La donna italiana descritta da scrittrici italiane/La donna amante
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LA DONNA AMANTE
ra i nobili e studiati argomenti ne’ quali, da eletti ingegni femminili, di gran lunga più degni del mio, si I svolge in questa ricorrenza del centenario di una diI vina ispiratrice, il grandioso poema della donna, non so quanto e come possa venir bene accolto, o cortesi signori, il tema comune, e direi quasi stemprato, che si analizza e si commenta tutti i giorni sotto gli occhi di tutti; quello della donna amante. Eppure, quest’argomento, così conosciuto, e spesse volte così condannato, credo necessario ed opportuno che si debba svolgere ed analizzare coscienziosamente, a fine di apprezzarne la grandezza e ricavarne ogni bene, per quanto è possibile.
La donna ispiratrice dell’arte, la donna italiana, la donna eroina, la donna d’ogni tempo, é sempre più o meno promettitrice di bene, ed ha sempre, attorno a sé, un’aureola splendidissima che la contorna, l’involge e la segue, come l’ombra il suo corpo. Ma la donna amante non ha sempre attorno a sé quest’aureola che la sublima; anzi, spesse volte, l'aureola si muta in caligine, e la donna, che dovrebb’essere tutta luce e tutta vita, si aggira miserevolmente fra le tenebre e la morte! Povera donna!
Eppure chi più della donna amante potrebbe cantare l'excelsior, e spaziare sempre in alto, per le infinite regioni della virtù e dell’amore, senza batter mai le sue ali frementi dì vita sul fango dell’obbrobrio e dell’abbiettezza? Ma in che modo sollevarla ed equilibrarla sempre in alto, in che modo salvarla dalle rovine del cuore? L’uomo, soltanto l'uomo, ne possederebbe il segreto. E quantunque nei grandi argomenti degli affetti, la parola non sia quasi mai fedele rivelatrice del pensiero, e specialmente quando è figlia d’un ingegno limitatissimo come il mio, pure, o signori, incoraggiata dalla benevolenza vostra, mi provo a dimostrarvi in quale cerchia si svolga questo, direi quasi misterioso segreto, che è pur tanto prezioso ed apportatore di bene. A me pare ch’esso si aggiri solo in un duplice e soave incarico, affidato agli uomini come reliquia divina! — Comprendere l'amore della donna ed amarla sempre! — Semplicissima cosa, cosa da nulla! Oh, se così fosse!
L'amore, o signori, è vita della nostra vita, e tutti lo sappiamo, tutti l’abbiamo provato. Eppure con quanto cinismo ce lo vediamo talvolta lentamente sfumare e poi fuggire per sempre! Ma se prima di farcelo scappare dal cuore come un reprobo, come un’inutile cosa, quest’anelito sublime, si riflettesse alle conseguenze di quel vuoto supremo, a quell’adito fatale aperto da noi stessi ad ogni scoramento, ad ogni discordia, a tutte le amarezze umane, oh come ci si penserebbe sette volte sette prima di dare il bando a questa divinità possente, che domina tutti gli esseri e che ha in sua balia tutto il bene e tutto il male della vita! Ma questo bando insensato non si darebbe mai, se l’uomo alzando nel suo cuore un altare alla donna, non ne cambiasse spesso l'immagine, adorando oggi quella che ieri non conosceva, e disprezzando domani quella che aveva già conosciuta! La donna è debole e sembra spesso volubile; ma se scrupolosamente e con lealtà di indagine, senza preconcetti, senza rivincite ingenerose, si cercasse la causa remota, la ragione, il segreto riposto d’ogni cuore femminile, si troverebbe sempre, credetelo a me, o signori, che la debolezza e l’infedeltà dipendono solo da una certa trascuratezza, da una delusione, da un tradimento, da un disinganno da parte dell’uomo. Comprenda l’uomo, di grazia, ed indaghi i sottili, delicati bisogni del cuore d’una donna e la riavrà forte nella sua debolezza, costante, sino a morirne, nella sua creduta volubilità. In ragione della potenza dell’affetto stanno la leggerezza e il traviamento. E qui non parlo delle donne tipo, delle martiri della virtù e del dovere, sublimi nella vedovanza del cuore come lo furono nel più dolce connubio delle anime. Queste donne privilegiate più che comuni, sono rare, e noi miriamo alla moltitudine, alla schiera di quelle che si sollevano amando ed amando precipitano nella colpa. Se l’uomo sapesse quale rovina è per la vita morale della donna un semplice abbandono. creduto cosa ordinaria, un raffreddarsi del cuore, ritenuto leggerezza comune, un mutamento di effusioni, di slanci, di cure, cose tutte dappoco, credute tanto dappoco, considererebbe come parte essenziale de’ suoi studi, de’ suoi fini più nobili quello d’intendere e comprendere una donna, prima d’impegnarne il cuore o di farla sua. Egli, con la sagacia che gli è propria, col calcolo, si anche col calcolo della mente, col dominio degl’impeti, con la posatezza del carattere, studii ponderatamente quest’essere delicato che si chiama donna, e che non è altro che amore in qualunque modo la si riguardi, e quando avrà avuto l’alta approvazione del cuore, così come s’ebbe quella indiscutibile della mente, avvalorata e confermata da una laurea, da un’arte, che gli procacci un posto sicuro e tranquillo, stenda la mano alla fanciulla che l’aspetta ed assicuri la felicità del cuore. — Stenda la mano a lei che lo cerca per appoggiarvisi e per morire con lui, come l’ellera muore abbracciata al platano, e le giuri una fede inviolabile, resa salda dalla certezza che quella creatura è in tutto e per tutto degna di lui. Che se dopo d’averle giurato amore, così come si giuoca una partita a scacchi, l’uomo s’accorgesse d’una certa diversità di carattere, di certi difettuzzi che egli non saprebbe compatire, della salute poco valida e forte per farne della fanciulla una madre, della dote che dispare quando ci si faceva su i conti, della famiglia che non appaga le pretese della civil società, dell’ideale insomma che svanisce sotto la fina osservazione esaminatrice, di chi la colpa, o signori? Perchè non averla lasciata in pace quella creatura nella sua vergine speranza, nella sua fervida aspettativa? Ma intanto la fanciulla, che ha già dischiuso il suo cuore all’alito vivificante dell’affetto, come mammola ai tepori dell’aprile, si vede impallidire dinnanzi ai propri occhi il quadro abbagliante dell’amore e poco dopo la confusione, l'allontanamento, la sparizione di quel quadro bellissimo. Ma quel quadro essa lo cerca, si dibatte, freme, e il quadro è sparito per sempre. L’uomo ha trovato una causa qualunque, un pretesto, ed ha abbandonata la fanciulla, in cerca di miglior fortuna. E la fanciulla ha già sfruttato il primo affetto, ha già consumato il palpito sacrosanto, che nessuno mai può valutare abbastanza perché il primo e più sacro per la donna Oh! Da questa consumazione, da questa rovina, che per gli uomini sembra un nonnulla, perchè le apparenze mostrano che è cosa da nulla, che rovinio d’affetti, che disastro del cuore!
