Le Mille ed una Notti/Storia di Kamar-al-Zeman e della Moglie del Gioielliere

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Storia di Kamar-al-Zeman e della Moglie del Gioielliere

../Storia d'Ibrahim, figliuolo di Khasib, e di Gemileh, Figliuola di Abuleis ../Storia d'Abdallah, Figliuolo di Fazl, e de' suoi Fratelli IncludiIntestazione 11 marzo 2018 100% Da definire

Storia di Kamar-al-Zeman e della Moglie del Gioielliere
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NOTTE CMXLI-CMLXX

STORIA

DI KAMAR-AL-ZEMAN E DELLA MOGLIE DEL GIOIELLIERE.

— Eravi una volta un mercatante chiamato Abderahman, che aveva due figliuoli di rara bellezza: un maschio per nome Kamar-al-Zeinan, vale a dire la Luna del Tempo, ed una femmina delta Kavkeb-es Sabah, ossia Stella del Mattino. Li aveva egli tenuti chiusi in casa sin all’età di quindici anni, per timore del cattiv’occhio, dandosi in pari tempo gran cura della loro educazione. — Quanto terrete ancora vostro figlio chiuso in casa?» gli disse un giorno la moglie. «Kamar-al-Zeman non è una fanciulla; è un giovinetto che da molto tempo avreste dovuto condurre al bazar, per farlo conoscere, e così far sapere almeno, allorchè vi succederà, che avete un figliuolo. Voglio pur maritare mia figlia, affinchè non resti più a lungo sepolta come finora. — Li ho così custoditi,» rispose il marito, «perchè temeva l’impressione che potesse far su di essi il cattiv’occhio. — Lasciate a Dio la cura di vegliare sopra di loro,» ripigliò la moglie, «e conducete oggi vostro figlio al bazar. —

«Il marito, lasciatosi persuadere, condusse seco Kamar-al-Zeman. Pareva che il bazar avesse preso fuoco, tanto fu grande il moto che vi suscitò la bellezza straordinaria del giovinetto. — Si alzerebbe oggi una seconda volta il sole? La luna si fa essa cedere in chiaro giorno?» tali erano le sclamazioni [p. 313 modifica] che udivansi da tutte le parti, ed intorno al leggiadro adolescente stringeasi una immensa folla. Abderahman lo fece entrare nella sua bottega, ma la strada non isgombravasi della gente che si fermava per contemplare quel prodigio di beltà. Il giovinetto era sommamente turbato, ed il padre temeva più che mai gli sguardi maligni.

«D’improvviso venne da un lato del bazar un dervis che cantava e piangeva; pareva che l’eccesso dell’amor divino lo portasse a quello stato di estasi. Avendo veduto Kamar-al-Zeman seduto nella bottega, improvvisò questi versi:

««Veggo la luna sulla terra: si è congiunta ad un ramo del ban (cipresso).

««Domandai Come si chiama quel giovinetto? — È una perla: quest’è l’unica risposta.»»

«Quindi entrò nella bottega, ed avvicinatosi al giovane, e datogli un pezzo d’aloè, si pose nel sito più alto, d’onde teneva gli occhi fissi su Kamar-al-Zeman, singhiozzando e sospirando in guisa ch’era una compassione ad udirlo.

«Abderahman credette che il dervis fosse invaghito di suo figliuolo, ma per rispetto alla religione e ad uno de’ suoi ministri, non osava scacciarlo. Si alzò dunque e disse: — Vieni, figlio, torniamo a casa; basta così pel primo giorno che esci.» Una folla di popolo li seguì per via, ed il dervis faceasi notare per la sua premura. — Che vuoi?» gli chiese il giovane, volgendosegli. — Voglio essere vostro ospite per questa notte,» rispose il dervis, «come sono ospite di Dio. — Siate il benvenuto,» soggiunse Kamar-al-Zeman. — Se quest’uomo diabolico,» pensava tra sè il mercatante, «fa qualche male a mio figlio, l’uccido senza misericordia, e lo seppellisco segretamente.» Partecipò il suo disegno al figliuolo, e gli disse che accorrerebbe alla più leggera libertà che [p. 314 modifica] il dervis volesse permettersi, punendo colla morte la sua audacia. Allora li lasciò soli: ma il dervis rimase seduto al suo luogo, non facendo che piangere e sospirare. Intanto il giovane, rassicurato dalla promessa del padre, volle mettere l’ospite alla prova, e gli fece moine e qualche carezza; ma il dervis lo respinse, dirigendogli questi versi improvvisati:

««Il mio cuore è preso dalla bellezza umana, ma altro desio «non ha che di raggiungere l’apice della perfezione. L’amor mio va sciolto da tutto ciò che ai attiene ai sensi, ed abborrisco tutti quelli che amano in tal guisa.»»

