Novelle lombarde (Cantù)/Agnese, o la veglia di stalla

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Agnese, o la veglia di stalla

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Agnese, o la veglia di stalla
Di varie feste Gioconda
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AGNESE

o

LA VEGLIA DI STALLA


Quando gennajo copre di nevi o di brine le campagne, e tutto ringhiaccia alla buffa del tramontano, e sugli ispidi stecchi degli alberi non si fa intendere più che lo stormire dei passeri a folate e il crocitare dei corvi, sogliono i contadini temperar lo stridore della stagione facendo crocchio nelle stalle; e a quel tepore animale lavorando, discorrendo, pregando, dispensare i giorni melanconici e le interminabili serate. Le vecchie già vi si sono crogiolate, non appena al mezzodì si furono refiziate col povero desinare; e poichè alquanto ebbero adoperato la striglia contro il tale e il quale, volentieri si rifanno sui casi di loro gioventù, quando, a sentirle, il mondo camminava così diritto, così allegro, così onesto; rammemorano le persone con cui vissero, o che ora da un pezzo dormono tra i più; e come predicava il curato, antecessore dell’antecessore del presente; e come l’andava innanzi che capitasse il Buonaparte; e del tempo [p. 268 modifica]quando v’erano tuttora le streghe e le paure, che ciascuna di esse ha veduto, ha udito cogli occhi, cogli orecchi suoi proprj. L’una rammenta quel palazzotto poco discosto, ove guai che alcuno si fosse arrischiato di dormire, perchè, sulla mezzanotte, vi correva di sù di giù la fantasima con grande fracasso di catene, dopo che il diavolo se n’era, corpo ed anima, portato via il padrone, il quale era così ingordo avaro, che in una gran carestia avendo ammassato di molto grano, e poi essendone scaduto il prezzo, per disperato s’appiccò.

— Io non so darmi pace (così dice la Simona, vecchia impresciuttita e rubizza) di certuni, che queste cose non le vogliono credere. E in castello? Al tempo dei tempi vi stava un cavaliero, che aveva una moglie, ma delle belle che si potessero vedere con un par d’occhi. Ora, venuto geloso d’un bel paggetto, un giorno egli lo fece squartare, gli cavò il cuore, e bell’ e fritto, quel cuore lo imbandì alla sua signora. Quando la signora se n’è occorta, si traboccò dalla finestra nella fossa. Il cavaliero poco dopo fece anche lui cattiva fine; e per questo, Iddio ci guardi dal commettere omicidj. Io stessa, non conto ciance, io stessa ho veduto, una volta come mille, un uccellaccio strano, che aveva la forma d’un ferro di lancia, aliare sulla sera attorno attorno ai merli del castello, ed era l’anima di quel cattivo.

— Ma (interrompe comar Giuditta, mentre sbracia il veggio) dopo che vi alloggiarono dentro i Giacobini, quell’uccellaccio non s’è lasciato più vedere come non ci s’è più sentito in palazzo.

— Uh! coloro» torna su la Simona: «erano [p. 269 modifica]frammassoni, senza nè legge nè fede, che si ungevano gli stivali coll’olio santo, e giocavano alle palle colle teste dei preti.

— L’avete visto voi anche questo?» domanda un’ingenua ragazzetta, che, sopra un sediolino, sta tutt’orecchi a que’ paurosi racconti.

— No», risponde l’altra: «ma lo dicevano tutti: e questo poi è frumento secco, che non andavano a messa neppure la festa».

— E sì, la festa bisogna rispettarla», aggiunge biascicando le parole la sdentata Teresa.» E voglio dirvi questa, che mi contò, deh quante volte, frà Spiridione buon’anima sua. Che, quando si fabbricò il loro convento, avevasi a portare un masso smisurato, da collocare per fondamento al campanile. Sicchè il padre guardiano, il quale era un sant’uomo, pregò i terrazzani che la domenica venissero con tutte le leve, i carri, i bovi a trasportarlo. Si trattava di un’opera in servizio di santa Chiesa, eppure quei buoni villani risposero, — Riverenza no»; e che sarebbero piuttosto andati il lunedì, prima che cominciasse la giornata. Sapete che? quando comparvero, il padre guardiano si fece loro incontro e disse: — Buona gente, ecco fatto: il Signore, per chiarire come gli sia gradita la devozione che avete al suo giorno, ha voluto far un miracolo; e mostrò loro..., indovinereste? quel ceppo, che così massiccio com’era, di per sè erasi levato dal suo posto, e collocatosi dove aveva a stare, nè più nè manco.

— E l’han creduto tutti?» domandava la bambinuccia.

— Mi fai giusto da ridere», ripiglia la vecchia, [p. 270 modifica]«Non volevi che si credesse una cosa tanto straordinaria?»

Qui comar Giuditta entra dicendo: — E fu durante la fabbrica stessa, io credo, quando v’era quel converso, il quale faceva di si spessi miracoli e sì strepitosi, che, per toglierlo dal rischio di levarsi in superbia, il padre priore gli intimò di non farne più senza sua permissione. Ora, mentre il converso stava guardando a murare, ecco si fiacca un palco, e un muratore casca giù fin dal tetto, — Ajuto, frà Vincenzo», gridò il meschino. — Ajuto». replicarono maestri e manovali. E frà Vincenzo tutto cuore avrebbe voluto egli fare su’ due piedi un miracolo, ma n’avea la proibizione, onde stesa la mano, gli gridò: — Férmati, tanto che io corra a domandarne licenza». E corse; ma il miracolo era bell’ e fatto, perchè colui si fermò a mezz’aria, come fosse stato in piana terra.