Intanto la fanciulla, non può vivere senz’amore, e dopo qualche mese di segreto affanno, non conosciuto dal mondo, perchè tutto suo, le capita un altro uomo che, senza prima comprenderla abbastanza, le sorride lusinghevolmente e le ripromette felicità. Ella, assetata d’affetto, sete insaziabile della sua natura e fondamento d’ogni suo dolore, accetta il nuovo palpito, lo caldeggia, vi si attacca novamente, sospirosa d’appoggio, desiosa d’amore; ma non è più il primo affetto; ella non sa amare più come la prima volta, e, senz’accorgersene, risente sempre del disinganno provato; eppure quel certo abbandono spontaneo d’una volta, e che non fu bene accolto dall’uomo che la ingannò, è giusto che si pretenda dal nuovo venuto. Si, ma la fanciulla non lo sa più dare; esso è fuggito co’ primi sospiri della vergine, si è disperso per l'aere sterminato, come raro profumo di violette, e nessuno più, neppure ella stessa, lo sa richiamare. Pure ella ama, ama tanto, e l’uomo che è venuto secondo nel suo cuore, cerca qualche cosa che non trova, ed essendo nella natura dell’uomo di raffreddarsi subito, direi quasi di disilludersi facilmente, finisce egli o col cercare, come fa la farfalla, un altro fiore rugiadoso, o col fermarsi sul primo, così tanto per fare, e, per una certa convenienza, si rassegna a far sua quella creatura che non è del tutto il suo ideale. Eppoi la casa ha bisogno d’una donna; egli ama molto d’aver figliuoli, gli può far comodo subito quel pò di dote che porta con sé la fanciulla, e per tutto questo accetta la ben lieve cosa (proprio lieve!) di sposarla subito. Ella intanto, lusingata dai primi mesi d’amore, riscaldati più dalla passione che dalla stima profonda, da parte dell’uomo, si ritempra, si rinnova, ritorna quella d’una volta con tutte le sue illusioni, con tutto il foco del sentimento e vive per lui, non vede che lui e dimentica in tutto la nuvola che le annebbiò il passato.
S’è provato che l’uomo ama molto più prima del matrimonio che dopo, mentre la donna ama molto più dopo che prima; quindi una ragione maggiore perchè la fanciulla, resa moglie, si crei di nuovo la felicità più lusinghiera ed ami sempre, com’è sua natura d’amare.
L’uomo intanto, che non l’ha sposata, se non per quelle convenienze, per quel certo calcolo che abbiamo detto, comincia, dopo i primi mesi, a stancarsi di lei, e qui le indifferenze in luogo delle cure, il ghigno invece del sorriso, gli sbuffi impetuosi invece dei baci, l’abbandono invece della passione, e, gradatamente, l’odio in luogo dell’amore. E per tutto questo un nuovo disinganno distrugge il monumento imperituro di quell’anima di donna. Ella vede crollare intorno a se tutti gl’ideali, vede sparire tutti i sogni più belli, e meno male se, prima di sposarsi, il disinganno le fu cagionato da un uomo solo! In tale abbandono, se la creatura disingannata più volte sorti da natura un’indole pacifica, e proclive alla virtù più che al vizio, pur soffrendo e sentendo intorno a se il ghiaccio del vuoto che lascia l'amore, si consuma in segreto e si Vota al dovere ed al sacrificio; se invece questa virtù non sa dominarla abbastanza cade, precipita, e l’amante prima, il marito poi, la civile società, tutti la condannano irremissibilmente, la disprezzano e la fuggono. Ed ella, viepiù sdegnata da questa spietata condanna, che in fondo all’anima sua le sembra ingiusta, perché in fondo all’anima sua non trova altra colpa che quella dell’amore, amore incompreso, amore disilluso, amore profanato, più si degrada, più si ribella ad ogni umano riguardo. Di chi è stata la colpa, o signori?
Chi ha perduta questa creatura così amante e così infelice? Non era essa nata per amare? Che cosa sarebbe ella divenuta, se colui, che fu il primo palpito del suo cuore, l’avesse corrisposta, l’avesse, magari, compatita?
Dal cuore della donna tutto si ottiene, quando la si prende per amore. Ma se dalla più schiva fanciulla, dalla più timida e devota delle figlie, dalla scrupolosa cristiana l’uomo ottiene che, ai primi ostacoli frapposti all’amore, ella fugga con lui, solo con lui; se per lui, che ha conosciuto, magari da pochi mesi, abbandona gli adorati genitori, che vissero di lei e per lei; mette in non cale il pudore, che le era si sacro e che, ad ogni lieve tocco d’amore, ad ogni sillaba profana, le imporporava le gote e le faceva abbassare per nativa tendenza i lunghi raggi degli occhi amorosi; non si cura della voce della rehgione, di quella religione che le è legge di vita, e che non ha mai trascurato; non bada alla censura del mondo, ella che temeva di farei vedere una volta di più in pubblico, per tema d’essere giudicata men che benignamente; abbandona il paese natio, vince le tenebre della notte, sormonta tutto, nulla le è difficile e fugge, fugge con lui forse anche incerta se l’onestà dell’uomo sarà tale da convalidare presto l’amore col civile, col divino giuramento! Oh se l’uomo che si vede amato da lei si dolcemente, si rendesse il suo educatore, il suo maestro, la sua guida fedele, la donna gli ubbidirebbe più che non ha obbedito a sua madre, gli si piegherebbe dinanzi più che una schiava, ed egli non avrebbe che comandare, perchè ella l'obbedisse sempre ed in tutto. Ma queste imposizioni, questi comandi dell’uomo, le si facciano sempre in nome dell'amore, le si chieda tutto per prova d’affetto, ed ella, felice, beata d’ogni suo sacrificio, sorriderà all’uomo del suo cuore e tutto gli condonerà, tutto, anche ciò che crede ingiusto, sol perchè le fu chiesto con uno sguardo dolcissimo, con un bacio d’amore! — Dimmi, diceva una fanciulla al suo amante, così spontaneamente come un bisogno dell’anima, dimmi se ti ho fatto male qualche volta, se t’ho detto una sola parola, una parola sola che non ti sia piaciuta, se dacché ci conosciamo ti fui causa d’un momento solo di dolore; dimmelo che ti chiederò perdono, anzi te lo voglio chiedere questo perdono, sono felice di chiedertelo, — e provava quasi una voluttà ad umiliarsi, ella che aveva la coscienza di non avergli mai mancato.
