Le donne di casa Savoia/XXXIII. Maria Cristina di Savoia

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XXXIII. Maria Cristina di Savoia

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[p. - modifica] Maria Cristina di Savoia

(Venerabile)

Regina delle due Sicilie

1812-1835.

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XXXIII.

MARIA CRISTINA DI SAVOIA

Regina delle due Sicilie

(venerabile)

n. 1812 — m. 1835



Era la canna
Dal turbine già franta, e sotto ai morsi
Del livido colubro il fiorellino
Si sperdeva alla terra.

Prati


L
famiglia Sabauda viveva in Cagliari in umile e povero stato, allorché venne alla luce questa bambina. Suo padre e sua madre, Vittorio Emanuele I e Maria Teresa d’Asburgo, insieme a tutti i cognati, attendevano ansiosi la nascita di un maschio, che surrogasse quello perduto poco tempo indietro, e riconcentrasse in se tutti gli affetti e le speranze della famiglia,

sicché la di lei comparsa nel mondo, il 14 novembre 1812, fu una delusione.

Le fu padrino lo zio Carlo Felice, e madrina la moglie di lui, Maria Cristina dei Borboni di Napoli, che le impose il suo nome. Pure, malgrado i sogni che colla sua nascita aveva dileguati, essa nacque tanto bellina, graziosa e festosa, che la madre, dal bel prin[p. 416 modifica]cipio la idolatrò, e le sorelle le furono altrettante mammine amorose.

Eppoi la sua nascita aveva alla famiglia portato fortuna. Le sorti d’Europa, che andavano cambiandosi, riportarono Vittorio Emanuele a Torino, allorché essa non aveva che due anni; e l’anno appresso, al ritorno colà della Regina, i buoni e fedeli torinesi, dopo avere applaudito la sovrana, non potevano non sentirsi inteneriti, contemplando insieme alle due sorelle, nella carrozza del Re, quella minuscola personcina, graziosamente composta, quel volto di madonnina rosea e bionda, nella cornice del suo cappello bianco, che esultante guardava e anch’essa applaudiva.

Buona, obbediente, studiosa, laboriosa, cresceva come una bella rosa nei giardini di Racconigi, e a cinque anni si compiaceva tanto dei fiori, che la si vedeva trotterellare per le aiuole di quel ridente recesso, e con un piccolo annaffiatoio dissetare tante delicate creaturine che erano la sua immagine, e formarne poi mazzolini di cui compiacevasi ornare la madre e le sorelle.

Era anche molto ordinata. Nella sua stanza non si sarebbe trovato il più piccolo oggetto in disordine; sulla sua personcina tutto era inappuntabile; nei suoi lavorini l’esattezza e la precisione non erano gli ultimi pregi, e in tutto dimostrava, fino da allora, quella tranquillità di spirito di cui l’ordine è l’emanazione.

Calma, modesta, ritirata, non ebbe mai coscienza della elevata sua posizione, e quando ai suoi nove [p. 417 modifica]anni, nella notte del 13 marzo 1821, la madre riunì le sue tre figlie nella cappella privata del palazzo, ed annunziò loro l’abdicazione paterna, dicendo: — Il Re vostro padre ha abdicato e noi non siamo più che delle semplici particolari, ringraziamo Dio che salvi sono coscienza ed onore — la meno che si preoccupò della cosa fu certamente Cristina. Soltanto perchè vedeva tutti mesti intorno a se, mesta anch’essa eseguì l’ordine della madre e fece i suoi preparativi di partenza.

A Nizza, dove il Re abdicatario si ritirò, ella visse in seguito felicissima, idolatrata da tutti, festeggiata per l’ingegno facile e pronto; e circondata così da lodi e ammirazioni, ci voleva davvero immensa virtù per non invanire.

Intanto una delle sorelle gemelle, Teresa, si era maritata al duca di Lucca, e nell’estate del 1824 si recarono i genitori a visitarla, seco conducendo anche Marianna e Cristina. Ma quel soggiorno che ad esse piacque tanto, e che designavano lungo, fu invece relativamente breve, perchè il padre, sentendosi ammalato, volle tornare in Piemonte e ritirarsi a Moncalieri, dove poi morì.