— Eh, i frati!» attacca un’altra sospirando. «Del gran bene facevano i frati. Tutto il dì, tutto l’anno mai non facevano niente, per poter pregare anche per quelli che non pregano, e massime per noi villani, che, costretti a faticare il giorno intero, non ci avanza tempo da dare a Domenedio.

— E i benefizj che compartivano, dite poco?» È la Simona che parla. «Mai non venivano alla cerca, che non regalassero o una coroncina, o un santino, od almeno non benedicessero il mal di madre, i figliuoli ammaliati, e scongiurassero i bruchi e le formiche.

— E voi cosa davate loro?» chiede quella tal ragazzina.

— Oh, un poco di tutta quella grazia di Dio che [p. 271 modifica]si coglieva. Caspita! non erano state le loro preghiere che l’aveano salvata dalle brine e dalla gragnuola? Ma non si portava mai al convento una coppia di polli o qualche stajo di grano, che non ci ricambiassero or coll’insalata, or con le carote... Che sgrigno è cotesto? Chiaccherina! porta rispetto chè di fame allora non moriva nessuno, e il Signore faceva andare sempre co’ fiocchi la campagna: il melgone si comprava a otto lire il moggio, e la gente non era così spessa. E quando d’un figliuolo non si sapea che cosa farne, c’era dove collocarlo: e se il marito o la suocera ci facevano mandar giù degli stranguglioni, si aveva dove andar a vuotare il sacco e chiedere un parere.

— Voi non dite male, no Simona»: così la Teresa. «E vorrà forse essere per altro, ma quest’è un fatto che allora non si pativa di tante malsanìe. Confessate in verità vostra: vi ricorda che, da qui indietro, si parlasse tanto di catarri, di reumi, di tutti questi acciacchi che ora non si dice altro?»

— Quanto a questo», rompe il ghiaccio la Betta, che di tutte è la più sufficiente; «ho sentito io soggetti che la sanno lunga, assicurare che la causa n’è l’innesto del vajuolo vaccino. Non parliamone nè anche di quello scandalo d’innestare una bestia, e una bestia di quella fatta, sopra i ragazzi e peggio sulle bambine, che è forse per questo che non hanno ancora gli occhi rasciutti, e già le pajono così maliziose. È bensì vero che molti morivano, molti rimanevano conci nemmeno da vedere; però era uno spurgo necessario come tant’altri, e dopo si campava sani come acciajo. Ora hanno voluto andare contro a quello che veniva di lassù non so che dire: tal sia di loro».

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Fra questi e simili discorsi fatto notte, sopraggiungono vispe, leste le più giovani, e dietro ad esse i garzoni, moscheggiando, barzellettando, soffiando sulle mani aggranchite ed esclamando: — Oh che freddo». Allora così al bujo, è un via vai, un passerajo di cento voci che una soverchia l’altra, una l’altra interrompe; onde se tu volessi trovarne il filo, oh va raccapezzare quel che si ciancia sur un mercato. Dispongono quindi i trespoli e gli scanelli, e cominciano ad acchiocciarsi, a quetarsi. E la Savina, dopo aver allegramente contato quel che fece, quel che disse, quel che intese fuori per la giornata, piglia la rocca, e sbattendo il pennecchio del lino, — Su via (dice) facciamola finita; è ora d’accendere il lume e lavorare, se ho da ammanire il corredo della biancheria per quando mi fo sposa». E, nel dire, stazzona col gomito un giovinetto che le sta a spalla.

— La lingua batte ove duole il dente, n’è vero?» scappa fuori una camerata invidiosetta. «Oh, si sa bene che hai l’innamorato.

— Ah ah!» ride la Savina. «Chi? io? ti par egli? sei pur la dabbene! Così fosse! Ma chi vuoi che mi musi? Ha da venir neve rossa.

— Sì, sì», insiste l’altra; «Non farmi la forestiera. Non t’ho forse io scorta jeri quando andavi per acqua, eh? Egli ti pedinava, e che paroline t’ha detto? Oh, se mi tocchi, squatterò io gli altarini. Scomettiamo....

— Neanche un quattrin bacato», interrompe la Savina. «Io non me ne ricordo niente. Sarà stato un caso... E poi... se anche fosse, c’è del male? Han fatto così anche le nostre madri, sicchè...

[p. 273 modifica]— Adagio, adagio», salta la Teresa, «Io so che le vostre madri avevano più giudizio di voi, farfarelle; e, non fo per dire, ma si era belle tanto e più che voi. Eppure si sposava quello che i parenti proponevano, delle volte senza nemmanco avergli parlato; si facevano le cose come andavano fatte; e non si cercava alla fine che di adempire le intenzioni di santa madre Chiesa.

— Non c’era tanta premura d’andar a marito» aggiungeva una pulzellona di cinquant’anni. «Ma ora voi altre non avete appena i venti, e già vi puzza il fiato, e parlate d’amore, frasche!

