Spasimo/VI. L'inchiesta

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VI. L'inchiesta

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V. Duello VII. La confessione

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VI.

L’inchiesta.

Quando il giudice rimase solo, la fiducia che lo aveva sostenuto cadde ad un tratto. La resistenza dei Vérod gli era stata di sprone suggerendogli argomenti la forza dei quali contro l’accusa sembravagli grande: sentendosi da ultimo dare ragione, invece d’affermarsi nella sua opinione tornava a dubitare. La sua ricostruzione del dramma era verisimile, ma nessuno poteva testimoniare che fosse vera; e la possibilità dell’assassinio era veramente insostenibile? Dopo avere lumeggiata una delle due ipotesi egli doveva esaminar l’altra; a questa impresa accingevasi con cresciuta antipatia per gli accusati. Scosso dal dolore del Vérod, ricredutosi rispetto alla morta, egli diffidava ora maggiormente dei Russi.

Il domani dell’interrogatorio del giovane, insieme [p. 168 modifica]con i pacchi delle carte sequestrate a Nizza ed a Zurigo, egli ebbe le informazioni richieste al capo del dipartimento di polizia e alla legazione di Russia a Berna intorno ai nihilisti. Ciò che già sapeva dell’indole del principe Alessio Petrovich restava confermato e documentato da quei rapporti lunghi e minuziosi, pieni delle deposizioni assunte nei precedenti processi politici. Ma egli seppe pure alcune cose che non sospettava.

Erede del genio della razza slava, mosso da sentimenti impetuosi e troppo vicini ai primitivi istinti, Zakunine era anche infermo di quell’isterismo che la moderna scienza delle malattie nervose ha trovato non essere più doloroso privilegio del sesso femminile. Di lui, della tumultuosa sua gioventù si narravano cose veramente incredibili. Cresciuto orfano di padre, il suo odio per il secondo marito della madre si era sfogato in ismanie omicide. Battuto a sangue, punito più selvaggiamente che non avesse peccato, il suo carattere s’era peggio inasprito.

Un giorno, a dieci anni, passeggiando con un compagno della sua stessa età, si era appressato a una stazione ferroviaria; l’amico gli aveva spiegato che i cantonieri percorrono i tratti di via a ciascuno di loro affidati per accertarsi che nessun ostacolo minaccia l’incolumità del convoglio; allora egli, profittando d’un momento che il compagno non l’osservava, senz’altro scopo che una perversa curiosità del male, aveva messo sotto le rotaie due grossi sassi [p. 169 modifica]e s’era indugiato fino all’arrivo del treno per godere lo spettacolo della catastrofe. I sassi erano grossi ma per fortuna friabili; le ruote della macchina li avevano ridotti in polvere senza scostarsi d’una linea.

Un’altra volta, un poco più innanzi negli anni, la fredda insania di quell’anima s’era manifestata in altro modo, contro sè stessa. Girando per le sue possessioni della Piccola Russia, il figliuolo d’un mugik che gli faceva da guida gli veniva spiegando le qualità dei vegetali; dinanzi a una verde macchia, additata una pianta bassa dalle foglie lunghe e villose, aveva detto: «Questo è giusquiamo, veleno tremendo.» Allora, rapidamente, prima che la sua guida avesse tempo, non che d’impedire l’atto, ma neppure d’accorgersene, egli aveva strappato quante foglie la sua mano capiva, divorandole. La guida si era ingannata, quella pianta non era giusquiamo; ma per un giorno tutti avevano creduto Alessio Zakunine avvelenato ed erano rimasti tra ammirati e sgomenti vedendo l’ironica allegria con la quale egli aspettava la morte e sferzava i trepidanti.

Tutta la sua prima gioventù era stata una tempesta. Senza denaro, il demone del giuoco lo aveva afferrato per i capelli: una notte, perduta una somma fortissima che non poteva pagare, si era tirato un colpo di revolver al cuore per non sopravvivere alla vergogna; la palla, deviando, gli aveva fra[p. 170 modifica]cassato l’omero. Battutosi in duello per una quistione turpe e non riconciliatosi con l’avversario, lo aveva più tardi salvato dalla morte, a rischio della propria vita, eroicamente.

Era stato impossibile, fino a diciotto anni, fargli apprendere nulla, persuaderlo ad ascoltare una sola lezione; confuso una volta da una donna, da una fanciulla, che gli parlava francese credendolo pratico di questa lingua, aveva mutato vita da un giorno all’altro: per due, per tre anni nessuno lo vide più: datosi allo studio con la foga che metteva nelle cose maligne, aveva rapidamente acquistato il tempo perduto.

Intelligenza tersa ed acuta, nulla gli riusciva difficile. La sua volontà era capace di fermezze ferree, di perseveranze instancabili, ma non si manteneva sempre eguale; crisi di fiacchezze nervose, di rilassamenti malaticci si alternavano con gli sforzi protervi. Questo lato della sua costituzione morale era meno noto perchè egli metteva una specie di geloso pudore nel nascondere le proprie debolezze. Nondimeno era stato visto piangere.

Freddo e duro con i suoi proprii simili, amava d’umano amore le bestie. Appassionato della caccia, i suoi cani gli tenevano luogo d’amici: parlava con essi, li baciava, li guardava lungamente negli occhi quasi per penetrare nell’oscura anima bruta. Dinanzi a quelle infime anime egli si faceva umile: serviva le sue bestie, trascurava sè stesso [p. 171 modifica]per badare che non mancassero di nulla; se qualcuna ammalavasi non aveva più un momento di pace. Quando uno dei suoi cani morì, con la testa adagiata sui ginocchi di lui, guardandolo con i miti occhi appannati; quando egli vide irrigidite le elastiche forme, quando sentì freddo e inerte il corpo prima vibrante sotto le carezze, quando ebbe compreso il mistero della morte, il pianto, un muto e lungo pianto spetrò i suoi occhi. Per le femmine non era stata mai tanto tenero come per i maschi; i colpi di scudiscio, nei momenti d’ira, cadevano soltanto su quelle. Egli si ricredette il giorno che una di esse, dato con stento alla luce mezza dozzina di piccoli, si ammalò ma non sofferse che i figli le fossero tolti, e tanto lamentosamente guaì che glie li restituirono, e spirò con la prole attaccata al petto febbricitante.

