La scienza nuova seconda/Libro terzo/Sezione prima/Capitolo quinto

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Sezione prima - Capitolo quinto - Pruove filosofiche per la discoverta del vero Omero

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Sezione prima - Capitolo quinto - Pruove filosofiche per la discoverta del vero Omero
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[CAPITOLO QUINTO]

pruove filosofiche per la discoverta del vero omero

810Le quali cose stando cosí, vi si combinino queste pruove filosofiche:

I

811Quella che si è sopra tralle Degnitá noverata: che gli uomini sono naturalmente portati a conservare le memorie degli ordini e delle leggi che gli tengono dentro le loro societá.

II

812Quella veritá ch’intese Lodovico Castelvetro: che prima dovette nascere l’istoria, dopo la poesia; perché la storia è una semplice enonziazione del vero, ma la poesia è una imitazione di piú. E l’uomo, per altro acutissimo, non ne seppe far uso per rinvenire i veri principi della poesia, col combinarvi questa pruova filosofica, che qui si pone per

III

813Ch’essendo stati i poeti certamente innanzi agli storici volgari, la prima storia debba essere la poetica.

IV

814Che le favole nel loro nascere furono narrazioni vere e severe (onde μῦτος, la favola, fu diffinita «vera narratio», come abbiamo sopra piú volte detto); le quali nacquero dapprima per lo piú sconce, e perciò poi si resero impropie, quindi alterate, seguentemente inverisimili, appresso oscure, di lá [p. 18 modifica] scandalose, ed alla fine incredibili; che sono sette fonti della difficultá delle favole, i quali di leggieri si possono rincontrare in tutto il secondo libro.

V

815E, come nel medesimo libro si è dimostrato, cosí guaste e corrotte da Omero furono ricevute.

VI

816Che i caratteri poetici, ne’ quali consiste l’essenza delle favole, nacquero da necessitá di natura, incapace d’astrarne le forme e le propietá da’ subbietti; e, ’n conseguenza, dovett’essere maniera di pensare d’intieri popoli, che fussero stati messi dentro tal necessitá di natura, ch’è ne’ tempi della loro maggior barbarie. Delle quali è eterna propietá d’ingrandir sempre l’idee de’ particolari: di che vi ha un bel luogo d’Aristotele ne’ Libri morali, ove riflette che gli uomini di corte idee d’ogni particolare fan massime. Del qual detto dev’essere la ragione: perché la mente umana, la qual è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altamente celebrare la sua presso che divina natura che con la fantasia ingrandir essi particolari. Onde forse, appresso i poeti greci egualmente e latini, le immagini come degli dèi cosí degli eroi compariscono sempre maggiori di quelle degli uomini; e ne’ tempi barbari ritornati le dipinture, particolarmente del Padre eterno, di Gesú Cristo, della Vergine Maria, si veggono d’una eccedente grandezza.

VII

817Perché i barbari mancano di riflessione, la qual, mal usata, è madre della menzogna, i primi poeti latini eroici cantaron istorie vere, cioè le guerre romane. E ne’ tempi barbari ritornati, per sí fatta natura della barbarie, gli stessi poeti latini [p. 19 modifica] non cantaron altro che istorie, come furon i Gunteri, i Guglielmi pugliesi ed altri; e i romanzieri de’ medesimi tempi credettero di scriver istorie vere: onde il Boiardo, l’Ariosto, venuti in tempi illuminati dalle filosofie, presero i subbietti de’ lor poemi dalla storia di Turpino, vescovo di Parigi. E per questa stessa natura della barbarie, la quale per difetto di riflessione non sa fingere (ond’ella è naturalmente veritiera, aperta, fida, generosa e magnanima), quantunque egli fusse dotto di altissima scienza riposta, con tutto ciò Dante nella sua Commedia spose in comparsa persone vere e rappresentò veri fatti de’ trappassati, e perciò diede al poema il titolo di «commedia », qual fu l’antica de’ greci, che, come sopra abbiam detto, poneva persone vere in favola. E Dante somigliò in questo l’Omero dell’Iliade, la quale Dionigi Longino dice essere tutta «dramatica» o sia rappresentativa, come tutta «narrativa» essere l’Odissea. E Francesco Petrarca, quantunque dottissimo, pure in latino si diede a cantare la seconda guerra cartaginese; ed in toscano, ne’ Trionfi, i quali sono di nota eroica, non fa altro che raccolta di storie. E qui nasce una luminosa pruova di ciò: che le prime favole furon istorie. Perché la satira diceva male di persone non solo vere, ma, di piú, conosciute; la tragedia prendeva per argomenti personaggi della storia poetica; la commedia antica poneva in favola chiari personaggi viventi; la commedia nuova, nata a’ tempi della piú scorta riflessione, finalmente finse personaggi tutti di getto (siccome nella lingua italiana non ritornò la commedia nuova che incominciando il secolo a maraviglia addottrinato del Cinquecento): né appo i greci né appo i latini giammai si finse di getto un personaggio che fusse il principale subbietto d’una tragedia. E ’l gusto del volgo gravemente lo ci conferma, che non vuole drami per musica, de’ quali gli argomenti son tutti tragici, se non sono presi da istorie; ed intanto sopporta gli argomenti finti nelle commedie, perché, essendo privati e perciò sconosciuti, gli crede veri. [p. 20 modifica]

