Trattato del piede/Parte prima/Sezione terza/1° Malattie della corona e della pastoja

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1° Malattie della corona e della pastoja

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1° Malattie della corona e della pastoja
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Art. i.° MALATTIE DELLA CORONA

E DELLA PASTOJA.

§ 1.° sovrapposte (atteintes).

Comprendendosi sotto questo titolo le diverse contusioni ed ammaccature, fatte con o senza lacerazione, e prodotte o dall’uno degli altri piedi, o da un corpo straniero, od infine da un altro cavallo che venga dietro od a lato. Secondo la violenza e la sede loro, le sovrapposte ponno essere (a) semplici, quando la contusione è leggiera e che il dolore si dissipa da sè in poco tempo; (b) sorde od interne, allorchè il dolore è vivo, profondo e persistente, questa specie di lesione succede quasi sempre nei talloni o vicino ai quarti, il tendine è alle volte contuso, ammaccato e più o meno malconcio; (c) incornate, allorchè la contusione venne impressa sullo zoccolo, verso l’ugnatura; queste, generalmente assai dolorose, possono generare i chiovardi incornati o cartilaginosi; (d) complicate, tutte le volte che sono accompagnate da alterazione di parecchi tessuti.

Le cause delle sovrapposte sono, come abbiamo detto precendentemente,i calci che l’animale riceve, o che può darsi da solo. Così, le sovrapposte stabilite al lato interno della regione digitata, devono essere attribuite al piede opposto; e questi accidenti, indizi ordinari di debolezza, fannosi rimarcare più [p. 137 modifica]comunemente nei puledri, come pure nei cavalli soggetti ad intagliarsi od interseccarsi un piede coll’altro.

Quelle situate nei talloni, o vicine ai quarti dei piedi anteriori, sono cagionate dai piedi posteriori, ed hanno luogo più particolarmente nei cavalli che si arrivano; quelle situate nel medesimo punto, ma nei piedi posteriori, provengono da ciò che i cavalli camminano vicini ed alla coda gli uni degli altri. In fine le sovrapposte portate al lato esterno od alla parte anteriore dei piedi succedono quasi sempre nelle scuderie in cui gli animali, posti gli uni contro gli altri, non sono fra loro separati nè da sbarre nè da tavolati.

Nel caso di sovrapposta, la prima indicazione da soddisfare consiste nel cercare i mezzi onde impedirne delle nuove; occupasi in seguito del trattamento curativo, il quale varia costantemente secondo la gravità del male, e secondo gli esiti che importa prevenire. Se il dolore è forte e recente, si avrà ricorso agli astringenti suscettibili di abbattere l’infiammazione, sempre da temersi nel piede, ove la reazione è eccessiva, in ragione della resistenza prodotta dallo zoccolo. Se l’accidente data da più di ventiquattro ore, gli astringenti sono contro-indicati; si impiegheranno i calmanti,come il riposo nella scuderia sopra un buon strame; il salasso, i cataplasmi emollienti alla parte ammalata, ec. Se questi mezzi riescono insufficienti, la sovrapposta dà in allora origine al chiovardo od alla riprensione, affezioni per le quali verranno consecrati articoli particolari. [p. 138 modifica]La maggior parte delle sovrapposte non reclamano che lievi cure di nettezza e di previdenza. Allorchè provengono dal cavallo che si intaglia o si arriva, bisogna avere ricorso alla ferratura prescritta per questi casi ordinari. Sono queste dovute alla vicinanza d’altri cavalli? sarà facile porvi riparo disponendo gli animali in modo che non abbiano più a ferirsi. Ma queste precauzioni non sono per mala sorta eseguibili in tutte le circostanze, e non si hanno mai sempre mezzi per potere isolare i cavalli, siccome converrebbe; questo inconveniente si osserva soprattutto nei corpi di cavalleria nei quali gli animali trovansi sempre angustiati nelle scuderie, come pure alle manovre ed ai passeggi.

§ 2.° incapestrature1 (enchevétrures).