Dalla compagnia delle donne aveva rifuggito come per istinto, fino da piccolo. A vent’anni, morta sua madre, rimasto padrone d’un’immensa fortuna, era uscito ad un tratto, con un voltafaccia repentino, dalla vita solitaria delle campagne dove alternava i violenti esercizii con le macerazioni dello studio, per darsi freddamente e quasi studiatamente agli eleganti e malsani piaceri delle grandi città. Sciupò molto denaro e molta forza nervosa, la sua costituzione già squilibrata deperì. L’amore, il primo amor d’anima, gli fu ispirato dalla figlia del principe Arkof. Con un morale [p. 172 modifica]anacronismo che in quella natura fuor del comune non doveva stupire, egli amò del fanciullesco, ingenuo e timido sentimento quando per ogni altro uomo non ne è più la stagione. La sua adolescenza solitaria e selvaggia non era stata visitata da fantasmi poetici; ma, per quelle leggi d’equilibrio e di compenso che sembrano estendere il proprio impero dal mondo della materia al mondo dello spirito, la poesia del cuore, alla virtù della quale egli pareva essersi sottratto, lo invase quando fu immerso nei più prosaici e disgustosi amori. Come la confusione provata una volta lo aveva spinto a trarre la propria mente dai limbi dell’ignoranza, così il turbamento sentimentale redense l’anima sua. Da un giorno all’altro, per un tempo non breve, nessuno più lo riconobbe: lasciate le indegne compagnie, fuggite le vili occupazioni, con una reazione imprevedibile non visse se non di sogni, di pura contemplazione, di adorazione muta e discreta; non altro proponimento lo animò se non quello di rendersi, con una vita esemplare, degno della creatura amata. L’incanto si ruppe e il malefizio tornò ad operare su lui quando, per la tirannia dei parenti, la principessa Caterina andò sposa al generale Borischoff, governatore di Kiew. Allora gl’impeti selvaggi, le convulsioni violente tornarono ad assalirlo; ma, cosa strana, non gli presero immediatamente la mano. La sincerità del suo ravvedimento, la capacità sentimentale del[p. 173 modifica]l’anima sua furono provate e misurate da ciò: che egli seppe frenarsi ed accettò di sapere in braccio altrui la sposa del cuor suo. Egli che non le aveva quasi parlato, che non ne conosceva i sentimenti, che si era appagato di sospirarla da lontano, potè credere, vedendola accettare la mano del generale, che lo amasse, che sarebbe stata felice con lui. E sanguinando e struggendosi, tacque, scomparve, per non esserle d’ostacolo; ma quando seppe che il fortunato rivale era immeritevole della fortuna ottenuta, che non solo non faceva felice, ma avviliva, maltrattava e mortificava la creatura alla quale egli aveva voluto risparmiare, non che un dolore, un solo pensiero molesto, allora la furia del cruccio, del rimorso e dello sdegno lo gettarono in mezzo ai nihilisti che meditavano d’uccidere il terribile governatore. Scoperta la congiura, il gran nome e più del nome il motivo tutto morale, estraneo alla politica, che lo aveva animato, lo salvarono dalle pene crudeli inflitte ai suoi compagni; ma quella politica, alla quale fino al giorno prima era stato indifferente, lo infiammò subitamente.

Durante i preparativi del complotto, nella frequentazione dei rivoluzionarii, egli non aveva potuto, dominato com’era da un’altra idea, porre mente alle ragioni che armavano i suoi compagni; l’amore della libertà, l’odio della tirannide, la sete di giustizia, l’ideale di fratellanza dovevano essere per l’amante vendicatore incomprensibili; ma [p. 174 modifica]quando fu arrestato e processato, quando conobbe le brutalità della polizia, l’incoscienza dei giudici, l’eroismo dei complici; quando si vide sbandito dalla patria; quando conobbe, girando per il mondo con la morte nel cuore, i dolorosi contrasti delle grandezze superbe e delle miserie insanabili, una nuova meta brillò repentinamente ai suoi occhi: la redenzione umana.

Ma, come era da prevedere, neanche questa volta egli conobbe misura. In Francia, in Olanda, in Germania, in Inghilterra cercò i capi del partito nihilista ed anarchico, diede quanto potè della sua sostanza e tutta la sua attività personale alla propaganda, si mescolò a nuove congiure che sortirono effetti cruenti, fu ancora una volta processato e condannato a morte. Con una temerità incredibile tornò in Russia, celatamente, più volte, per intendersi con i suoi compagni di fede, per animarli e dirigerli; fu per cadere nelle mani della giustizia, si salvò miracolosamente, riprese più tardi a complottare all’estero sempre sognando e preparando il cataclisma sociale che lo avrebbe restituito al suo paese risorto.

Il giudice Ferpierre riportava dalla lettura di quei documenti un’impressione vivace. L’istintiva avversione che egli provava per il ribelle si era venuta secretamente temperando con un sentimento di pietà. Quell’anima convulsa non era tutta malvagia: messa e guidata per altre vie avrebbe [p. 175 modifica]potuto dare al mondo luminosi esempii di bene. Perchè mai l’amore d’una creatura come la contessa d’Arda non l’aveva guarita?...

Dell’influenza che questo amore aveva esercitata sul principe i rapporti della polizia dicevano qualche cosa. Cinque anni innanzi, al tempo che aveva conosciuto l’Italiana, l’attività politica di Zakunine era quasi cessata. Pareva che egli avesse dimenticato i suoi ideali, i suoi complici e tutto per vivere vicino all’amica. Il mutamento era tanto più notevole quanto che non riguardava la politica ma anche i costumi. L’esuberante e insaziata capacità di vita che era in quell’uomo non s’appagava dell’assidua prosecuzione della riforma sociale: tra l’uno e l’altro complotto egli trovava tempo di passare d’amore in amore. Le sue fortune galanti erano innumerevoli: come per virtù d’un fascino tutte le donne che aveva fatto oggetto d’un desiderio erano state sue. Da questa vita egli era uscito per opera della contessa Fiorenza. Intorno ai sentimenti da lui provati a quel tempo il giudice ebbe più precisa notizia leggendo le carte trovate nel domicilio della defunta, a Nizza. Fra quelle lettere, la più parte insignificanti o rivelatrici di cose già note al Ferpierre, c’erano quelle che il principe aveva scritte all’amica nei primordii dell’amor loro. Erano così appassionate e ferventi che quasi un caldo alito se ne sprigionava: le parole sospiravano, cantavano, ardevano come vive fiamme. [p. 176 modifica]

«Luce del mondo, vita dell’anima, sorriso della grazia, porto della salute, volete voi udire ciò che nessun vivente udì mai? Mai nessun vivente seppe chi sono. Io non ebbi madre, io non ebbi sorella. Non me ne dolgo, ne sono altero e superbo, perchè ora a voi prima, ora a voi sola potrò svelare il cuor mio...»

