Risposta dell'ingegner Giovanni Milani al dottore Carlo Cattaneo/Parte VII

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VII.


Pag 17-18. Mostrarsi evidente la mia ignoranza anche dal modo con cui ebbi a determinare la linea, a tracciarla sul terreno, a concludere i lavori geodetici da compiersi, a darvi mossa, a condurli. Avere, alla prima, presa la mia risoluzione sulla carta, aver anzi tratto determinata la linea con fili di seta tesi sulla carta topografica, senza aver premesso alcun esame del terreno, alcuno studio dei livelli, mirando solamente ad ottenere i più lunghi rettilinei a mite angolo, e ad evitare le grandi masse dei caseggiati.

Poscia aver imposta al terreno, tale e quale, questa linea arbitraria mediante un lavoro inutile e mal sicuro, una teatrale costruzione di torri di legno con fuochi notturni, e aver fatto infine di questa unica linea, con ordine prepostero, la livellazione.

Su di che il geografo signor Manzoni presentò alla Direzione un’apposita Memoria di disapprovazione. Molti esperti ingegneri ne fecero rimostranze ai direttori, e tutti poi ne mormorarono.

Pagina 17. Mentre si avrebbe dovuto esplorare sopra un mediocre spazio il corso dei maggiori fiumi per determinare in ciascuno i più opportuni passi, e congiungerli poi con linee più o meno numerose di livellazione, affine di trascegliere a ulteriore studio quelle che unissero le minori lunghezze alle minori difficoltà; a questo modo sul tavolo degli ingegneri si avrebbe avuta la vera immagine del terreno da studiarsi, e questo profondo studio avrebbe dovuto generare la linea tecnica. [p. 57 modifica]

175.° Se qui sarò costretto a parlare di me più di quello che a modesto scrittore si convenga, io supplico il lettore ed il pubblico a perdonarmelo, ed a voler attribuirlo alla causa vera che a ciò mi astrigne, cioè alla necessità di una giusta difesa contro un attacco incivile e sleale.

176.° Quando nell’aprile 1836 mi fu offerta a Lubecca dalla Commissione fondatrice la creazione di una strada di ferro da Venezia a Milano, io ne sapeva della geografia, della topografia d’Italia, delle sue popolazioni, delle sue condizioni economiche più che il dottore Cattaneo.

Lo dichiaro anche a costo che egli mi si scagli addosso con un nuovo articolo nel Politecnico, perchè la cosa è vera, perchè infine tutti vedranno che questo non è poi un gran vanto.

Ne sapeva più di lui, perchè ho veduto tutta l’Italia, perchè ho veduto più volte il Regno lombardo-veneto, perchè in tutti i viaggi miei nell’Italia e fuori mi sono sempre studiato di conoscere bene le grandi mosse del suolo, i suoi accidenti particolari, la storia del passato e del presente, le antiche o le moderne fortune, e più di tutto, in tutto, lo stato attuale.

Il Regno lombardo-veneto lo conosceva poi più particolarmente, perchè è la patria mia, perchè l’aveva studiato sulle migliori carte topografiche mie e del ministero della guerra del fu Regno d’Italia, e sulle migliori statistiche; perchè lo aveva in gran parte riconosciuto io stesso quale ufficiale del Genio addetto allo Stato Maggiore dell’esercito vice-reale negli anni 1813-1814, come il corso dell’Adige, del Mincio, dell’Oglio, dell’Adda, i colli del lago, e gran parte del terreno frapposto tra que’ fiumi; ed anche dopo in qualità d’ingegnere aspirante nell’I. R. Corpo d’ingegneri d’acque e strade, ed in seguito come facente funzione d’ingegnere provinciale nella provincia di Verona, e come ingegnere del R. Demanio, della R. Finanza e di molti privati.

177.° Da Verona sono partito il febbraio 1832; e l’invito della Commissione fondatrice mi giunse a Lubecca il 3 giugno 1836, allorché io aveva già studiato, nelle loro parti economiche e tecniche, le strade di ferro di Francia, d’Inghilterra e del Belgio.

Posso dunque dire francamente, e lo dico, che quando giunsi in Italia, nel giugno 1837, non aveva punto bisogno, per concludere che la strada di ferro da Venezia a Milano doveva percorrere l’alta zona della pianura lombarda,

onde incontrare il più grande movimento di uomini e di cose;

attirarvi il vicino;

offrirsi facile a tutte le concorrenze del regno presenti e future;

annodare nello stesso tempo direttamente il più grande numero di città, e le principali;

evitare le forti e rovinose pendenze;

e correre un terreno buono, solido, non contrastato da grandi ostacoli;


non aveva, replico, bisogno di conoscere le per me vecchie cose che il dottore Cattaneo aveva stampato nelle famose sue Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia.

Le ho lette, come ho letto tutti gli scritti che si riferivano al pensiero di quella strada, concludendo quello che dissi al paragrafo 81, cioè che erano cose giuste, rammentate a tempo, ma tutt’altro che nuove, ed annegate in un mar di parole.