— Tempo passato perchè non ritorni, eh?» ripiglia la giovane «sempre fu sole e nugolo, grano e loglio. Però, dico io, noi del male ne farciamo noi?

— Questo non si può dire», piglia la parola comar Giuditta. «Ma in tali faccende non si va mai cauti che basti, perchè il primo scapuccio, Dio sa dove porta. L’è giusto appunto come quando i puttini scivolano sul ghiaccio: presa una volta l’andata vatti accatta dove si fermeranno. Ve l’ho ben raccontata, eh, la storia dell’Agnese?

— No, no», replicano le giovani per una bocca «Contatela, comare: contate la storiella»; e così al fosco, colle mani sotto al grembiule, se le stringono più da presso per ascoltarla. Essa comincia: - Era l’Agnese una fanciulla, bella come una immagine, tenera come latte spremuto, ma anche dabbene, che, chiedete e domandate, neppur le vicine poteano dirne altro che lodi. Le era morta sua mamma mentre era ancora d’otto o nov’anni, ed essa appena cresciuta un poco, tirava innanzi la casa e [p. 274 modifica]la bottega con tanta capacità ed amore, che suo padre non sapeva finire di dirne, e le ripeteva: — Tu sarai la mia consolazione». Udirete che pezzo di consolazione.

In que’ tempi la devozione era molta più d’adesso: e la sera del giovedì santo si costumava una bella processione, dove i garzoni e le giovinette rappresentavano il mistero della Passione, coi Giudei, con Pilato, e il Cireneo che ajutava nostro Signore, e le Marie che lo piangevano, e tutto. L’Agnese si vestiva da Maddelena, perchè l’aveva la più ricca treccia di capelli, che lasciava cascare sulle spalle; e quanti la vedevano esclamavano: — Oh la bella Maddalena!

Viveva allora nello stesso villaggio un tal Sandro, un garzonotto così d’un vent’anni, non somigliante a questi tisicuzzi d’oggi, fatti di calza disfatta; ma un pezzo d’uomo, ben formato e ben fondato, con due bracciotti da vangar una vigna da sè a sè. In quella processione egli figurava da Giudeo, e toccandogli di stare a fianco della Maddalena per tenere dietro colla lancia la folla, cominciò in quell’occasione adocchiare l’Agnese, ed essa lui. Poi, quando in appresso si scontravano per via, essa diventava rossa come una ciliegia, ed egli, passandole a lato, la pigiava un pocolino col gomito: pigiarla; che male c’era? Cominciarono poi a farsi motto; esso le presentò qualche volta un garofano, e lei lo accettò: — Che male fo io?» diceva tra sè.

Venuta poi la state, qualche sera egli pigliava la sua brava zampogna, e su e giù sonandola girellone per la via dove l’Agnese stava di casa. Faceva caldo, ed essa, tanto per godere una boccata d’aria, si [p. 275 modifica]metteva un po’ sul balcone. Quand’egli passava sotto la salutava colla mano. Sulle prime ella non mostrò di vedere, poi non stette al martello, e fece anch’essa altrettanto: alla fin dei conti che male c’è?

Una sera egli la chiamò in basso tono, e — M’occorre di dirvi una parola». — Ditela pure», essa replicò. — Ma volete? qui così dalla strada? Fatevi abbasso». — Non posso», rispose ella; «c’è il mio babbo».

Al domani il babbo non c’era: ella discese a sportello, mise fuori la testa, ed ascoltò. Ma il discorso non potè terminarsi quella sera, e al giorno appresso, poi l’altro, e l’altro, sempre egli aveva a ragionarle di qualche cosa; e poi quando ella era dabbasso, non si ricordava più, e bisognava riportarsi al giorno seguente.

Di tutto questo non aveva ella fatto confidenza se non ad una vicina, che si chiamava la Bia, una buona pastocchiona, di quelle che credono tutto bene, e che, invece di darle una lavata di capo come va, le diceva: — Gli è un dabben ragazzo: se fa per di buono, puoi aver trovato la tua fortuna, e ringraziare Iddio d’aver dato il capo in un buon muro. Guardati però dal far del male, perchè altrimenti il Signore castiga con de’ guai grossi ma grossi».

A questo modo tiravano innanzi i due innamorati; poi una sera parve che quello star li in sulla soglia non fosse che un far bella inutilmente la piazza. Il padre non c’era; era andato alla fiera di Bergamo: ond’ella tolse dietro Sandro, e chiusero la porta. Non aveano fatto che entrare quando si seute battere trafelato al picchietto della porta. — Oh signor Iddio! chi sarà mai? Scappate.

[p. 276 modifica]— Non si può.

— Nascondetevi.

— Ma dove?»

All’Agnese non suggerì altro nascondiglio migliore che farlo raggricchiare alla meglio in una cassapanca, che teneva da piè del suo letto. Poi corse alla porta e domandò: — Chi è?

— Chi vuol che sia? sono tuo padre»

Essa tirò il catenaccio, e li sui due piedi inventò una di quelle fandonie che voi ragazze sapete così bene, per iscusare il ritardo e la confusione, che anche un orbo le avrebbe letto in viso. Ma suo padre, che le voleva un bene all’anima, ed avrebbe trovato per lei il latte di gallina....