Ed egli le si confessava, candidamente: le diceva che era un infermo, un fanciullo, un pazzo bisognoso di cure e d’amore; che l’apparente suo coraggio nascondeva una paura infantile, che nella superbia era umile, che odiando amava, che le lacrime della pietà erano in lui represse dai sorrisi dello scherno, che trascorreva dall’uno all’altro estremo con una dolorosa inquietudine, con un’ansia tormentosa, col bisogno nostalgico d’una immutabile serenità.

«L’amor vostro sarà la salvezza, la pace, il porto, la terra promessa, il paradiso perduto e ritrovato. Amatemi come ho bisogno d’essere amato, come si amano i bambini e le bestie, d’un amore che sia indulgenza, pietà, consolazione, lenimento e soccorso...»

Se la contessa d’Arda non era riuscita nell’opera bisognava darne a lei la colpa? Rammentando il diario della morta e le stesse confessioni del principe, il Ferpierre doveva ammettere che la colpa non era stata della contessa ma dello stesso Zakunine. Forse se ella lo avesse conosciuto prima, [p. 177 modifica]quando il male non aveva messo in lui radici tanto profonde, lo avrebbe guarito; ma il loro incontro era avvenuto troppo tardi, e se per un poco egli aveva dimenticato le inveterate abitudini di vita e di pensiero, era ben tosto tornato quello di prima. E poichè le continue reazioni di quell’anima parevano crescere in violenza, egli aveva fatto scontare alla contessa Fiorenza le promesse di ravvedimento con le derisioni e gli oltraggi. Credendo alle promesse di lui, la contessa lo aveva condotto in Italia, a Milano, sui laghi lombardi, nei luoghi a lei familiari, nelle case dove ella era vissuta, sperando che per la lontananza dai compagni di fede e per la virtù del benefico clima morale la guarigione sarebbe stata più pronta. Invece più rapido era stato il disinganno, perchè dall’Italia egli si era fatto espellere. L’avventura aveva fatto molto rumore nella penisola: quantunque il solo nome d’un rivoluzionario come Zakunine potesse giustificare il provvedimento della polizia italiana, il ministro Francalanza era stato accusato d’averlo preso per ragioni intime, perchè c’era di mezzo una gran dama; vivaci interpellanze erano state portate in Parlamento. Lo scandalo aveva dolorosamente ferito la contessa; ma, nonostante, ella aveva seguito lo sbandito, accettando l’esilio. Fuori d’Italia egli si era dato nuovamente alle congiure ed agli amori, tutto quanto. L’anno innanzi un grandioso tentativo rivoluzio[p. 178 modifica]nario in Russia, da lui ideato e diretto, era stato sul punto di riuscire. Mentre la nave che doveva trasportare lo Czar da Pietroburgo a Kronstadt saltava in aria, mentre due reggimenti si ribellavano a Mosca, mentre una colonna di condannati in Siberia marciava in armi verso gli Urali, un manipolo di fuorusciti sbarcava in Crimea e metteva in fiamme le province meridionali dell’impero. Se l’autocrate si fosse trovato sul battello naufragato, la sua morte nel punto che da tante parti gli audaci scendevano in armi avrebbe forse segnato il principio della fine; ma, per un improvviso mutamento, la Corte aveva seguito la via di terra, e allora le parziali rivolte erano state soffocate nel sangue: dei capi, solo Zakunine, rimasto lontano, sopravviveva.

Tale era l’uomo che Roberto Vérod accusava di aver ucciso la contessa d’Arda.

— È costui capace d’aver commesso l’assassinio? — domandava il Ferpierre a sè stesso; e contrariamente all’opinione di Giulia Pico rispondeva: — È capace!

Ma aveva veramente uccisa la disgraziata? La capacità di delinquere non valeva nulla, senz’altro. Nel suo giornale, Fiorenza d’Arda aveva, sì, trascritto la minaccia di lui: «Se tu m’abbandoni quando non t’amo più, te ne sono grato; se mi tradisci quando t’amo ancora, ti uccido:» ma, come il giudice aveva dimostrato al Vérod, [p. 179 modifica]non era vero che la contessa lo avesse tradito; amata ancora da lui, ella avrebbe trovato maggiori difficoltà a lasciarlo; l’idea di restargli accanto per dovere, quest’idea che appariva dominatrice del suo pensiero, sarebbe stata rafforzata dal presentimento del dolore che gli avrebbe inflitto. E, innanzi tutto, si doveva ancora provare che egli avesse veramente ripreso ad amarla!

Che cosa aveva fatto negli ultimi tempi? Bisognava credere che tenesse in un luogo secreto i documenti della sua attività rivoluzionaria, perchè nel suo domicilio di Zurigo se ne trovarono pochissimi. Questi tuttavia non erano senza importanza. Alcune lettere di correligionarii, con date recenti, erano piene di sorde accuse. Dalla Russia i compagni gli scrivevano lagnandosi a una voce del suo silenzio, della sua freddezza, rimproverandogli di non mantenere promesse sulle quali facevano assegno e quasi accusandolo di tradimento. I nihilisti avevano deliberato un altro tentativo subito dopo l’ultimo disastro: un tentativo che era disperato ed inutile, ma che pure avrebbe attestato come l’imperversare della più feroce reazione non potesse toglier loro l’ardire e la speranza. Ora essi gli scrivevano: «Mentre noi siamo qui pronti a dare la nostra vita, mentre non aspettiamo altro che una parola, tu ci abbandoni? Il tuo coraggio è dunque proprio finito dopo Kronstadt? Eppure [p. 180 modifica]non arrischiasti gran cosa! Te ne rimanesti al sicuro, mentre qui si moriva!...»

