Sciotel/Parte Prima/Capitolo Secondo

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Capitolo Secondo


Sommario. I. Tribù confinanti. 2. I Bogos; usi e costumi loro. — 3. Giudizio dell’Issel. — 4. Costituzione politica dei Bogos. — 5. Loro indole. — 6. I Mensa. — 7. Gli Habab. — 8. Conseguenze. — 9. Razzie.

1. Allorchè i nostri andarono ad occupare Sciotel esso era del tutto deserto di uomini, e vi aveano dimora soltanto gli animali selvatici e le bestie feroci, poichè le Tribù che [p. 13 modifica]lo attorniano non si trovano mai a meno di dieci leghe.

Esse, secondo le notizie che avea il Bonichi al 1867, sono undici, parte cristiane e parte musulmane, contando in tutto 160,000 anime. Il Bonichi mi fece un quadro di queste Tribù, dividendole secondo la loro religione, la posizione geografica, la distanza rispetto a Sciotel, ed il numero dei loro componenti: riporto qui detto quadro, ma naturalmente senza poterne garentire l'esattezza.

TRIBÙ CRISTIANE

1.° Al N.: Gli Hathal, dist. da Sciotel 20 leghe, in n.° di 8,000Fonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312

2.°       »       I Begiuk               »         »         »         »         3,000.

3.° A Nord-Est: I Bogos       »         »         10         »         18,000

4.° Al Sud: I Gambalesi       »         »         20         »         50,000

5.° Sud-Est I Melenzani       »         »         25         »         2,000

6.° Sud-Est, Sud: Gli Uada-Hordido         »         »         2,000

7.° Sud-Est: I Mensa                           »         »         »         5,600

In tutto 88,000


TRIBÙ MUSULMANE

1.° N. e N.-E.: Gli Habab, dist. da Sciotel 30 leg. in n. di 7,000Fonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312

2.° Ovest e Nord-Ovest: I Maria         »         25         »         20,000

3.° Ovest: I Beni-Amer                        »         10         »         20,000Fonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312

4.° Sud-Ovest: I Barca                         »         30         »         25,000Fonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312

In tutto 72,000

2. Dovendo noi metterci in relazioni commerciali, se non con tutti, certo con la maggior parte di questa gente, vale il pregio di [p. 14 modifica]dare minuta contezza di qualche Tribù, tanto per vedere con chi si ha da fare; ed in particolar modo dei Bogos, il cui villaggio principale, Keren, è appena a sei ore di cammino da Sciotel.

Dovendo parlare dei Bogos, io non so far di meglio che riportare qui quanto intorno ad essi scrisse l’illustre prof. Issel, nel suo viaggio Nel Mar Rosso e tra i Bogos.

«I Bogos o meglio Bilen, come si nominano da se medesimi, discendono da una tribù emigrata nel 1600 dagli altipiani del Lasta ed appartengono alla schiatta bellicosa degli Agau (reputati da taluni Aborigeni dell’Abissinia), di cui conservano il linguaggio, tuttochè lievemente alterato. Secondo Munzinger possiedono 20 villaggi ed il numero loro ascende forse a 10,000, quasi tutti dediti alla pastorizia. Lejean stima invece che siano circa 18,000, distribuiti in 17 villaggi. Sapeto enumera 25 villaggi Bogos; ma un tal computo che risale a parecchi anni fa, non è forse più esatto al presente. Questa piccola tribù ben distinta pei suoi costumi e pei suoi usi dai popoli limitrofi, possiede una giurisprudenza sua propria, la quale, sebbene non sia scritta, si conserva da tempi immemorabili, passando da una generazione all’altra, come preziosa eredità. Il fitha Mogareh, ossia diritto di Mogareh, dal nome dello altipiano che servì di dimora al fondatore della tribù, fu ampiamente illustrato da Munzinger [p. 15 modifica]in un’opera intitolata: Ueber die sitten und das Recht des Bogos: Esso non manca di certe analogie con l’antico diritto romano, nato forse in una società che trovavasi in condizioni poco diverse da quelle degli odierni Bogos e che aveva gli stessi bisogni.

I membri della comunità son divisi in patrizî (shumaglié) e plebei (tigré), formando i primi soltanto una terza parte della popolazione totale. Ogni plebeo è obbligato ad affidare la difesa dei propri interessi ad un patrizio, che in molte circostanze si costituisce suo protettore e mallevadore, ed in compenso percepisce dal proprio cliente cospicui tributi. I plebei godono dritto di asilo nella casa del shumaglié.

