Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87/Parte I/Da Carlsbad al Brennero

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Da Carlsbad al Brennero

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Parte I Parte I - Dal Brennero a Verona
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DA CARLSBAD AL BRENNERO




Il 3 Settembre 1786.

Alle 3 del mattino partii di soppiatto da Carlsbad. La compagnia la quale aveva voluto festeggiare con tanta amorevolezza il 28 agosto, mio giorno natalizio, avrebbe pure avuto qualche diritto a trattenermi ancora; ma oramai non era più il caso d’ulteriore indugio. Salii, affatto solo in una sedia di posta, non recando meco altro che un portamantello ed una valigia, e prima delle otto, con un mattino tranquillo, alquanto nebbioso, arrivai a Zwota. In alto stavano grandi striscie di nubi pesanti; al basso erano più leggiere, la quale cosa mi parve presagio favorevole. Dopo una state pessima, speravo avere almeno un bell’autunno. Quando arrivai, verso il mezzodì, ad Eger splendeva un limpido sole; pensai in allora che la latitudine di quella località era pure quella della mia città natale, e mi rallegrai di pranzare di bel nuovo in una stupenda giornata, sotto il cinquantesimo grado.

Toccata appena la Baviera, s’incontra la badia di Waldsassen possessione stupenda di quei membri del clero, i quali furono avveduti prima degli altri uomini. Giace in fondo ad una valle, o per meglio dire di un vero bacino, al centro di stupende praterie, attorniate da colline di dolce pendìo, e fertilissime. Le proprietà del monastero si [p. 2 modifica]stendono, a grande distanza, tutto all’intorno. Il terreno è formato di argilla, e di ardesia decomposte. Il quarzo che si trova pure nei monti di questa specie, e che non si scioglie nè si decompone, rende la terra mobile, leggiera, e pertanto fertile. Le acque scendono all’Eger ed all’Elba, e si continua a salire sino a Thirschenreuth. Da questo si scende verso mezzogiorno, e le acque vanno al Danubio.

Mi formo facilmente un’idea di ogni contrada, osservando attentamente il corso delle acque, la loro direzione, ed il bacino, ovvero conca fluviale, a cui appartengono; e dopo di ciò, anche nelle regioni le quali non si percorrono che alla sfuggita è facile formarsi un idea pure del complesso dei monti e delle valli. Da quel punto comincia una strada postale di tale bontà che non la si potrebbe immaginare migliore, imperocchè la ghiaia granitica, e la terra argillosa si collegano per tal modo, da formare una massiciata dura, compatta, e liscia, quanto mai si possa dire. Per contro, non è nè bella, nè fertile la contrada attraversata da quella strada stupenda; non si scorgono che pianure sabbiose, ed in parte anche paludose. Siccome però si scende sempre, si viaggia rapidamente verso i confini della Boemia.

Troverete indicate nel fogliolino annesso a questa mia le varie stazioni. Mi basti per ora accennare che il mattino seguente, verso le dieci, arrivai a Ratisbona, e che pertanto avevo impiegato trentanove ore a percorrere questi ventiquattro miglia e mezzo di strada. Allorquando cominciava a spuntare di bel nuovo il giorno, mi trovavo fra Schwanendorf e Regenstauf; e tosto mi avvidi, che percorrevo contrada più fertile; il terreno non era più di monti decomposti, ma bensì formato di alluvione. I fiotti e la marea, in epoche remotissime, avevano trattenute le acque pluviali in tutte le valli secondarie le quali ora le versano in quella del Danubio, e quindi erano sorte in modo naturale quelle colmate, le quali sono ora tutte occupate dalla coltivazione. Si può fare questa osservazione [p. 3 modifica]in vicinanza a tutti i corsi d’acqua, di grande o di scarsa portata, e con questa norma è facile conoscere prontamente, se un terreno sia o nò addatto all’agricoltura.

La posizione di Ratisbona è propriamente amena, i dintorni allettavano a fondarvi una città, ed anche quivi non ha ommesso il clero di pensare a sè. Pressochè tutto il territorio della città gli appartiene; ed in questa le chiese sorgono a fianco alle chiese, i monasteri a fianco ai monasteri.