Ma ora che mi ricordo, bisogna che torni un passo indietro, e vi dica che, quando sua madre era grossa di lei, entrando una volta in casa, trovò accoccolata sul focolare una vecchia, brutta, magra, stenta, con una faccia grinza come pesche alide, che non prometteva niente di bene; abbrezzava tutta e batteva i denti come una gru. S’appose che quella doveva essere una strega; e dandosi a gridare a quanto gliene usciva dalla gola, tolse la scopa di dietro l’uscio e a colpi la cacciò. Non l’avesse mai fatto! Quella befana, voltatasele contro con due occhi di basilisco, e facendole una croce sul ventre, rantolò:

— Che quel che tu porti possa essere anch’egli scopato».

Ora per seguitare.... Ma dove sono restata?... Ah, mi rinvengo. Suo padre dunque, che avrebbe fatto per lei moneta falsa, la salutò tutto grazia, la trasse in camera, e quivi sedette sulla cassa appunto in [p. 277 modifica]cui era chiuso quell’altro: e le cominciò a narrare della fiera, d’un mondo di gente che ci aveva; Tirolesi con cinture di cuojo trapunte e cappellacci lunghi come ombrelli; Turchignotti col mammalucco e la barbaccia e le bracacce; d’un Savojardo che mostrava la gran bestia; d’una zingara che contava la ventura; poi seguitava informandola del quanto avea comprato il sapone o i vomeri e le coltri di lana; e perchè fosse tornato un giorno prima, e d’altre cose d’egual importanza. Ma l’Agnese, che avea tutt’altro per il capo, stava a cento miglia, e rispondeva sì o no a braccio, e come veniva veniva. Ond’egli le domandava: — Di’ su, hai sonno eh? Anch’io. Via, cuocimi due bocconi da cena».

Lesta lesta gli friggeva essa una coppia d’uova, e non vedea la sant’ora di metterlo a dormire. Ma egli sarebbesi detto che faceva apposta a temporeggiarsi, contando, ripetendo, addomandando.

Basta! quando Dio ha voluto, egli se n’andò. L’Agnese, che era stata come in croce, sente allargarsi il cuore; si chiude in camera, corre alla cassapanca, dà una voce all’amico... e, non risponde. — Che dorma?» Gli alza un braccio, ricasca. Gesummaria! gli tocca la fronte... è fredda marmata. Che serve? era morto soffocato.


.... corre alla cassapanca, dà una voce all’amico.... e’ non risponde. — Che dorma?»


Come allo sdrucciolare d’un ghiacciuolo per le reni, così la pelle s’accappona alle ragazze, intente al discorso di comare Giuditta, ed esclamano: — Morto? soffocato? O santa pazienza!» Che se da prima avevano tenuto gli occhi desti, credendo che la storia dovesse riuscire al solito scioglimento, ora, raddoppiando d’attenzione, socchiuse le bocche, sporgono i menti verso la narratrice che il bujo [p. 278 modifica]impedisce di vedere; e la Savina ritira la mano, che, col favore dell’oscurità, si era, senza accorgersi, lasciata stringere nella mano del giovinetto.

Tanto un pochettino d’orrore giova a crescere l’interesse, sia in una panzana da veglia, sia in un racconto da album o da strenna. E la vecchia dello stesso tono proseguiva:

— Quale restasse l’Agnese, voglio lasciarlo pensare a voi. Lì, sola, con un uomo morto; lei che prima sarebbe svenuta di paura a vederne uno anche di lontano: e questo uomo era il suo damo: era morto allor allora; morto in grazia di lei, e, quel ch’è peggio, senza neppur confessarsi. Gridare non poteva: suo padre era lì muro a muro, tanto che nemmeno osava piangere: smaniava, stracciavasi i capelli, s’abbandonava sul caro corpo, baciava livide e assiderate quelle labbra, che vive non avea baciato mai; e l’inondava di lagrime silenziose. Si provò di levarlo fuori; oh adesso! pesava il doppio di lei: appena che potesse muoverlo, e la cassa era fonda. Lo spruzzava d’acqua diaccia, gli dava ad annusare aceto, gli scaldava dei panni sul cuore: tutto incenso ai morti.

Che farà? Se lo sa la gente, Dio ne liberi! Chiamare suo padre? Cosa direbbe mai? aver tirato in casa un giovane, averlo ammazzato!

Non le soccorrendo miglior partito, risolve d’andare per ajuto alla Bia sua vicina; essa conosceva già quell’intrigo; le teneva anzi la corda. Piano piano adunque schiude l’uscio, sguiscia fuori: le ginocchia le si piegavano sotto, come avesse avuto tre mesi la quartana. Monta per la scaletta, e — Bia! Bia!» domanda.

[p. 279 modifica]— Che chiami, Agnese? caspitere! di quest’ora?

— Zitta, e aprite per carità!»

Poi come fu dentro, piangendo, sbattezzandosi, le rivelò il caso.

— Morto! Sandro!» andava quella replicando, e spalancava gli occhi, torceva le mani, se le cacciava nei capelli.

— Sarà forse solamente svenuto.

— Magari!» soggiungeva la fanciulla. «Venite dunque per carità! per amor di Dio! venite, soccorretemi».

La Bia si trasse a compassione, e andò da lei. Già suo marito non era pericolo che tornasse a casa, perchè era un ubbriacone, che non lasciava l’osteria se non quando ne lo cacciavano. Va dunque alla camera, osserva anch’essa, brancica, muove, solletica: — è proprio morto, morto stecchito.