Dopo quella dolorosa perdita, la Regina con le due figlie andò a stare a Genova, ospite prima nel palazzo dei duchi di S. Giovanni, poi in quello magnifico dei Tursi. Di qui in breve passarono a Roma, per assistere all’apertura del giubileo, e ivi si trattennero fino a quel maggio 1825. Vi ritornarono poi per la chiusura, il 21 dicembre, ma questa volta il papa Leone XII [p. 418 modifica]le volle sue ospiti nel palazzo del Quirinale, ben lungi dal pensare, l’uno e le altre, che quella sarebbe stata un giorno la Reggia della ringiovanita Dinastia.

E siccome Cristina era abilissima nella pittura, in questa occasione l’accademia di S. Luca volle il di lei nome nel proprio albo, facendo dolce violenza alla sua modestia.

La regale giovinetta era poi timidissima in tutto; un nonnulla la commuoveva e la faceva piangere, tanto che sua sorella Marianna le faceva spesso osservare che ciò era ridicolo alla sua età.

Questa stessa sorella così più tardi la descrisse: «Fino da fanciulla, ella era fornita di criterio e discernimento finissimo, cosicché interrogata esponeva i suoi pensieri con tanta semplicità e chiarezza, da farmene ammirare la rettitudine e la prudenza.» E confessa che essa stessa, talora, quantunque a lei maggiore, le chiedeva consigli.

Oltre agli studi comuni alle principesse, Cristina, per propria iniziativa, studiò filosofia, matematiche, fisica, astronomia, mineralogia, riuscendo in tutto benissimo, e di tutto facendo tesoro. Ballava poi benissimo e con trasporto, e ciò non deve meravigliare, perchè in lei non vi era la crisalide di una santocchia beghina, ma lo spirito di una santa illuminata e colta.

A Genova però si chiuse per lunghi mesi nella solitudine, e d’altro non si occupò se non d’assistere la madre che deperiva, e alla quale erano del pari dannosi i calori dell’estate e i rigori dell’inverno, e i me[p. 419 modifica]dici la volevano così riguardata. E forse fu allora che decise di farsi monaca se avesse perduta la madre.

Quindicenne, Cristina fu chiesta dalla Corte di Francia per sposa del duca d’Orléans, presunto erede della corona, ma alla Regina Maria Teresa, che era nipote di Luigi XVI e di Maria Antonietta, non sorrise quel progetto, e col pretesto della giovine età della fanciulla, rifiutò; mentre Cristina dichiarava che non voleva maritarsi prima della maggior sorella; e intanto si stimava felice di quella sua vita, divisa tra le cure per la madre e il lavorare pei poveri, a cui era pur larga di elemosine. La madre invece pensava con rincrescimento, che poteva morire senza aver collocate quelle due figliuole, allorché Marianna fu domandata da Ferdinando I Re di Ungheria, e più tardi, alla morte di suo padre Francesco I, Imperatore d’Austria.

Ciò fu causa di grande contentezza per Maria Teresa e per la fidanzata, e d’immenso dolore per Cristina. Il pensiero di doversi separare da quella sorella con la quale era sempre vissuta, l’opprimeva, e non poteva fissarcisi. Pianse e pianse calde e silenziose lagrime nel fare i preparativi per quel matrimonio, nell’accompagnare colla madre la sposa a Milano, nel separarsene!

Ritornata tutta mesta a Genova, si dedicò esclusivamente alla madre, e toccò a lei, poco tempo dopo, la dolorosa ventura di chiuderle gli occhi. Rimasta desolata da quella perdita, e trovando esserle impossibile, per varie ragioni, di unirsi con una delle sorelle, [p. 420 modifica]voleva addirittura farsi monaca. Ma il Re Carlo Alberto, capo allora della sua famiglia, pensò a lei, e tre giorni dopo che era rimasta orfana, essa partiva per Torino, da lui amorosamente richiamata, per rientrare in quella Reggia che bambina, aveva con suo padre abbandonata, e vivere ivi presso la di lui sposa. Il Re e la Regina volevano distrarne, coll’affetto, il dolore profondo e l’amarezza della solitudine. Carlo Alberto l’accolse a piè dello scalone e la guidò alla Regina, dinanzi alla quale la fanciulla s’inginocchiò baciandole la mano. Ma la Regina la sollevò e la strinse fra le braccia. Maria Teresa, giovinetta sposa, aveva scherzato sovente, in altri tempi, con le fanciulle figlie di Vittorio Emanuele I, e Cristina piccolina era stata la sua preferita.