E come sa leggere la donna amante nel viso dell’amato tutti i pensieri, le sofferenze, le cure, le contradizioni della vita! L’intuizione d’amore la rende divinatrice; non ha occhi che per chi ama, non ha orecchi che per lui, non ha volontà propria, non avendo cuore non mostrando d’averne che per lui, solo per lui!
Dalla donna amante si può ottenere più che da una regina o da qualsiasi altra persona; la donna amante è onnipossente nel suo amore; e se non fosse per tema d’annoiarvi, o signori, io vi citerei qui migliaia di piccoli esempi, così grandi nella loro azione i quali, caduti sotto i miei occhi medesimi, valsero a convincermi sempre più che l’uomo, solo l’uomo, ha in mano il segreto della propria felicità, di quella felicità che solo la donna gli può e gli sa dare, e mi sono convinta che esso solo può salvarla dall’abbiettezza e dal disonore. Amate la donna, amatela sempre e con eguale abbandono, comprendetene i bisogni del cuore e tutta la sua vita splenderà d’una luce più che mortale. Anzi se, per disgrazia, l’uomo non sappia esserle fedele, sia per l’umana debolezza o sia per difetto di quel tale studio cotanto necessario prima di farsi amare da una donna, arriverei quasi a consigliarlo, e si figuri l’uomo con quale coscienza io lo faccia, arriverei a consigliarlo d’usare, magari, dell’arte nel tradimento istesso, mascherando l’infedeltà con la più l’affinata finzione: continui a colmare la propria donna sempre delle stesse cure, continui a sorriderle sempre nel modo istesso, la continui ad amare per menzogna, o, come dico, per artificio! . . . Sarebbe un inganno pietoso, forse anche un triste inganno, non tanto triste quanto la realtà dell’inganno! Ella, chiusa nel santuario della sua casa, consacrata tutta al suo sposo e alle cure della dolce famigliola, sarebbe certo schiva, vedendosi sempre amata, dall’indagare o dal martoriarsi con inutili gelosie. — Ma se mi vuol tanto bene, ella direbbe seco stessa, s’egli non vive che per me, se non è per nulla mutato! oh sarei ben cattiva se prestassi fede a qualche insana suggestione maligna! —
E santa nella sua credenza continua ad amare e ad essere felice. È crudele ciò che io consiglio, o signori, ma nel caso è un giusto provvedimento.
Più che disilluderla in tutto, ingannate la donna. Resta poi alla coscienza dell’uomo quel credulo abbandono, quell'immenso fidente affetto di colei che davvero lo ama! Ma non ripeta mai, neppure per ischerzo, la strofa ingiusta, indegna del Guerrini:
Folle chi brama femmineo core,
Serrar nei lacci del vero amore;
Abbia sul labbro lusinghe infami,
Menta e non ami.
Però queste lusinghe, figlie d’un amaro scetticismo, vengono chiamate dallo stesso autore infami, perché più di certi luoghi fatali uccidono la donna. . .! Ma saltiamo l'ingrato argomento.
Qualche volta la donna diventa agli occhi dei profani, e forse anche la è davvero, d’una crudeltà inaudita; ma ciò avviene sempre per amore. Una fanciulla, per esempio, si vede adorata da un giovane che non è il suo ideale, che non sente d’amarlo, che non sognerebbe mai di farlo suo; ma l’amore di lui la incalza, la perseguita, la implora, la colma d’ogni più delicata e peregrina manifestazione dell’anima, la circonda di poesia, di fiori, di luce. Ella, grata sempre, come sa essere grata la donna quando si vede amata, s’irrita dapprima, resiste, ma finisce col promettergli amore. Ma lo fa per impulso di gratitudine, lo fa perchè egli ha minacciato di uccidersi se ella non gli corrispondeva, lo fa perchè lo vede gracile, lo vede sofferente e teme davvero, nella sua inesperienza da fanciulla, il disastro di quel cuore; lo fa anche per il santo orgoglio di dire a se stessa: io ho salvato quell’uomo dal più forte dei dolori, io sola gli ho detto: vivi! — senza di me egli sarebbe morto. Oh quale vanto, qual dolce compenso a quel suo strano sacrificarsi, alla sua grandiosa abnegazione! Ma tutte queste belle cose hanno molto valso, hanno vinto la fanciulla, finché il cuore, il ministro esclusivo della vita, non ha pronunziato il suo verdetto.
La fanciulla ha promesso di ricambiare l’amante non amato, ha promesso di farlo suo, sol perché non conosceva ancora la tenza dell’amore. Ma ecco che un’altra anima attratta dal magnetismo, dal forte magnetismo degli spiriti, l’anima gemella della fanciulla, si avvicina a lei; e qui uno sguardo che le pareva d’aver sempre conosciuto, ma che non aveva mai visto; una voce dolcissima che le pareva d’aver sempre udita, ma che non aveva mai ascoltata; una mano che le pareva d’aver sempre stretta, ma che non aveva mai tocca, si posano su di lei, le ricercano le fibre più nascoste, la scuotono, la fanno fremere, ed ella alzando la testa, svegliandosi come da un sogno, esclama con le lagrime agli occhi, con l’ebbrezza della felicità: Ah questo è l’amore, ah questo è l’amore! Dunque io non lo conoscevo, dunque avevo ragione io a credere che quell’altro non era amore? Oh si, questo é l’amore, ripete macchinalmente, e con l’amore le si schiudono nuovi orizzonti più belli, le lusinghe più ambite della felicità.