Tutto questo si faceva a chetichella in peduli, spiegandosi a gesti, senza trar fiato, per timore che il padre non sentisse. Ma stracco del viaggio, questi aveva attaccato, senza bisogno della nanna, e presto fu sentito russar della bella. Visto dunque inutile ogni tentativo, la Bia diceva all’altra — Calmati; che vuoi? Quel ch’è fatto è fatto. Ora bisogna pensare a rabberciarla, non a fargli il pianto. Qui non c’è altro. Leviamolo fuori; portiamolo sulla strada, e lasciamolo lì. Il primo che passa lo troverà, e dirà che cascò d’un accidente.

— In istrada! gettar là così il mio povero Sandro? come un cane? ed è morto per me! Io no, io no». E se gli buttava sopra, e piangeva e singhiozzava, convulsa, spasimante replicando pure, — Io no, io no».

[p. 280 modifica]Onde la Bia stringendosi nelle spalle, — Allora non so cosa dire: pensaci tu, e chi s’è visto s’è visto»; e faceva viso d’andarsene. L’Agnese la richiamava, la rimboniva, tornavano a consultare, e la risoluzione era sempre le stessa: onde trovandosi così tra l’uscio e il muro, anche l’Agnese dovette acconsentire. Fra tutte e due a stento lo cavarono fuori, e chete chete strascinatolo in sulla via, più lontano che poterono, rivennero ciascuna a casa sua.

Che notte per l’Agnese! Altro che le passate, quando, appena giù, dormiva per ore ed ore della grossa senza un pensiero al mondo, oppure fra pensieri sereni, giulivi, sinchè svegliavasi col nome del suo Sandro sulla lingua. Ora, altro che dormire! se una pulce basta a tenerci sveglie, figuratevi, ragazze, con questo posolo sul petto. Lì, presso quella cassapanca, con sugli occhi irremovibile quel cadavere, che smanie, che batticuore! Si gettava di qua, di là pel letto: si copriva sotto le coltri: si tappava gli occhi, gli orecchi; ma sempre le pareva di vederlo; sentivasi ancora sotto alle mani, sulle guance, alle labbra il tocco di quel gelo innanimato. — Ma chi sa? forse quello non fu che un male, uno svenimento passeggiero: si sarà riavuto, tornato a casa sua, e domani lo vedrò ancora. Che consolazione, rivederlo vivo!.... Ma.... che gli dirò? averlo gettato fuori a quel modo?» E raddoppiava il pianto, come cresce la pioggia dopo che un lampo rischiarò per un momento l’oscurità. Poi aveva da venire la mattina: la voce si sarebbe sparsa: suo padre comparirebbe, o non poteva non accorgersi dello stato di lei. Cosa dirgli? come scusarsene? [p. 281 modifica]come contenersi con chi le racconterebbe la morte del povero Sandro?

Di fatto la mattina buon’ora si sente un pissi pissi, un via vai per la strada, un visibilio di congetture; il padre s’affaccia alla finestra e domanda: — Che novità c’è?»

— Non sapete?» risponde uno che passava. «Hanno trovato morto Sandro».

— Cosa mi dite! ammazzato?»

— Mai più: non ha nessuna ferita, non gli hanno tolto i soldi; deve essere stato un colpo d’apoplessia. Povero giovane!» e tirava innanzi.

Il padre corse alla camera della figliuola. Che coltellata per lei allorchè sentì tirare il catenaccio! Sforzatasi a dissimulare, quando esso le contò l’occorso si finse nuova di quel caso, ma non potè a lungo tenersi di non rompere in un pianto dirotto, e dare sfogo al crepacuore represso. A suo padre parve quel cordoglio fuori di misura, pure pensò fra sè e sè: — Bisogna che fosse un po’ briciolata di lui», tanto più che, uscendo, intese dirsi dalla gente: — Porterà il bruno, eh, la vostra Agnese, che gli parlava!»

Ma l’Agnese, dopo una tale batosta, non è più quella. Non le dà il cuore di lasciarsi vedere attorno, onde in casa a piangere, a strillare. Se sta su, tutto le fa ricordare di lui: se si corica, non vi dico altro. Guai se un mobile scricchiola di notte! guai se ode sbatacchiare una finestra! guai se un cane ulula per la strada! Passano e passano giorni, ma il dolore non si disacerba. Suo padre, che la sente ogni tratto mettere singhiozzi da soffocare, le dice: — Ti compatisco: gli volevi bene, [p. 282 modifica]eh, a Sandro? perchè non me n’hai fatto motto ma ora, che vuoi crepargli dietro?» Si dava ad intendere di consolarla, ed era come se scarificasse una piaga, fresca tuttavia e sanguinente: onde ella dava in nuovi scrosci di pianto, e diceva cose che nessuno la capiva. La gente, vedendola così accorata, la lodava di fedeltà; alcune tolsero a confortarla, pensando più al ventre che al cuore, come fanno spesso le comari; molti ragazzi dicevano alle loro belle: — Badate mo l’Agnese. Quello si chiama voler bene. Ma voi, se io morissi, vi voltereste ad un altro; e chi n’ha avuto n’ha avuto; è vero?»