In breve la giovinetta fu l’idolo della Corte, per la sua amabilità, e la Regina, che non aveva figlie, l’amò da madre e si occupò con zelo del suo felice avvenire. Ma poco stette essa alla Corte di Torino.

Ferdinando II Re delle due Sicilie, che fino dal tempo in cui i suoi genitori l’avevano incontrata a Roma pel giubileo, la ambiva in sposa, ne fece esplicita domanda. Il Re e la Regina non erano alieni dall’acconsentire, sapendola a Napoli molto desiderata, ma non volevano violentarla. Essa invece era addirittura recalcitrante, e per sottrarsi alle tante pressioni, che da ogni parte le venivano fatte, diceva ancora di volere essere monaca. Le sue due sorelle Teresa e Beatrice, fautrici di questo matrimonio, tenta[p. 421 modifica]rono in vano di persuaderla: lo stato di regina la spaventava.

Carlo Alberto per divagarla, e per togliersi ogni responsabilità circa la di lei decisione, le propose una visita alla di lei sorella maggiore, Beatrice, duchessa di Modena. Cristina accettò con riconoscenza, e si recò a Cattalo, presso Padova, dove quella era in villeggiatura, sperando in lei un valido appoggio. La Duchessa invece, che la voleva regina, la fece colà incontrare col suo pretendente, di passaggio per andare a Vienna, e le disse e le ripetè, che meglio della preghiera solitaria in un chiostro era l’esempio di regina virtuosa sul trono; e invece di santificare se in monastero, valeva più santificasse essa la Reggia.

Cristina scontenta e delusa, tornò dopo tre mesi a Torino, non recando al certo neppure buona impressione del suo pretendente: qui essa subì nuovi assalti, facendosi della lega fin lo stesso suo padre spirituale, e.... e il sacrificio fu consumato.

Le nozze ebbero luogo in Genova, nel palazzo ducale, ove il Re e la Regina accompagnarono la sposa, e dove, per la via di Roma e Toscana, venne Ferdinando II. Il 21 novembre 1832 ebbe luogo la cerimonia, senza pompa per il lutto della madre di Cristina, nel Santuario di Voltri, sotto una pioggia dirotta, non certo segnale di buon augurio, e si racconta che la principessa impallidì giurando. Tutti però erano esultanti, e la colmarono di lodi e di auguri. Le feste che seguirono furono stupende, ed essa, superato il [p. 422 modifica]momento fatale, cambiò, e apparve lieta e affettuosa col marito, certo ricordando il programma tracciatole, a proposito di quella unione, dalla duchessa di Modena.

Arrivarono gli sposi a Napoli per mare il 30 novembre, e vi ebbero un’accoglienza entusiastica, e la giovinetta Regina fu subito giudicata splendidamente bella. Alcuni vecchi, che videro l’una e l’altra, assicurano che essa aveva con l’attuale nostra gentile Regina Margherita molta somiglianza.

A Napoli, Maria Cristina trovò una famiglia numerosa e turbolenta, la suocera vedova e molti fratelli e sorelle del Re; e questa famiglia, il grossolano marito, le feste chiassose, l’aspetto della città, la natura degli abitanti, tutto tanto dissimile dalla famiglia sua e dal Piemonte, maravigliava la giovine Regina e la stordiva. Fino dai primi giorni essa fecesi ammirare in Corte per la coltura della mente, la dolcezza dell’animo, la nobiltà dell’indole, la grazia dei modi, ma fino dai primi giorni, ahimè, essa comprese che quello non era l’ambiente adattato per lei! E rinunziando ai sogni gentili di sposa amante ed amata, non vide dinanzi a se che il compimento della missione accennatale dalla sorella, e fu vincolo di pace fra la numerosa famiglia, e rifulse specialmente per virtù modeste e famigliari, anche perchè l’epoca in cui visse non le diè agio di spiegarne altre più umanitarie.

Si compiacque assai del soggiorno di Caserta, ove, negli ameni giardini e nel parco, riprendeva le abitu[p. 423 modifica]dini della sua fanciullezza, e vagava all’infinito coltivando e cogliendo fiori; ma non vi era più sua madre a cui far dono dei suoi mazzolini! e le sorelle erano tanto lontane!