Che cosa sono divenute ora, o signori, la gratitudine, la compassione? l’orgoglio di far felice l’uomo che, non amato, l’ha amata per tanto tempo? Che cosa è divenuta la tema fortissima di vederlo soccombere, se ella non l’avesse amato? Che cos’è valso il timore di creare la propria felicità sulle rovine d’un altro cuore affettuosissimo? Ma l’amore ha parlato, l’amore superbamente le si è parato dinnanzi, e di faccia a questo colosso indomabile tutto tace, tutto si vince, ed ecco la donna, che è sinonimo di pietà, farsi per amore crudele e spietata. Ma perchè le si forza il cuore, ma perchè le si chiede l’elemosina d’un affetto quando ella non sente di darlo? E vi è forse d’uopo di pressioni quando ella ama ed è libera di sé? C’è bisogno d’impegnarla per mezzo di qualche altro sentimento, quando v’è quello imperioso dell’amore? Di chi è la colpa, o signori, se la donna diventa crudele? se abbandona l’uomo a cui, senza sentirlo, promise amore?
Conobbi una volta una fanciulla del popolo, bella, buona, onesta e laboriosa. Ella faceva da cameriera in una casa bene agiata, e i suoi padroni l’avevano cara perchè usciva proprio dall’ordinario.
Non aveva mai conosciuto di che potenza fosse lo strale d’amore; ma un giovane operaio fé’ vibrare quel cuore di vergine, e come avviene spesso delle anime, in cui il sublime femminino prende tutto il sopravvento, s’abbandonò ella, come una bianca vela, all’oceano vorticoso dell’amore. Sacrificii che fin allora non avea conosciuti, privazioni che, prima d’innamorarsi, avrebbe credute impossibili, lavoro superiore alle sue forze, per adempiere i doveri e per soddisfare a quanto il cuore la consigliava come esclusivo bisogno dell’anima per il suo innamomto, tutto s’irradiava di luce, tutto le sembrava bello e buono e a tutto si sobbarcava animosa! L’operaio non era quel fior d’uomo degno dell’inesperta fanciulla, e per una rissa qualunque, resa più grave da altri antecedenti, fu messo in carcere.
La fanciulla spiegò tale forza, andò tanto su e giù, inteneri siffattamente chi aveva in mano le sorti dell’operaio, che fini col vederselo libero.
La gioia di lei fu sovrumana, benedì quasi all’incidente tremendo, che le aveva dato il modo di misurare se stessa e la potenza del suo amore. Ma un giorno due altri occhi più splendidi fissarono, passando, il giovane operaio; due gote vermiglie, un bel tipo di contadina, che possedeva una bella dote, affascinò quell'infedele, e la fanciulla tutta sacrifìcio, tutt’onestà, tutt’amore, fu abbandonata per sempre! La reazione fu tremenda: divenne ella dapprima capricciosa, snervata, inoperosa; poi la civetteria più sfacciata, la noncuranza di se e degli altri fece capolino in mezzo al precipizio che l'attendeva e il precipizio l’attrasse ella vi si getto giù a capo chino, e quella vergine bene educata e brava, quel tipo di gentile innamorata, quell’insieme di purezza e di abnegazione, si mutò in una donna da trivio!
Erano forse nella natura di lei la scorrettezza ed il vizio, o fu l'uomo, soltanto l'uomo, che ve la trascinò violentemente?
Vi fu invece tal’altra che, a vent’anni, veniva mostrata a dito per le vie che percorreva, col petto seminudo e sconciamente vestita, come la femmina più pericolosa e zittiva: le mamme evitavano che venisse guardata dalle proprie figlie; era il ludibrio del paesetto in cui viveva, e non esagero, perchè non accenno che a fatti di cui vi sono ancora tracce viventi. A questa fanciulla abbandonata da Dio e dagli uomini, abietta, corrosa dal vizio a vent’anni, deturpata a segno che neppure il velo rosato della giovinezza attirava uno sguardo solo di persona che si rispettasse, a questa fanciulla, per uno dei tanti casi della vita, si volsero un giorno gli occhi del più ricco signore del paese. Per uno dei tanti misteri di quell’abisso inesploralo che si chiama cuore umano, fini egli coll'amarla seriamente. La rinchiuse in una buona casa, le curò la salute consumata dal vizio, l’educò il cuore, le fece insegnare a leggere ed a scrivere e perfino l’arte gentile della musica. Dopo quattro anni di rigenerazione, egli la presentava al mondo sotto l'usbergo del suo nome onoratissimo, ed un intero paese la salutava, non so con quanta buona intenzione, sua signora e sua protettrice. Ciò che divenne questa donna lo potrei fare attestare da moltissime persone: l'amore operò miracoli; la donna amante, perchè amata davvero, divenne saggia sposa, buona madre, regina della casa, benefattrice, virtuosa e gentile. L’amore aveva cancellato un passato di corruttela e d’obbrobrio per sostituirvi un presente ed un avvenire di fede e di onoratezza. Aveva seppellito la fanciulla depravata, corrotta e l’aveva fatta risorgere, novello Lazzaro, inghirlandata di rose là dove non e’ era che lo spruzzo del fango! Cotesta donna vive ancora e non si parla del suo passato, se non per encomiare il presente. Il ricco signore, suo marito, l’adora e si gloria di quella figura ribattezzata e rigenerata dal suo amore: rigenerazione e battesimo di fede inviolabilissima! Ella passa serena tra la gente che l’ammira e cresce ed educa i propri figli con sapiente consigllo di madre.
Si può dire forse che nella natura di questa donna vi fosse di già l’onoratezza e la virtù, ella ch’era nata sulle vie da ignoti genitori, abbandonata alle turpitudini degli esseri più brutali? Oh non si dica che la donna è cattiva!
Rendetela amante, sappiatela amare, comprendetela e le cambierete natura e l’avrete sempre buona!
Ed anche l’uomo senz’avedersene, senza anche volerlo affermare a se stesso, risente spesse volte, il benefico influsso della donna che l’ama, e si perfeziona, s’ingentilisce all’ombra di questa creatura che, mentre l’accarezza e lo bacia, lo ispira, lo incita, lo consiglia e gli fa correre per le vene l’onda soave, ristoratrice della pace. Ella, con gli occhi amorosi, chinati su di lui, come quelli della madre sulla testa di un bambino rifinito dalla febbre, gli modera gl’impeti e gli fa amare ogni opera buona.