Il Danubio mi ricorda la parte antica di Magonza. A Francoforte il fiume ed i ponti porgono migliore aspetto, ma qui, dal fiume, la vista si presenta propriamente bene. Mi affrettai di portarmi al collegio dei gesuiti, dove vi era lo spettacolo che danno gli allievi in ogni anno; vidi il fine dell’opera, ed il principio della tragedia. Quei giovani non recitavano male, non erano inferiori a qualsiasi compagnia di dilettanti, ed erano pure vestiti, non solo bene, ma splendidamente. Ed anche questa pubblica rappresentazione mi persuase sempre più dell’accortezza dei gesuiti. Nulla trascurano di quanto vale ad acquistare influenza, e lo sanno trattare con amore, e con avvedutezza. In questo caso non è quistione di prudenza, quale la si considera in astratto; la è soddisfazione provata in una cosa, compartecipazione ad un godimento di un atto della vita. Nella stessa guisa che questa compagnia potente e numerosa accoglie nel suo seno fabbricanti d’organi, scultori, indoratori, possiede pure fra suoi membri tali che conoscono il teatro, che hanno inclinazione per questo, e nello stesso modo che adornano splendidamente le loro chiese, sanno pure, accorti quali sono, piegarsi ai gusti mondani, innalzando un teatro, intorno al quale nulla vi ha a ridire.

Oggi io vi scrivo sotto il quarantesimo nono grado di latitudine e la giornata è buona. Il mattino però era fresco, ed anche qui tutti si lagnano dell’umidità, e del freddo della state; oggi però la temperatura è dolce, e questa altezza di clima, propria della vicinanza dei grandi fiumi, [p. 4 modifica]è pienamente consentanea alla mia natura. Le frutta qui non sono punto straordinarie; ho mangiato buone pera, ma sospiro per l’uva e per i fichi.

Voglio ancora tornare ai gesuiti, i quali mi preoccupano, e traggono a sè la mia attenzione. Le loro chiese, i loro campanili, tutti i loro edifici hanno aspetto grandioso, imponente, che ispira agli uomini, senza che neppure questi se ne avvedano, rispetto. Nella decorazione delle loro chiese fanno tale uno sfoggio d’oro, d’argento, di metalli, di marmi preziosi, che deve propriamente acciecare i poveri, i quali pongono il piede in quelle. Purchè producano impressione, non rifuggono neppure talvolta dal ricorrere al cattivo gusto, la qual cosa è del resto consentanea all’indole del culto esteriore cattolico; ma fin’ora non ho visto altri che sappiano trarne profitto con tanta accortezza, con tanta costanza, quanto i gesuiti. Tutto presso questi vi concorre; non si ristringono dessi, al pari degli altri ordini religiosi, ad antiche pratiche le quali hanno perduto la loro efficacia; sanno piegarsi allo spirito dei tempi, ravivare colla magnificenza, colla splendidezza, il sentimento religioso.

Si adopera qui per le costruzioni una singolare qualità di pietra, di aspetto cupo, antico, di natura porosa, la quale si potrebbe dire una specie di porfido. È di colore verdastro, misto di quarzo e di ampi tratti di giaspo, nel quale si trovano campi più piccoli di forma rotonda, che paiono quasi breccia. Avrei pure desiderato di portarne meco un campione, ma la pesa molto, ed ho fatto giuramento di non caricarmi più di sassi in questo viaggio.


Monaco, il 6 Settembre.

Partii di Ratisbona ieri, poco prima del mezzo giorno. Presso Aburg si percorre una bella contrada, dove il Danubio volge le sue acque fra rupi calcari, fin presso Saale. La calce vi è densa, come presso Osteroda nell’Harz, in generale però porosa. Arrivai a Monaco alle sei del [p. 5 modifica]mattino, ma non essendomivi quivi trattenuto guari più di dodici ore, poco ne potrei dire. Nella galleria dei quadri mi trovai alquanto spostato; ho d’uopo assuefare di bel nuovo i miei occhi a contemplare dipinti. Vi sono però cose pregevoli, e gli schizzi di Rubens della galleria del Lussemborgo, mi procurarono molta soddisfazione.

Vidi pure un bellissimo modello della colonna Traiana. Il fondo è di lapis lazzuli, le figure sono in oro; e quantunque non la si possa dire opera d’arte seria, però la si contempla con piacere.