Sussiste anche fra essi la condizione di schiavo, la quale è però meno dura che in ogni altro paese, in grazia di certe disposizioni protettrici. Un Bogos può essere schiavo per nascita, per vendita, perchè si trova nella impossibilità di pagare i suoi debiti, od anche per sua spontanea volontà. Comunque sia, lo schiavo gode facoltà di scegliersi un padrone; di più si può anche riscattare, col pagamento del valore di 10 vacche, che corrisponde presso a poco a 160 franchi. Il padrone, considerato dalla legge come padre dello schiavo e suo mallevadore, è responsabile dei delitti che questi può commettere, e, se fosse ucciso, egli ha diritto di vendicarne la morte. [p. 16 modifica]

Ogni giovane, in seguito ad una cerimonia che rammenta la presa della toga virile presso gli antichi Romani, diventa a 18 anni maggiorenne e sfugge d’allora in poi alla potestà del padre. Questi può a suo talento uccidere il proprio figlio ancora minore, od anche venderlo come schiavo. Il turpe mercato si pratica talvolta negli anni di carestia, e ciò spiega la presenza in Keren di non pochi schiavi indigeni.

Il capo di famiglia o sim gode tra i Bilen di una grande autorità su tutta la sua parentela sino al settimo grado. Egli è considerato come sacro, come inviolabile, e riscuote certi tributi fissi nel primo anno della sua carica.

Riguardo ai matrimoni, possono considerarsi come contratti in presenza di testimoni. Il Sapeto scrive in proposito che non sono irrevocabili nè esclusivi, e che il sacramento per mancanza di preti è andato in disuso. Vengono però, come in tutto Oriente, così tra i Bogos, celebrati con gran pompa. «Parecchi giorni innanzi soggiunge l’autore precitato, le giovani del paese si raccolgono a casa della sposa notte e giorno ballano e cantano al suon di un tamburello, che alcuna di loro tocca con le mani; nè si vergognano di esser quasi nude o cenciose, purchè la felice loro compagna sia onorata. Ma è un dir niente alla galoria chiassona, che fanno il dì dello sposalizio. Le forosette, ac[p. 17 modifica]conce i capelli a trecce spesse, sottili e penzoloni sul collo, succinte ai fianchi, la veletta a ciondoli, con al sinistro un campanelluccio, e sul petto nudo, a guisa di ciarpa, una pelle di capra a cincischi frastagliata, suonano su per le strade, nelle piazze, sull’uscio di lor catapecchie varie foggie di danze, rigodori, ridde o rigoletti....»

Alla morte di un Bogos i suoi beni passano al suo figlio maggiore. Gli schiavi, i clienti, la moglie fanno parte dell’eredità. L’uso mogareh non riconosce il diritto di testare. I Bilen non sono severi per i ladri e si contentano di far loro pagare, se sono scoperti, un’ammenda proporzionata al valore dell’oggetto rubato, tranne quando si tratti di bestiame, nel qual caso la pena è assai maggiore. Pei delitti di sangue vien quasi sempre applicata la pena del taglione.

Nella procedura loro, che è assai complicata ed ingegnosa, il giuramento dell’accusato vale come prova giuridica. La vendetta delle offese più che di diritto è tenuta in conto di sacro dovere. Perciò si mantengono sempre vivi gli odi tra famiglia e famiglia, e durano per molte generazioni, provocando bene spesso lotte sanguinose che contribuiscono in non piccola parte, secondo Munzinger, a spopolare la contrada.

Chi ha oltraggiato una donna nell’onore, fosse pur questa consenziente, è stimato pari, tra i Bogos, allo uccisore di un uomo libero [p. 18 modifica]e deve pagare il prezzo del sangue, che equivale a centotrentadue vacche, se si tratta di offesa fatta ad un patrizio, di novantasei se la vittima e invece un tigrè. In altri casi, come per ferite gravi ed anche per omicidio involontario, il delinquente è tenuto a pagare soltanto il mezzo sangue.

I Bilen sogliono prestare danaro ad interessi esorbitanti, per esempio al 100 per 100 all’anno. Quando però il raccolto sia andato perduto o il paese sia stato, come spesso succede, devastato dalle guerre e dalle fazioni, l’assemblea generale della tribù ha facoltà di esonerare i debitori dal pagamento o di protrarre le scadenze a tempi migliori.

Talvolta queste sagge disposizioni si applicano ad esclusione del ceto dei commercianti.