A lui sembrerà sentir risonare nel fondo dell’anima, più che negli orecchi, la dolce voce di lei che gli dice: Riposa, o tu che sei rinato nel mio amore, ti veglierò con la più gentile pietà di donna I tu avrai da me tesori immensi di sorrisi, ma sii calmo, sii buono: avrai tesori di lagrime, dolcezza di sospiri, ma sii buono, sii sempre buono! Se la codardia degli uomini t’offende, se l’odio ti vince, se la vendetta ti seduce, rifugiati tra le mie braccia, io t’allaccerò, ti avvnghierò al mio cuore e tu sarai salvo! Se la miscredenza ed il cinismo ti agghiacciano l’anima, rifugiati tra le mie braccia e ti riscalderai all’ombra della fede e dell’amore; se la sventura ti assale audacemente, se tutto d’intorno ti minaccia, rifuggiti fra le mie braccia, e debole creatura qual sono, ti salverò sempre ti salverò perchè t’amo, ti salverò perchè mi sento onnipossente nell'amarti I
E se l’uomo crede a questo slancio, se l'uomo invece di schernirlo, invece d’accogllerlo con l'indifferenza delle inutili cose, l'accetta, lo valuta, l’intende, anch’egli verrà spesso rigenerato dalla donna amante. Si sentirò anch’egli accompagnato in tutte le sue azioni da un’idea rosea, da un astro che non tramonta, da una fata protettrice che non l’abbandona mai. E quest’idea, quest’astro, questa fata si rendono sempre il genio del bene di contro a quello del male. E l’uomo, pur dominato da certe tendenze ribelli, da certi impeti grossolani e non mai saputi domare, non può non sentire quell’altro dominio, indomato anche quello, ribelle pur anche, ma soave nella sua indomita natura, dolcissimo nell’amorosa ribellione, perchè la ribellione e l’indomato sentire, non sono che amore, e, quasi sempre, amore è bene, amore è pietà, amore è sospiro di virtù.
E qui sarebbe superfluo ch’io ricordassi l’età cavalleresca, quando una parola di donna amante formava un eroe dell’amato! E non senza ragione, il grande esule di S. Elena chiamava sua stella la buona Giuseppina Beauhamais, che fu l'ispiratrice e la fecondatrice delle sue immense vittorie, e buon per lui sarebbe stato se da quella stella non avesse mai distolto lo sguardo! E non fu per il grande ascendente che Teodolinda ebbe sul suo consorte Agilulfo, che i longobardi abbandonarono l'Idolatria e l’Arianesimo e si resero più miti e più civili? L’atto di Cleopatra, che fugge con le sue navi sul più bello della pugna, fu la rovina di Antonio e la fortuna di Augusto; ma le nobili parole di Teodora «la reggia è glorioso sepolcro da preferire a misero esilio, o a morte svergognata» salvarono il trono a Giustiniano, che, pure essendo uomo di gran mente, pensava a fuggire nella nota contesa de’ Turchini e dei Verdi.
La donna in generale, con la divinazione che l’è propria, con l’abnegazione, con la sapiente preveggenza, maturata spesso nel silenzio e nella quiete della casa, con gli entusiasmi che la incitano a forti risoluzioni, si rende salvaguardia dell’uomo, e migliaia di esempi ci mostrerebbero la sua potenza sull’anima dello stesso: ma più della donna in generale, più della donna amica, della donna sorella, più ancora della donna madre, può sull’animo dell’uomo la donna amante.
Fin da bambina mi fu caro un adagio del mio paese, che non so veramente se sia solo circoscritto in quella piccola cerchia d’abitanti; ma è certo che non l'ho più udito, mentre mi sonava si dolce nella sua ingenuità paesana. Quest’adagio diceva: Non vi è Maggio senza sole, non vi è donna senz’amore. — Ed è una verità indiscutibile.
La donna non vive senz’amore, ma non dell’amore in generale, che si manifesta in tante guise, che riverbera tante virtù e che prende tante forme diverse; no, ella non vive se non per quel certo raggio d’amore, che, partendosi dal cuore dell’uomo che ell'ama, la investe tutta e, giorno per giorno, le somministra la forza per vivere; toglietele questo raggio vivificatore, toglieteglielo totalmente, disilludetela per sempre e l’avrete uccisa! E in questo caso più fortunata la donna che venne privata di quel raggio vitale più che dal mondo dalla parca implacabile; per essa l’amore vive nelle dolci memorie, nella soave immagine dell’uomo adorato, e non si sente mai sola. E non è vero, credetelo a me, o signori, non è vero che la donna disillusa, la donna abbandonata, trovi quiete, anzi trovi tutta la santa rassegnazione nell’amore dei figli o nella beneficenza, nell’ascetismo o in qualche altro affetto. No, non è vero; neppure i figli, quest’imperiosa potenza d’affetti sovrumani, possono talvolta impedire che in fondo del cuore delle loro madri abbandonate, disilluse, si celi un segreto, un mistero postumo alla disillusione, all’ abbandono segreto d’amore, misterioso impeto d’amore, ma sempre amore, sempre quell’amore!
Ora, se questo mistero, questo segreto è tale da farsi superiore ad ogni altra virtù, al proprio nome, anche al pudore che è salvaguardia della donna, ella, moralmente uccisa, vive in lotta col suo segreto, col suo mistero, prova per esso qualche momento di felicità furtiva, suprema; miseranda felicità, amareggiata, condannata dalla sua coscienza, felicità piena di agitazioni, di rimorsi, ma sempre felicità, che la fa vivere ancora, perchè sul focolare motore d’ogni sua azione, il fuoco di Vesta non è del tutto spento, ossia si spense per poco e si riattizzò; non importa che un’altra mano l'abbia riattizzato, una mano profana, una mano intrusa, audace, ma l’ha riattizzato, ed ella vive! Il mondo che non conosce il suo mistero, dice che lontana dal marito, sconosciuta abbandonata da lui, ella abbia avuto la virtù di rassegnarsi, di raccogliersi in se stessa, di vivere solo per i propri figli ma non è vero! I figli ella li ama immensamente; ha per essi tutte le cure possibili, li educa, li consiglia; ma quel palpito segreto, quel sentimento, quella ragione di vita è sempre sua. Non sarà tale da renderla colpevole totalmente, perchè allora la civil società non l’avrebbe creduta santificata nel suo dolore; la civil società accorta scrutatrice delle altrui colpe e più, sempre più, di quelle di una donna, avrebbe saputo tutto pesare e tutto condannare. In ogni modo, quel segreto è sempre tale da farla vivere, da farla dire a se stessa: Oh, vi è ancora chi mi ama, vi è chi ancora mi stringe la mano con affetto immensurabile, vi è chi sarebbe pronto a dare la sua vita per la mia, vi è chi mi trova ancor bella, chi mi apprezza, chi mi chiama coi più dolci nomi, chi mi compatisce, chi mi compensa!
