliata, fissava le due signore: e mentre Maddalena guardava innanzi a sè con indifferenza, la signora Maria si volgeva di qua e di là, sorridendo a tutti: pareva portasse a tutta quella brava gente i saluti della marchesa e volesse scusarne l’assenza.

Fu durante quella recita, rimasta celebre a Casalino e nei dintorni, che Golo per la commozione disse:

— M’avanzo con la spada in mano e col cimitero in testa!

E questo fu niente, se si pensa che un altro attore, il quale raccontava le gesta di Carlo Magno al tiranno e a Golo, disse:

— E Carlo magnò le mura della città! [p. 274 modifica]Urla, grida, risate, applausi deliranti accolsero la terribile notizia. Ma Adone si volse spaventato e guardò Maddalena Dargenti. Anche lei rideva: non molto, ma rideva. Ed era diventata così bella, con le fossette sulle guancie e le labbra aperte sui denti meravigliosi, che egli s’incantò un attimo a guardarla.

Un attimo.

Anch’ella lo guardò. I loro sguardi s’incontrarono.

Gli occhi di lei, di solito socchiusi, s’aprirono, sollevati verso gli occhi di lui. Ed egli provò una specie di vertigine; gli parve di aver già veduto quegli occhi, giù incontrato quello sguardo, in un luogo lontano, durante una vita anteriore, in un paese di dolcezza e di voluttà, un giorno attraversato in sogno...

Ecco, egli ritorna ancora, dopo aver riaccompagnato Caterina e le sue amiche.

Ella si è mostrata gelosa della «prima donna».

— Ti baciava davvero, quella lì! Non ho veduto mai una ragazza così sfacciata!

— E lasciala baciare! Non sai che in teatro è permesso tutto, agli artisti? E se no come si fa, a finger bene?

— Ma gli altri non li baciava, no! IL suo sposo non lo baciava, no!

— Ma perchè non lo voleva! Voleva me. [p. 275 modifica]

— Ah, voleva te, vero? Ti vuole davvero, mi pare! Badi bene: le rompo la testa a zoccolate!

— Che istinti feroci hai stassera, Caterina!

— Sei mio! Sei mio! — ella dice, stringendogli il braccio, scherzosa e appassionata. — Sei mio, veh, non sei delle altre!

— Non temere! — egli risponde, sarcastico e melanconico. — Nessuna pensa a rubarmi!

— Sì! E intanto ti guardano, tutti! Sì, ti guardano, perchè sei bello. Anche Maddalena Dargenti ti guardava! Ma quella è brutta!

Egli non risponde subito: poi dice, quasi sottovoce, come pauroso di tradire i suoi pensieri:

— Quando ride è bella: gli occhi sono eguali a quelli di Andromaca del cordaio.

Ed egli ha un lieve brivido di piacere al ricordo degli occhi di Maddalena fissi nei suoi.

Ritornando, lungo l’argine, egli vede sempre davanti a s’è quegli occhi lunghi e carezzevoli che, durante la recita, si sono immersi parecchie volte nei suoi. Pareva che ella lo chiamasse dolcemente col suo sguardo: egli la guardava e ogni volta provava un senso di vertigine; gli pareva di dover cadere in un abisso di luce.

Ed ora egli va, egli va, sull’orlo dell’argine, e gli pare ancora di esser sospeso fra la luminosità del fiume e la luminosità del cielo rischiarato dal plenilunio. E pensa a lei come non ha pensato mai ad altra donna. Lei. Egli non osa chiamarla col suo nome. Lei: il mistero d’un mondo ignoto: il sogno di tutto ciò che è irraggiungibile. [p. 276 modifica]

Egli ha dimenticato quasi sè stesso: un mistero inesplicabile accade in lui. Egli è diventato un altro: ha di nuovo lasciato il suo vestito d’ogni giorno e ha indossato un costume insolito, più luminoso di quello del personaggio della commedia. È un vestito lieve, fatto coi veli vaporosi che circondano la notte lunare: è il vestito del Sogno. Egli, così, diventa un personaggio del quale tutti noi, in una sera di luna, abbiamo fatto la parte. Un personaggio fantastico che va e non sa dove; che cammina e crede di volare; che recita senza parole, nel magico teatro di un paesaggio lunare, un dramma del quale solo le stelle spettatrici capiscono qualche cosa!