«Testimonio nascosto di quella scena, il padre rientrò nella stanza, rassicurato intorno ai sentimenti del dervis, ai quale non dissimulò i sospetti in prima concepiti, e pregollo di manifestargli il motivo di quelle sue lagrime. — Ah! fratello,» disse il dervis, «perchè riaprire le mie ferite? Ascoltate la mia storia:

«Giunto una volta di venerdì nella città di Basra, trovai tutte le botteghe aperte e le merci in mostra, ma non c’era nessuno nelle case, nè nelle strade. Siccome aveva fame, presi adunque pane in una bottega, e miele e burro in un’altra, ed entrai in un caffè dove c’era ancora acqua sul fuoco. Non poteva rinvenire dalla sorpresa, vedendo la città così deserta ed abbandonata, senza sapere se gli abitanti fossero stati d’improvviso distrutti dalla peste, o si fossero dati alla fuga senza chiudere le case. Nel medesimo istante udii rumore nella strada, e vidi un corteggio di quaranta schiave, senza velo, che precedevano un superbo cavallo sul quale stava seduta una dama vestita d’abiti magnifici, adorni d’oro e di pietre preziose. La bellezza celeste di quella dama era tanto più abbagliante, che, al par delle schiave, non portava velo. Alla sua destra procedeva una schiava, con in pugno una sciabola, dall’elsa formata d’un [p. 315 modifica] solo smeraldo, il cui splendore spiccava viepiù per mille diamanti. Allorchè il corteggio si avvicinò, vidi un uomo che pose la testa fuor dall’usciuolo d’una bottega; ma nel medesimo punto la schiava armata di sciabola, slanciatasi verso colui, gli troncò il capo. Spaventato da tale spettacolo, mi nascosi alla meglio, e lasciai passare quella bellezza crudele, che avevami mio malgrado inspirato immenso amore. A poco a poco la gente tornò nelle botteghe, e chiesto allora chi fosse quella dama, nessuno mel volle dire. Lasciai Basra col cuore in preda ad una passione insensata, che mi tormenta giorno e notte, e si raddoppiò con nuovo vigore all’aspetto di vostro figliuolo, che somiglia a quella dama in modo singolare —

«Allorchè il dervis ebbe finito il suo racconto, proruppe in lagrime ed in singhiozzi. Vedendo che la presenza del giovanetto non faceva se non raddoppiare il proprio affanno, domandò il permesso di lasciare la casa ed andossene.

«Il racconto straordinario del dervis ispirò al giovane Kamar-al-Zeman una violenta passione per quella ignota bellezza, e non avendo altri mezzi di conoscerla, tormentava di continuo il padre che gli permettesse di viaggiare, come i figliuoli d’altri mercanti; — Gli altri,» rispose il padre, «fanno viaggiare i loro figli per cupidigia o per bisogno; ma io, grazie al cielo, non mi trovo in alcuno di simili casi: perciò farai molto meglio a restar a casa» Tali parole non produssero alcuna impressione su Kamar-al-eman, ed il padre si vide alla fine costretto ad arrendersi al di lui desiderio. Gli diede pel viaggio novantamila zecchini; sua madre v’aggiunse quaranta anelli ricchi di gemme, sotto cui se ne trovavano, dieci altri, ciascuno dei quali valeva mille zecchini.

— Figlio,» gli disse la donna,» cela [p. 316 modifica] accuratamente questa borsa; potrebbe giovarti, se qualche volta avessi a mancare di denaro.» L’occasione se ne presentò in breve, perocchè ad una giornata di viaggio da Bagdad, Katnar-al-Zeman fu assalito dai Beduini, che saccheggiarono la caravana, uccisero gli schiavi e lasciaronlo come morto immerso nel suo sangue.

«Non essendo però che leggermente ferito, trovossi in breve in grado di proseguire il suo cammino: di tutte le sue ricchezze più non gli restavano che i suoi anelli, cui si era diligentemente nascosti nella cintura. Si diresse verso Basra, dove giunse precisamente di venerdì: le vie erano deserte, aperte le botteghe; infine tutto stava come aveva detto il dervis. Poco dopo Kamar-al-Zeman udì un gran rumore; era la dama colle sue quaranta schiave. Si nascose, ed all’aspetto di quella straordinaria bellezza venne meno. Allorchè risensò, le strade erano piene di gente, e ciascuno andava pei fatti suoi. Kamar-al-Zeman entrò da un gioielliere per vendere le sue gemme; poi, comprati abiti magnifici, si recò, al bagno e coricossi per dormire.

«II giorno seguente, Kamar-al-Zeman andò da un barbiere per far toletta, e, pagatolo generosamente, parlò di quanto aveva veduto il giorno innanzi, e gli chiese chi fosse quella dama. — Figliuol mio,» rispose il barbiere, «guardatevi dal parlarne, chè ci va della vostra vita; se si sapesse che foste testimonio delle cose onde mi parlate, sareste perduto senza rimedio. Per dire la verità, non so nemmen io che cosa abbia potuto dar luogo a questo avvenimento; è un mistero che mette in affanno tutta la città. La gente vi muore come mosche: taluni per l’imprudenza di farsi vedere per le strade; altri si tormentati dalla curiosità, che vi soccombono. Quanto a me, non ho mai cercato di penetrare il segreto, ma poichè [p. 317 modifica] l’affare vi sta tanto a cuore, volgetevi a mia moglie, che va di frequente ne’ serragli dei grandi: domani potrò darvi notizie più estese. — Calcolo sulla vostra promessa, padre mio,» gli disse Kamar-al-Zeman, mettendogli in mano due pezze d’oro. — Se siete tanto impaziente,» ripigliò il barbiere, «vado sul momento; attendetemi qui in bottega. —

«Il barbiere, corso dalla moglie, le diede l’oro e le raccontò l’avventura del giovane. — Sia il ben venuto!» rispose la donna; e conducilo qui.» Il barbiere dunque condusse dalla moglie Kamar-al-Zeman, che le donò, per pagare il suo buon arrivo, cento monete d’oro. — O figlio!» disse la donna, «è dessa una storia molto maravigliosa. Saprete dunque che il sultano delle Indie mandò, qualche tempo fa, al re di Basra una perla, unica per bellezza e grossezza. Il re, fatti chiamare tutti i gioiellieri della città, disse loro che quegli il quale potesse forarla direttamente, non avrebbe che a domandargli tutto ciò che volesse; ma che, d’altra parte, vi andava della sua vita se non riusciva, o se danneggiasse menomamente la perla. Nessuno de’ gioiellieri osò incaricarsi della pericolosa impresa, e dissero: — Asti-Obeid è il solo che sia forse abbastanza abile per eseguire simile lavoro.» Lo fecero venire, ed egli forò la perla con grandissima soddisfazione del re.