Nella sala delle sculture antiche ho potuto persuadermi facilmente, che i miei occhi non sono punto esercitati a quella vista, e per non sprecare il tempo, mi vi trattenni poco. Molte cose non mi producono impressione, senza che io valessi a rendermi conto del motivo. La mia attenzione fu fissata da un Druso; mi piacquero molto due Antonini, e così ancora alcuni altri oggetti. Convien pure dire che le sculture non sono disposte molto favorevolmente, tuttochè si sia voluto ornare la sala dove stanno, e la volta, specialmente, di questa porga buon aspetto; se non che il tutto avrebbe d’uopo di essere mantenuto con maggiore cura, e con più nettezza. Nel gabinetto di storia naturale trovai oggetti pregevoli, del Tirolo specialmente, dei quali avevo visto già campioni in piccolo, ed anzi taluni ne possedo.

Trovai una donna la quale vendeva fichi, ed essendo i primi che io abbia gustato, mi parvero eccellenti, ma l’uva sotto il quarantottesimo grado, non si può dire ancora buona. Qui tutti si lagnano dell’umidità e del freddo, e questa mane nell’arrivare trovai una nebbiaccia, alla quale si sarebbe quasi potuto dare nome di pioggia. Durante tutta la giornata poi, il vento soffiò freddo, dai monti del Tirolo. Guardando in direzione di quelli, dall’alto di un campanile, li vidi tutti coperti di nuvole. Ora, mentre vi scrivo, il sole che sta per tramontare illumina tuttora la sommità di quello stesso campanile, il quale sorge davanti alla mia finestra. Vogliate avermi per iscusato se io [p. 6 modifica]vi parlo così di sovente del vento, del sole, e della pioggia. Il viaggiatore per terra, quasi al pari di quello in mare, trovasi alla dipendenza del tempo, e sarebbe pure spiacevole dovessi trovare, viaggiando, un autunno altrettanto cattivo, quanto la pessima state che io m’ebbi stando a casa. Ora mi avvio ad Innspruck. Lascio ogni cosa a diritta ed a sinistra, per obbedire unicamente all’impulso, col quale ho dovuto contrastare anche troppo a lungo.


Mittelvalde, il 7 Settembre a sera.

Pare che il mio angelo custode abbia voluto dire amen al mio Credo, e lo ringrazio di avermi portato qui, in una giornata cotanto bella. L’ultimo postiglione mi diceva essere questa la prima, di tutta la state. Mantengo la mia segreta superstizione che il tempo vorrà durare bello; però converrà che i miei amici siano disposti a perdonarmi, se loro terrò ancora discorso del vento e della pioggia.

Allorquando partii da Monaco, alle cinque del mattino, il cielo si era colà rischiarato; ma i monti del Tirolo erano tuttora coperti di dense nubi, ed anche gli strati di quelle, nelle regioni inferiori, punto non si muovevano. La strada saliva, e si vedeva al basso correre l’Isar, sopra un letto ghiaioso. Ivi si può comprendere il lavoro delle correnti antichissime del mare. Trovai in vari strati di granito pezzi analoghi a quelli delle mie collezioni, avuti in dono da Knebeln.

La nebbia sul fiume e sulle praterie cominciò squarciarsi quà e là, finalmente si dileguò del tutto. In quella valle ghiaiosa dell’Isar, la quale si prolunga per varie ore, si scorgono terreni fertilissimi, al pari di quelli della valle del Regenfluss. Ad un punto si traversa l’Isar in uno stretto, le cui pareti salgono a ben cinquanta piedi di altezza. Si arriva a Wolfsrathausen, posto sotto il quarantottesimo grado. Il sole era diventato cocente, nessuno si affidava al tempo bello; tutti lamentavano la state trascorsa, tutti si lagnavano della provvidenza, la quale non pare stanca di mandare il mal tempo. [p. 7 modifica]

Intanto mi avvicinavo ai monti, i quali si venivano sviluppando sempre più.

La posizione di Benedictbeuer è stupenda, e sorprende al primo aspetto. Si scorge in una fertile pianura un vasto e lungo casamento bianco, quasi addossato ad una rupe di grande altezza. Si continua a salire a Kochelsee, e più in alto ancora, propriamente nei monti, a Wolchensee. Ivi salutai le prime vette nevose, e mentre stupivo tuttora di trovarmi già cotanto vicino alle montagne ricoperte di neve, udii che ieri, al punto stesso dove mi trovavo, vi erano stati lampi, tuoni, e che sui monti vicini era caduta la neve. Si sperava bene da quel temporale, e dalla prima neve caduta si voleva trarre argomento di mutazione favorevole del tempo. Le rupi che mi circondavano erano tutte di formazione calcare, e di quella la più antica, la quale non contiene ancora pietrificazioni.