Lasciando l’argine per il viottolo egli si scuote dal suo sogno. Ricorda le parole di Caterina:

— Tutte ti guardano, perchè sei bello!

— Io però le conosco, le donne! — egli si vanta con sè stesso. — Tutte civette, davvero! Anch’io, però, le guardo, veh! Eh, gli occhi son fatti per guardare!

E ripensa a Celeste: quella, anche, lo guarda, ora che non ha più il suo pittore! Ma le sue civetterie ora lo infastidiscono. Ella lo guarda perchè non sa con chi altri civettare. Non c’è nessuno, quest’anno, a Casalino: tutti son venuti per le [p. 277 modifica]elezioni, e il paese natio basta visitarlo una volta all’anno. Le ragazze quindi si annoiano. Anche lei deve essere a secco di adoratori se si diverte a guardare il povero maestro del villaggio.

— Eh, ma sono un giocattolo, io? — egli protesta con sè stesso. — Non permetterò ch’ella si prenda gioco di me.

Ma d’un tratto egli rivede davanti a sè, nell’ombra del viottolo, gli occhi dolci e carezzevoli di Maddalena, e di nuovo ricade nel sogno vago e misterioso che lo ha accompagnato lungo l’argine.

Davanti al cancello si ferma, Le ombre dei pioppi si allungano sul prato bianco di luna: sulla nuvola nera degli alberi del parco il palazzo si disegna, giallognolo, con le ombre dei cornicioni, delle loggie, delle terrazze, come dipinto.

Sulla balaustrata dell’ingresso i vasi di smalto brillano alla luna e dal giardino sale un profumo di erbe e di gerani. Tutto come nel tempo lontano in cui egli, attaccato alle sbarre del cancello, guardava curioso, avido di mistero, fissando gli occhi nelle ombre del parco. Ora gli pare di esser ritornato bambino; ma il mistero che quel luogo di sogni racchiude ora, è più intenso, più attraente. Forse è ancora illusione; egli pensa; il sognatore è sempre un bambino: tutta la sua vita è una lunga infanzia. [p. 278 modifica]

Svegliandosi, la mattina dopo, egli cercò istintivamente di riafferrare il suo sogno, come il bambino che ha un giocattolo nuovo e lo ricerca appena riapre gli occhi. Ma durante la notte qualcuno glielo ha portato via.

Gli occhi di Maddalena non riapparvero, nella penombra della cameraccia. Non era luogo degno di lei, quello. Sulle prime Adone si sentì umiliato; poi ritrovò il suo orgoglio. Ricordò l’ipotesi del fabbro, riferitagli da Agostino il gemello; pensò a Davide, che aveva sposato una donna più bella e più ricca di Maddalena, e concluse che nel mondo tutto era possibile. Ma subito si stizzì con sè stesso, pensò a Caterina, che non civettava mai con nessuno, benchè molti la guardassero, e si vergognò delle sue fantasticherie. Oramai egli non aveva più il diritto di commetter leggerezze: se Caterina se ne fosse permessa qualcuna, egli avrebbe molto sofferto: perchè doveva permettersene lui?

Si alzò, sempre più stizzito, e andò a guardarsi nel suo piccolo specchio incrinato. Bello? No, non gli pareva di esser bello. Forse sorridendo... E sorrise alla sua figura; vide i suoi piccoli denti e ricordò lo scherzo dello zio Giovanni: [p. 279 modifica]

— Ma di’, puttino, che hai fatto? Hai mangiato il riso ed hai dimenticato i granellini in bocca? Ma di’, Adone?...

— Ma no. zio! Sono i dentini; guarda bene. Hai visto?

— Ah, sì! Mi parevano granellini di riso...

Egli non sorrise più: guardò ancora la sua figura e le disse:

— Come sei brutta!

Più tardi egli, mentre stava davanti alla porticina del «teatro», vide la marchesa e Maddalena che attraversavano il prato. Per la prima volta egli si accorse che ella era magra, senza forme, un po’ rigida come la nonna. Col suo vestito un po’ corto, i capelli raccolti sulla nuca, le braccia magre e il petto liscio, ella pareva una adolescente.

No, ella non ispirava alcun desiderio. Oramai Adone si piccava di conoscer le bellezze femminili. Aveva un’amante bella! Un’amante! Sì, ed egli era orgoglioso di averla, ed era grato a Caterina di avergli dato anche questa soddisfazione, di essere stata la sua amante segreta, in attesa di diventare la sua compagna fedele.