Come mai Zakunine si lasciava rimproverare così? I correligionarii lo accusavano a torto, oppure lo zelo di lui si era veramente intepidito? E in tal caso come e perchè l’ostinato ribelle aveva potuto distogliersi dallo scopo della sua vita?

Pensando che già una prima volta, all’inizio della sua amicizia per la contessa d’Arda, il principe aveva quasi tralasciato la propaganda; considerando che, prima ancora d’aver concepito l’ideale politico, il giovane era stato trasformato dall’amore della principessa Arkof, pareva al giudice di dover sospettare che ancora nell’amore fosse la ragione del nuovo mutamento. Era l’antica passione per la contessa improvvisamente ridestatasi, oppure qualche nuova avventura? A priori, il Ferpierre non poteva escludere che Zakunine avesse ripreso ad amare Fiorenza d’Arda, anche dopo averle inflitto tanti tormenti: in un’anima come la sua inclinata agli estremi, obbediente a contrarie sollecitazioni, questo rinnovamento sentimentale era possibile, specialmente dopo che la contessa amava il Vérod. Ma il contegno del principe, negli ultimi tempi, non era tale da far accogliere l’ipotesi. Se dalle dichiarazioni di Giulia Pico risultava che egli era diventato migliore per l’antica amante, risultava pure che aveva continuato a starsene lontano. Una visita di pochi giorni ogni due settimane od [p. 181 modifica]anche ogni mese poteva appagare un cuore veramente innamorato e geloso? Poteva Zakunine restarsene lontano quando sapeva che un altro gl’insidiava il suo bene? Se l’amore, un amore così prepotente da spingerlo poi al delitto, avesse dato nuove vampe nel suo cuore, egli avrebbe dovuto gettarsi ai piedi della contessa, mostrarsi finalmente convertito e redento, indurla a fuggire con lui, a nascondersi in qualche angolo ignorato del mondo. Se egli avesse detto qualche cosa di simile, la contessa sarebbe stata senza dubbio fortificata nella sua resistenza al Vérod e un accenno se ne sarebbe trovato nel suo diario. O bisognava credere che, struggendosi d’amore e di gelosia, il principe non le avesse detto nulla per amor proprio, per alterigia? Da parte d’un suo pari, d’un uomo il cui pensiero si mutava in azione rapidamente, come in un fanciullo, ciò non era da credere. Per qual motivo tornava egli dunque dall’amica e la trattava meglio nelle ancor troppo rare e brevi sue visite?

Il Ferpierre scoperse questo motivo quando, fra l’altre, lesse anche le lettere d’affari che il procuratore della contessa d’Arda le scriveva dall’Italia. In queste lettere si parlava di cambiali del principe, di conti che egli doveva rendere, di somme inviategli per mezzo di banchieri. Era evidente che Zakunine, impegnata la sua sostanza nell’opera rivoluzionaria, bisognoso anche di molti denari per [p. 182 modifica]la vita dissipata, aveva ricorso all’amica sua. Nei primi tempi l’intimità del loro legame scusava se non legittimava gl’imprestiti; più tardi, finito l’amore e cominciati i mali trattamenti, egli non era stato in grado di soddisfare gl’impegni. E frattanto i suoi bisogni erano divenuti più urgenti. L’ultima cospirazione di Kronstadt gli era costata tanto, che egli non aveva saputo più come fare: da lettere di risposta trovate a Zurigo appariva che si era rivolto a più parti, insistendo premurosamente per avere soccorsi.

A queste notizie il Ferpierre accolse un dubbio grave. Zakunine e la nihilista avevano uccisa la contessa per impossessarsi del suo denaro?...

Il sospetto, a priori, non era irrecusabile. In casa della morta si erano trovati molti valori; ma ella era tanto ricca che forse ne aveva potuto possedere, l’ultimo giorno, per una somma maggiore. Ad arte i due Russi, se il furto era il movente del crimine, potevano non averli involati tutti: ma difficilmente si spiegava in tal caso il modo rumoroso col quale l’avevano uccisa e l’acuto dolore al quale Zakunine era parso in preda; nè si poteva dire come e dove avessero nascosto le somme rubate nei pochi istanti trascorsi fra il colpo e l’accorrere delle persone di servizio. Si doveva credere che qualcuna di queste persone fosse loro complice? Oppure che essi aspettassero ancora di sottrarre i denari dopo aver fatto [p. 183 modifica]credere al suicidio, non prevedendo l’accusa del Vérod?

Il Ferpierre deliberò di far chiedere a Milano al ragioniere di casa d’Arda se i valori rinvenuti ai Cyclamens erano interamente quelli che si dovevano rinvenire, e di interrogare quindi i servi per iscoprire se qualcuno di loro potesse, nella confusione del primo momento, aver preso dagli assassini le somme mancanti. Ma quantunque egli tutto credesse possibile al mondo, pure non ammetteva ora in Zakunine tanta malvagità da uccidere per rubare. La supposizione che si poteva, che si doveva logicamente fare era un’altra. Zakunine tornava dalla contessa non per amore che sentisse di lei, ma per il bisogno dell’aiuto che ella poteva dargli spontaneamente. Ricca oltre misura, avvezza a non spendere per sè neanche la quarta parte delle sue rendite, ella poteva immediatamente togliere l’antico amante dall’imbarazzo. Per ciò il principe veniva a trovarla di tanto in tanto e le si mostrava migliore. L’amore, la passione che non soffre indugi e lontananze, lo tratteneva altrove, lo faceva vivere a Zurigo — dove viveva la Natzichev.