Unico ristoro le era la Bia. Con lei si cavava la voglia del piangere; con lei diceva quel che le passava in cuore, quel che doveva nascondere a tutti gli altri! con lei andava al camposanto a recitar il rosario per quella pover’anima. Ma poi se la pigliava anche contro di essa, la riguardava come il solo testimonio del suo delitto; come un essere da cui dipendeva il renderla la più misera delle creature: e tremava che, un giorno o l’altro, potesse manifestarla. E per quanto si sforzasse in vista di far la disinvolta e accarezzarla e tenerla colle belle belline, dentro se ne rodeva, e tutto quel che la Bia facesse, lo prendeva per traverso. La udiva cantare? le pareva insultasse al suo dolore. La vedeva parlacchiare con qualche altra? ne entrava in gelosia. Sentiva zufolarsi le orecchie? — Sarà la Bia che rinvescia tutto». Lo parlava talvolta di quel povero figliuolo? — Lo fa a bella posta per rinfrescarmi il dolore». Se la Bia diceva, — Tienmi i ragazzi finchè io vada al mulino o a risciacquar il [p. 283 modifica]bucato», — Ecco (pensava ella) fin da serva la mi fa fare». Se le cercava un pugno di sale, — Due» rispondeva; ma fra i denti brontolava: — La si vuol far pagare perchè non soffii». In ogni occhio che la fissasse credeva leggere la sua accusa: — Certo colui o colei sa il caso mio; e chi può averglielo detto se non la Bia?» Al vederla dunque le veniva verde il sangue; e perchè quando c’è una cosa nel cuore, è come la tosse, che non si può nasconderla, certi atti bisbetici, certe frasi piccose che le scappavano centra voglia, lasciarono alla Bia comprendere il vero. Così cominciarono a raffreddarsi, a gattigliare, e stare ciascuna sulla sua; e l’Agnese a odiare quell’altra come il mal di capo, e crescere così il suo pericolo immaginario. Più non si vedeva innanzi che fantasie paurose; non sognava che la giustizia; il pronostico fatto dalla strega a sua madre le ribolliva nel capo come vicino ad avverarsi, e tutto in grazia di chi? in grazia della Bia. E credeva vedere che costei andasse a darla fuori, a servir di testimonio: onde le pareva di non potere aver più bene al mondo finchè al mondo vi fosse colei. La morte di essa era il voto che mattina e sera faceva nelle sue orazioni: quando tornavano le solennità, vi si preparava colle novene, col digiunare; poi confessata e comunicata, inginocchiavasi sulla nuda terra, e storcendo le mani, e colle lacrime agli occhi, diceva: — Caro Signore! pei meriti della vostra passione, vi prego, vi scongiuro, fate morire la Bia».

Ma la Bia non s’insognava di morire. Anzi una volta, avendo ricevuto dall’Agnese non so che torto, la Bia, che doveva avere mal desinato, [p. 284 modifica]ripicchiò; e qui, botta e risposta, se ne dissero fino ai denti, e la donna si lasciò scappare di bocca che la dovesse badare a quel che diceva, perchè in fine de’ fini stava da lei il mandarla col muso alla ferrata.

Non l’avesse mai detto! L’Agnese, se prima andava a spasso col cervello, allora, vi diede volta affatto. Quella notte la passò come sulle ortiche. Quando, spossata dal piangere, si addormentò, che sogni? Che paure! Cani rabbiosi che le saltavano adosso, un toro che la inseguiva perchè era tutta rossa di sangue: le pareva di scappare in camera, serrarsi dentro; ma ecco le finestre sbatacchiare benchè chiuse, e pel buco della toppa entrare un fantasma, e succiarle il sangue di sotto le ugne dei piedi: essa lo affissava, e quello andava tutto a fuoco e a fiamme, sporgeva gli occhi dalla livida faccia, come gli aveva veduti a Sandro in quella sera funesta, e le diceva: — Son dannato in grazia tua». Essa faceva per gridare, e non poteva, perchè sentivasi strozzare: toccavasi al collo, era il capestro che le aveva messo il boja. Stralunava gli occhi intorno: ecco lì tutta la gente del suo paese, tutte le sue camerate a vederla impiccare; ed una fra queste sporgersi su, e beffarda ghignarle in faccia: — era la Bia.

Balzò dal letto atterrita, trambasciata: tutto quel giorno un’orribile convulsione l’agitò; acciocchita dava del capo per tutti i muri: le pareva di avere il fuoco nella testa, e s’appoggiava agli stipiti del camino, ai ferri, per sentire un momento di refrigerio: si buttava su quella cassapanca, e non piangeva più. Uscì col secchio per andare attingere, poi quando fu fuori, non si ricordò più: e va e va.... [p. 285 modifica]Avrete ben sentito, ragazze, di certi che vanno in volta bell’e dormendo. Tal quale l’Agnese. E va e va, trovasi dinanzi al cimitero: è aperto il cancello; s’avanza. — Ove diamine andate?» le grida una vocciacca. Era il sepoltore che stava scavando una fossa. A quel suono risentitasi, ella diede uno strillo, guardò intorno, si rinvenne; e coi cappelli irti come un pettine di lino, fuggì a rotta di collo, come se alcuno le corresse dietro.