Maddalena e la nonna salirono la gradinata ed entrarono in chiesa. Egli si sentì melanconico per conto di Maddalena. Davide gli aveva detto che ella andava in chiesa solo per contentare la nonna. Sì, ora egli ricordava tutte le notizie che Davide gli aveva dato sul conto di lei. Ella era un «tipo» alquanto strano, come lutti i Dargenti. La nonna [p. 280 modifica]diffidava di lei, ed ella non amava la nonna: ma poteva darsi che le notizie riferite dal figlio del zolfanellajo non fossero esatte.

— Del resto, che m’importa? — si domandò Adone. E volle andarsene, ma non ricordò più dove pensava di andare.

Quella notte non c’era recita: per andare da Caterina era presto ancora. Egli rientrò nel «teatro» e rimise in ordine alcuni oggetti: poi ritornò sulla porticina. Nel prato solitario passò in bicicletta un giovinotto grasso e biondo che si fermò e smontò davanti al cancello. Doveva essere uno dei soliti visitatori della marchesa. Forse veniva da Casalmaggiore, forse da Dosolo. Forse era invitato a pranzo al palazzo: Maddalena quella sera avrebbe forse civettato con lui!...

Jusfin apri il cancello: e dovette dire che le signore erano in chiesa perchè il giovinotto consegnò la bicicletta all’ex-cacciatore e s’avanzò fino alla porta della parrocchia. Adone lo guardava fisso: gli pareva che il giovinotto, col suo viso rosso e i baffi dritti, gli occhi celati dalle palpebre un po’ grosse, avesse un’aria di gaudente, d’uomo conquistatore: ed egli diventò triste; provò un vago malessere, un sentimento che gli era ignoto. Gli parve d’essere invidioso dello sconosciuto!

Durante la sua visita a Caterina egli rise e chiacchierò più del solito, e poichè ella rifaceva in modo sorprendente la voce e i gesti degli «attori» del Tiranno di Padova, egli disse alla Suppèi: [p. 281 modifica]

— Ma lasciatela venire a recitare, nonna! Guardate come fa bene!

La vecchia scuoteva la testa e borbottava parole severe. Fra le chiacchiere e le risate dei giovani il suo cupo mormorio pareva il lontano brontolar del tuono nell’apparente serenità di una bella giornata.

— Lasciatela almeno venire! — egli insisteva. Domani! Sarà più bello ancora: faremo suonare la banda. Forse verrà ancora la signorina Dargenti. E altre signore ancora, da Cicognara e da Casal Bellotto... — aggiunse, pentito d’aver espresso il suo segreto desiderio di riveder Maddalena.

— Allora metterò il vestito celeste! — disse Caterina.

— Tu starai a casa, viscere! Non tutti i giorni è festa!

Caterina replicò vivacemente: e la vecchia minacciò di darle uno schiaffo. Allora Adone, per rappacificarle, si mise a scherzare e disse che sarebbe venuto a prender Caterina di nascosto, quando la nonna dormiva.

— Io dormo con gli occhi aperti, viscere! — si vantò la nonna. — Se fai del male me ne accorgo: se fai del bene me ne accorgo lo stesso. La mia anima ti gira intorno come lo spirito folletto!

— Dio, che paura! — egli disse, ridendo. — Ah, è per questo che l’altra sera, mentre schiacciavo una formica, ho sentito un soffio intorno a me! Eravate voi?

— Anche le formiche devono vivere! — ella sentenziò, sollevando il bastone. — E se facciamo del [p. 282 modifica]male c’è davvero uno spirito folletto che ci gira attorno. La nostra coscienza, viscere; proprio la nostra bella coscienza!

E si levò il cappello, come per salutare questo spirito invisibile.

Seduti sotto il pergolato i due amanti continuavano a ridere e chiacchierare: a momenti abbassa vano la voce e ridevano, burlandosi della vantata perspicacia della nonna. Adone giunse a proporre a Caterina di andar davvero a teatro, quando la vecchia dormiva.

— Se tu verrai cominceremo la recita più tardi. Ma sì, vieni, carina! Sarebbe così bello! — egli supplicò, vinto da una smania di cose avventurose. Verrò a prenderti, poi ti ricondurrò!

Ma Caterina non si prestò all’avventura.