Questa catena di monti calcari si stende, senz’interruzione di sorta, dalla Dalmazia al San Gottardo, ed oltre. Hacquet ha visitato la maggior parte di questa catena, la quale si appoggia ai monti primitivi ricchi di quarzo e d’argilla.

Erano le quattro e mezzo, allorquando arrivai a Wallensee, ed ad un ora di distanza da questa località, mi avvenne un caso curioso. Incontrai un uomo il quale portava un arpa, accompagnato da una sua figliuola, ragazza di undici anni all’incirca, che il padre mi pregò di accogliere nel mio legno. Egli continuò a portare il suo stromento, ed io feci sedere al mio fianco la ragazza, la quale prima allogò con molta cura sotto i suoi piedi una scatola piuttosto grande, e nuova. La ragazza era una creaturina graziosa, educata, ed assuefatta di già a girare il mondo. Era stata di già con sua madre a piedi alla Madonna di Einsiedeln, e stavano sul punto d’intraprendere il pellegrinaggio ben maggiore di S. Giacomo di Compostella, allorquando la madre venne a morire, e non potè compiere il suo voto. Quella ragazza aveva grande [p. 8 modifica]divozione per la Vergine; diceva nulla potersi fare, che fosse bastante, ad onore della Madonna. Narrava avere visto co’ propri occhi una casa rovinata tutta quanta, compreso il piano terreno, da un grande incendio, ed un imagine della Madonna sotto vetro che stava sopra la porta, rimasta totalmente illesa, la qual cosa non si poteva spiegare in altra maniera, che per mezzo di un miracolo evidente. Aveva fatti tutti i suoi viaggi a piedi; ultimamente aveva suonato a Monaco alla presenza del principe elettore, e si era fatta sentire già da ventuna persone di grado principesco. Parlava propriamente benino; aveva occhi neri, grandi e belli, una fronte intelligente, che talvolta si corrugava a serietà. Parlava con grazia, con naturalezza, sovratutto allorquando apriva le labbra a sorriso fanciullesco; per contro quando taceva pareva stesse riflettendo, e faceva con il labbro superiore una smorfia propriamente curiosa. Le parlai di molte cose, dessa rispondeva sempre a senso, e faceva pure osservazioni giuste. Mi domandò il nome di un albero. Era quello un grande acero, il primo ch’io avessi incontrato per istrada. Dessa pure lo aveva osservato, e dacchè ne incontrammo poi vari altri, si rallegrava tutta di poterli distinguere dalle altre piante. Mi disse che si portava per la fiera a Bolzano, dove supponeva fossi diretto io pure, e mi disse che qualora io l’avessi incontrata colà, avrei dovuto farle regalo di un ricordo della fiera, cosa che io le promisi. Soggiunse che voleva mettersi colà, per la prima volta la cuffia nuova di cui aveva fatto acquisto a Monaco, con i suoi guadagni, e che intanto me la voleva far vedere. Allora aprì la scatola, e non mancai di farle complimento per la bella cuffia, riccamente guernita di pizzi, e di nastri.

D’un altra cosa ancora ci rallegrammo assieme. Dessa mi assicurò che il tempo sarebbe durato bello. Portavano seco quei due il loro barometro, ed era questo l’arpa. Allorquando i tuoni di quella salivano, era indizio di tempo buono, ed oggi erano saliti di molto. Accettai [p. 9 modifica]l’augurio, e ci separammo di ottimo umore, nella speranza d’incontrarci di bel nuovo, presto.


Sul Brennero, l’8 Settembre a sera.

Giunto qui, e costretto a fermarmivi, riuscii a trovare un punto di riposo tranquillissimo, che non avrei potuto desiderarlo migliore. Passai una giornata che non dimenticherò tanto facilmente. Parti da Mittelwalde alle sei; il cielo era sereno, soffiando un venticello che spazzava le nubi. Faceva però freddo, quanto lo potrebbe fare nel febbraio. Ma quando comminciò a splendere il sole, i monti ricoperti di foreste, le rupi calcari grigie che sorgevano quà e là fra le vette nevose, si venivano staccando in un cielo azzurro, limpidissimo, producendo colpo d’occhio stupendo, il quale variava ad ogni istante.