Era credibile che quell’uomo, a cui la leggenda attribuiva le amanti di Don Giovanni, fosse rimasto vicino alla studente senza che la comunanza delle dottrine e degli scopi non desse origine a relazioni più intime? E qualche indizio a sostegno di questo [p. 184 modifica]sospetto non mancava. Come dalla Russia, così dall’Inghilterra i compagni di fede si rivolgevano a lui, rimproverandolo di averli abbandonati: «La vostra presenza è qui necessaria,» gli scrivevano da Londra; «vi aspettiamo da quattro mesi: che cosa v’impedisce di venire? Sarebbe tempo che manteneste la vostra parola!... O qualche nuova avventura vi trattiene costì?...» Lo scrittore di quella lettera aveva dunque avuto sentore degli amori con la giovane profuga?

Fra le carte della Natzichev il giudice non ne trovò alcuna che gli servisse. Si riferivano tutte agli studii di lei; c’erano molti scritti sulle più dibattute quistioni sociali, bozze di articoli destinati alla rassegna americana The Rebel, a fogli spagnuoli e olandesi con i quali era in corrispondenza. Quantunque l’antipatia del magistrato non cedesse, egli era costretto a riconoscere tra sè che la coltura della giovanetta era fuor del comune: scriveva correttamente lo spagnuolo, l’inglese e il tedesco; mandava ai giornali bibliografie nelle quali rendeva conto d’ogni sorta di pubblicazioni scientifiche e filosofiche. Le informazioni assunte alla polizia di Zurigo deponevano anch’esse in favor suo. Ella aveva lasciato la Russia da tre anni, sola, senza mezzi, dopo che il padre e il fratello erano stati deportati in Siberia per mene rivoluzionarie. A Zurigo aveva cominciato il corso di medicina, vivendo del proprio lavoro, con le tra[p. 185 modifica]duzioni di opere scientifiche fatte per conto di editori francesi e tedeschi. Era in relazione con tutti i rifugiati politici, ma non aveva preso parte attiva a complotti; anzi con gli scritti e con le parole disapprovava i continui e inutili sacrifizii di vite. Inclinava alla propaganda morale, alla preparazione delle coscienze; ma, natura ardente e virile, non avrebbe esitato a scendere ella stessa all’azione se l’avesse creduta necessaria.

E quantunque dei suoi rapporti col principe nulla si dicesse di preciso, il sospetto che fossero amanti si rafforzava. Amandola, stando a Zurigo per lei, Zakunine non aveva abbandonato gli agitatori impazienti, oltre che per la snervante azione dell’amore, anche per la persuasione direttamente esercitata dalla giovane? Costei non doveva aver messo opera a far ricredere il principe, a dimostrargli la stoltezza degli inutili eccidii?

Queste supposizioni parevano al Ferpierre verisimili. E l’accusa del Vérod ne restava sempre più infirmata. Se il principe amava la nihilista, i suoi rapporti con la contessa non erano tale ostacolo da spingerlo a ucciderla. Il ribelle per cui la legge coercitiva non aveva valore, poteva sentirsi legato da uno scrupolo tutto morale? In realtà non aveva egli già lasciato l’amante sua per correre a nuovi piaceri? Che cosa gli vietava di fare altrettanto, con maggiore libertà delle prime volte? Realmente egli si era avvicinato alla contessa e l’aveva [p. 186 modifica]trattata con maggiori riguardi; ma se pure ciò poteva dimostrare che era pentito dei mali trattamenti d’un tempo, il pentimento, il sopravvenire degli scrupoli, contraddicevano all’ipotesi dell’assassinio: non poteva volere la morte d’una creatura chi si pentiva d’esserle stato causa di dolore.

Se il principe fosse stato marito della defunta; se, stanco di lei, avesse voluto sposare la nihilista e se la nihilista avesse voluto sposar lui, il dramma poteva ragionevolmente ricostruirsi così: finto d’essere ravveduto, il marito tornava presso la moglie, persuadeva gli altri e lei stessa della propria conversione in modo da stornare ogni sospetto; poi, solo o con la complicità dell’amante, la uccideva per liberarsi. Ma egli nè era indissolubilmente legato alla contessa, nè si poteva credere che volesse legarsi alla giovane connazionale: tutte queste supposizioni si dovevano abbandonare. Il ravvedimento di quell’uomo era tuttavia sincero o per meglio dire credibile, perchè aveva uno scopo: il bisogno di denaro. Oltre a questa, un’altra ragione più sottile poteva spiegarlo.

Nella sua lunga e varia esperienza il Ferpierre aveva molto attentamente studiato le passioni umane; egli sapeva che gli amanti infedeli sogliono essere presi, nel punto del tradimento, da un senso di pietà per l’amante tradito. Con la coscienza di far male, essi attenuano la propria colpa accordando una commiserazione che dovrebbe dimostrare la [p. 187 modifica]bontà dell’animo loro, ma che infatti è un godimento da egoisti e, come tale, offende peggio i traditi. Il principe che aveva trascurato e vilipeso l’amica sua quando era andato in cerca di semplici piaceri, poteva essere stato disposto da una nuova passione a questa presuntuosa pietà; per meglio gustare la propria fortuna era forse venuto a contemplare lo spettacolo dell’infelicità da lui cagionata, a confortarla ipocritamente.

Se questa era la giusta spiegazione del sentimento di Zakunine, quale effetto doveva essersi prodotto nell’animo della contessa? Amando anch’ella un altro uomo, poteva essere stata gelosa della nihilista e per gelosia impotente darsi la morte? Non si poteva credere. Al contrario: la certezza che il principe era d’un’altra doveva averle procurato, nonostante la serietà che aveva per lei l’impegno preso con la propria coscienza, un senso di liberazione; ella aveva dovuto sentire che, a giudizio dei più, sarebbe stata ora scusabile se avesse ripreso la propria parola. Ma contro questo accomodamento stavano tutti i suoi scrupoli, e l’ipotesi del suicidio appariva anzi più naturale se la disgraziata aveva ignorato che la pietà del principe era falsa. Potendola credere sincera, ignorando il nuovo amore di lui, ella aveva dovuto sentir crescere la difficoltà di secondare le speranze del Vérod. Ma aveva realmente ignorato il nuovo amore del principe? Anzi il principe amava realmente la [p. 188 modifica]nihilista? Il Ferpierre sentiva di dover prima accertarsi di questa opinione, verisimile senza dubbio, ma non ancora provata.