178.° Mi parve che tutto quello che egli aveva rammentato, ed anche più di quello che egli aveva rammentato di veramente utile per le strade di ferro in quel suo [p. 58 modifica] vagabondo favellio, si potesse stringere in poche parole, e mi par anche di averlo fatto in meno di una pagina, ai paragrafi 12,13 e 14 del mio progetto, scrivendo:

«Le ulilità di una via di comunicazione qualunque, e più di una strada di ferro, essere morali e materiali, immediate e future, dirette e indirette.

»Le strade di ferro allargare ed accrescere la civilizzazione, agevolare l’amministrazione e la difesa dello stato, risparmiar tempo e danaro, far sorgere nuove ricchezze territoriali e fecondare le esistenti, aumentare le rendite pubbliche, dar anche un frutto diretto del capitale in esse impiegato, se il transito per esse di un pedaggio si aggrava.

»Ma non poter crear tutto questo se tutto questo non esiste; essere un mezzo, un istrumento mediante il quale si può tutto questo sviluppare e fecondare, se esiste in semente ed in germe nel suolo per cui passano.

»Quindi chiara la conseguenza che quanto più questo germe di tutte le fortune sociali sarà sviluppato nel territorio per cui passano, tanto maggiore sarà la somma di ogni incremento, potendo così questo mezzo di sviluppo e di fecondazione applicarsi a più cose, ed operare maggiormente sopra ciascuna.

»È quindi anche chiara la necessità di passar per dove un felice concorso di circostanze fisiche e morali rendono la vita, il movimento della società più fortunato, più attivo, perchè quella fortuna e questa attività sopperisce, intanto, alle spese; poi, pei nuovi elementi di vita, quasi innestativi, si accresce e si allarga facilmente, e senza gravi perturbazioni o sacrificii sociali si diffonde da sè fino alle regioni più lontane e più inerti.

»Essere di una grande opera di pubblica utilità come delle sementi: poste in terreno fertile e preparato, dar in poco tempo albero e frutto: gettate in uno incolto, morirvi.

»Così ora pensarsi per tutto, così ora operarsi per tutto, perchè se le seduzioni della brevità della linea e della poca spesa fecero talvolta vedere, a prima giunta, altrimenti, essere anche riuscito pronto e facile il convincersi, che la strada più breve è quella che si corre più presto, e la più utile non quella che costa meno, ma quella che rende più.

»Delle sei fonti di utilità superiormente enunciate, la prima esser morale, le altre cinque materiali; la seconda, la terza, la sesta dirette e immediate; le altre tre indirette e future.

»La sesta sola, il pedaggio, dover sopperire alle spese di costruzione e di manutenzione se l’opera si compie non dal governo, ma da una società d’azionisti. Tutte le altre cinque essere tanto più grandi quanto la sesta è minore, perchè crescono al crescere del transito, e il transito cresce al calar del pedaggio.

179.° Erami dunque deciso per l’alta parte della pianura lombardo-veneta anche prima di venir in Italia, anche prima di aver letto le Ricerche del dottore Cattaneo.

Che in questa alta parte della pianura lombardo-veneta, posta quasi in mezzo del regno in direzione da est ad ovest, tra il porto di Venezia e la ricca Milano, una strada di ferro dovesse essere generalmente di grande utilità pubblica e di generoso prodotto a chi intraprendesse di costruirla, ella era ed è cosa così evidente, che non aveva e non ha bisogno di alcuna ricerca, di alcuna dimostrazione.

180.° Rimaneva dunque che si determinassero in questa alta parte della pianura lombardo-veneta:

la zona di terreno da percorrersi più opportunamente per la pubblica utilità e pel guadagno degli azionisti,1

e su questa zona la linea, lungo la quale costruire la strada. [p. 59 modifica]Per la zona mi proposi di seguite il maggior transito ed il minor numero di ostascoli da superarsi, ed ove tutto ciò non fosse possibile, tenere il mezzo appunto tra queste due influenze. Bisognava evitare dall’agognar una a spese dell’altra, perchè, altrimenti operando, poteva ben accadere di giugnere ad un intento contrario al propostosi. Gli ostacoli crescono le spese di costruzione, di manutenzione, di transito, quindi la tassa di pedaggio e di trasporto; sicché, ostinandosi a vincerli, al fine di avvicinarsi all’affluenza del transito, può ben darsi che il caro prezzo della tariffa rispinga appunto quello, a cui si era voluto accostarsi, questa tariffa incarendo. Viceversa, andando per l’agevole, onde spendere poco, si può riuscire a guadagnare nulla, cioè ad avere speso molto, se l’agevole vi conduce lontani dalle fonti di guadagno.

Ferma la zona, per la linea mirai, innanzi tutto, ad avere, almeno nella strada principale, pendenze che non fossero superiori al tre per mille, minori anzi per quanto fosse possibile: fatto importantissimo per l’economia di tempo e di spesa nel transito — ove al tre per mille fossi astretto, poterlo aiutare con una immediata contropendenza — toccare il più gran numero di città — accostarmi a quelle che toccar non potessi, ed accostarmivi in guisa, che potessero approfittare della strada da sè o con poca aggiunta di spesa — correr per rette linee riunite da curve di grande raggio — evitare i passaggi sotterra — recar il meno danno od incaglio possibile alle strade esistenti, al corso delle acque, ai luoghi abitati — soddisfar prima al presente, ma avviarsi anche al futuro — e spender poco, salvo lo scopo e la durata dell’opera.