VIII

818Essendo tali stati i caratteri poetici, di necessitá le loro poetiche allegorie, come si è sopra dimostro per tutta la Sapienza poetica, devon unicamente contenere significati istorici de’ primi tempi di Grecia.

IX

819Che tali storie si dovettero naturalmente conservare a memoria da’ comuni de’ popoli, per la prima pruova filosofica testé mentovata: che, come fanciulli delle nazioni, dovettero maravigliosamente valere nella memoria. E ciò, non senza divino provvedimento: poiché infin a’ tempi di esso Omero, ed alquanto dopo di lui, non si era ritruovata ancora la scrittura volgare (come piú volte sopra si è udito da Giuseffo contro Appione), in tal umana bisogna i popoli, i quali erano quasi tutti corpo e quasi niuna riflessione, fussero tutti vivido senso in sentir i particolari, forte fantasia in apprendergli ed ingrandirgli, acuto ingegno nel rapportargli a’ loro generi fantastici, e robusta memoria nel ritenergli. Le quali facultá appartengono, egli è vero, alla mente, ma mettono le loro radici nel corpo e prendon vigore dal corpo. Onde la memoria è la stessa che la fantasia, la quale perciò «memoria» dicesi da’ latini (come appo Terenzio truovasi «memorabile» in significato di «cosa da potersi immaginare», e volgarmente «comminisci» per «fingere», ch’è propio della fantasia, ond’è «commentum», ch’è un ritruovato finto); e «fantasia» altresí prendesi per l’ingegno (come ne’ tempi barbari ritornati si disse «uomo fantastico» per significar «uomo d’ingegno», come si dice essere stato Cola di Rienzo dall’autore contemporaneo che scrisse la di lui vita). E prende tali tre differenze: ch’è memoria, mentre rimembra le cose; fantasia, mentre l’altera e contrafá; ingegno, mentre le contorna e pone in acconcezza ed assettamento. Per le quali cagioni i poeti teologi chiamarono la Memoria «madre delle muse». [p. 21 modifica]

X

820Perciò i poeti dovetter esser i primi storici delle nazioni: ch’è quello ond’il Castelvetro non seppe far uso del suo detto per rinvenire le vere origini della poesia; ché ed esso e tutti gli altri che ne han ragionato (infino da Aristotile e da Platone) potevano facilmente avvertire che tutte le storie gentilesche hanno favolosi i principi, come l’abbiamo nelle Degnitá proposto e nella Sapienza poetica dimostrato.

XI

821Che la ragion poetica determina esser impossibil cosa ch’alcuno sia e poeta e metafisico egualmente sublime, perché la metafisica astrae la mente da’ sensi, la facultá poetica dev’immergere tutta la mente ne’sensi; la metafisica s’innalza sopra agli universali, la facultá poetica deve profondarsi dentro i particolari.

XII

822Che, ’n forza di quella degnitá sopra posta: — che ’n ogni facultá può riuscire con l’industria chi non vi ha la natura, ma in poesia è affatto niegato a chi non vi ha la natura di potervi riuscir con l’industria, — l’arti poetiche e l’arti critiche servono a fare colti gl’ingegni, non grandi. Perché la dilicatezza è una minuta virtú, e la grandezza naturalmente disprezza tutte le cose picciole; anzi, come grande rovinoso torrente non può far di meno di non portar seco torbide l’acque e rotolare e sassi e tronchi con la violenza del corso, cosí sono le cose vili dette, che si truovano síspesso in Omero.