Quel giorno non mangiò, non parlò, non pregò. Sulla sera crebbe la tempesta. Tra il fosco e il chiaro, seduta coccolone, colle tempie fra le mani e le mani sui ginocchi, stette un pezzo a ruminare: poi, come risoluta, balzò su a scatto di molla, ed esclamò: — Conviene che ella muoja!» abbrancò un coltellaccio, salì dalla vicina, e, cogliendola sola e sprovvista, glielo cacciò nella gola».

— O Madonna santa!» esclamano prese di ribrezzo le villane ascoltatrici, mentre comar Giuditta raccoglieva il fiato: e stringendosi l’una più presso dell’altra, le domandano ansiose: — E sicchè e sicchè?

— Sicchè (continua lo vecchia) tardi tardi, secondo il solito, e secondo il solito ubbriaco, torna a casa il marito della Bia, e trova questo spettacolo. Si pone a gridare, a chiamare accorr’uomo; traggono i casigliani, trae il vicinato, vedono, oh vedono la donna che dava i tratti in un lago di sangue.

Chi può mai essere stato? Non i ladri, perchè non manca un bruscolo: nessuno ella avea per nemico; non può apporsene che a suo marito. Egli solo andò in casa: era avvinazzato: l’avrà intesa [p. 286 modifica]arrangolare perchè entrò tardi, e le avrà dato. Il bargello, fondandosi sulla voce del popolo che è voce di Dio, mette senz’altro le mani su lui; presto presto, per dare un terribile esempio, si fa il processo sul luogo: lo interrogano, egli nega, lo mettono alla tortura.

Voi non sapete, ragazze, cos’è la tortura, eh? perchè adesso non la si usa più. Ma al tempo mio, quando uno era sospettato d’un delitto, fosse come capo di ladri, o come strega, o bestemmiatore, o un di quelli che untavano per far venire la peste, lo pigliavano: il signor giudice gli domandava, — Sei stato tu?» Se l’altro schiodava, dio con bene: se no, il signor giudice ordinava: — Mettetelo alla corda».

Voi tutte avete visto in macello, quando il beccajo, dopo scannato il bue, lo tira su, legato per le gambe, ad un verricello. Su quel fare immaginate la tortura. Il reo, ossia l’accusato ch’è tutt’uno, veniva legato colle mani dietro, così; con una corda incarrucolata l’alzavano, e a volta a volta davano delle buone strappate, come si fa col martino quando si conficcano i pali nell’argine; e lo facevano saltare dieci, venti volte, quante al signor giudice piacesse. Di ragione, se colui non voleva che le braccia restassero attaccate alla fune, conveniva che confessasse; e così si scoprivano i malfattori, poi s’impiccavano, si squartavano, s’inrotavano. Di questi esempj non passava, sto per dire, settimana, che non se ne udissero; e perciò delitti non ne succedevano. Ora tali usanze sono dismesse, e il far il ladro è divenuto una bazza.

L’uomo della Bia fu dunque posto al tormento, [p. 287 modifica]e lì il signor giudice, — un fior di giudice, dalle cui unghie non era mai uscito alcuno salvo; ma insieme una brava persona, pieno di pazienza e piacevolone, che diceva barzelette fin nel condannare alla morte. Il signor giudice, come dicevo, prima lo esortò colle buone a dir la verità; poi, vedendo che negava, ordinò, — Tiratelo su».

Nel suo seggiolone, appoggiato il gomito al tavolino e il mento alla mano, stava egli osservandolo, e con tutta pazienza aspettando che confessasse; ma quegli duro. Allora il signor giudice: — Ehi, dategli un pajo di strappatine». L’altro pianse, strillò, invocò il Signore, la Madonna, san Giuseppe; ma tenne saldo.

Al vederlo così ostinato sarebbe montata la stizza anche al santo Giobbe: ma il signor giudice, colla solita calma, vôlto al manigoldo e facendogli d’occhio gli disse:

— Ebbene, com’è così, calatelo giù».

L’aguzzino, che capì il segno, calò l’accusato tanto vicino al pavimento, che lo rasentava colla punta dei piedi. L’uomo, che erasi sentito resuscitare da morte a vita in ascoltare quell’ordine, vedendosi ora così presso terra, che, un poco più che si allungasse, la toccherebbe, per raggiungerla stiravasi da sè medesimo di tutta forza, e così per la speranza di finirli, accresceva nel più orribile modo i suoi tormenti.

A vederlo sgambettare, il manigoldo schiattava dalle risa: l’istesso signor giudice turava la bocca, perchè non gli scappassero: in fin che l’altro, non potendo resistere a quel nuovo spasimo, domandò per amore, per misericordia, che lo calassero affatto, e avrebbe detto ogni cosa.

[p. 288 modifica]Di fatto confessò che era stato lui ad ammazzare sua moglie, perchè n’era sazio, perchè rantolava sempre, perchè voleva torne un’altra; in somma tutto quello che il signor giudice gli suggerì. Questi, contento della buona uscita del suo processo, buttò fuori la sua brava sentenza, con qualmente il reo fosse scopato e poi impiccato; e andò a desinare.