181.° Richiamati al pensiero ed ordinati gli elementi generali e durevoli della pubblica prosperità di tutti i territori! compresi nell’alta parte della pianura lombardo-veneta, e presenti le norme, che ho di sopra indicate, impresi lo studio del terreno, cioè lo studio della zona e lo studio generale della linea.

Per la zona risolsi di attenermi ad una sola per tutto dove le circostanze economiche e la natura del suolo ne dimostrassero evidente la preferenza sopra di ogni altra; e di attenermi a due, od a più, dove questa preferenza rimanesse dubbia.

E per la linea risolsi di determinare, intanto, nella zona già scelta dietro l’ispezione ad occhio, ma però minuta del suolo, l’andamento di una lista di terreno della larghezza non minore di duecento metri, tra i limiti della quale mi si dimostrasse probabile l’esistenza di una linea capace di soddisfare alle condizioni che mi era proposto; e di far poscia scandagliare questa lista colle operazioni geodetiche, onde sul risultato di queste venir finalmente alla determinazione definitiva della linea sopra cui costruire la strada.

182.° Conosceva, come già dissi (paragrafi 176 e 177), il Regno lombardo-veneto, conosceva più particolarmente in esso il corso dell’Adige, del Mincio, dell’Oglio, dell’Adda; i colli del lago ed il terreno frapposto a que’ fiumi. Pure volli riveder tutto, riveder da me, [p. 60 modifica] a piedi, perchè nulla mi sfuggisse, approfittando anche di tutti i luoghi elevati, perchè il terreno mi si presentasse più estesamente, più aggruppato. Dall alto scorsi le mosse generali del suolo; camminando, gli accidenti particolari; poscia riscontrai tutto sulla carta topografica e notai tutto.

Così ho riconosciuto il corso di tutti i fiumi principali che si incontrano tra Venezia e Milano, per tutta quella parte degli alvei loro che attraversa l’alta pianura lombardo-veneta, onde stabilirvi i migliori e più sicuri passi; così ho riconosciuta tutta la parte alta della pianura lombardo-veneta, tutti i colli del lago, tutto il terreno chiuso tra Bergamo, l’Adda, il Serio e la strada postale che da Treviglio va a Chiari.

183.° Scelsi la zona: una per tutto, fuorché in tre luoghi. Furono due dal Mincio a Castiglione delle Stiviere, una al nord della strada postale di Mantova, l’altra a sud; due per la diramazione da Treviglio a Bergamo, una per Lurano e Stezzano, l’altra per Pomirolo, Verdellino, Grumello; due da S. Felice a Milano, una diretta al borgo dei Monforti, l’altra al borgo della Stella.

184.° Furono due a Castiglione per indagare una media tra la maggior brevità della linea, ed il minor movimento di terra.

Due nella diramazione di Treviglio per partire, se mi riusciva, dalla strada principale da un punto più elevato che nella prima, onde diminuire, se fosse stato possibile, la forte ascesa di Bergamo. Perchè poi siano state due da S. Felice a Milano, lo dirò in seguito. (Paragrafo 243)

185.° Stabilite le zone, ritornai da capo ad uno studio più minuto del terreno, anche questo fatto a piedi, per determinare in ciascuna zona la lista di suolo sulla quale ristrignere lo studio particolareggiato, cioè le operazioni geodetiche.

186.° Stabilita questa lista di suolo, tracciai in essa, e sulla carta topografica del Regno lombardo-veneto, la linea che mi sembrò la più probabile, non come linea definitiva, ma come linea di studio, e come base degli studii futuri.

La ho tracciata prima con alcuni fili di seta per averla libera e pieghevole, per poterla far oscillare fra stretti limiti, come più mi sembrasse necessario. Ed è appunto a questo materiale tracciato con fili di seta sulla carta, che la sincerità e la lealtà del dottore Cattaneo vorrebbero ridurre tutto il mio studio del terreno e della linea.

187.° Segnata sulla carta questa linea di studio, questa base degli studii, la tracciai sul terreno, e misi all’opera gli ingegneri operatori ed assistenti, prescrivendo loro di rilevarmi una planimetria d’avviso di tutta la lista, ed esattamente poi almeno tre linee longitudinali di livellazione, cioè la linea tracciata, e due, una ad ambo i lati di essa, e distanti da essa di cento metri almeno.

Mai ho detto, mai ho scritto che quella prima linea da me tracciata, e base delle livellazioni da seguirsi, fosse la linea definitiva, si dovesse avere per la linea definitiva prima di riconoscere il risultato delle livellazioni, prima che io avessi su quelle livellazioni studiate e concretate le pendenze. Ho anzi sempre detto e scritto il contrario: e fatto è che la vera linea della strada, la vera linea del progetto è per tutto compresa nella lista di suolo che io aveva determinata, ma non è per tutto la linea che fu tracciata per la prima nelle operazioni geodetiche.