Se poi questo mistero del cuore, questo dolce segreto acquisito viene vinto, soggiogato, messo in bando dalla virtù, da questa fata dei forti propositi e delle tempre fortissime, che dice alla donna: Questo segreto t’umilia, l’uomo che ami in luogo di chi non ti seppe amare, non può avere posto legittimo nell’anima tua i figli te ne rimprovereranno, il mondo ti condannerà continuamente; Iddio non ti potrà perdonare ... abbraccia la tua croce e vivi con essa senza chiedere altro — allora la donna senz’amore, senza ricambio soavissimo di sentimenti, viene, invece che nell’anima, uccisa nel corpo dal suo segreto, da quel segreto che per altre fu cagione di vita. E ciò avviene perchè le severe, le forti condizioni che a lei impone la virtù, le bandiscono l’amore, glielo bandiscono per sempre, ed ella accetta queste condizioni crudeli, scuote la testa superbamente e vince. Ma le condizioni la consumano; se han saputo essere superiori al suo segreto, al suo mistero, non possono essere superiori alle sue forze fisiche, non la possono far vivere col focolare spento, con la cenere fredda, la cenere superstite delle sue dolci illusioni di fanciulla, del suo foco di sposa, dei suoi ideali di moglie e di madre. Ed ora eccola santificata davvero, eccola martire, ma sempre martirizzata, ed il poeta inneggia a questa vittima innocente e canta:
Santa se ti consumi in un occulto amor!
E si consuma veramente ...
Ma voi dite: Non è vero che di passione si muore. Sì, in generale, non si muore di passione, perchè questo nome non è registrato nel dizionario delle malattie, non è conosciuto dai benefici e pietosi Esculapi, mentre l’Esculapio di questo male, per la donna, è l’uomo, soltanto l’uomo, l’uomo che osserva le rovine, gli effetti di questa passione e s’illude credendola ben lieve cosa. L’anemia, per esempio, la nevrosi, l'eloquenti malattie cardiache, la tisi, specialmente la tisi ah queste malattie non sono forse, non possono essere effetto della passione? La donna, che muore con una di queste malattie, si dice che non è morta di passione; la passione non c’entra; si dice che è stato il mal di cuore, è stata l’anemia, la nevrosi, la tisi che ha ucciso la donna che visse senz amore, ma non si dice ch’è stata la passione, che è stato il suo mistero, il suo segreto, infranto dalla virtù, fugato dalla dignità, bandito dal pudore santissimo di donna, superiore ad ogni altra potenza del cuore! Ma voi sappiatelo, o signori, che ella muore perchè non può vivere senza l’alimento dell’anima, muore perchè viene uccisa quando le si toglie l’amore. E chi ci assicura che la nostra Beatrice Portinari, di cui si festeggia ora il centenario, chi ci assicura che non sia morta anch’essa d’amore?
Morire così giovane, così bella, non è si facil cosa! Ella, forse, sposò l’uomo che non era il suo Dante, per fatali congiunture, forse anche per imposizioni severe, così facili in quei tempi; sposò perchè non si credette forse adorata sempre da Dante, che sappiamo quanto gelosamente custodiva nel suo vergine cuore di poeta l’amoroso segreto. Sposò ingenuamente e piena di fede.
Ma forse l’uomo che sposò non fu più l’amante; il marito bandi l’ideale d’amore e divenne forse tutt’altro di quello che la gentilissima donna aveva sognato. Cominciò ella forse a sentire il vuoto dell’anima, il bisogno del cuore, ella che era un profumo, una visione, un incanto! Ed ecco Dante che la mira pietoso, che le chiede l'elemosina d’un saluto, che lagrima alla sua presenza, che si consuma per lei. Ed ella che l’aveva amato, ella che forse vedeva spento sul focolare domestico il foco della vita, poteva restarne indifferente? Ma la sua onestà, la sua virtù fu superiore all’amore, ad un amore come quello di Dante, e Beatrice morì ... doveva morire! La lotta sarà stata suprema come supremo fu certo quel'amore.
La donna ama sempre, ed anche quando presceglie il dovere, presceglie la virtù, anche abbracciando queste divinità di ferro, il suo è sempre amore, perché queste divinità gliele presenta l’amore; le accetta per quest’immenso sentimento, e non sono che le conseguenze di questo sentimento istesso!
V'è poi un altro tipo di donne amanti che non possono essere comprese da nessuno, perchè troppo nuovo e direi quasi strano è il loro modo d’amare. Sono quelle che essendo state amate da un uomo, non solo non si rassegnano all’abbandono dello stesso, ma seguono ad amarlo a costo d’ogni sacrificio, a costo di ogni umiliazione, a costo dell’amor proprio offeso, del decoro, d’ogni dignità muliebre calpestata. E qualche volta amano senza mai essere state amate. S’illudono di un sorriso, d’una larva d’affetto, creata più dalla loro fantasia che sorta dal cuore dell’uomo e nella loro tenacità d’amore sono sublimi; sublime, sino a non credersi, la potenza della loro abnegazione; da non credersi, anzi da non potersi ammettere la passione fortissima, la tenerezza continua, il sospiro prolungato, e per chi? per un uomo, o signori, che non le ama, che non le avrà mai amate: che s’irrita del loro affetto, che disprezza le loro lagrime, che profana le loro cure, che non accetta il loro sacrificio. Ma esse amano, e soffrono, e tenaci, insistenti, passano sulla loro via sparsa di spine, s’insanguinano i piedi, si strappano le vesti, ma passano baciando quelle spine, perchè non possono fuggirle, perchè non le sanno fuggire! Cercano all’uomo una carezza, e ne hanno uno schiaffo; eppure baciano quella mano, e tornano a chiedere un bacio; ne hanno un rifiuto, e tornano a sospirare un abbraccio; ne ricevono un urto sgraziato e piegano la fronte, piangono e tornano a chiedere, tornano a sperare!