La giustizia, cioè il boja, venne subito da Milano, con un carro a tiro a due, e suvvi ceppo, ruote, corde, tanaglie, un arsenale di roba da mestiero; e, a vedere e non vedere, ebbe piantata la forca sulla piazza. Al domani tutto il paese, tutto il vicinato corsero in folla per vedere castigare lo scellerato uccisore di sua moglie; e il boja, trattolo fuori di prigione, cominciava a scoparlo. Quand’ecco accorrere una ragazza scarmigliata, ansante, pallida, contrafatta, sfondando la folla gridando come una indemoniata:

— È innocente; non ne sa nulla».

Tutti ravvisarono subito l’Agnese, e cominciò a levarsi un bisbiglio: perchè, sebbene l’uomo della Bia si trovasse sempre aver bevuto davvantaggio, non si sapeva che avesse mai torto un cappello a nessuno; onde molti avevano penato a crederlo capace di tanto eccesso prima che il signor giudice avesse proferita la sentenza. Proferita questa, fa un altro cantare, perchè la sarebbe grossa che avesse a sbagliare il giudice; e quando una cosa passò in giudicato, non se ne deve più dubitare.

Ma allora, udendo le parole dell’Agnese, cominciarono alzar la voce, e corsero dal signor giudice, e gli raccontarono l’occorrente.

[p. 289 modifica]Questi si trovò allora in un bel imbarazzo. Il processo era stato fatto in tutte le regole; in tutte le forme data la sentenza; e poi, si sa, a ciascuno piace esercitare la propria abilità. Perciò sulle prime egli procurò di buttar per matta la ragazza, e che intanto la condanna si eseguisse; ma poi, sentendo il gridio della gente, e massime le ragioni del signor curato, ordinò che si sospendesse l’esecuzione. E udendo il boja star di mal umore per aver fatto il viaggio per niente, gli disse: — Colpa tua, dovevi sbrigarti più lesto».

Intanto la ragazza, e non fu bisogno di corda, spiattellò di punto in punto tutta la storia, dalla morte di Sandro in avanti: visitata la casa, si trovarono i panni sanguinati, si trovò il coltello. Figuratevi che dire ne fu per il paese! Vi basti che fino il giudice pareva quasi averle compassione, e diceva che, quanto a lui, non gli sarebbe importato niente anche a salvarla. Ma il bianco sul nero c’è per qualche cosa, e la legge canta: Chi ammazza muoja.

Il marito della Bia lo tennero un poco in prigione per aver deposto il falso in giudizio, poi lo mandarono all’ospedale a guarir delle storpiature; ed il boja tornò a consolarsi, perchè il giuoco che doveva fare all’uomo lo fece all’Agnese.

Povera ragazza!» esclamano le fanciulle asciugandosi gli occhi.

— Povero suo padre!» esclama un vecchio; e si fa attorno un silenzio meditabondo. Questo silenzio pare a comar Giuditta il miglior elogio che possa farsi al suo racconto, e però, dopo un pezzetto, ripiglia: — Guarda mo! quell’acqua queta, quella [p. 290 modifica]ragazza così florida, così bella, chi l’avrebbe detto che aveva a finire così? E non è già questa una pastocchia, ma un caso vero, quanto è vero che le comete annunziano malanni. Il paese è qui dalle nostre parti, e mia madre aveva parlato con delle vecchie che erano vive quando questo è accaduto. Imparate dunque, o ragazze....

— A non chiudere l’amoroso nella cassapanca», l’interrompe la Savina; e uno scroscio di risa universale tien dietro a quest’arguzia. Poi, come, avanti giorno, un passero che cominci a zirlare basta perchè sull’istante si sveglino tutti gli altri che dormivano, ed è uno stormire, un cinguettio, un frascheggiare di mille uccelli, così, rotto l’incanto, si suscitano trenta voci discordi, che fitte fitte si succedono, s’intralciano, s’interrompono. E l’una dice: — Oh! di queste cose non ne succedono più»; un’altra: — Ma che colpa n’avea quella povera zitella?» la terza: — Per uno scapuccio, alla forca!»

— Oh! «soggiunge la morale Simona; «ogni colpa è di sua madre, che maltrattò quella strega, e per questo bisogna guardare a chi si fa del male.

— Sapete che?» salta su la Betta, quella tal sufficiente: «La vera ragione è che l’Agnese era nata sotto un cattivo pianeta».

Comar Giuditta prova e riprova di ricondur il silenzio, la meditazione, e tornar padrona della veglia per potere spacciar alquanto di quella morale onde son piene le fosse: ma chi arresterà la girandola dopo appiccata la scintilla? Cresce anche di più in più il bisbigliare, il chiaccolare, che è una sinagoga; finchè nel lucerniere si pianta il [p. 291 modifica]gancetto d’un lumuccio a mano, fioco siccome quello che si accende ai morti; e la Savina, non senza un’occhiata al suo giovinetto, con voce viva da passare il tetto, comincia a cantar allegramente Mamma mia, non mi sgridate: tutte l’altre le si accordano; e lo spavento col quale la comare sperava d’aver fatto più frutto che un padre delle missioni, si dilegua in un vivace biscantare.

Così la sinfonia che accompagnò al cimitero un soldato estinto, con flebile armonia da mettere l’angoscia nel cuore, non appena è gettata sul cadavere la terra, intuona una coraggiosa marciata, che dissipa la melanconica impressione, quasi sia troppo il continuare più di mezz’ora la compassione all’uomo, il cui mestiero è il patimento e la morte.

1834