Recatosi al carcere dell’Evêché dove gli accusati erano detenuti, egli deliberò di cominciare il nuovo interrogatorio dalla giovane. Lo sprezzante atteggiamento di lei nel giorno della catastrofe gli aveva lasciato il desiderio e quasi il bisogno di misurarsi con quell’anima fiera per piegarla e forse confonderla. Il direttore delle prigioni, intanto che i guardiani andavano a prendere l’accusata per condurla dinanzi al magistrato, riferiva a quest’ultimo che il contegno di lei, nei due giorni di prigionia, era stato quello di chi non solamente è tranquillo ma sfida i sospetti. Si era lagnata della cella e del cibo, aveva chiesto di poter leggere e scrivere, aveva scritto infatti uno studio sull’emigrazione svizzera pieno di cifre e di notizie statistiche. Introdotta nel gabinetto della direzione, sedette a un cenno del Ferpierre sostenendone lo sguardo indagatore e incrociando le braccia.

— Pare che la vostra memoria si sia finalmente destata? — cominciò il giudice — Se le notizie e le cifre che avete consegnate in questo scritto sono esatte, essa è anzi molto tenace! Vorrei quindi sperare che non vi farà difetto riguardo alle cose ora principalmente utili a sapere. Da quanto tempo conoscete il principe Alessio Petrovich?

— Da molti anni. [p. 189 modifica]

— Dalla Russia?

— Sì.

— Come lo conoscete?

— Era amico dei miei fratelli.

— I quali gli erano anche compagni di fede, naturalmente?... Dopo aver lasciato il vostro paese, dove lo incontraste?

— Qui, a Losanna.

— Era solo?

— No.

— Era con la contessa?

— Con lei.

— Andaste voi da lui? Come vi vedeste?

— Seppe del mio arrivo, cercò egli stesso di me.

— Per che motivo? Per avere notizie di Russia? Per trascinarvi nei suoi complotti?... Rispondete!

Ella rispose dopo un momento di silenzio:

— Per aiutarmi.

— In che modo?

— Io ero sola, senza mezzi, in paese sconosciuto. Venne a offrirmi il suo appoggio.

— Vi diede denaro?

— L’offerse. Io lo rifiutai.

— Come vi giovò, dunque?

— Mi raccomandò a persone di sua conoscenza, mi procurò lezioni di russo, mi fece scrivere sui giornali e le rassegne.

— Quanto tempo foste insieme? [p. 190 modifica]

— Un giorno.

— Partiste voi o partì lui?

— Io.

— Andaste allora a Zurigo?... Vi scriveste?... E quando vi rivedeste?

— Un anno dopo, a Lugano.

— Egli era solo?

— Sì.

— Non sapete perchè? Comprendeste che non amava più la contessa?

— Non m’occupai di queste cose.

— Perchè andaste a Lugano? Che cosa vi faceva egli stesso?

La giovane non rispose.

— Non lo volete dire?

— Non posso.

— Il partito vi adunava?

Ella restò ancora muta.

— Quanto tempo steste a Lugano?

— Tre giorni.

— E poi?

— Tornai a Zurigo.

— Quando ci venne egli?

— In questo aprile.

— Per far che cosa?

Come l’interrogata taceva ancora, il Ferpierre riprese, pacatamente:

— Non volete rispondere neppur ora?... Capisco il vostro ritegno. Voi non potete e non dovete [p. 191 modifica]svelare i secreti della vostra associazione. E col silenzio vorreste significare che egli venne a Zurigo appunto per lavorare alla propaganda, per congiurare, per una ragione politica, insomma. Vi avverto però che c’è qualche punto oscuro da rischiarare prima di credere questa cosa. Nel tempo che secondo voi egli stette a Zurigo per ragioni politiche, dalla Russia, dall’Inghilterra, da tutte le parti gli scrissero chiamandolo, rimproverandolo di trascurare la causa, accusandolo di freddezza e quasi di viltà. Abbiamo una quantità di lettere che sono molto chiare. Come spiegate questa contraddizione?

La giovane scosse il capo senza pronunziare una sillaba.

— Continuate a non volere rispondere?... E come mai, quando egli lascia Zurigo e viene qui a Ouchy, voi che prima non lo avete cercato, correte a trovarlo, più volte, in una casa che oramai non era più sua, tanto che vi troviamo con lui il giorno della catastrofe?... Non rispondete neppur ora?... Vi dirò dunque un’altra cosa: fra queste lettere dove quasi lo incolpano di tradimento ce n’è una di un amico il quale lo scongiura di non ricadere in una debolezza che pare gli sia abituale: quella di lasciarsi sedurre dalle donne, di dare troppa parte del suo tempo alla galanteria... Questo amico scrive come se già sapesse che proprio una nuova avventura con un’altra donna lo distrae dal compi[p. 192 modifica]mento del dovere verso i compagni..... Perchè evitate ora di guardarmi? Se vi domandassi chi è questa donna che cosa mi rispondereste?

Ella disse fermamente, fissandogli gli occhi negli occhi:

— Sono io.

— Ah, confessate? — esclamò il Ferpierre. — L’altro giorno vi offendeste del mio sospetto!... Bene! Ditemi allora: quando mutarono i vostri rapporti?

— Quando egli venne a Zurigo.

— Venne apposta per voi?

— No.

— Perchè allora?

— Per motivi politici.

— Spiegatemi come mutarono i vostri rapporti. In due anni vi vide due sole volte. Vi disse allora nessuna parola d’amore?

— Nessuna.

— E voi?

— Io l’amai dal primo giorno che venne a soccorrermi.

La voce della giovane, quantunque ella si studiasse di contenersi, rivelava un turbamento secreto.

— Allora voi stessa parlaste la prima?

— No.

— Egli s’accese così, improvvisamente, dopo che per due anni non aveva pensato a voi? [p. 193 modifica]

— Stetti parecchi mesi a Zurigo, ci vedemmo ogni giorno.

— Non sapete che, dopo avere abbandonato la contessa, venne a cercarla, proprio da Zurigo?

— Lo seppi.

— E non ve ne inquietaste?

— No.

— Come mai? Anche poco fa, quando vi chiesi del suoi rapporti con l’Italiana, rispondeste che non vi occupavate di queste cose. Se lo amavate veramente, come non vi premeva di saperlo libero?