Presso Scharnitz s’entra nel Tirolo. Il confine è guardato da una fortezza, la quale chiude la valle, appoggiandosi ai monti. Questa si presenta benissimo; dall’uno dei lati la rupe è fortificata, dall’altra sorge ripida, verticale a grande altezza. A partire da Seefeld la strada diventa sempre più interessante, e mentre da Benedictbeuer non si faceva altro che salire sempre dall’una all’altra altura, e che le acque scendevano nel bacino dell’Isar, ora lo sguardo scendeva nella valle dell’Inn, e sorgeva davanti a me Itzingen. Il sole era verticale e caldo, e fui costretto allegerire i miei abiti, che mi è forza variare di soventi nella giornata, per le continue mutazioni della temperatura.

Presso Zierl la strada scende nella valle dell’Inn; la contrada è bellissima, ed oggi con un sole limpido e splendido, la si poteva dire propriamente stupenda. Il postiglione spingeva i suoi cavalli più di quanto avrei desiderato; non aveva ancora udita la messa, e voleva arrivare ad Innspruck in tempo per sentirla, tanto più ricorrendo oggi la Natività della Madonna. Camminavamo sempre nella valle dell’Inn, e passammo davanti una rupe [p. 10 modifica]calcare altissima, tagliata a picco, la quale porta nome di parete o muro di Martino. Avrei nutrito fiducia di potere arrivare anche senza il soccorso di un angelo al punto dove vuolsi siasi arrampicato l’imperatore Massimiliano, e scenderne; ma ad ogni modo la sarebbe stata sempre impresa temeraria.

Giace Innspruck stupendamente collocato in una valle ampia e fertile, circondato da alte rupi, e da monti. Volevo dapprima fermarmi colà, ma non vi era modo di potervi riposare. Mi divertii per poco tempo con il figliuolo dell’albergatore, giovane vivacissimo; così, poco a poco mi si presentano varie specie di persone. La città trovavasi tutta addobbata a festa per solennizzare la Natività della Madonna. Tutti si avviavano a Wilden, punto di pellegrinaggio, ovvero santuario a tre quarti d’ora della città, nei monti, e verso le due, nel partire, il mio legno spartiva in due quella folla variopinta, lieta, e chiassosa.

Partendo da Innspruck la strada diventa sempre più pittorica. Si entra in una gola, dove corre un affluente dell’Inn, e la vista varia ad ogni istante. Mentre la strada sale sù per una rupe ripida, e quasi la si può dire scavata in quella, la pendice di fronte scende più dolcemente al basso, e trovasi benissimo coltivata. Si vedono sorgere sulle rupi fra i boschi, o posare su piccoli alti piani villaggi, case, casipole, capanne, il tutto colorito accuratamente di bianco. Ad una certa altezza lo spettacolo cangia; si scorgono pascoli, i quali salgono fino alla sommità dei monti.

Imparai molte cose per il mio sistema della creazione del mondo; nulla però di veramente nuovo, d’inaspettato. Pensai molto al modello di cui vi ho parlato le tante volte, per mezzo del quale vorrei rendere accessibile ad ognuno quanto mi preoccupa nel mio interno, e che non è possibile presentare allo sguardo, nella natura stessa.

Poco per volta l’oscurità venne crescendo; i particolari si perdevano; non si scorgeva più che la vista in [p. 11 modifica]complesso, ma sempre più grandiosa, più splendida. Questa pure a sua volta disparve, se non chè, non tardò a ricomparire ai raggi della luna sorta sulle vette nevose, ed aspettai che il giorno venisse a rendere la luce a questa gola alpestre, nella quale io mi trovavo, stretto ai confini fra il mezzodì ed il settentrione.

Voglio poi ancora dedicare due righe al tempo, il quale probabilmente mi si dimostra cotanto propizio, perchè io molto mi occupo di lui. Nella pianura si riceve il tempo buono o cattivo, allorquando è già formato; nei monti invece, si assiste per così dire, alla sua formazione. Ne fui testimonio spesse volte di giorno, di notte, sempre quando mi trovai in viaggio, od a passeggio, od a caccia nelle contrade montuose, nelle foreste alpestri; ed in allora mi nacque un capriccio, del quale non fo maggior caso che si debba fare di un capriccio, ma al quale non posso rinunciare, come per lo più appunto avviene dei capricci. Lo scorgo dovunque, quasi fosse una verità, e per tanto ve lo voglio comunicare, riposando sull’indulgenza provata già in tanti casi, de’ miei amici.