«Siccome quel gioielliere non faceva nulla senza consultare la moglie, le domandò parere intorno alla ricompensa da chiedere al re pel prezzo della propria fatica; e sua moglie è appunto, quella dama che vedeste accompagnata da quaranta schiave. — Siamo, grazie a Dio,» diss’ella, «abbastanza ricchi per non avere da tal lato nulla da desiderare; ma ho una singolare idea che mi piacerebbe appagare. Domandate al re che mi conceda il permesso di passeggiare ogni venerdì colle mie schiave per le strade [p. 318 modifica] di Basra, senza che alcuno osi allora farsi vedere per le vie, sotto pena di perdere la testa.» Il re accordò la domanda, ed affinchè i cani ed i gatti, nel tempo che la passeggiata durava, non potessero cagionare alcun danno alle botteghe aperte, si pubblicò l’ordine di chiudere in tal giorno tutte queste bestie senza eccezione. Da quel tempo, la moglie del gioielliere passeggia così ogni venerdì, due ore prima e due ore dopo la preghiera del mezzogiorno, senza che uomo nè donna, cane nè gatto ardisca comparire per le vie. Ma ben veggo, o figlio, che questo racconto non vi basta, e vorreste che v’indicassi qualche mezzo per vedere la dama. Or bene, avete gioielli? — Sì,» riprese Kamar-al-Zeman; «ne ho trenta, ciascuno del valore di cinquecento zecchini. — Va bene,» riprese la donna; «pigliate uno di quei gioielli, portatelo ad Asti-Obeid, e ditegli di montarvelo nel modo più semplice. Gli darete per tal lavoro venti zecchini, ed uno zecchino a ciaschedun operaio. Sedete nella sua bottega, discorrete seco lui, e ad ogni mendicante che passi, date uno zecchino; è il mezzo più sicuro di farvi notare, e così far giungere il vostro nome all’orecchio della consorte del gioielliere, la cui bellezza è maravigliosa. —

«Seguì Kamar-al-Zeman il consiglio, e la sua liberalità eccitò lo stupore del gioielliere. Soleva questi lavorare in casa gli oggetti più preziosi, in presenza di sua moglie, la quale gli stava sempre seduta vicino. Allorchè costei vide che il marito lavorava con attenzione particolare all’anello di Kamar-al-Zeman, domandò per chi fosse; il gioielliere non mancò di farle un ritratto sì brillante dell’avvenenza e generosità di Kamar-al-Zeman, ch’essa concepì il più vivo desiderio di vedere lo straniero. Il gioielliere si sbracciava in lodi, ora sull’eleganza e la nobiltà della sua taglia, ora sullo splendore e freschezza della sua [p. 319 modifica] carnagione. — È un giovanotto,» diceva, «le cui guance guariscono i cuori feriti da’ suoi occhi; in somma, nol so lodar meglio che col dire che vi somiglia, e se non temessi di offendervi, aggiungerei che è mille volte ancora più bello di voi.» La donna stette alcuni momenti in silenzio, ed il marito terminò di montare l’anello. — Gradirei molto che questo anello fosse mio,» disse la moglie, quando fu all’ordine; «mi piace assai. —

«Nel frattempo Kamar-al-Zertìan era venuto a consultare la moglie del barbiere su quanto gli rimanesse a fare. — Fingete,» gli diss’ella, «che l’anello sia troppo stretto; fatene un dono al gioielliere, e presentategli un altro diamante da settecento zecchini, dandogli trenta pezze d’oro per lui e due per ciascuno de’ suoi operai. Spero che le cose cammineranno a vostra soddisfazione.» Kamar-al-Zeman ringraziò la moglie del barbiere, dandole dugento zecchini, e fece quello ch’essa gli aveva consigliate. — Uf! è troppo stretto,» sclamò egli in presenza del gioielliere, fingendo di volerselo mettere in dito; «tenetelo, ne faccio un dono ad una delle vostre schiave. Montatemi quest’altro diamante, che vale settecento zecchini.» Poi gli diede trenta zecchini per lui e due per ciascun operaio. — Prendete questa bagattella,» soggiunse, «pel caffè: se finite presto il lavoro, spero sarete pago della maniera nella quale vi compenserò. —

«Stupito di tanta generosità, sollecitossi il gioielliere ad andar dalla moglie, nè sapeva abbastanza lodare il generoso forestiero. — Bisogna assolutamente,» disse,» che sia un principe od il figlio di un sultano.» E quanto più parlava, più cresceva l’amore della moglie pel giovane straniero. — Com’è leggiadro questo anello!» diss’ella, allorchè fu preparato il secondo, e si provava a metterselo in dito. [p. 320 modifica] — Chi sa,» riprese il marito, «che forse non mi lasci anche questo? — «Intanto Kamar-al-Zeman venne a concertarsi colla moglie del barbiere. — Non ripigliate il vostro anello,» gli diss’ella, «sotto pretesto che sia troppo grande: mostrate al gioielliere un’altra pietra preziosa di mille zecchini, ed attendendo che il lavoro sia compiuto, date quaranta zecchini al padrone, e tre a ciascun garzone.» Il giovane ricompensò con una borsa di trecento zecchini il consiglio, cui puntualmente seguì. Il gioielliere non trovò più espressioni per dipingere alla moglie la liberalità del forastiero. — Ma non ti vergogni,» diss’ella, «di non aver ancora invitato un uomo che si mostra teco tanto generoso? So che non sei avaro, ma mi pare che qualche volta tu manchi alle convenienze: quindi voglio assolutamente che preghi il gentil forastiere di venir a cena domani. —