— Lo sapevo libero.

— Volete dire che per lui l’impegno preso con la morta non valeva?

— Voglio dire che non la amava più.

— Ma non sapevate che ella, sì, lo amava?

— Ora neppur ella lo amava più.

— Perchè dunque tornò da lei?

— Avevano ancora interessi comuni.

— Chiamate interessi comuni i prestiti dei quali la richiedeva?... Ma se ella non lo amava più, non poteva esser gelosa di voi!

— No.

— Allora perchè si sarebbe uccisa?

— Non so. Per suoi scrupoli, forse.

— Perchè voleva ma non poteva amarne un altro?

— Non so. Forse. Il suicidio, anche quando [p. 194 modifica]pare lungamente premeditato, si compie sempre per un impulso momentaneo ed improvviso. Basta che vi sia un motivo di dolore. Ella ne aveva molti.

— Ragionate molto bene!... Seppe il principe che ella amava un altro?

— Non credo.

— Non ve ne parlò mai?

— Mai.

— Ora torneremo a interrogar lui.

Licenziata la giovane, il Ferpierre ordinò che fosse introdotto

Zakunine.

La condotta di costui, durante la prigionia, era stata tutta diversa da quella della presunta sua complice. Nulla aveva chiesto per sè, non cibi speciali, non libri, non carta; di nulla si era lagnato; non aveva quasi detto verbo: le guardie riferivano che passava il suo tempo giacendo sul letto, immobile, come se dormisse. All’aspetto, dagli occhi arrossati, l’interno travaglio era visibile; ma l’ingiustizia dell’accusa o il rimorso del delitto lo travagliavano?

Quando il Ferpierre gli domandò se persisteva nelle sue dichiarazioni, se non aveva nulla da aggiungere a propria discolpa, egli rispose con voce cupa:

— Nulla.

— Riconosceste l’altro giorno i vostri torti, confessaste di non aver ricambiato l’affetto che la [p. 195 modifica]contessa d’Arda vi portava. Se non l’amavate più, perchè non la lasciaste senz’altro al suo destino?

— Ella mi voleva suo.

— Anche sapendo che a voi non importava più di lei?

— Credeva d’essersi unita a me per sempre.

— E voi sentivate come una specie di dovere, qualche volta, fra una corsa e l’altra, fra l’una e l’altra avventura, di tornare per un poco presso di lei? Questo sentimento vi fa molto onore!

Il principe guardò in faccia il Ferpierre, quasi in atto di replicare all’ironia dell’osservazione. Poi, chinato il capo, a voce bassa, con accento d’amarezza, disse:

— Questo sentimento fu anche molto provvido!... Infatti, quando ella potè credere d’essersi liberata di me e pensare a disporre altrimenti della propria vita, io venni a rammentarle l’impegno antico, l’errore che doveva pesare su lei irreparabilmente!

Diceva egli così perchè questa era la verità o perchè, colpevole, comprendeva l’efficacia della difesa?

— Avevate anche da ricorrere a lei per denaro?

Zakunine alzò la fronte a quella domanda, fissando lo sguardo improvvisamente acceso sul magistrato; poi tornò a chinarlo, confuso.

— Che cosa vi ha trattenuto a Zurigo tutta questa estate?

— La propaganda. [p. 196 modifica]

— Non è vero. Le lettere dei vostri correligionarii di Russia e d’Inghilterra vi rimproverano di averli traditi.

Una terza volta l’accusato guardò in faccia il giudice, fremendo.

— Avevo da badare ad altri. Credete che io vi riveli i secreti non miei? Volete trarre profitto dalla mia cattura per istruire un processo politico?

— Ma no! Ma no! Io posso ammettere benissimo che lasciavate senza risposta alcuni vostri compagni non per mancato zelo ma per badare ad altri. Alessandra Natzichev, per esempio, vi occupava molto...

Lo sguardo del principe lampeggiava.

— Non parlate così! — disse sordamente.

— E perchè non volete che parli?... Quando da più parti v’accusano di esservi intepidito e perfino d’aver paura, quando voi lasciate che i capi del vostro partito si adunino a Londra senza andare a sentirli; quando voi fate così per restarvene a Zurigo dove sta questa donna che il giorno della tragedia troviamo presso di voi, in una casa non vostra, non volete che a lei, alla sua frequentazione, alla sua amicizia sia attribuito il mutamento?

— Non c’è mutamento. Vi ripeto che gli scopi da noi proseguiti sono molteplici, che le vie sono numerose. Se non andai a Londra, feci altre cose non meno rilevanti. [p. 197 modifica]

— Voi non volete dire quali sono queste cose, e fate bene perchè così vi suggerisce il dovere settario. Ma un altro dovere, più generalmente compreso, v’impedisce di confessare la natura dei vostri rapporti con la Natzichev. Vi avverto però che la vostra delicatezza è perduta, giacchè ella ha confessato.

— Che cosa? — esclamò il principe, con accento di vivace stupore.

— Che voi siete il suo amante.

— Ella ha detto così? — tornò ad esclamare l’accusato, esprimendo con la voce e con lo sguardo l’impossibilità di credere alla rivelazione.

Il Ferpierre restò un poco in silenzio a considerarlo.

La meraviglia di quell’uomo pareva sincera. La nihilista aveva dunque mentito? E perchè? Quale motivo poteva averla spinta a confessare una cosa che doveva riuscire di pregiudizio alla propria reputazione? Se anche, ribelle a tutte le convenzioni, il pregiudizio non le importava, bisognava pure che ella mirasse a uno scopo nel dire la menzogna! Ma non aveva piuttosto detta la verità, e il principe non se ne stupiva appunto per il danno che questa confessione doveva produrre ad entrambi?

— Ha detto ella stessa così! — ripetè il magistrato. — Ve ne stupite?

— È falso! — rispose il principe. [p. 198 modifica]

— Da quanto tempo la conoscete?

— Da tre anni.

— Come?

— Ero amico dei suoi fratelli.