La vecchia sedette sullo scalino e si mise a fumare: e accorgendosi che i due giovani si stringevano e bisbigliavano troppo, disse a Caterina di andar a rimettere in ordine le stoviglie, cosa che di solito, quando c’era Adone, eseguiva lei.

Caterina brontolò, ma obbedì. Andò in cucina, ma cominciò a sbatter le sedie e a lavorare con dispetto: e la vecchia di tanto in tanto sputava e le rivolgeva qualche parola ingiuriosa. [p. 283 modifica]

Adone, sotto il pergolato, col viso rivolto al viso della luna, ascoltava il battibecco delle due donne e, benchè fosse abituato ai modi rozzi della vecchia, s’indispettiva contro di lei ed un po’ anche contro Caterina.

— Ma taci! — gridò alfine.

Caterina tacque: anche la vecchia si calmò: e non s’udì, nel silenzio lunare, che lo stridere melanconico dei grilli.

E d’improvviso, come per un fenomeno ottico, Adone rivide davanti a se gli occhi dolci e voluttuosi di Maddalena. Egli respinse la visione, che non aveva desiderato, ma non potè respingere i pensieri e i ricordi che gl’invasero la mente, con assalto improvviso, come una torma di nemici in agguato.

Pensieri e ricordi, nella furia dell’invasione, si confondevano fra loro. Qualche ricordo però si distingueva, fra tutti: Davide... il giovinotto arrivato in bicicletta... gli ospiti del palazzo... Maddalena che attraversava il prato... le parole di Agostino il gemello.

Passarono alcuni giorni. Per quanto Adone fosse convinto che gli occhi son fatti per guardare, egli esitava prima di sollevare i suoi davanti a Maddalena, quando la incontrava nel prato della chiesa o la vedeva nella secolare carrozza della nonna. [p. 284 modifica]

Del resto, anche lei non lo guardava.

Pareva che ella non guardasse o non vedesse nessuno. La signora Maria doveva guardare e salutare per la nonna e per la nipote. Questa, quando usciva a piedi, camminava come in sogno, col suo passo lieve, coi suoi pensieri che, a giudicarne dal suo viso severo, quasi arcigno, dovevano essere gravi e superbi.

Una sera ella ritornò a «teatro».

L’accompagnavano due signori e una signorina, ospiti della marchesa. Tutti e quattro, signorine e signori, erano vestiti di bianco, e il «teatro» parve assumere un altro aspetto, più luminoso, più gajo, quando il gruppo elegante e profumato apparve sull’ingresso.

Questa volta gli artisti furono più disinvolti. La fisarmonica intonò un ballabile relativamente moderno, «Sulle rive del Danubio», e tutti i volti si animarono di gioja. Soltanto Adone recitava male, e pareva lo facesse per dispetto.

Alla recita, quella sera, assistevano la sua mamma, Eva e Reno, i cui occhi grigiastri e selvaggi non abbandonavano per un momento il viso del fratello. Anche la mamma lo guardava con ammirazione. Egli non aveva vergogna della sua famiglia: tutt’altro; ma la presenza della sua povera mamma e del fratello infelice gli ricordava la sua condizione e tutta la tristezza della sua esistenza umile.

Non volle neppure aggiungere il famoso verso della barba del diavolo. Pensava: [p. 285 modifica]

— È tempo di finirla! Perchè faccio questa parte da zingaro? Perchè devo far divertire questi «nobili spettatori» ? Io m’infischio di loro.

E non guardava mai in platea. Quando Celeste apparve, coi magnifici capelli sciolti e il viso truccato con vera arte, egli si propose di mostrarsi appassionato con lei, ma subito vide che la figlia del tiranno dava nell’occhio ai «nobili spettatori». Uno di questi, a sua volta, attirò immediatamente gli sguardi dell’attrice.

— Stia attenta: lasci stare quello stupido, tanto è ammogliato! — le susurrò Adone stizzito. Ma Celeste lo fissò un momento coi suoi occhi beffardi, e per tutta risposta guardò ancora il nobile spettatore! Ah, ella non si tormentava certo con vani scrupoli. A che servono gli scrupoli se non a far perdere il tempo?

E allora Adone, come eccitato dal buon esempio, guardò, quasi senza volerlo, la signorina Dargenti.

Ella teneva gli occhi bassi e pareva distratta.

Ma appena egli la guardò, come attratti da un bagliore lontano, gli occhi lunghi e carezzevoli s’aprirono e il loro sguardo andò incontro allo sguardo che li cercava.