188.° Quanto ho asserito, può essere confermato da tutti gli ingegneri dell’ufficio tecnico, dalla Direzione, dai moltissimi che mi videro all’opera.

Quanto ho detto, è provato dalle istruzioni date agli ingegneri operatori; dai miei rapporti alla Direzione, alcuni dei quali furono anche stampati. [p. 61 modifica]Quanto ho detto, il dottore Cattaneo lo sa, sa anche che è vero, perchè lo vide in parte, perchè conosce tutto il mio carteggio colla Direzione, perchè il dottore Cattaneo era allora segretario della Direzione.

E lo sa tanto, e sa tanto che è vero, che lo ha anche stampato spontaneamente.

189.° Le due zone e le due linee di Castiglione furono studiate dai due ingegneri operatori signori Gerosa ed Amai; le due zone e le due linee di Bergamo dall’ingegnere operatore signor Alfieri; e quelle da S. Felice a Milano dall’ingegnere operatore signor Bossi.

Gli ingegneri operatori ed assistenti di tutte le altre sezioni furono già resi noti pubblicamente colla stampa del mio rapporto 18 gennaio 1838.

190.° Delle istruzioni particolari date agli ingegneri operatori, oltre a quelle già contenute nel regolamento generale 9 agosto 1837 (Allegato ZZ.) citerò soltanto quelle date all’ingegnere operatore signor Tatti il 6 novembre 1837 per la sezione di Brescia (Allegato MM’.)) perchè tutte le altre sono simili.

In queste si leggono i seguenti due paragrafi.

«Ad ogni battuta farà una sezione normale alla linea longitudinale. Queste sezioni dovranno stendersi per non meno di 200 metri, cento per parte del punto di mezzo, e dovranno essere anche più lunghe se gli accidenti del suolo fossero per dimostrarne la necessità, ec, ec.

«Già scorge che con tutto questo io miro a procurarmi, mediante il minor lavoro possibile, quanto mi occorre per lo studio definitivo e per la definitiva determinazione del cammino della strada, cioè la planimetria approssimativa di una zona di 200 metri nella direzione generale della linea, e sopra questa un plan-coté dell’andamento del suolo».

191.° L’8 dicembre 1837, nel mio rapporto n. 194 (Allegato NN’.), scrissi alla Direzione:

«Per la scelta della linea, lo studio generale del terreno determinare i limiti tra cui strignere le operazioni geodetiche, e nulla più;

"queste operazioni geodetiche svelare la possibilità delle grandi curve, le pendenze inevitabili, la spesa, ed essere, soltanto dopo queste ultime fondamentali cognizioni, che l’uomo d’arte può saviamente risolversi, concludere la linea, tracciarla definitivamente e renderla pubblica se occorre: prima non essere che studii, linee che si possono e si debbono cambiare se l’utilità lo domanda, perchè sarebbe giustamente accusato di presunzione quell’uomo d’arte che stimasse sè di tanto ingegno, di esperienza così nuova, d'occhio così infallibile da poter improvvisare senza l’aiuto di operazioni geodetiche, non dirò su di una carta geografica, chè sono sogni, ma sul terreno, e dopo il solo studio generale di esso, la linea più utile da percorrersi con una nuova e grande comunicazione di uno stato, di un regno...

Questi primi studii topografici mi additarono l’andamento generale della strada, le direzioni alle quali deve avviarsi...

Se dopo compiuto lo studio ed ogni esame, l’additato andamento si potrà definitivamente seguire...

Appena la livellazione sarà finita, appena mi sarà noto a quali pendenze dovrò necessariamente ridurmi, la linea ferma e definita in allora sarà sottoposta all’esame ed alla sanzione delle autorità militari e civili che tutelano la difesa dello stato ed il pubblico servigio dei canali, delle strade, e dei fiumi».

192.° Nell’altro mio rapporto 18 Gennajo 1838, inviato alla Direzione sotto il N. 64, e reso già pubblico colle stampe, vi è ripetuto: [p. 62 modifica]«Se a livellazione compiuta, e dopo di avere sopra essa esaurito ogni studio di pendenze e di spesa, si potrà seguire definitivamente l’additato andamento, i rettilinei saranno ec., ec.....

193.° Il 12 aprile 1838, quando aveva stabilito definitivamente la linea e le pendenze, scrissi d’ufficio alla Direzione, sotto il N. 202:

«La livellazione da Venezia a Milano è compiuta. Un epilogo del di lei profilo generale fu tosto steso, ed ho sopra di esso studiato e concluso le pendenze, il passaggio dei fiumi, dei canali, delle strade.

La linea, che ebbi l’onore di additare a cotesta rispettabile Direzione nel rapporto innalzatole il 18 gennajo p. p., non mutasi punto. Ora può dirsi stabilita, possibile alle macchine locomotive, senza rinforzi in cammino, senza macchine a vapore stabili, senza alcun cambiamento di motore; e mi par anche che potrò dimostrar sempre essere essa la più agevole al transito, e la più economica».

194-° E nello stesso giorno 12 aprile 1838 scrissi anche privatamente al presidente sig. Reali:

Omissis.