XIII

823Ma queste non fanno che Omero egli non sia il padre e ’l principe di tutti i sublimi poeti. [p. 22 modifica]

XIV

824Perché udimmo Aristotile stimar innarrivabili le bugie omeriche; ch’è lo stesso che Orazio stima innimitabili i di lui caratteri.

XV

825Egli è infin al cielo sublime nelle sentenze poetiche, ch’abbiani dimostrato, ne’ Corollari della natura eroica nel libro secondo, dover esser concetti di passioni vere o che in forza d’un’accesa fantasia ci si facciano veramente sentire, e perciò debbon esser individuate in coloro che le sentono. Onde diffinimmo che le massime di vita, perché sono generali, sono sentenze di filosofi; e le riflessioni sopra le passioni medesime sono di falsi e freddi poeti.

XVI

826Le comparazioni poetiche prese da cose fiere e selvagge, quali sopra osservammo, sono incomparabili certamente in Omero.

XVII

827L’atrocitá delle battaglie omeriche e delle morti, come pur sopra vedemmo, fanno all’Iliade tutta la maraviglia.

XVIII

828Ma tali sentenze, tali comparazioni, tali descrizioni pur sopra pruovammo non aver potuto essere naturali di riposato, ingentilito e mansueto filosofo.

XIX

829Che i costumi degli eroi omerici sono di fanciulli per la leggerezza delle menti, di femmine per la robustezza della [p. 23 modifica] fantasia, di violentissimi giovani per lo fervente bollor della collera, come pur sopra si è dimostrato, e, ’n conseguenza, impossibili da un filosofo fingersi con tanta naturalezza e felicitá.

XX

830Che l’inezie e sconcezze sono, come pur si è qui sopra pruovato, effetti dell’infelicitá, di che avevano travagliato nella somma povertá della loro lingua, mentre la si formavano, i popoli greci, a spiegarsi.

XXI

831E contengansi pure gli piú sublimi misteri della sapienza riposta, i quali abbiamo dimostrato nella Sapienza poetica non contenere certamente: come suonano, non posson essere stati concetti di mente diritta, ordinata e grave, qual a filosofo si conviene.

XXII

832Che la favella eroica, come si è sopra veduto nel libro secondo, nell’Origini delle lingue, fu una favella per simiglianze, immagini, comparazioni, nata da inopia di generi e di spezie, ch’abbisognano per diffinire le cose con propietá, e, ’n conseguenza, nata per necessitá di natura comune ad intieri popoli.

XXIII

833Che per necessitá di natura, come anco nel libro secondo si è detto, le prime nazioni parlarono in verso eroico. Nello che è anco da ammirare la provvedenza, che, nel tempo nel quale non si fussero ancor truovati i caratteri della scrittura volgare, le nazioni parlassero frattanto in versi, i quali coi metri e ritmi agevolassero lor la memoria a conservare piú facilmente le loro storie famigliari e civili. [p. 24 modifica]

XXIV

834Che tali favole, tali sentenze, tali costumi, tal favella, tal verso si dissero tutti «eroici», e si celebrarono ne’ tempi ne’ quali la storia ci ha collocato gli eroi, com’appieno si è dimostrato sopra nella Sapienza poetica.

XXV

835Adunque tutte l’anzidette furono propietá d’intieri popoli e, ’n conseguenza, comuni a tutti i particolari uomini di tali popoli.

XXVI

836Ma noi, per essa natura, dalla quale son uscite tutte l’anzidette propietá, per le quali egli fu il massimo de’ poeti, niegammo che Omero fusse mai stato filosofo.

XXVII

837Altronde dimostrammo sopra netta Sapienza poetica che í sensi di sapienza riposta da’ filosofi, i quali vennero appresso, s’intrusero dentro le favole omeriche.

XXVIII

838Ma, siccome la sapienza riposta non è che di pochi uomini particolari, cosí il solo decoro de’ caratteri poetici eroici, ne’ quali consiste tutta l’essenza delle favole eroiche, abbiamo testé veduto che non posson oggi conseguirsi da uomini dottissimi in filosofie, arti poetiche ed arti critiche. Per lo qual decoro dá Aristotile il privilegio ad Omero d’esser innarrivabili le di lui bugie; ch’è lo stesso che quello, che gli dá Orazio, d’esser innimitabili i di lui caratteri.