Adone credette di svenire, tanto lo sguardo di lei era penetrante. Egli chiuse gli occhi, li riaprì, guardò altrove; ma ovunque, ovunque, vedeva gli occhi di lei. E come per isfuggire a quell’ossessione la guardò ancora, con la speranza e con la paura ch’ella non rispondesse più al suo sguardo.

Ella rispondeva sempre. [p. 286 modifica]

Anche l’indomani egli incontrò Maddalena, che quasi lutti i giorni andava a visitare la vecchia sorella del prevosto. Sebbene ella fosse sola, egli non osò guardarla. No, egli che osava cercare il suo sguardo tra la folla, non poteva sollevare gli occhi davanti a lei nella solitudine del prato. Aveva paura: paura che ella lo guardasse: paura ch’ella non lo guardasse. Una specie di ossessione, fatta di rimorso, di paura, di desiderio, lo tormentava.

Egli osava credersi amato da Maddalena, ma non se ne rallegrava. Sentiva una grande pietà di lei.

Pensava:

— Ma non lo sa che io sono premesso ad un’altra? Ma non lo sa? E del resto non lo sa che io non posso far all’amore con lei neanche per passatempo? Perchè non si rivolge agli ospiti della sua nonna? Civetti con quelli lì. Io non sono della sua razza. Se è capricciosa lei, non sono capriccioso io.

Altre volte gli pareva che Maddalena lo guardasse appunto per amor di contrasti: perchè era povero, lontano da lei, d’una razza diversa dalla sua. Eh, le donne son tutte capricciose, specialmente all’età di Maddalena! Amano le cose romantiche, le avventure sentimentali. Altre volte egli considerava Maddalena come una bambina: poi [p. 287 modifica]arrivava a crederla alquando degenerata, come tutti i Dargenti.

Ella lo guardava per semplice capriccio, per divertirsi. Questo pensiero lo umiliava: ma egli provava gusto a tormentarsi. Castigava così il suo principio d’infedeltà verso Caterina.

Così avvenne che egli cominciò a pensare con desiderio e con tristezza alla sua partenza. Tutto doveva finire. Le notti diventavano fresche, e qualche volta, quando egli tornava dal solito convegno, si trovava circondato da una nebbia vaga e chiara, attraverso i cui veli si scorgevano ancora le stelle. Vapori grigiastri ondulavano sul fiume e sui campi: ed egli talvolta s’immaginava di attraversare non l’argine, ma un ponte gettato su un immenso stagno circolare. E gli pareva che alle due estremità del ponte sorgessero due fantasmi, ognuno dei quali lo attirava a sè con forza magica. Egli andava dall’uno all’altro, come una spola, tessendo la tela grigia della sua inutile giovinezza.

Un giorno Maddalena partì: e subito dopo egli senti dire che ella s’era fidanzata con un ricco proprietario di Casalmaggiore: quello stesso biondo che gli aveva una volta destato una instintiva gelosia.

Egli non ne provò gioja nè dolore: era certo che Maddalena si sposava senz’amore, e sentiva pietà di lei; ma a questa pietà si univa talvolta un vago rancore.

Il presunto fidanzato non era nobile, e neppure bello: ma che volete, — pensava Adone, — i tempi son difficili, anche per le signorine nobili e ricche. [p. 288 modifica]Quante di loro non restano zitelle? Gli uomini della loro condizione preferiscono restare liberi, andarsene a Parigi, a Montecarlo, o in America, in cerca di miliardi; le ragazze nobili, devono spesso contentarsi di proprietari senza titoli, e qualche volta sposano anche gli industriali venuti su dal nulla, o i professori e persino gl’impiegati!

— Del resto, — egli diceva a sè stesso, — questi qui non fanno poi un buon affare: diventano quasi schiavi, e sono soggetti ai capricci delle loro spose! Ah, quel biondone che deve sposare Maddalena crede di fare un bell’acquisto? Se lo tenga prezioso, allora, quell’oggettino di lusso: se ne accorgerà poi che bell’acquisto ha fatto! Ella non lo amerà, egli è troppo grasso e rosso per lei: ella ama i giovani di vent’anni, fini e sottili come lei; e d’altronde come si può abbracciare con amore un uomo grasso? Povera Maddalena! povera bambina! Il matrimonio dev’essere combinato dalla nonna, da quella vecchia alta e cieca come un palo, che a ottant’anni pretende di camminare e di vestirsi come una fanciulla. Povera Maddalena! Maddalena, cara...