«Il giorno seguente, Kamar-al-Zeman, consultata la moglie del barbiere e dimostratale la sua gratitudine con una borsa di quattrocento zecchini, si recò alla bottega del gioielliere per provar l’anello. — Così va bene,» disse; «ma la pietra non mi piace; tenetela per una delle vostre schiave, e montatemi quest’altro diamante. Ecco cento zecchini pel vostro disturbo, e perdonate l’incomodo. — Sono confuso della vostra generosità,» rispose il gioielliere; «accordatemi, ve ne prego, l’onore di venir stasera a cena da me. — Siete troppo buono; accetto colla più viva gratitudine.

— «La sera, il gioielliere si recò all’okal per prendere l’ospite, e condottolo a casa, lo trattò ad una splendida cena, e dopo il caffè, una schiava servì il sorbetto preparato colle proprie mani dalla moglie del gioielliere. Appena n’ebbero bevuta una tazza, ambedue caddero in profondo sonno. La schiava si [p. 321 modifica] ritirò, e la moglie del gioielliere entrò con un lume in mano, onde contemplare con tutto agio l’ospite, cui non aveva se non intravveduto dalla finestra mentre entrava nella casa. Ma non le bastava contemplarlo; gli sedette vicino, e gli accarezzò leggermente il volto, coprendolo di baci appassionati. Aveva posto nel sorbetto una polvere soporifera, della quale conoscendo la forza, era certa che Kamar-al-Zeman non si desterebbe. Fatta per tale certezza ardita, lo colmò di mille altre carezze, baciandogli le labbra e le guance con sì violento trasporto che, in più siti, ne spicciava il sangue; quella donna appassionata passò così la notte intiera senza poter estinguere il fuoco che l’ardeva. La mattina si ritirò, dopo aver messo quattro piccoli dadi in tasca a Kamar-al-Zeman, e mandò quindi la sua schiava a soffiar nelle nari agli addormentati una polvere che doveva, dissipare l’effetto dell’oppio.

«Il gioielliere od il suo ospite, dopo, aver sternutato, svegliaronsi. — Signore,» disse la schiava, «è quasi l’ora della preghiera del mattino: ecco un bacino e l’acqua per fare le vostre abluzioni. - Ah!» disse il gioielliere, «come si dorme in questa camera! ogni volta che mi corico qui non mi sveglio che a giorno fatto.» Kamar-al-Zeman si alzò subito per fare le abluzioni, e si accorse di aver il volto e le labbra ardenti come fuoco. — Guardatemi un poco,» disse al gioielliere; «le labbra ed il viso mi ardono al par di bragia; che cos’è mai? — Oh! non è nulla,» rispose l’altro, «sono punture di zanzare. — Ma come può essere che voi non ne abbiate? Dipende perchè io abito paesi caldi; e d’altra parte, ho la barba troppo folta per tentare le zanzare. È ai forastieri, e specialmente ai volti dilicati come il vostro, che si compiacciono di fare la guerra, — Avete ragione» riprese il giovane. Poi fecero colazione [p. 322 modifica] insieme, e Kamar-al-Zeman, accommiatatosi dall’ospite, si recò dalla moglie del barbiere. — Orsù,» gli disse questa, «narratemi la vostra avventura, benchè ve la vegga dipinta in volto, — Ah!» ripresagli, «sono le zanzare che m’hanno così divorato le guance. — Davvero, le zanzare?» soggiunse la moglie del barbiere; «e la vostra visita non ebbe altro risultato? No,» rispose, «Se non fossero questi quattro dadi che mi son trovati in tasca — Mostratemeli. Ah!» prosegui essa, dopo averli considerati, «siete ben semplice a non esservi accorto che portate ancora sul viso il segno dei baci di quella che amate, e che quei dadi sono un rimprovero ch’essa vi fa d’aver passato il tempo a dormire mentre potevate impiegarlo meglio. Così essa volle dirvi: È un fanciullo chi passa il suo tempo dormendo; eccovi dadi come conviensi a fanciulli che non sanno divertirsi ad altro giuoco.... Non è questo parlare assai chiaro? Fatene la prova; approfittate stasera dell’invito del gioielliere, il quale, non ne dubito, v’indurrà nuovamente ad andar a cena da lui, e voi non dimenticherete, spero, di renderci tutti felici.» Kamar-al-Zeman le promise una borsa di cinquecento zecchini e tornò al suo khan.

«Como passò la notte il forastiero?» chiese la moglie al gioielliere allorchè questi le venne ad augurare il buon giorno. — Malissimo,» rispose; «le zanzare l’hanno punto in maniera terribile.