Ogni volta che noi contempliamo le montagne, o da vicino od in distanza, e che scorgiamo le loro vette, ora risplendere ai raggi del sole, ora perdute nella nebbia, ora cariche di nubi, ora flagellate dalla bufera, ora ricoperte dalla neve, attribuiamo tutti questi fenonemi all’atmosfera, della quale scorgiamo benissimo le agitazioni, e le mutazioni. I monti per contro, appaiono ai nostri sensi esteriori, immobili nella loro forma originaria. Li riteniamo morti, perchè sono irrigiditi; inoperosi, perchè non si muovono.

Io però da gran tempo non posso a meno di attribuire in gran parte ad un azione segreta, silenziosa dei monti, le variazioni appunto dell’atmosfera. Ritengo cioè, che la massa della terra specialmente, e per conseguenza le parti di questa più salienti, più importanti, non esercitino già una forza di attrazione uguale, costante; ma che questa forza di attrazione varii, si riveli in certe pulsazioni, ora [p. 12 modifica]accresciute, ora impedite da principii interni, e talora, pure da accidenti esteriori. E per quanto possa essere tornato vano ogni tentativo per riconoscere, per misurare la forza di quelle pulsazioni, l’atmosfera è abbastanza sensibile, abbastanza ampiamente diffusa per rivelarle. Viene a diminuire quella forza di attrazione, tosto ce lo manifestano il maggior peso, la minore elasticità dell’aria. L’atmosfera non può più sopportare l’umidità che fisicamente, chimicamente possiede; le nubi si addensano, cadono le pioggie, si gonfiano sul suolo i corsi d’acqua. Cresce per contro la gravitazione dei monti, l’atmosfera riacquista tosto la sua elasticità, e ne sorgono due fenonemi importanti. Ora i monti radunano attorno a sè ingente quantità di nuvole; le tengono ferme e fisse sopra di sè, quasi nuova catena di monti, in fino a tanto per lotta interna delle forze elettriche si sciolgono in uragani, in pioggia, in nebbie, e tosto agisce su quanto rimane di quelli l’aria elastica, la quale è capace di concentrare di bel nuovo le acque, di scioglierle, di consumarle. Ho visto nel modo il più evidente la dispersione, la consumazione dovrei dire, in quella foggia di una nuvola, la quale stava in cima ad una delle vette le più alte, illuminata dalla luce del tramonto. Si andò spezzando lentamente, poco a poco; i suoi frantumi si sparsero per il cielo, si sollevarono in alto poco a poco; questi pure alla loro volta disparvero, siccome era pure scomparsa alla mia vista la nuvola stessa, quasi lino di una conocchia, il quale venisse filato da mano invisibile.

Quando i miei amici avranno riso dell’osservatore ambulante, e delle sue strane teorie, sarà probabile che questi darà loro altre occasioni ancora di ridere; imperocchè è pure forza che io ammetta che il mio viaggio fu una vera fuga, motivata da tutte le ingiustizie alle quali mi ero trovato esposto sotto il cinquantesimo grado di latitudine, nella speranza di trovare la terra promessa addirittura, sotto il grado quarantesimo. Se non che, mi trovai disilluso, come del resto avrei dovuto prevedere; [p. 13 modifica]imperocchè non è sola la distanza dal polo, che dà norma al clima, alla temperatura; vi contribuiscono pure le catene dei monti, quelle specialmente le quali corrono in direzione da levante a ponente. In questo caso sono frequenti le variazioni di temperatura, e vi sono sottoposte più delle altre le contrade, le quali si trovano a settentrione; ed anche in questa state, per le contrade settentrionali pare sia stato il tempo regolato dalla grande catena delle alpi, sulla quale ora vi stò scrivendo. Negli ultimi mesi è sempre caduta qui la pioggia, ed i venti di mezzogiorno-levante, e di mezzogiorno-ponente, la spinsero al nord. In Italia per contro, debbono aver avuto tempo bello, ed anzi asciutto.