E strano questo amore, o signori, si, è strano, ma è sempre amore; ma dimostra anche una voltai la potenza di questo sentimento nel cuore della donna.
Uno di questi uomini disumani, di questi uomini che almeno per pietà, così come stendono la mano al mendico, dovrebbero stendere la mano alla donna che li ama tanto pazzamente, mi diceva un giorno sfogandosi meco: — Ma perché m’è toccata in sorte una moglie, che pure essendo buona e brava per la casa, ha la debolezza di volere essere amata per forza? Ma non lo capisce ella che le sue scene, le sue lagrime m’irritano e mi tentano d’andarne lontano, abbandonandola a se stessa? — Io che conosceva questa povera donna, io che, pur sentendomi tutt’altro che indifferente a tutte le voci del cuore, l’avevo pregata di farsi un po’ superiore a se stessa, di non voler chiedere ciò che non le si poteva dare, di persuadersi una buona volta che suo marito non l’amava, e forse non l’aveva mai amata, e che non aveva mai conosciuto quella fonte perenne ma unica, di virtù, di tolleranza, di compatimento, di conforte, di soddisfazione, m’indignai quasi alle parole di lui e tomai all’assalto, ripetendo sempre lo stesso alla povera donna. — Non posso, ella mi rispondeva, non posso; più egli mi disprezza e divien meco crudele: più io l'amo; e non so che fare per non sentire guest’amore; l'ho chiesto tante volte a Dio, nel più fervido slancio della preghiera, l'ho chiesto all’amicizia che è pure una si santa cosa, l’ho chiesto all’amore dei miei figli, che è l’essenza della santità istessa, l’ho chiesto al mondo, che è il nucleo di tutte le passioni, di tutti i vizii, di tutti i dolori, e nessuno mi usa misericordia, nulla mi colma la mancanza di quell’affetto; io voglio lui sempre lui, solo lui! — Ed io la guardavo come trasognata, incredula quasi, ed ella indovinando la mia maraviglia e forse anche l’incredulità mia, mi si getta fra le braccia singhiozzando pazzamente: — Non mi condannare, non mi condannare, ella diceva, comprendimi almeno tu; quell’uomo è stato il mio primo amore, in quell’uomo ho compendiata tutta la mia vita, quell'uomo io l'adoro! — Ma ella per lui, è responsabile di tutto; ella fa tutto male, ella non è buona a nulla; eppure ella l'ama sempre teneramente; prova voluttà a sacrargli ogni suo pensiero e tutta la sua intelligente attività; dimentica e perdona ogni irruenza, ogni indelicatezza, anche quando la vede scientemente usata. Io la chiamo una eroina, una martire, ed ella invece si ripara sotto il culto del suo primo ed unico amore. Io l’ammiro e qualche volta non la comprendo abbastanza, ma mi preme il core quel suo silenzio pieno di pensiero, quel suo sospiro profondamente malinconico, che accenna ad anemia d’amore, quelle continue lagrime, che il dolore versa sulle rovine dell’anima.
La Matilde Serao, la faconda scrittrice de’ nostri giorni, nel suo nuovo romanzo «Addio Amore» ci descrive uno di questi tipi di donna, di queste disgraziate che fan ridere mentre esse piangono, che fan miscredere al loro amore, esse che vi credono così follemente.
Certo che per quanto la fantasia della Serao sia splendidissima e feconda, non avrebbe potuto descrivere e sminuzzare, così maestrevolmente, gl’intimi sentimenti, i martini più segreti della sua protagonista; non avrebbe potuto spiegare le più recondite pieghe di quel cuore, dirne le sfumature, analizzare i profili più invisibill di quella passionale creatura, se tutto questo non l’avesse visto, riscontrato in qualche tipo reale.
Questi tipi, che quasi compromettono il sesso, che alimentano l'innato orgoglio virile, che calpestano il buon senso, l’amor proprio, la dignità della donna, questi esseri esistono; ma ci dimostrano sempre più di che è capace il cuore della donna che ama. Oh se questo cuore venisse in tutto e per tutto compreso e corrisposto, vedremmo la terra popolarsi di eroine e di donne privilegiate, che han saputo strappare dal pugno del dolore umano la bandiera della felicità e strette al loro sposo, al compagno della loro vita, all’uomo che le contraccambia d’amore, che inebbriato le inebbria, passare sulla loro via benedette e benedicendo!