Che farci!» ripigliò la donna; «le zanzare amano succiare il sangue, e più di tutto quello dei forestieri. Forse lo incomoderanno meno stanotte, poichè spero che l’inviterete di nuovo: tale gentilezza è il meno che possiate usargli, in riconoscenza di tutti i contrassegni di generosità de’ quàli vi ha colmato. —

«Il gioielliere invitò adunque Kamar-al-Zeman, e tutto in quella notte accadde come bella precedente. La [p. 323 modifica] schiava portò la bevanda narcòtica, la dama passò la notte a baciare il giovane sulle labbra e sulle gote, e la schiava tornò alla mattina per destare i due dormienti, lor soffiando nelle nari la polvere. Kamara-al-Zeman si sentì il volto tutte ardente pei baci della sua diletta, e guardandosi in tasca, si trovò un coltello. Volti i suoi saluti al gioielliere, corse al khan a prendere i cinquecento zecchini promessi alla moglie del barbiere, le raccontò l’accaduto e le fece vedere il coltello. — Guai a voi,» gli diss’èlla, «guai se vi addormentate un’altra volta; la vostra diletta è irritata, e minaccia di uccidervi con un coltello, se vi trova ancora addormentato. - Ma, come ho da fare per non addormentarmi?» riprese Kamar-al-Zeman; «Credo che il sorbetto che la schiava porta dopo cena, contenga oppio. — Ebbene,» rispose la donna, «se credete fondato il sospetto, lasciate bere da solo il gioielliere, e fingendo d’aver votata la tazza, mettetela di dietro; fingete di dormire in presenza della schiava ed attendetevi un felice successo. —

«Kaimar-al-Zeman seguì esattamente l’ottimo avviso. A ceda accadde come il solito, e la schiava si ritirò per annunciare alla padrona che suo marito e l’ospite loro erano immersi in profondo sonno. La moglie del gioielliere, furiosa a tal nuova, entrò col coltello in mano nella stanza, allorchè d’improvviso Kamar-al-Zeman aprì gli occhi e se le gettò a’ piedi. — Chi v’ha insegnata quest’astuzia?» gli chies’ella. Il giovine non le tacque di aver agito secondo i consigli della moglie del barbiere. — Ormai non avete più bisogno di ricorrere a lei,» riprese la donna. «Domani mattina domandatele se non conosca altro mezzo per farvi trionfare di me: se dice di sì, ascoltatela; altrimenti, licenziatela. Per l’avvenire, me sola dovete consultare. —

«Dopo tale discorso, passarono la notte nell’eb[p. 324 modifica]brezza delle più deliziose voluttà. — Son tutta tua, mio diletto» diceva la donna; «fa come ti piace; ma non credere che una o due notti, una o due settimane, uno o due mesi, uno o due anni mi bastino; voglio passare intiera la vita con te; voglio abbandonare mio marito, e seguirti nella tua patria. Ascoltami, e se mi ami, fa quanto sono per dirti. Se mio marito t’invita un’altra volta, rispondigli che temi di commettere un’indiscrezione ritenendolo così tre o quattro notti, fuor del suo serraglio: pregalo di prender in affitto una casa nelle vicinanze della nostra, dove potrete passare a vicenda parte della notte insieme, senza che ne derivi incomodo per l’uno, nè per l’altro. Mio marito verrà a consultarmi in proposito, ed io gli dirò non esservi di meglio quanto trovarli un appartamento vicino a noi. Ottenuto l’intento, io m’incarico del resto. —

«Kamar-al-Zeman le giurò un amore eterno, e promessole di conformarsi a tutti i suoi desiderii, suggellò i giuramenti con mille baci. La mattina prese commiato, secondo il solito, ed anche questa volta si dolse della puntura delle zanzare. Recossi quindi dalla moglie del barbiere, alla quale disse di non essere, quella notte più inoltrato delle precedenti. — Bene,» rispos’ella, «ecco tutto quello che poteva fare per voi; non saprei più alcun altro mezzo, — In tal caso» riprese Kamar-al-Zeman «veggo esser d’uopo rinunziare al mio amore. Sì dicendo, parti e venuto dal gioielliere lo mise a parte del disegno che la di lui moglie gli aveva suggerito. Il dabben uomo ne fu incarnato, e subito il dì dopo Kamar-al-Zeman abitava la casa attigua. Intanto la moglie aveva avuta cura di far praticare, nel muro divisorio un’apertura nascosta ai due lati dietro un armadio.

«Rimase Kamar-al-Zeman maravigliatissimo, vedendo entrare nella propria stanza la sua diletta. [p. 325 modifica] nè poteva capire come avesse potuto celarsi nell’armadio. Gli scoprì ella tutto il mistero, e gli diede due borse d’oro; quattro ne portò il dì dopo, e quattro altre ancora il terzo giorno; così impiegava il dì a raccogliere il denaro del marito, e lo portava la notte all’amante, mentre il gioielliere dormiva sopito dal narcotico misto al sorbetto. La quarta notte, la dama portò seco un magnifico pugnale appartenente al marito, che l’aveva lavorato egli stesso colla massima diligenza; l’impugnatura sola, d’oro, valeva più di cinquecento zecchini, senza contare le pietre preziose delle quali era adorno. — Metti questo pugnale nella cintura,» disse a Kamar-al-Zeman, «recati alla bottega di mio marito, mostragli il pugnale, e domandagli quanto valga. Ei ti chiederà invece da chi tu l’avesti; allora digli che, passando sul mercato, udisti due uomini parlar insieme, l’uno de’ quali diceva all’altro: — Vedi il regalo che mi ha fatto la mia amante; mi donò tutto il suo denaro: ora mi dona gli oggetti di suo marito.» Aggiungi, che essendoti avvicinato all’uomo che così parlava, tu comprasti il pugnale. Lascia la bottega, e torna a casa; mi troverai nell’armadio per riprenderlo.» Kamar-al-Zeman, preso il pugnale, si recò alla bottega dei gioielliere, dove rappresentò la parte prescrittagli.

«Turbossi estremamente l’altro udendo simile notizia, talchè non sapeva cosa dire o pensare. Rispose quindi con parole interrotte, come uomo che abbia la mente sconvolta.