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Le sue virtù, come il profumo di soave fiore, si diffusero ben presto anche fuori della Reggia, e la sua inesauribile carità sopratutto, rivelandola, le guadagnò tutti i cuori. Le popolane stimavano buona ventura l’incontrarla, ed ogni fanciulla che nascesse sia nella classe elevata, sia nel ceto più basso, veniva chiamata in suo onore Cristina, e dicevasi ai genitori per augurio: «Possa addivenire buona e santa cume la nostra Reginella.»

Tra i suoi molti atti di dolce virtù citiamo questo: Osservò un giorno che il palafreniere, il quale precedeva la sua carrozza, rimuoveva il popolo, che le si affollava intorno, col frustino. Essa fece immantinente fermare i cavalli, e disse che da quell’istante nessuno più adoperasse un tal mezzo per far largo, e volle che nelle popolose vie della città la sua carrozza procedesse sempre al passo.

Nel giorno onomastico e nel compleanno del Re, Cristina aveva preso il costume di offrirgli un lavoro delle sue mani, coll’augurio di ogni bene; e quindi modestamente aggiungeva, non per vanagloria, ma perchè si credeva obbligata a non far nulla di nascosto:

— Ma ho fatto qualche altra cosa per voi; ho fatto distribuire ai poveri quattromila ducati, perchè preghino per la vostra felicità. [p. 424 modifica]Ricca, anche rapporto alla sua nascita principesca, non aveva mai denari sufficienti per sovvenire tutte le miserie che correvano a manifestarsi a lei. Giunse perfino a lavorare e vendere i suoi ricami per accrescere il gruzzolo delle sue beneficenze, ma le richieste aumentavano ogni giorno, e gli amministratori s’impensierivano della sua prodigalità. Oltre il dare, che non è sempre bene, essa fece il bene vero in altro modo. Fondò case per le orfane, ed altre ne mantenne negli istituti già esistenti. Pensò a tutti i mezzi per dare uno sviluppo all’industria, all’ingegno, alla operosità dei suoi sudditi, e lavorando essa stessa mostrò che né la potenza, né la ricchezza valgono a scusar l’ozio. Spronò l’amor proprio degli industriali, preferendo, e con lei la nobiltà tutta, i prodotti paesani agli stranieri; e sollevò i poveri facendoli lavorare in oggetti che poi dava in elemosina. Promosse in Napoli un primo saggio delle industrie del regno, e vi si spese intorno con ardore. Insomma questa mite creatura spiegò uno zelo, un’attività ed una filantropia così grandi, che niuno li avrebbe indovinati, e che, mentre valsero di esempio colà dove nulla si era mai fatto di simile, servirono anche ad appagare il suo cuore, invano anelante di amore e di carità.

Più tardi patrocinò un’altra mostra in Sicilia, che fu fatta in suo onore quando si recò nell’isola col marito. Risvegliò anche l’industria della seta, quella degli smalti, ecc.: insomma se ella fosse vissuta, coll’impulso suo, e l’affetto che il popolo le portava, chi sa [p. 425 modifica]quale sviluppo avrebbe preso l’operosità napoletana. S’informava delle sventure commerciali e vi riparava; ma molte famiglie soccorse a tempo, non seppero a chi dovevano la loro redenzione, se non alla morte della Regina; e ciò anche avvenne per certe povertà soccorse con pensioni mensili, perchè vennero a mancare con lei.

Zelante della morale religiosa e pubblica, vestiva modestamente, non voleva scolli indecenti, e lo impose coll’esempio alle sue dame, giungendo fino a proibire la diffusione di un suo ritratto, in cui la si era abbigliata in un modo per lei inverecondo. Cristina si rifiutava di andare al teatro quando ciò che si dava non era corretto, e le vesti delle artiste lascive; e vi avrebbe rinunziato addirittura, se non le avessero fatto comprendere che quel luogo di divertimento dava pane a molte famiglie. Ed anche se si decise a sfoggiare per se un certo lusso, fu per la stessa osservazione.

Vedemmo Cristina, principessa romita in Cagliari, Torino, Moncalieri, Nizza, Genova, più felice fra i fiori dei suoi giardini che nei circoli di Corte, più lieta di tener compagnia alla madre, che di recarsi a passeggio, e la donna e la regina non smentirono la fanciulla e la principessa. — Dicono che col suo contegno rigenerò Napoli; ma ahimè che la sua vita fu troppo breve, per compire tal vasta e faticosa impresa!