«Temeva che nella linea che ho prescelto in mezzo a tante parole seminate, che mi mandavano ora a dritta ora a sinistra, l’esperienza dei luoghi, del terreno, dell’arte potessero mancarmi sotto e darmi, al tocco della livellazione una linea che si dovesse mu» tare in tutto od in gran parte. Immaginatevi il guai che sarebbe stato, guai non nuovo, probabile, possibile anzi. Avremmo dovuto ristudiar il terreno, ricominciare le operazioni geodetiche, perdere denari, e tempo, più dei denari prezioso, ed io morir da dispetto, non perchè mi creda infallibile, ma per la dispiacenza vostra.

»Vedete adunque che se sulle prime sono andato a rilento, vi era di che; e che se non ho voluto parlare, parlar non poteva...

195.° Il dottore Cattaneo fu, come dissi al paragrafo 2, segretario della Direzione della strada di ferro dal settembre 1837 a agosto 1838, sicché egli conosce perfettamente tutte le operazioni eseguite in campagna ed al tavolo dall’ufficio tecnico, dal principio dei lavori fino all’agosto 1838, e meglio poi fino all’aprile 1838) e quindi conosce perfettamente e tutte le operazioni suddette ed i due miei rapporti 8 dicembre 1837 e 18 gennaio 1838, che ho pure superiormente citati.

196.° Anzi, per provare ognor più come egli li conosca perfettamente, non sarà male rammentare qui l’abuso che egli ne ha fatto.

197.° È già chiaro dalle cose fino ad ora esposte, che la zona di terreno da me percorsa per annodare le sei città, non è identica a quella di cui fa parola il dottore Cattaneo nelle sue Ricerche: egli voleva, e vuole ancora, andar da Verona a Brescia dritto pei colli del lago, toccando ora Peschiera, Lonato, Desenzano, ora Esenta e Castelvenzago, secondo le ciarle che sente in proposito, e che va raccogliendo. Io invece, per le ragioni che ho esposte dal paragrafo 63 al 76, proposi e propongo di andar da Verona a Brescia per Villafranca - Caferri - e Castiglione delle Stiviere, e ciò che ho proposto fu anche approvato.

Tuttavia, e malgrado questa differenza, nel rapporto 8 dicembre 1837, per dar un qualche pascolo alla di lui vanità, onde la sua sfrenata espansione non tornasse a danno dell’impresa, scrissi a di lui lode:

«Il problema economico, quello diretto ad accennare la parte del Regno lombardo-veneto che doveva essere percorsa dalla strada di ferro, era sciolto: era sciolto dalla dotta ed amena penna dell’italiano Cattaneo, e dalla esperienza e dall’esempio delle altre nazioni:

Volendo però anche nella lode fargli conoscere chiaramente due cose: [p. 63 modifica]che in quelle sue Ricerche egli non aveva parlato che della parte del Regno lombardo-veneto da percorrersi colla strada di ferro e delle sei città da annodarsi, e non della linea che avrebbe dovuto seguire la strada:

che non aveva poi detto in esse cose nuove, perchè il problema era già stato sciolto dall’esperienza e dall’esempio delle altre nazioni, come credo di averlo anche chiaramente dimostrato al N. IV del presente scritto.

198.° Era stato primo pensiero della Direzione di stampar questo rapporto, per aprirsi occasione di ritrattare, come mi aveva promesso, quanto di non vero, circa al ponte della Laguna e l’incarico mio, era stato stampato dalla sezione veneta nell’opuscolo 1.° settembre 1837, sotto il titolo «Strada ferrata da Venezia a Milano».

Ma le parve troppo lungo, e mi disse che stamperebbe il successivo, quello del gennajo, pregandomi di farlo più breve, e di restringermi alla parte puramente tecnica.

Così ho fatto, ed il mio rapporto 18 gennajo 1838, non parlando punto della parte economica, non poteva ripetere opportunamente, nemmeno se lo avessi voluto, ciò che aveva detto a lode del dottore Cattaneo nell’altro dell’8 dicembre 1837 circa al problema economico.

199.° Mandai questo rapporto del 18 gennajo 1838 alla Direzione, dicendole: che lo stampasse pure, se così volesse, ma però a patto che si stampasse come era e non altrimenti: e la Direzione mi promise che come era si stamperebbe.

La sezione veneta della Direzione lo stampò infatti come io lo scrissi; ma non fu così della sezione lombarda, perchè il dottore Cattaneo, di sua autorità, all’insaputa della Direzione, vi trapiantò entro quel paragrafo dell’altro mio rapporto 8 dicembre 1837 che lo risguardava.

Me ne lagnai tosto, il 9 febbrajo 1838, colla sezione lombarda, dicendole nel rapporto N. 132:

«Nessuno aver il diritto di rendere di ragione pubblica lo scritto privato di un altro, sotto il nome di chi lo estese, mutandolo:

«a questa garanzia, a tutti comune, stare in aggiunta per me la domanda che io aveva fatto che il mio rapporto 18 gennajo 1838 si stampasse come era, o non si stampasse, e la promessa che come era si stamperebbe».