3. La giurisprudenza, di cui ho qui accennato alcuno dei punti principali, sembra destinata a scomparire in un avvenire non lontano. Le numerose invasioni straniere (furono quattro soltanto dal 1849 al 1854) e soprattutto il contatto dei Musulmani di Egitto, hanno di già alterato nei Bogos il rispetto tradizionale per le antiche usanze, la patriarcale semplicità, la nativa fierezza. Essi cadranno ben presto in braccio allo straniero e colla indipendenza perderanno anche le loro leggi, la fede, e forse anche l’idioma dei loro antenati.

4. Circa la costituzione politica dei Bogos [p. 19 modifica]trascriverò poche parole del Sapeto che valgono a mostrare, se non altro, su quali basi sia fondata.

«I Bogos non hanno governo unico, nè alcun legame comune gli tien soggetti di un capo; sì quanti sono i villaggi altrettante sono le repubbliche, che reggonsi da per sè, avendo tra loro quei rispetti, che non importano inimicizie, nè tafferugli. Per doverne fare una nazione forte, si vorrebbe eleggere un capo, che dando loro una legge, gli legasse più fortemente all’amor della patria, accendesse nei loro cuori scintille di emulazione, di reciproca fratellanza, e gli menasse a divenir commercianti agricoltori e soldati, senza ledere in nulla i diritti comunali di cui sono gelosi assai»1.

5. L’illustre autore viaggiando verso Keren, e trovandosi a due giornate da quel principale ed importante villaggio dei Bogos, venne più volte fermato e rispettosamente salutato dagli indigeni. Ecco come egli narra questo fatto: «Fui fermato più volte in quel giorno e nel seguente da viandanti Bogos che vollero quasi per forza baciarmi la mano. Costoro sono cristiani e praticano similmente cogli altri viaggiatori, in segno di riverenza e di amicizia verso correligionarii potenti e ricchi, perciocchè tali stimano tutti gli Europei.

Men belli della persona e meno industriosi [p. 20 modifica]dei Mensa, i Bogos non differiscono da questi loro vicini pei costumi, per gli usi pel vestire. Il tipo loro etnologico, come giustamente avverte il Sapeto, è quello stesso dei tributarii del gran Sesostri, effigiati negli antichissimi bassorilievi egiziani, cioè il tipo abissino primitivo ben noto agli antropologi» 2.

I Bogos hanno pure grande venerazione pei loro defunti:

«Lasciati addietro due o tre villaggetti, passammo accanto ad alcune tombe di Bogos, fatte con arte e diligenza molto maggiori di quel che non siano colà le dimore dei vivi ecc. 3.

6. Ecco poi un quadro vivissimo dei costumi semplici e patriarcali dei Mensa.

«Dopo un altro breve cammino, giungemmo al centro dell’altipiano di Maldi, ove è un piccolo villaggio formato di 46 capanne disposte in un circolo perfetto, in mezzo al quale si adunano le mandre di quei montanari, quando tornano dal pascolo. Le capanne assai piccole e fatte a cupola, risultano di un’armatura di rami d’alberi, coperta di stuoie e pelli; gli intervalli tra l’una e l’altra sono ricolmi di pruni, ad eccezione di uno che serve di accesso al villaggio. Un tugurio isolato fuori del circolo è destinato, se ben mi appongo, alle sentinelle [p. 21 modifica]che vegliano alla sicurezza della comunità. Entrati che fummo, ci vennero d’attorno molti fanciulletti ignudi per vedere il bianco signore della lunga barba, mentre sulle porte delle capanne si affacciavano per lo stesso oggetto e donne e ragazze, non meno curiose delle altre figlie di Eva. Fra esse alcune erano vestite, o meglio svestite, con una cintura, guarnita di lacinie di cuoio pendenti ed ornata di conchiglie, il qual costume, per lo passato assai generale, tende ora a scomparire, imperocchè incominciano ad adottare le mode di Moncullo.