«Vedendo Kamar-at-Zeman il turbamento estremo del gioielliere, uscì dalla bottega, e riportato il pugnale alla sua diletta, che già l’attendeva nell’armadio, le dipinse lo stato crudele e lo smarrimento nel quale aveva lasciato il di lei marito.

«In preda ai tormenti della gelosia, Asti-Obeid corse a casa, fischiando come serpente in furore. [p. 326 modifica] − Dov’è il mio pugnale?» chiese. — Nella cassetta,» rispose la moglie; «ma, mio Dio! m’avete l’aria stravolta: non ve lo do certamente adesso.» Il gioielliere insistette; allora, aperta la cassetta, essa gli presentò il pugnale. — È sorprendente!» sclamò il marito. — Che c’è mai di sorprendente? — Credeva,» riprese il gioielliere, «d’avere in tal istante veduto quel pugnale nella cintura del nostro vicino ed amico. — Avreste potuto concepire qualche falso sospetto sulla vostra sposa?» sclamò la donna; «siete un uomo indegno!» Il gioielliere le chiese perdono, e fece ogni sforzo per acchetarne la collera.

«Alla domane, la medesima scena fu rappresentata con un oriuolo che Kamar-al-Zeman mostrò al gioielliere, e che questi riconobbe per suo. Tornò all’istante a casa per assicurarsene coi propri occhi; ma la moglie, la quale aveva già riavuto l’oriuolo, glielo diede, rimproverandolo del suo carattere geloso e pieno di sospetti.

«Ma non bastava: non essendo Kamar-al-Zeman venuto alla sera, la donna mandò a cercarlo dal marito. Asti-Obeid riconobbe presso il giovane i mobili della propria casa, ma non ardì chiedere donde li avesse avuti, e quegli venne a cena da lui secondo il solito; la schiava portò i due sorbetti, Asti-Obeid in breve si trovò immerso nel sonno per effetto dell’oppio, ed i due amanti, abbandonandosi alla loro passione, pensarono ai mezzi d’indurre il gioielliere a separarsi dalla consorte. — Siccome nulla ci è sinora riuscito,» disse la donna, «domani mi vestirò da schiava: mi condurrai così alla bottega di mio marito, e mi leverai il velo, dicendogli di avermi comprata al mercato. Vedremo se questo potrà aprirgli gli occhi. —

«Il dì seguente, la donna si vestì in fatti da schiava, ed accompagnò l’amante alla bottega del marito. [p. 327 modifica] — Ecco una schiava comprata da me per mille zecchini,» disse Kamar-al-Zeman al gioielliere; «guardate se vi placo,» Sì dicendo, le tolse il velo. L’altro cadde dalle nuvole riconoscendo la moglie ornata di magnifiche gioie da lui medesimo lavorate. Tra l’altre portava in dito i due anelli dei quali il giovane aveva fatto dono al marito. — Come si chiama questa schiava?» domandò egli, — Halima,» rispose Kamar-al-Zeman (era il nome della moglie d’Asti-Obeid). Il gioielliere non capiva più in sè stesso. — Mille zecchini,» disse, «è appena il prezzo de’ due anelli che porta in dito: avete dunque tutto il resto per nulla.» Furono queste le sole parole che potè proferire, chè il veleno della gelosia poco mancò non lo facesse spirare, specialmente quando vide come Kamar-al-Zeman, per meglio fargli apprezzare tutte le bellezze della schiava, le scoprì il seno ed andava toccandola colle mani. Aveva appena il giovane lasciata la bottega del gioielliere, che questi corse a casa, ma la moglie era già tornata prima di lui, ed Obeid restò colpito da sorpresa mista a terrore, trovandola col medesimo abbigliamento onde l’aveva veduta, — Non v’ha forza e protezione che in Dio!» sclamò egli, — Ebbene, di che ti maravigli? — Ora te lo dirò,» riprese il gioielliere, «se mi prometti di non andar in collera. Ho veduto una schiava comprata dal nostro amico, che pareva un’altra te stessa, tanto ti somigliava. — Come, sciagurato!» gridò la donna; «osi tu oltraggiare l’onor mio con sì vergognosi sospetti? Sarebbe possibile!... — Via, via, sarebbe possibile quant’altre gherminelle che le donne fanno ai loro mariti. — Va,» sclamò essa, «a convincerti co’ tuoi propri occhi; corri dal nostro vicino, e vedi se vi trovi la schiava. — Hai ragione,» riprese Asti-Obeid, «non v’ha sospetto che a tal prova non ceda.» Discese dunque le scale [p. 328 modifica] ed uscì per recarsi da Kamar-al-Zeman, deve Halima già si trovava quando vi giunse il dabben uomo, che, confuso da somiglianza sì positiva, non sapeva cosa dire. — Dio è grande!» gridò; «egli crea gli scherzi della natura e quanto gli piace.» Asti-Obeid corse a casa, e trovata la moglie come l’aveva lasciata, la colmò di elogi e di carezze. Tornò quindi alla bottega, ed Halima, passando per l’armadio, venne a trovare Kamar-al-Zeman; e gli disse: — Ora più non ci resta che a fare i preparativi della partenza. Ecco qui quattro borse ancora: compra alcuni schiavi, e disponi ogni cosa pel viaggio; quanto a me, ho già prese le misure necessarie: l’amor mio per te mi fa tutto abbandonare: va a congedarti da mio marito; pagagli l’affitto della casa, e vedremo che cosa saprà fare. —