Una voce saliva così, fra la nebbia: una voce lontana e lamentosa. Egli l’ascoltava, e accorgendosi che la voce saliva dal suo cuore ricominciava a darsi dello stupido, del melenso, persino del degenerato!

— Sono come un bambino ili dieci anni! Perchè ella mi ha guardato due o tre volte son diventato uno sciocco! E non può darsi che ella sia [p. 289 modifica]miopi e mi abbia guardato senza accorgersene? Ed io, stupido, mi aggiravo intorno al parco come quando credevo che là dentro esistessero cose fantastiche! Come l’uomo è ancora bestia! Perchè una donna lo guarda egli ridiventa subito bambino e dimentica i suoi doveri, i suoi principi. E poi pretendiamo di riformare il mondo, la società! Noi, noi che non sappiamo vivere se non attaccati alle gonnelle delle donne! Ma riformiamoci noi, prima; stacchiamo le nostre radici dalla terni putrida, leviamoci la nostra pelle di bestia!

Ma accorgendosi che si sdegnava sul serio sorrideva di sè stesso. Ricordava ch’egli non aveva mai preteso d’essere un riformatore, e tanto meno uno scorticatore d’uomini! Egli s’erasempre contentato di sognare un mondo nuovo, le cui leggi fossero la giustizia e l’amore: ed ecco, egli ora diventava quasi feroce perchè una fanciulla ricca lo aveva appunto guardato con amore!

Un giorno, all’antivigilia della sua partenza, dopo essere stato dalla sua mamma, dalla quale si recava spesso, egli andò a Casale e trovò sola in casa la vecchia Suppèi.

— Dov’è Caterina? Perchè è uscita? Perchè non mi ha aspettato? [p. 290 modifica]

— Il libro del perchè non «è ancora scritto! ella rispose, coi suoi soliti modi sgarbati. — Andiamo su, piuttosto, in camera: voglio farti vedere una bella cosa.

Egli la segui nella vasta camera, sulla cui trave, sopra la finestruola, si vedevano parecchi nidi di rondine che sembravano escrescenze del legno grigiastro.

La vecchia apri il cassettone e cominciò a frugarvi dentro, borbottando. Una lieve tosse rantolosa le usciva con un suono stridente dalla gola, assieme con le parole sconnesse. Da qualche giorno ella si lamentava, ricordando d’aver sofferto una bronchite, dieci anni prima: credeva di provarne di nuovo i sintomi.

— Ho combattuto col nemico, allora! Ma lui è rimasto qui nascosto: lo senti, viscere? (e si battè lievemente sul petto il pomo del bastone). È venuta la mia volta, ora! Un bel momento anche la Suppèi deve cadere, col suo cappello, il suo bastone, la sua pipa, come un burattino morto! Arriva l’ora per tutti, caro: anche per l’arciprete; anche per i bimbi che ancora devono nascere! E finite le storie! Che rimane di noi, allora? Le buone opere. Ora dunque tu, prima di partire, devi farmi un piacere. Devi scrivere a mio figlio Giorgio. Caterina non ha voluto scrivergli. Ella dice: «Perchè volete annunziargli la vostra morte prima che sia avvenuta?» E l’arciprete, dicono, non si è fatto scriver la lapide essendo ancor vivo? [p. 291 modifica]— Lasciate queste brutte idee, — esclamò Adone. — Voi vivrete più a lungo di noi, nonna! Dov’è questa bella cosa che volevate farmi vedere?

- Ora, ora. — ella riprese, aprendo e chiudendo i cassetti, dai quali esalava un forte odor di tabacco. — Tu vuoi accompagnar Caterina a spasso: ora ti domando: l’accompagnerai poi sempre? L’uomo, vedi, spesso è più duro d’un pezzo di legno. Il bastone accompagna sempre chi ne ha bisogno, ma l’uomo... invece... l’uomo cambia d’idea come di vestito! (E guardò ancora la giacca stretta e lunga del fidanzato).

— Ma che idee avete oggi, nonna! — egli disse, avvicinandosi alla finestra per spiare il ritorno di (Caterina. — Stiamo allegri, invece! Ora ripartiamo, quindi ritorneremo: poi avremo il posto, e ci sposeremo e non brontoleremo più!