La sezione lombarda mi provò l’arbitrio commesso dal segretario, sicché, in luogo di continuare il lagno, dovetti limitarmi a compiangerla di essere in male mani.

200.° Ora di questo paragrafo introdotto così onestamente dal dottore Cattaneo nella stampa del rapporto 18 gennajo 1838, abusando di due rapporti miei, che erano nelle sue mani, non come dottore Cattaneo, ma come segretario della Direzione, il dottore Cattaneo se ne vale, mutilandolo anche alla pagina 17 della di lui Rivista, per provare, se gli riuscisse, di dar ad intendere, che la linea della strada di ferro da Venezia a Milano fu scelta da lui e non da me. Questo è proprio giugnere al sublime della impudenza e della slealtà!

201.° Ho detto al paragrafo 188 che il dottore Cattaneo sa tanto bene che io ho riconosciuto, studiato e scelto il terreno prima d’imprendere il tracciato, di muovere le operazioni geodetiche, di farmi alla determinazione definitiva della linea, che egli lo stampò anche spontaneamente.

Difatti, nelle di lui Osservazioni alla prima Memoria a stampa dei signori Bergamaschi, parlando delle operazioni già da me fatte a quell’epoca, vi si legge:(1) 2 [p. 64 modifica]«L’ingegnere in capo sceglie il terreno però, prima l’impegnarvisi, approfitta del libero mandato che tiene, e della piena fiducia che gode, e si determina da sè a riconoscere di nuovo gli accessi di Bergamo per avvicinarvi più ancora, se è possibile, la linea maestra».

202.° Strigniamo. Dunque non è vero che io «abbia preso la mia risoluzione sulla carta, che io abbia innanzi tratto determinata la linea con fili di seta tesi sulla carta topografica, senza aver premesso alcun esame del terreno, alcuno studio dei livelli, senza tener alcun conto della qualità del suolo, dei più o meno grandi movimenti di terra, dell’importanza maggiore o minore dei manufatti, mirando solamente ad ottenere i più lunghi rettilinei a mite angolo, e ad evitare le grandi masse dei caseggiati».

Non è dunque vero «che io abbia imposta al terreno una linea arbitraria, una linea» non prodotta dallo studio dei livelli».

Non è vero dunque «che io abbia studiato una linea sola, che io abbia fatto la livellazione di una sola linea, e con ordine prepostero».

Tutte queste cose altro non sono che delle solite imposture del dottore Cattaneo che egli, a queste incallito da lungo tempo, spaccia senza riguardi, senza rimorsi, quantunque abbia in mano la prova del contrario, quantunque abbia egli altre volte provato e stampato il contrario.

203.° È vero invece che vi furono norme e guide generali, dettate da sani principii di pubblica economia, dallo studio e dalla pratica delle strade di ferro; che vi fu studio diligente del suolo, delle acque, dalla zona da percorrersi, del cammin da seguirsi, e che la linea additata alla strada non è una linea imposta arbitrariamente al terreno, ma il frutto, la risultante di tutti gli studii suddetti, tracciata poi col metodo il più sicuro, il più spedito, il più economico che si conosca.

204.° È vero invece che tutti quei suggerimenti del dottore Cattaneo, che egli dà quasi cose nuove alla pagina 17 della di lui Rivista:

«di esplorare sopra un mediocre spazio il corso dei maggiori fiumi per determinare in ciascuno tutti i più opportuni passi;

«di congiungerli con linee più o meno numerose di livellazione, affine di trascegliere a ulteriore studio quelle che unissero la minore lunghezza alle minori difficoltà

«onde avere a questo modo sul tavolo la vera immagine del terreno, «e potere con uno studio profondo determinare la linea tecnica«;

sono cose rancide, sono l’abbiccì dell’arte mia, dell’arte dell’ingegnere — sono cose che io ho fatto sotto i di lui occhi quattro anni sono — sono cose che egli ha letto nei miei rapporti quattro anni sono.

Sicché possa concludere almeno, che sono cose che egli viene ora ad insegnarmi quattro anni dopo che io le ho fatte, che io le ho scritte, cioè quattro anni dopo che egli le ha vedute fare e scrivere da me.

205.° Per tracciare sul terreno la prima linea, la linea degli studii, quella che mi sembrava la più probabile, quella alla quale, in ogni peggior evento, dovevansi legare tutte le altre, e servire di base a tutte le operazioni geodetiche, ho costruito, ad uno degli estremi dei maggiori rettilinei, dei castelli, degli osservatorii di legno; ed all’altro estremo ho eretto uno scopo opaco, quando la lunghezza del rettilineo era moderata, oppure uno scopo luminoso, un fuoco, quando era grande, come p. e. di ventimila, di trentamila metri o più.

206.° Un oggetto qualunque non è visibile all’occhio umano se egli non gli si presenta [p. 65 modifica] sotto un’apertura, sotto un angolo, come si suol dire, di almeno venti secondi se l’oggetto è luminoso, od almeno di un minuto se l’oggetto è opaco ma però bene illuminato.