«Recossi Kamar-al-Zeman dal gioielliere per annunziargli d’essersi determinato a partire, e gli domandò quanto gli dovesse per l’affitto della casa. — Mi volete svergognare,» disse Asti-Obeid; «dopo avermi colmato di tanti benefizi e tanti contrassegni della vostra generosità, parlate ancora di simil bagatella! Ah! amico mio, quanto mi stimerei sventurato se mi trovassi diviso da voi!» Qui si pose a piangere, e per adempire a tutti i doveri dell’amicizia, aiutò il giovane nei preparativi del viaggio. Halima, che non voleva separarsi dalla fedele sua schiava, trovò il modo di mandarla, col consenso del marito, nella casa dell’amante. A tal uopo, la battè, come se ne fosse malcontenta, e pregò il marito di venderla o farne un dono a Kamar-al-Zeman. — Ecco,» diss’egli a questi, «una schiava che mancò al rispetto dovuto a mia moglie; potrà servire di compagna da viaggio all’altra vostra schiava Halima. — «Finalmente, il giorno della partenza, il gioielliere rimase con Kamar-al-Zeman sino al momento di [p. 329 modifica] caricare i camelli. — Andate,» disse il giovane ad Halima ed alla schiava, «andate a baciare le mani al vostro padrone.» Vennero le donne a baciare le mani al gioielliere, che le aiutò egli medesimo a salire in lettiga, e partiti tutti, giunsero felicemente in Egitto. Al di lui arrivo sulle frontiere del suo paese, Kamar-al-Zeman aveva da El-Arisch 1 spedito al padre un corriere per annunziargli l’avventuroso suo ritorno. Si può giudicare qual fosse la gioia del vecchio, il quale da sì lungo tempo non aveva ricevuto nuove del figliuolo. Recossi egli, con tutti gli amici, incontro a lui sino al sobborgo di Adelieh, d’onde lo ricondussero in trionfo alla casa paterna. Allorchè Halima discese dalla lettiga, tutti gli occhi rimasero abbagliati dalla sua beltà. — È una principessa?» domandò il padre di Kamar-al-Zemàn — No,» Halima rispose, «sono la sposa di tuo figlio.» Ritiratosi il resto della brigata, Abderahmah tirò in disparte il figlio, e gli disse: — Chi è questa donna che hai teco condotta? È la bella,» rispos’egli, «che fu cagione segreta del mio viaggio; è quella della quale vi parlò il dervis, e che mi propongo di sposare.» E qui gli narrò tutta la sua avventura, ed il rapimento di Halima. — La mia maledizione sia su te in questo mondo e nell’altro,» gridò Abderahman, «se persisti a voler isposare quest’indegna! Non temi tu che costei non si diporti verso di te in modo sì nefando come fece col primo suo marito? Lascia che ti cerchi io una sposa di buona famiglia e di costumi irreprensibili.» Mosso dalle rimostranze del padre, Kamar-al-Zetman gli [p. 330 modifica] promise di non sposare la moglie del gioielliere. Abderahman, abbracciatolo, ordinò di chiudere Halima e la sua schiava in un padiglione, dove una negra portava lor da mangiare, senza che alcuno ardisse aver con esse commercio alcuno.

«Allora, Abderahman si occupò a cercare in tutta la città un partito conveniente al figlio, e dopo varie domande e parecchi rifiuti, lo fidanzò infine colla figlia del muftì, ch’era la più bella creatura del Cairo, e la cui leggiadria superava anche quella di Halima. Furono gli sponsali celebrati con tutta la magnificenza; i banchetti, le illuminazioni, le danze ed i giuochi durarono quaranta intieri giorni, l’ultimo de’ quali fu una festa pei poveri, che chiamaronsi da tutte le parti a prender posto alle tavole per essi imbandite. Si vide in quella avvicinarsi un uomo malvestito, abbronzato dal sole e dalle fatiche d’un lungo viaggio, sul quale Kamar-al-Zeman fermando gli sguardi, riconobbe Asti-Obeid.

«Dopo aver assistita la propria moglie a salire nella lettiga ed essersi congedato da Kamar-al-Zeman, se n’era il gioielliere tornato alla bottega, dove passò il resto del giorno al lavoro. Era tardi quando tornò a casa, e non trovando nè la moglie, nè le sue ricchezze, si accorse alla fine dello scherzo ond’era vittima, e nella sua disperazione voleva togliersi la vita. Nondimeno conservò ragione bastante per non somministrare a’ suoi nemici l’occasione di burlarsi di lui, e risolse di tener chiuso entro di sè il segreto della sua vergogna. Sparse quindi la voce che andava a raggiungere il suo amico Kamar-al-Zeman al Cairo, e conduceva seco la moglie, incaricando in pari tempo gli amici di dire, se mai alla corte s’informassero di lui, ch’era partito con Halima per la Mecca, dove lo chiamavano affari di commercio. Comprò una schiava che pose nella lettiga, per farla credere la moglie, e tosto s’avviò alla volta d’Egitto. [p. 331 modifica]

«La nuova che il gioielliere era partito con sua moglie si sparse in breve tra gli abitanti di Basra, che provarono gran giubilo di essere liberati dalla tirannica passeggiata del venerdì, durante la quale erano costretti a restar tutti nelle moschee, se non volevano esporre la vita. Allorchè Asti-Obeid fu a qualche distanza da Basra, ebbe il medesimo destino di Kamar-al-Zeman nell’accostarsi alla stessa città; fu svaligiato dagli Arabi del deserto. Ridotto a vivere d’elemosina, il gioielliere si trascinò di città in città sino al Cairo, dove trovò una folla immensa di poveri adunati ad un convito. Kamar-al-Zeman partecipò la sua scoperta al padre, il quale gli disse: — Fagli dar da bere e da mangiare, ed anche caffè e sorbetti: gli parleremo poi con comodo. —