Ora voglio aggiungere poche parole dell’influenza del clima, dell’elevazione dei monti, dell’umidità, su tutto il regno delle piante. Anche in questa parte non ho rilevata variazione sostanziale, però progresso. Il pero, il pomo, si trovano di già frequenti nelle valle prima d’Innspruck; il pesco e l’uva, la traggono dall’Italia, o piuttosto dal Tirolo centrale. Nei dintorni d’Innspruck si coltivano il gran turco, ed una specie di grano saraceno, cui danno nome di blende. Sul Brennero trovai i primi larici, presso Schemberg i primi pini. Chi sa se mi avrebbe domandato pure conto di questi, la figliuolina del suonatore d’arpa?

Intorno alle piante però, io provo ancora maggiore la mia insufficenza. Fin nelle vicinanze però di Monaco, non credo averne osservate altre, se non quelle abituali presso di noi. Se non che, il mio viaggiare rapidamente di giorno e di notte, non era guari propizio a tal fatta di osservazioni. Tengo per dir vero meco il mio Linneo; mi sono impressa nella mente la sua terminologia, ma come mai trovare tempo ed agio a fare analisi, senza le quali sento che non potrei riuscire a nulla? Fisso il mio sguardo sul complesso, e quando vidi presso Walchensee la prima genziana, mi avvidi essere stato sempre in vicinanza delle acque, che finora io aveva trovate le piante nuove.

La cosa che richiamò maggiormente ancora la mia [p. 14 modifica]attenzione, si fù l’influenza che mi parve esercitare sulle piante l’altezza dei monti. Non solo trovai in questa parte piante nuove, ma diverso ancora lo sviluppo di quelle conosciute. Mentre nelle regioni basse i fusti, i rami, erano forti, poderosi, fitti, ed accostati questi ultimi gli uni agli altri; mentre le foglie erano larghe, salendo per contro in alto i fusti, i rami diventavano più smilzi, più sottili, più rari questi ultimi, maggiore la distanza da un nodo all’altro, e le foglie assumevano forma acuminata, quasi di lancia. Feci questa osservazione in una pianta di genziana, e potei persuadermi non essere la sola che presentasse quelle particolarità. Parimenti osservai che a Walchensee, i giunchi crescevano più alti, più sottili, che nelle contrade più al basso.

Le alpi calcari che ho attraversate finora, sono grigie di tinta, e porgono forme belle, singolari, strane, irregolari, tuttochè le loro roccie presentino divisioni, o strati. E tali sono anche superiormente al Brennero. Nei dintorni del lago superiore, osservai alcune modificazioni. All’ardesia di tinta verde cupo, o grigia cupo, frammista a mica od a quarzo più ancora, si univa pure pietra calcare bianca, la quale nel decomporsi in grandi massi staccati, rivelava pure mica in grandi proporzioni, ed in questi massi trovai ardesie, le quali mi parvero più fragili che le altre. Continuando a salire si trova una specie particolare di gneiss, ovvero piuttosto di granito, la quale presenta molta analogia con quello dei dintorni di Ellbogen. Qui in alto, di fronte alla casa, sorge una rupe di micaschisto. Le acque, le quali scendono dal monte non trasportano altra qualità di materiale, all’infuori delle roccie calcari.

Non deve essere lontana la vertebra granitica, il nucleo a cui si appoggiano tutti questi monti. Si scorge dalla carta che lo si trova a fianco del Brennero propriamente detto, e da quella scendono le acque tutto all’intorno.

Acquistai pure nozioni bastanti intorno all’aspetto esteriore della popolazione. La nazione è coraggiosa, piena di ardire. Le fisonomie presentano in generale un tipo [p. 15 modifica]comune, occhi neri di un bel taglio, ciglia brune, ben disegnate, bionde per contro nelle donne, ed ampie molto negli uomini. I cappelli di color verde di questi ultimi, fanno bellissima vista, fra mezzo alle roccie, di tinta grigia. Li ornano di nastri, di striscie di stoffe di seta, di frangie, fissato il tutto per mezzo di spille, nel modo il più grazioso. Tutti poi inoltre portano sul cappello un fiore, od una piuma. Le donne per contro si sformano per mezzo di ampie cuffie, o piuttosto berretti bianchi in lana, che hanno apparenza più di maschile, che di femminile, e ciò loro dà un aspetto strano, assuefatti quali siamo a vederle desse pure, fuori del loro paese, con il cappello verde degli uomini, il quale loro sta propriamente bene.