Palermo desiderava conoscere la sua Regina, e il 19 giugno 1834 essa vi giunse finalmente col marito, accolta con entusiasmo indescrivibile, per le vie ornate [p. 426 modifica]in suo onore di rose e di bianchi panneggiamenti. Dalla reggia dei Normanni, ove soggiornò, visitò le memorie storiche e mistiche della capitale, la tomba di Santa Rosalia, la Grotta del monte Pellegrino, il mausoleo di Ruggero I, la badia di Monreale, ecc. Era artista, colta, devota, e tutto la interessava. Visitò stabilimenti industriali, istituti, ricoveri; largheggiò con tutti, e la sua partenza fu desolazione generale. Palermo, che durante la sua permanenza rigurgitò sempre d’altri isolani, il 2 agosto, giorno della di lei partenza, aveva triplicata la sua popolazione.

Ritornata appena a Napoli, cadde ammalata di languore. Propostole per rimedio il soggiorno di Caserta, dopo alcuni mesi parve riavuta, e l’esultanza generale fu quale ne era stato l’abbattimento. Ma non era che apparenza. Le discordie del Re colla famiglia, ch’ella non poteva capire, l’amareggiavano e ne limavano la delicata salute, perchè nell’udire le parole plateali che fra loro si scambiavano quei suoi rustici parenti, alcune delle quali toccarono talvolta anche a lei, si sentiva morire.

Finalmente si conobbe madre! Ma ahimè, allora essa presentì la sua fine, e calma vi si preparò, ordinando tutte le cose sue. Avvicinandosi il desiderato avvenimento il Re andò con lei nella villa di Portici, perchè potesse godere più calma silenziosa; ma il popolo bramò che l’erede fosse napoletano e fu pregata di tornare a Napoli. Questa partenza essa stessa l’annunziò così alla sorella, duchessa di Lucca: «Questa [p. 427 modifica]vecchia va a Napoli per lasciarvi la vita:» — E alla sua diletta Marianna, scriveva: «Io mi morrò, e voglio lasciare alla mia Maria Anna la cosa più cara che io abbia» e con la lettera le inviava alcuni disegni fatti dal loro padre, da lei fin allora gelosamente conservati.

Il 16 gennaio 1836 Cristina fu felicemente madre di un principe, il duchino di Calabria. Tutta la città ne esultò con la Reggia: le feste, le illuminazioni, si succedevano senza interruzione, mentre la madre implorava che ogni benedizione fosse rivolta sul suo piccolo Francesco (II). Otto giorni dopo però, il male che prima aveva minacciato Cristina al suo ritorno di Sicilia, ricomparve, si aggravò, la pose in pericolo. Allora volle benedire il figlio, cagione innocente della sua morte, e al mezzogiorno del 31 gennaio, cercando il marito, che per una ridicola compassione le vietarono di rivedere, volò alla vera sua patria.

Quando la flotta sarda, partitasi da Genova d’ordine di Carlo Alberto, gettava le ancore nella rada di Napoli, per recare alla gentile le congratulazioni della famiglia per la nascita dell’erede, essa non era più se non che un angiolo in cielo!

La spoglia di Cristina fu deposta in Santa Chiara, nelle tombe dei Reali di Napoli.

In breve il pubblico dolore cagionato dalla morte di lei, si svolse in un sentimento di ardente venerazione, e non la si chiamò più che la Santa. Così per voce di popolo le fu riconosciuta quella suprema virtù, e in [p. 428 modifica]torno alla sua tomba ogni dì crebbe la folla per pregarla, tanto che venne la necessità di rimuoverla e darle un posto a parte. Quando si fece ciò erano scorsi diciassette anni dalla sua morte, e aperta per causa del trasloco la cassa in cui stava rinchiusa, fu trovata la sua spoglia intatta. Collocata nella stessa chiesa in monumento separato, il concorso si accrebbe ancora, e molti asserivano che il di lei spirito, da loro implorato, aveva fatto delle grazie. Tra questi vi furono la Regina Maria Adelaide di Savoia, e la sua suocera Maria Teresa, che diceva: «Cristina è in paradiso, e mi ha già fatto delle grazie.»— Crescendo sempre la sua favorevole intercessione presso Dio, per chi la pregava, anche fuori di Napoli, furono finalmente fatte le pratiche per riconoscerla venerabile, e Papa Pio IX, udito il parere unanime della congregazione dei Riti, alla quale è affidato l’esame dei documenti che corredano tali domande, il 9 luglio 1859 sottoscriveva il tanto atteso decreto.