Ecco perchè ho dovuto erigere degli scopi luminosi agli estremi dei grandi rettilinei: perchè, se a quelle notabili distanze avessi voluto ergere degli scopi opachi, sarebbero occorsi di tale ampiezza da renderne costosa e difficile la costruzione e la manutenzione, e fors’anche impossibile a quella altezza di circa venti metri, a cui conveniva spingerli quasi sempre.

207.° Anche contro questi castelli di legno, e contro questi scopi luminosi, il dottore Cattaneo, con quella sua solita sollecitudine di consiglio, accumula ora, a fuochi spenti, a castelli distrutti, a progetto già fatto ed approvato, una montagna di biasimi, colla solita sequela di opportuni consigli; e per darsi poi un po’ di spalla, vuol far credere che egli ha in questo, in aiuto suo, le mormorazioni di tutti gli ingegneri (pagina 18 ); a dirittura di tutti.

208.° E qui, dopo di aver largito al pubblico qual nuovo frutto dello spontaneo di lui zelo, qual nuova scoperta della di lui mente e del di lui studio (pagina 17),

che le carte topografiche di un paese non possono indicare i continui livelli, la forza del fondo l’opportunità dei materiali, la profondità e la forza delle acque, e tutti gli elementi da valutarsi nell’eleggere una linea di costruzione;

ma bensì, quando sono ben fatte, «l’esatta posizione dei luoghi»;

mi viene dicendo che quel mio modo di tracciare la linea (pagina 18) fu un lavoro inutile e mal sicuro, una teatrale costruzione di torri, di fuochi, buona appena se si avesse dovuto slanciare una prima traccia di mappa topografica nelle solitudini dell’Orenoco;

concludendo che, per eseguire quel tracciato, poteva ben contentarmi della carta topografica dell’Istituto.

209. Così, mentre io per lo studio della zona e della linea seguo il terreno, il dottore Cattaneo inventa che seguo la carta, e su questa bella invenzione mi regala un’accusa d’ignoranza e di negligenza, e mi insegna che avrei dovuto seguire il terreno. E quando pel tracciato della linea, costante nei miei principii e nelle mie pratiche, seguo il terreno e mi appoggio ai fatti, il dottore Cattaneo mi critica perchè ho seguito il fatto ed il terreno, e mi viene dicendo che avrei dovuto invece seguire la carta. In somma con questi critici d’infima lega non vi è modo d’indovinarla.

210.° Ma con pace del dottore Cattaneo, e a malgrado delle sapienti di lui osservazioni, io sono ancora convinto che il metodo da me seguito per tracciare la linea, è il più economico, il più esatto, il più sicuro, il più spedito, quando si tratta, come si trattava nel caso mio, di tracciare delle lunghe mosse, di lunghe rette che dovevano giugnere ad un punto dato, e non un po’ più in qua o un po’ più in là tra dati limiti; quando si tratta di tracciarle in terreni ingombri, in istagione non propizia a simili lavori, in giorni ed in notti nebulose; quando si tratta di una linea fondamentale, base di tutte le operazioni future.

211.° Gli ingegneri del Regno lombardo-veneto conoscono, come io conosco, la carta topografica dell’Istituto di una esattezza certo maggiore di ogni elogio: anche le altre nazioni, e singolarmente la Francia, l’Inghilterra ed il Belgio possedono delle buone, delle ottime carte topografiche dei loro territorii; e pure io ho veduto in Italia, in Francia, in Inghilterra e nel Belgio tracciare, come ho fatto io, i grandi rettilinei delle strade, non solamente per le strade di ferro, ma anche per le strade postali ed anche per le comunali. Convien dunque concludere, malgrado le goffe lepidezze dell’Orenoco, che il metodo che [p. 66 modifica] io ho preferito, sia, alla fine dei conti, il più economico, il più esatto, il più sicuro, il più spedito.

212.° E questo metodo lo ho veduto usato anche recentemente nel tracciare la strada di Monza, nella qual’opera mi pare che i consigli e le lezioni del dottore Cattaneo sieno proprio tenuti in quello stesso conto che si tengono per tutto altrove, ed anche peggio.

E dico peggio, perchè nella strada di Monza vi ho veduto togliere appunto quello che egli vi lodava, e mettervi invece ciò che egli biasimava.

Il dottore Cattaneo, nell’anno 1839, stampò a bella posta, nel primo fascicolo del Politecnico, un articolo 3 per lodare i dadi di pietra che si sottoponeano alle guide di ferro nella strada di Monza, e per biasimare i traversi di legno che io aveva proposto nella strada lombardo-veneta.

Chi dirige quell’opera, dopo quella gran lode del dottore Cattaneo ai dadi di pietra, sospese assai saviamente l’uso dei dadi di pietra e continuò il lavoro con i biasimati traversi di legno. Tanto è vero che anche ai Dottori tocca qualche volta di predicare al deserto!

213.° La Memoria dell’ingegnere geografo signor Manzoni contro le pratiche da me seguite per tracciare la linea, che accenna il dottore Cattaneo, non la conosco, non mi fu mai comunicata, e me ne duole, perchè io sono desideroso di apprendere, perchè studio quanto più posso l’arte mia, perchè se mi fosse giunta in tempo, avrei anche approfittato, e lo dico sinceramente, di tutto quello che avesse contenuto di utile a me, e di utile all’impresa.