«Mentre il gioielliere stava per andarsene Abderahman lo chiamò, ed egli inoltratosi, rimase confuso al riconoscere Kamar-al-Zeman; ma questi gli si gettò al collo e lo bagnò di lagrime. — Non è questo il modo che si riceve un amico,» disse Abderahman; «fallo condurre al bagno, e poi vestire convenevolmente, —

«Kamar-al-Zeman lo fece dunque condurre al bagno e vestire d’un abito che valeva mille zecchini. Intanto i convitati domandarono al giovane chi fosse quel forestiere, ed egli rispose esser uno di Basra, tra’ suoi migliori amici, e gioielliere di professione. — Non bisogna maravigliarsi,» soggiunse, «di vederlo in istato così compassionevole, poichè cadde nelle mani degli Arabi del deserto, che l’hanno spogliato d’ogni suo avere. Avendo io medesimo provato il medesimo destino, fui, arrivando a Basra accolto da questo amico, che non cessò di prodigarmi tutte le possibili cure.» Con tal discorso ispirò molto interesse per Asti-Obeid, ed allorchè questi comparve, tutti i convitati si alzarono e l’accolsero con mille [p. 332 modifica] contrassegni d’onore. Per riguardo alla delicatezza dell’ospite, Kamar-al-Zeman espresse altamente tutta la gratitudine che gli doveva pei favori de’ quali questi lo aveva colmato a Basra; gli disse inoltre molte cose gradevoli, nè cessò di parlargli affinchè il gioielliere non avesse tempo di aprir bocca. Rimasti soli, Abderahman disse allo straniero: — Vedete che non vi abbiamo parlato del motivo che vi ha qui condotto; fu soltanto per risparmiare l’onor vostro.» Allora gli raccontò tutto l’intrigo. «Vedete,» continuò, «che mio figlio non è in codesto affare colpevole quanto vostra moglie, perocchè un nomo che si lascia sedurre da una donna non è mai reo, ma bensì lo è sempre quella donna che non respinge le lusinghe degli uomini: — Aimè!» rispose Obeid; «avete ragione pur troppo. —

«Abderahman, tirato il figliuolo in disparte: — Si va accorgendo» gli disse, «che sua moglie sola è la rea; ora si tratta di vedete se sia un uomo d’onore, o debole e vile tanto da perdonare a quella sciagurata e rassegnarsi al suo disonore. Se così fosse, il mio partito è preso, gli trafiggerò col pugnale il cuore, come anche a sua moglie; essendo un vero servizio il purgar il mondo dagli scellerati e dai vili.» Quindi egli recossi dal gioielliere, e gli disse: — Avere una moglie, amico mio non è affare d’un istante e richiede molta pazienza. Voi sapete che noi portiamo il loro giogo, e, come dice il proverbio, sarebbero in cielo che troverebbero ancora il modo di farvici salire dietro ad esse. Perdonare, è atto meritorio agli occhi di Dio. Kamar-al-Zeman è vostro amico, e vostra moglie si pente di quanto ha fatto. Mostratevi generoso e perdonatele. Mio consiglio è che vi riconciliate. Se volete restare con me, mi farete grand’onore; se preferite tornate al vostro paese, vi darò il necessario al viaggio; [p. 333 modifica] calmate l’ira, ed andate a trovare vostra moglie. — Dov’è?» domandò Asti-Obeid. — Sin dall’arrivo di mio figliuolo,» rispose Abderahman«. «sta rinchiusa in quel padiglione che vedete laggiù. Ho cercato al figlio un altro partito, ed abbiamo oggi finito le cerimonie degli sponsali. Ecco la chiave del padiglione.» Il gioielliere la prese con giubilo straordinario, e Abderahman lo seguì di lontano, armato d’un pugnale ch’era risoluto di mettere in opra. Alla porta del padiglione, Qbeid udì la moglie gemere sul matrimonio dell’amante. — Non vi aveva io predetto prima,» diceva la schiava,», che la vostra relazione con questo bel giovane, finirebbe male? Ecco la ricompensa di tutti i sagrifizi che faceste per lui; non appena arrivata, vi fa incarcerare. — Zitto! sciagurata,» rispose la padrona, «preferirei languire di suo ordine, in un carcere, che vivere in libertà con mio marito. — Aspetta, infame!», gridò il gioielliere, e scagliatosi sulla donna, l’uccise al par della schiava. Poco dopo si pentì di essersi lasciato trasportare dal furore, e temendo il risentimento di Abderahman per aver commesso tal delitto in casa sua, stava per trafiggersi, allorchè lo stesso ospite, testimonio occulto di quell’atto, gli si gettò nelle braccia dicendo; — Ecco quello che si chiama trattare da uomo d’onore! io era deciso di trucidarvi, con vostra moglie e la schiava, se vi foste mostrato abbastanza debole da perdonarle. Ora siate il benvenuto in casa mia, e ricevete la mano di mia figliuola Stella-del-Mattino, sorella di Kamar-al-Zeman.» —

«Si sparse la voce che le due donne erano morte di morte naturale e vennero seppellite pubblicamente. Abderahman andò a trovare il mufti per annunziargli le nozze di Kamar-al-Zeman e di sua figlia in quello stesso giorno; il che in fatti ebbe luogo con grande

  1. Città dell’Egitto, all’ingresso del deserto di Siria, celebre per la pugna che i Francesi vi diedero ai Mamelucchi, il 19 febbrajo 1799. Fu pure nella medesima città che si sottoscrisse la convenzione per l’evacuazione dell’Egitto, al tempo della memorabile spedizione dell’esercito francese.