— Quando emigrò in Isvizzera veniste a trovarla? La soccorreste?... Vedete che sono bene informato! Ella stessa ha narrato queste cose. Prima la vedevate raramente; dall’aprile, dacchè passaste da Zurigo, foste insieme. Queste sono le sue dichiarazioni. Volete sì o no riconoscere che siete il suo amante?

All’impaziente durezza di questa domanda, l’accusato guardò il giudice negli occhi. La cute delle sue tempie s’increspò: egli stringeva irosamente le mascelle.

— Fate male a non rispondere. Mi costringete a mettervi in confronto.

E il Ferpierre ordinò che la Russa fosse ricondotta in sua presenza.

La sorda ira del principe già dava luogo a una palese inquietudine: pareva che egli si sentisse ora minacciato, che avesse paura, che non sapesse da qual parte cercare una via. Al sopravvenire della giovanetta le fissò gli occhi negli occhi ardentemente.

— Vi ho fatta richiamare, — disse il giudice, — perchè ripetiate alla presenza di costui ciò che dichiaraste a me. Siete l’amante sua?

Il principe si protendeva verso di lei come an[p. 199 modifica]sioso della risposta o cupido di suggerirla egli stesso.

— Sì, — rispose fermamente la giovane.

— Vedete, — riprese il Ferpierre additando il principe, — che egli dimostra di non credervi.

— Comprendo il motivo che gli consiglierebbe di nascondere la verità. Ma la verità si saprebbe altrimenti, e non m’offende.

Ella rispondeva all’interrogante, senza badare ai suo complice. Solo quando il giudice si rivolse a quest’ultimo per domandargli se negava ancora, ella girò il capo, guardandolo.

— È vostra amante? — ripetè il Ferpierre mentre i due si fissavano, la donna con espressione di dominatrice serenità, il principe titubante e smarrito.

Questi da ultimo chinò il capo, in atto di confessare.

— E allora voi tornaste dalla contessa e vi mostraste a lei pentito dei vostri torti unicamente perchè avevate bisogno del suo denaro?

— Che dite? — pronunziò sdegnosamente Zakunine.

— Ma dunque, perchè? — incalzo il magistrato.

— Io gli suggerii di tornare da lei, — disse la giovane.

E come il principe fece un nuovo moto di protesta, ella soggiunse:

— Non abbiate paura di nuocermi. Bisogna dire [p. 200 modifica]la verità. Confermate pure che io stessa vi suggerii di tornare da lei per disporla a una definitiva separazione franca e leale. Io non mi pento d’aver dato questo consiglio. Tutto si doveva preferire all’equivoco. Non potendo più vivere con lei come le avevate promesso, voi dovevate restituirle la sua parola, non farle accogliere nuove lusinghe. Se ciò le dolse e la spinse ad uccidersi, è certo dispiacevole; ma nè io nè voi possiamo esserne chiamati responsabili. In una circostanza simile entrambi faremmo ancora altrettanto, chiunque agirebbe così.

— Lasciamo da parte, — riprese il Ferpierre, — il giudizio su questa vostra supposta condotta. Prima di giudicarla importa accertarla. Ora se voi consigliaste al vostro amante di tornare dalla contessa per separarsi lealmente da lei, egli dovè male interpretare il suggerimento, e invece di dirle francamente che tutto era finito, le venne vicino più volte, le si mostrò pentito e sommesso. Mi pare uno strano modo di rompere un legame quello di riannodarlo...

Il Ferpierre aveva parlato rivolto al principe. Mentre questi restava muto e confuso, la giovane rispose:

— Vi stupite che nel punto di lasciare per sempre una persona già amata, il ricordo del tempo vissuto insieme attristi, commuova, renda penoso il dovere della franchezza e ne ritardi il compimento? [p. 201 modifica]

— Avevo parlato con lui, veramente, ed a lui toccava rispondere... — osservò il Ferpierre con un’ambigua mossa del capo, come insospettito dallo zelo della donna. — Ma poichè voi siete così bene informata di ciò che accadde tra loro mentre prima negaste d’occuparvi di queste cose, ditemi un poco se questo dovere della franchezza fu da lui compito una buona volta; perchè, da altre deposizioni, mi risulta che fino alla vigilia della catastrofe alla contessa non era stata restituita la sua parola, anzi che ella si sentiva più che mai legata.

— Ciò non accadde fra loro due soltanto: fui presente anch’io.

— Quando?

— Il giorno della morte, la mattina stessa. Giacchè bisogna dir tutto, vi dirò perchè mi trovai in quella casa. Sapevo che l’ultima spiegazione doveva avvenire, aspettavo con impazienza che egli me ne riferisse l’esito. Non vedendolo tornare, venni io. Egli esitava ancora, come presago di farle male. Allora gli suggerii di scriverle; quest’idea gli piacque. Eravamo nello studio di lui, credevamo di non essere uditi, quando ella apparve. Disse parole amare, contro di lui, contro di me. Egli se ne sdegnò, dimenticò la pietà, la accusò di spiarlo, le dichiarò che partiva per non tornare mai più. Ella disparve. Restammo a preparare le sue cose. Poco tempo dopo udimmo il colpo. Questa è la verità. [p. 202 modifica]

— Voi confermate ciò che dice costei? — domandò il Ferpierre a Zakunine.

L’interrogato rispose con un breve cenno del capo.

— Quali furono le parole amare che la contessa proferì?

Rispose ancora la donna:

— Disse: «Voi parlate di lealtà? Lo scrupolo della franchezza vi nasconde qui, a tramare contro di me? Sono stata forse d’impaccio ai vostri amori? Dovevate anche darmene spettacolo?»

Il magistrato tacque un poco considerando la narratrice; poi, senza lasciarla con lo sguardo, disse lentamente:

— E voi pensate che, dopo una spiegazione tempestosa, con lo sdegno che doveva ribollire in cuore a quella donna, la versione del suicidio diventi più verosimile? Come non v’accorgete d’esservi posta sopra una falsa strada, con l’invenzione poco felice di questa scena incredibile?

La giovane rispose duramente, aggrottando le ciglia:

— Il vostro mestiere è di dubitare. Io ho detto la verità; tanto peggio se torna a mio danno. Avete null’altro da domandarmi?

Invece d’aspettare d’essere congedata, ella stessa lo congedava.