— Potremmo sposarci lo stesso, viscere! — disse la vecchia, frugando sempre nel cassettone. — Il posto verrà!

Egli si volse: ella lo chiamò con un cenno del capo e gli fece vedere una scatolina con entro parecchie monete d’oro. Egli provò una strana impressione, una specie di vertigine, come quando si ricorda all’improvviso un fatto lontano, indistinto, quasi anteriore alla nostra vita mortale. Una sensazione vagamente simile a questa gliel’avevano destata anche gli occhi di Maddalena Dargenti, che ricordavano gli occhi della figlia del cordaio.

Così le monete d’oro della Suppèi gli ricordarono all’improvviso il sacchettino di marenghi, il [p. 292 modifica]viaggio a Viadana sotto il mantello dello zio. Egli si rivide bambino, ricordò mille cose dimenticate; e ascoltò come trasognato il discorso della vecchia.

— Sono di Caterina, sai! Lavoro suo. È una formica, sai: lavora, lavora e s’è fatto il suo gruzzolo. Da bambina era cattiva: io l’ho raccolta come si raccoglie l’osso, lo straccio, l’oggetto sporco: ho conosciuto quello che valeva, e batti oggi e lava domani, l’ho pulita come il panno con la lisciva. Eccolo qui, il suo gruzzolo, lo le dissi: «Va dalla Pirloccina e pregala di cambiarti in monete d’oro i tuoi bigliettini. Così ella vedrà che non sei una mendicante». E glieli ha cambiati. Ora, viscere, poichè tua zia non vuole aiutarti, prenditi questa scatolina. Prendila: e che non puoi muovere le mani? Caterina non avrà pace se tu non farai questo!

Egli guardava, e non sapeva se doveva ridere o piangere. La vecchia tossiva e guardava fisso le monete: ed egli capiva la diffidenza, la generosità, l’ingenuità di lei. Che risponderle?

— Ne riparleremo, nonna!

Ella richiuse la scatolina, e lo afferrò per il braccio, fissandolo coi suoi occhietti celesti venati di rosso.

— Non rifiutare! — gl’impose. — Se rifiuti dai un grande dolore a Caterina. Tu credi di conoscer la ragazza, ma t’inganni. Ella è forte di persona, ma è molto sensibile. Ricordati quello che ti dice la vecchia! I vecchi i più rimbambiti ne sanno molto più dei giovani, anche se questi sono maestri! [p. 293 modifica]

Nonostante questa prova della bontà umana, Adone rimase triste fino al momento della partenza.

L’autunno rende sentimentali anche i giovani di vent’anni. La nebbia s’addensa sull’argine: gli alberi e i cespugli appaiono gialli tra i veli ondulanti dei vapori del tramonto, come pallide fiamme lontane. Cadono le foglie; e diventano nere come l’oro falso. Anche le illusioni umane cadono così: sembravano d’oro puro ed invece erano di metallo ordinario. Illusioni, speranze, sogni, tutto cade, come le foglie dall’albero. Che altro è l’uomo se non un albero? Nasce, spesso a caso, spesso in terreno ingrato, si copre di foglie, fiorisce, dà frutti secondo è coltivato. Ma spesso rimane selvatico; nessuno lo coltiva: i suoi fiori son belli, ma i frutti, se li dà, sono acerbi. E la primavera di queste pianticelle selvatiche è quasi sempre una sola: cadute una volta le foglie non rinascono più! Così pensava Adone, mentre dalla porticina del «teatro» guardava i pioppi avvolti di nebbia, e aspettava Jusfin per riconsegnargli le chiavi della scuderia. Inutile avvertire che egli si paragonava alla pianticella selvatica!

L’ex-cacciatore non tardò a comparire, nero e alto fra la nebbia. Ecco un albero che conservava le sue foglie nonostante l’autunno inoltrato! [p. 294 modifica]

— Guardate pure; non c’è alcun guasto!

Jusfin esaminava specialmente le serrature del portone e della porta. Adone gli consegnò le chiavi.

— Avete veduto, vecchio balordo? Avevate tante difficoltà a darmele: e brontolavate sempre: «non riuscirete a far nulla, e non riuscirete a far nulla!» Invece? E invece ci hanno messo anche sul giornale!

— Anch’io, se voglio, vado sul giornale! — disse il vecchio beffardo, facendo atto di stendere per terra un foglio e di metterci i piedi sopra.