214-° Quanto alle mormorazioni di tutti gli ingegneri, di cui vorrebbe farsi forte il dottore Cattaneo, io non ho da rispondergli che una cosa sola, ed è questa, che non gli credo punto.

Non credo che uomini d’onore, dei quali io ne conosco molti, e della di cui amicizia molto mi onoro, uomini aventi molto ingegno, molta istruzione, un carattere pubblico, una condizione sociale indipendente, un’arte a sè, una firma a sè e rispettata, una penna a sè, abbiano potuto risolversi di far il confidente delle loro anonime mormorazioni contro un collega, un giornalista che non ha voce di sincerità 4, che disonora la nobile ed utile arte della critica, facendola non lume al vero, ma sfogo ad un caustico temperamento, ad uno sfrenato amor proprio, ad un incommensurabile disprezzo per tutti i sudori altrui. [p. 67 modifica]

Credo invece che, emuli dell’esempio delle altre nazioni, ove l’onor della patria e dell’arte, cacciata in bando ogni puerile rivalità, li strigne quasi in una sola famiglia; visto come io mi fossi posto in aspro cammino per solo amore del pubblico bene, del paese nostro, del mestier nostro, in luogo di sconfortarmi con critiche anonime, mi si sarebbero mossi incontro franchi e leali soccorritori, offrendomi l’aiuto dei loro studii e della loro esperienza, ove accorti si fossero che io dal buon sentiero sviassi.

E certo avevano ed hanno pegno per cui andar sicuri di tutta la mia riconoscenza, perchè se ho viaggiato non poco, se ho speso del mio, se ho assai affaticato per imparare dagli stranieri, non potevano e non possono dubitare che io non fossi e non sia per apprendere dai miei compatrioti con volere spontaneo, con mente pieghevole, con animo grato.

  1. Ho scritto a disegno prima per pubblica utilità e poi pel guadagno degli azionisti, perchè una grande via di comunicazione, e singolarmente una strada di ferro, è innanzi tutto un’opera di utilità pubblica sia che si faccia e si amministri a spese dello stato, sia che si faccia e si amministri per conto ed a spese di alcuni intraprenditori. E fu un grande errore dell’avvocato signor Castelli di Venezia quello che stampò nel di lui Discorso popolare (pagina 19), dicendo che la strada di ferro da Venezia a Milano era un affare in primo capo di pecunia, e non in primo capo di patriotismo, cioè prima un’opera di utilità privata, e poi un’opera di utilità pubblica, e che quindi dovevasi aver cura prima dell’utilità privata, e poi della utilità pubblica. È proprio tutto il contrario. Generalmente l’utilità pubblica e l’utilità privata sono, in questi affari, concordi; ma ove fossero discordi, non si deve sacrificare l’utilità pubblica, presente o futura che sia, ai grossi guadagni degli imprenditori; ma invece, assicurata ad essi una conveniente utilità in proporzione dei capitali impiegati, tutto il resto si deve porre a conto della pubblica utilità. La cosa è piuttosto un assioma, che un tema da dimostrarsi; ma a chi non paresse tanto chiara, come la sembra a me, abbia la pazienza di leggere quello che per provarlo ho esposto nell’Allegato LL’.
  2. Annali Universali di Statistica, anno 1837, volume V, pagina 391.
  3. Il Politecnico, Volume I°, Anno Semestre I.° (pagina 101): «Questa impresa (parla della strada di Monza), che aveva da principio ben poche probabilità in suo favore, a forza di coraggio ed intelligenza, si è spinta, a generale meraviglia, più innanzi delle altre tutte. Il progetto fu assestato dall’ingegnere Giulio Sarti che si seppe giudiziosamente valere del consiglio dei migliori e più esperti ingegneri. »II suo genere di costruzione è, come vuole l’indole del luogo, in terra e pietra, e col sistema dei dadi alla consueta maniera inglese, escluso il legame che nei nostri paesi è materia di spesa finale assai maggiore».
  4. Mi ricordo di aver letto, nel maggio dell’anno 1838, in una appendice della Gazzetta Privilegiata di Milano, una lettera diretta al dottore Cattaneo, relativa al Monte-seta, nella quale dopo avergli detto: «Che essendosi posto da sè stesso in faccia al pubblico nella dura necessità o d’ingoiare in silenzio una solenne mentita o di difendersi a spese della verità e della logica, era degno di qualche compatimento se si appigliava al secondo partito»; Gli dà in viso cinque volte del mentitore, provandoglielo assai chiaramente, e finisce concludendo. »aver il dottor Cattaneo l’abitudine di abbandonare l’argomento in discussione per attaccare l’individuo, e a nel suo furore, per sembrare spiritoso, cader facilmente nelle ingiurie più grossolane». Di queste lodi al dottore Cattaneo ve ne saranno forse stampate dell’altre; ma io cito le poche che conosco, perchè, come ho detto altrove (paragrafo 2), convintomi una volta per sempre che ciò che egli scrive, o sono cose fritte e rifritte, o ingiurie da trivio, salto via nei giornali tutto quello che è scritto da lui, o a lui si riferisce.