E noi non possiamo non volgere uno sguardo o signori, su qualche notevole eccezione d’amore nella cerchia delle donne che hanno avuto l'agio di mostrare al mondo, sol perchè furono amate, la grandezza del loro amore. E miriamo la forte Issicratea, moglie di Mitridate, che lo segui nei più grandi pericoli della battaglia ed ebbe tale maestria a ben reggersi in ogni scontro, che qualche volta seppe cavar di pericolo lo stesso suo valentissimo consorte. Ella si fece mozzare la capigliatura, che le donne di quei tempi portavano, com’era di uso, superbamente lunga e disciolta scrinata sulle spalle, sol perchè più agevolmente le fosse dato di coprirsi dell’elmo senza alcun impedimento, accanto allo sposo. E miriamo Ipparchia, moglie di Grate, filosofo Cinico, che si mise assai vilmente in arnese, alla guisa dei Cinici, per andare il più possibile a versi del marito, che molto l’amava. Miriamo Porzia, la quale prima ancora che si sapesse la sorte di Bruto, suo marito, si provava a fare il saggio col rasoio intorno alla sua persona, per vincere il ribrezzo e lo spasimo delle ferite e saper morire con lui. Miriamo Artemisia, che dopo d’aver fatto erigere dai più famosi architetti, un monumento per il morto consorte, monumento si ricco e nuovo che venne giudicato una delle sette meraviglie del mondo, non parendole quella degna sepoltura per così diletto capo, volle seppellirne le ceneri nelle sue viscere, e mescolandone ciascun giorno alcuna porzione dentro ad una sua bevanda, non fu paga se non quando l’ebbe tutte ricevute in sé medesima. E la chiarissima Marchesana di Pescara, Vittoria Colonna, di che amore non contraccambiò il suo Francesco, prima e dopo la morte di lui perchè tanto veniva da lui amata? Che tipo di moglie non fu essa mai, questa tenera ed ammirata poetessa? E per venire un po’ ai nostri tempi, lasciando le antiche eroine dell’amore e dimostrando come dacché mondo è mondo, la donna è stata, è, e sarà sempre ciò che l’avrà resa l’uomo, amandola, diciamo della Contessa di Miramon, della vedova del generale Messicano, fucilato a Queretaro insieme colr infelice Massimiliano e col generale Meia. Molli del nostro tempo, vecchi e adulti che siano, serberanno forse ancora nel cuore una
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traccia di quel senso doloroso, che s'ebbe a provare nel giorno ne- fasto, 49 giugno 1867, quando il giovane Arciduca d'Austria, Mas- similiano, improvvisato imperatore del Messico, dall' onnipotenza di Napoleone IH, moriva miseramente e nobilmente crivellato di palle sotto i colpi di un drappello di repubblicani. In mezzo a quella scena di dolore, quale figura giganteggia più bella e più passio- nata, signori? Quella della Contessa di Miramon. Questa leggiadra donna, che ci ricorda l' infelice Teresa Gronfalonieri, andò sposa al conte Miramon in età giovanissima. Fu un matrimonio d'amore! Ella era felice della tenerezza grande che le portava il marito, del rispetto cui la faceva segno, dei riguardi, delle cure, che le usava tanto in privato che in pubblico. EgU si attirava per fino qualche sarcasmo, quando nelle cerimonie ufficiaU non si faceva scrupolo d'infrangere le leggi dell'etichetta, per mostrare all'amata donna la sua deferenza. Ed ella stessa confessava che una volta, in una solennità ci^ile, egli la costrinse ad occupare, contro le consue- tudini comuni, l'unico posto d'onore riservato al presidente della Repubblica, ed a quel posto volle condurla egli stesso, non consen- tendo che un altix) dignitario dello Stato le desse il braccio. Un amico gli domandò una volta ironicamente : — È vero, SGramon, quello che si dice di te, che tu porti cioè le pantofole a tua mo- glie? — Ed egli senza scompoi-si: — Se tu sapessi, rispondeva, quante mi sono care quelle pantofole ! — Egli dipendeva da lei, per ogni opera personale, i^endeva conto per lino delle sue elemosine a lei, sebbene non gli avesse portata altra dote che quella della mente e del cuoiv. Come lo compensò ella di si rara devozione, quando dovette diveniiv l'angelo consolatore della morte, a lui che era stato l'angelo consolatore della sua vita? Non indietreggiò mai innanzi
- ù rischi ed ;ii Siioritiei, gli fu animosa compagna nel doppio esilio.
Quando il mainto fu pivso dai nemici, non potendo ella averne notizie per più di quaranta giorni, salvò dalle prigioni, pr^ando e scongiurando la moglie d'un avvocato liberale che militava tra gli usstHlivUiti del Messico, perehè la signora salvata da lei, potesse con grande oìiw^pozione d;ule notizie del marito. E fu per la gratitu- dine di questa signora, ohe T infelice contessa seppe che il marito era stato ferito e fatto prigioniero insieo^ coli' Impcratwe. Che non fece ptn* piwunu^ì il salvacondotto e volare là, dove il marito sv^ffrivaf Con audacia superiore al suo carattere, minacciò il gene- nUe e disse di s^Mitii-si cajvìiot^ di sollevare un popolo intero e di aprire lo vvtte al uou.ìiw E il Siihiuvndotto le fu concesso. E qui, 243 — quale vita per la nostra eroina, quale vita di esaltazioni febbrili, di spasimi indicibili! Mostra invece al marito una serenità angelica, lo rincora, lo solleva facendogli quasi dimenticare lo stato misere- vole suo. Raccontare tutti i mezzi, tutte le astuzie, tutto quel che fece, per salvare il marito, tutte le pene, i martini, i dolori, lunga cosa sarebbe; e più incalzava il pericolo di perderlo, più altre mille idee le balenavano per la mente. Quando ebbe esaurita tutta la pietà degli uomini, e non ottenendo nulla dalla pietà di Dio, cercò di notte, con le delicate e bianche mani di rompere il tetto della prigione poi fece un viaggio di quattro giorni in poco più di due per tentare un nuovo mezzo, per presentarsi al capo del go- verno, e rifinita, disfatta, con le membra rotte, fu vista, cambiata quasi in uno spettro vivente. Ma mentre ella si dibatteva con foraa sopronnaturale tra Y ansia di salvare il marito e Y agonia di perderlo, la tragedia cruenta si compiva a Queretaro e Y infelice contessa cadde in una lunga e grdve malattia, da cui risorse per la rara vigoria della sua forte costituzione. Ma l'ultima lettera del marito, che le fu consegnata, quando ella, larva più che donna, andò a Queretaro, per impossessarsi del cadavere di lui e dargli sepoltura, fu tutto un compendio d'amore per la donna amata, lettera che ella apprese a memoria come il più bell'evangelo degli ultimi suoi miseri anni. Oh feUci, dieci volte felici, coloro che, amate potentemente, e sempre ugualmente, possono consacrare la loro vita ad un' idea sola, ad un' idea grande, ad un' idea bella : l'amore del proprio compagno, a cui hanno procurata la felicità vera, perchè da esso fu a loro pro- curata! E per moltiplicare la schiera di queste felici creature, sor- gano a mille uomini affettuosissimi e fidenti nell' amor della donna, s' impongano come legge di vita la carità dei propositi, il ricambio d' amore, sicuri di fare opera pia, anzi l' opra più pietosa, più santa che dar si possa! Sorgano a migliaia questi uomini e non si ricor- dino della loro fortezza naturale, dell'innata fierezza, dell'indomato amor proprio virile, quando si tratta d' amare una donna che li ama. Non dicano: Ma io sono uomo, io non posso certo esser fatto di latte e di miele. Si, ma questo latte e questo miele è nutrimento di vita, è fonte di felicità sconosciuta, è l'educazione dei figli. Si, educazione dei figli, perchè essi, cresciuti sotto l' usbergo dell' amore, non possono, veri figU dell'amore, non far riverberai*e questa luce santissima sulle più grandi virtù e vivificarle, fecondandole e per- fezionandole. Questo latte e questo miele è dolcezza soprannaturale, è impeto di magnanime imprese, è essenza motrice d'ogni opera L
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