Ebbi occasione di osservare in quanto pregio siano tenute in questa contrada dal popolo le penne di pavone, e tutte le penne in generale, di colori vivaci. Chi volesse viaggiare in questi monti, in queste valli, dovrebbe portarne seco una provvista, e col regalo di una di queste penne, risparmierebbe il più delle volte la mancia.

Mentre io sto separando, riunendo, disponendo in ordine questi fogli volanti, i quali varranno a dare a miei amici un idea fino a questo punto delle mie vicende, delle mie idee, de’ miei sentimenti, de’ miei pensieri, getto con qualche timore uno sguardo pure sopra alcuni fascicoli o pieghi, de’ quali converrà però che io tenga loro in breve discorso, imperocchè sono quelli i miei compagni, e non potranno dessi a meno di avere grande influenza sul mio prossimo avvenire.

Nel venire a Carlsbad, avevo portato meco la raccolta di tutti i miei scritti, allo scopo di metterli in ordine per la nuova edizione a cui dovrà soprantendere Göschen. Avevo fatto preparare già da tempo dal mio segretario Vogel, buon calligrafo, copie accurate di quelli tuttora inediti, e questo collaboratore abilissimo mi accompagnava anche questa volta, per venirmi in aiuto. In questa guisa, e ricorrendo inoltre ai buoni uffici di Herder, ero stato in [p. 16 modifica]grado di spedire all’editore i quattro primi volumi, ed avevo in animo di fare altrettanto per gli altri quattro. Erano destinati a formare questi ultimi, lavori che avevo progettato soltanto, e stesi solo in parte, secondo la mia cattiva abitudine di comminciare molte cose alla volta, poi di abbandonarle, o per minore interesse che io vi prenda, o per altre occupazioni, o distrazioni.

Portando meco pertanto tutti quegli scritti, finii per aderire di buon grado alle istanze della società colta di Carlsbad, e diedi lettura di varii, i quali finora non erano conosciuti, ricevendone rimproveri e lagnanze, per non avere io pur anco ultimate cose, delle quali molto, e molto di già si era parlato.

Nell’occasione specialmente del mio giorno natalizio, ricevetti parecchie poesie, nelle quali si facevano parlare i miei lavori abbandonati ovvero trascurati, ed ognuno di quelli si lagnava a modo suo. Vi era fra le altre una poesia in nome degli uccelli, nella quale una deputazione di quelle variopinte creaturine si raccomandava al loro buon amico, perchè venisse loro aperto per una volta il regno che loro era stato promesso. Non erano poi meno seducenti, nè meno lusinghiere le manifestazioni per tutte le mie altre opere, in guisa che tutto ad un tratto si ridestò in me l’interesse per quelle, e presi piacere a dar conto a miei amici de’ miei progetti, de’ miei disegni. Mi furono fatte vive istanze; mi furono manifestati desideri; e venne data ragione pienamente ad Herder, il quale aveva cercato persuadermi, che avrei pure fatto bene a portar meco quelle carte, e sopratutto a non abbandonare l’Ifigenia, la quale meritava riguardo. Nello stato in cui si trova quella attualmente, la è piuttosto un progetto, un abbozzo che un opera compiuta, scritta quale si è in prosa poetica, la quale talvolta si trasforma in versi giambici, o di altri metri. Questo particolare reca però molto pregiudizio all’azione, allorquando non la si sa leggere a dovere, e fare scomparire i difetti, per mezzo di un certo artifizio. Herder non cessava d’insistere a questo riguardo, e siccome [p. 17 modifica]avevo tenuto nascosto a lui pure, come a tutti gli altri, il mio progetto di lungo viaggio, e riteneva egli si trattasse questa volta pure di una peregrinazione soltanto nei monti; siccome egli soleva scherzare intorno alla mia passione per la geologia, e per la mineralogia, mi diceva che invece di picchiare sassi, avrei pur fatto meglio pensare all’armonia della mia prosa e de’ miei versi. Diedi ascolto alle sue istanze; portai meco l’Ifigemia, ma finora non ho avuto luogo di darvi neppure uno sguardo. Ora ho separato il manoscritto di quella dagli altri, e l’avrò meco a compagno nella bella e temperata contrada. La giornata è lunga; si ha tempo a meditare, e le imagini stupende del mondo esteriore non sono punto fatte per disturbare il sentimento poetico, ed anzi il moto e l’aria libera varranno a promuoverne lo sviluppo.