Mi si presentò dinanzi, appena arrivato, il capo del villaggio, simpatico giovane dalla fisonomia affabile e dignitosa, e fattomi il saluto di uso, mi assegnò un posto ove potessi pernottare con la mia gente. Prese poscia un gran vaso pieno di latte, e bevutone un sorso per mostrare che non ricettava nascosto veleno, me lo porse, ed io libai accennando di aggradire la cortesia. Per altro, ancorchè il latte fosse eccellente, lo tracannai con ritrosia, giacchè il vaso in cui mi era offerto, contesto non so se di palma o di giunco, era internamente spalmato di sterco bovino, forse per renderlo stagno. In appresso entrarono successivamente nel villaggio gli armenti reduci dal pascolo, ricchi di ben 300 capi di bestiame, non compreso un certo numero di capre. I pastori si misero allora a mungere le vacche e ad abbe[p. 22 modifica]verare i vitelli, e fattesi dense le ombre della notte, si accoccolarono intorno a grandi fuochi accesi nel mezzo del recinto per riscaldarsi e conversare sino all’ora del sonno che non tardò molto a giungere.

Allo spuntar del giorno, ci dipartimmo da quei semplici pastori ecc. 4.

7. Tra le tribù musulmane rammentiamo quella degli Habab, che sono quei medesimi il cui capo Kantibai fece ultimamente dichiarazione di sudditanza verso la nostra nazione; la quale dichiarazione ne venne poi anche approvata e confermata dai fratelli di lui. Questa tribù, a giudicare dal fatto che si è obbligata di fornire al nostro esercito 7000 cammelli, deve essere oggi molto numerosa e ricca. È vero che nel quadro sinottico del Bonichi è riportata nella cifra di 8000 anime, ma è a notare che egli scriveva quelle notizie più di 20 anni or sono.

8. Come ognuno vede le tribù che attorniano Sciotel non sono poi tanto barbare e selvagge, quanto si potrebbe credere; anzi, in certe cose, potrebbero dare dei punti alla nostra civiltà: come è, per esempio, per l’usura, e per la facoltà che ha la loro assemblea di rimettere i debiti o di prolungarne la scadenza.

Il principale appunto, che ad essi si fa, è che sono pigri, amanti della vita nomade poco dediti all’agricoltura, contentandosi di [p. 23 modifica]tirare innanzi la vita con i prodotti che quelle terre feracissime spontaneamente producono. Sicchè, non curandosi di far fruttare la terra e di metterne in serbo i prodotti, negli anni di siccità e di carestia, muoiono di fame.

Ciò è verissimo: ma hanno poi tanto torto?

Rispondo ricisamente no, perchè la sicurezza delle loro persone, e delle cose loro, la loro tranquillità sono in ragione diretta della loro povertà: più sono poveri e meno hanno da temere le moleste, le devastatrici visite dei Ras del furfante dei furfanti, il Negus Neghest.

9. Il Re dei Re, quando ha bisogno di danaro e di derrate, usa un mezzo facile e molto spiccio per procurarseli; poichè egli assegna ai suoi capi le più ricche province, con l’incarico di taglieggiarle, riserbandosi sul bottino il dieci per cento. Ed i Ras, non avendo a loro disposizione nè esattori nè agenti delle imposte, nè ruoli esecutivi e trovando più commodo ed utile servirsi con le proprie mani, anzichè affidarsi alla lealtà dei loro tributari, si slanciano con tutto l’esercito nelle province a loro assegnate, mettendole a sacco e a fuoco.

Siffatte visite sono, per i poveri sudditi, un vero flagello di Dio!

Lessi di una scorreria, o razzia, che il cristianissimo D. Giovanni Kassa fece non contro nemici ma contro sudditi suoi, co[p. 24 modifica]mandando egli medesimo l’esercito; e posso assicurarlo, che la narrazione è tale da muovere ad ira anche i sassi. Dinanzi l’esercito dello amato Sovrano fuggivano tutti atterriti, ed i soldati predavano tutto ciò che veniva loro alle mani, non risparmiando neppure la vita a quei poveri disgraziati, non perdonando nè a sesso, nè ad età. E, ciò che non poteano trasportare, devastavano, bruciavano; in modo che, in pochi giorni, una provincia ricca, non solo de’ prodotti del suolo ma anche di piccole industrie, piombò nella più squallida miseria, nella più dura carestia.

Mi pare dunque che io diceva bene pocanzi, che cioè la sicurezza, per quei popoli è in ragione diretta della loro povertà! Perchè dovrebbero lavorare, perchè dovrebbero risparmiare quei poveri barbari? non fanno forse bene a contentarsi di ciò che, quasi spontaneamente, produce la terra, e non attrarre su loro, con le sudate ricchezze, la rapace ira del loro Imperatore?

Note

  1. Issel Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos pag. 108.
  2. Issel op. citata pag. 133.
  3. Idem pag. 154.
  4. Issel opera citata pag. 128.