Accadono queste lesioni alla piegatura della pa stoja, sono prodotte dalla corda della cavezza, nella quale il cavallo si prende e si intralcia2, e si [p. 139 modifica]manifestano con una piaga o con una ammaccatura trasversale. Di sovente si limitano ad una semplice escorazione della pelle, e non hanno alcun esito funesto; alle volte sono profonde, giungono sino al tendine flessore, producono molto dolore, intumidimento considerevole, e mettono l’animale, fuori di servizio. Non sono pericolose e non producono accidenti gravi se non quando sono trascurate, o che il sudiciume ed un moto troppo a lungo continuato irritino la parte. Conservandosi così le piaghe prodotte dalle incapestrature, queste circostanze ponno farle degenerare in ulcere, dare nascita a ragadi profonde, dolorose e ribelli. Alle volte la cicatrizzazione di simili piaghe lascia traccie spiacevoli e cagiona callosità, cordoni trasversali privi di pelo. La cura la più propria alle incapestrature recenti e superficiali consiste nel ripulire i lembi della piaga, e lozionarla coll’acqua del Goulard più o meno diluita; ricuopresi in seguito l’incapestratura con poca stoppa. Allorchè la piaga tende alla cicatrizzazione si sostituisce all’acqua del Goulard il cerotto di saturno, o la tintura d’aloe, od infine la china-china secondo lo stato della piaga; si avrà però cura, per prevenire la recidiva, di far sparire i pruriti al collo ed alla testa, o tutt’altra causa suscettibile di determinare l’animale a grattarsi coi piedi posteriori, i quali ponno di bel nuovo prendersi nel laccio, ec. [p. 140 modifica]

§ 3.° paronichia erpetica, spurgo alle gambe (eaux aux jambes).

Questo titolo esprime un’affezione cutanea, erisipelatosa, che si stabilisce dapprima alla faccia poste riore della regione digitata, si propaga insensibilmente, occupa tutta la superficie della pastoja e della corona, risale di sovente al disopra del nodello, e passa frequentemente allo stato cronico. Lo spurgo alle gambe s’annuncia col rabbuffamento dei peli e dà luogo ad un intumidimento rossastro, alla superficie del quale si stabilisce tosto lo stillamento d’un umore liquido nel principio, che non tarda a divenire acre, fetido, grigio o verdastro, sanioso e puriforme. Il rossore, il calore, il dolore ed il gonfiamento denotano il principio dell’affezione, e questo principio s’accompagna sovente da prurito più o meno forte. A misura che l’intumidimento aumenta e propagasi, tanto in alto che inferiormente, nell’interno anche dello zoccolo, l’integumento cresce in spessore, cuopresi di pustole, di pori, di bitorzoli, e screpola in diversi punti; lo stillicidio diviene sempre più abbondante e più fetido; i peli sembrano allungarsi e cadono in diversi punti; l’ugna si rende flessibile, gonfia, staccasi dalle parti sottostanti ed offre diverse alterazioni, come setole, formicai, ec. Giunge un’epoca in cui l’intumidimento è enorme, seminato da fistole profonde, da escrescenze tuberose, la cute presenta un’apparenza lardacea, è biancastra, rugosa e non [p. 141 modifica]porta più che alcuni lunghi peli, qua e là seminati; l’interno dello zoccolo lascia scolare una materia icorosa, e la parte esala un odore infetto. L’affezione viene complicata da fichi, da cancri, da pori, da grappe, da chiovardi; l’animale non può più trascinare il membro ammalato, e la disorganizzione si compie.

Nell’invasione della paronichia erpetica, il dolore è alle volte così vivo, che il cavallo non può appoggiare sul piede ammalato; leva l’estremità molto alta, la tiene ritratta, ed il più leggiero contatto gli fa provare dolori acutissimi. Il contrario accade in alcuni cavalli che camminano e continuano il loro servigio, senza che questa affezione produca in essi incomodi molto notabili. Di sovente l’animale non zoppica che a freddo, e si raddrizza riscaldandosi coll’esercizio. Giunto ad un certo grado, l’intumidimento rende la claudicazione persistente, fa deperire l’ammalato, i di cui movimenti divengono vieppiù impediti, e l’animale trovasi fuori di servigio molto prima d’essere usato, «La progressione dei sintomi, dice Huzard, non è sempre la medesima; è più o meno rapida secondo il temperamento, le di sposizioni del soggetto, la natura delle stagioni e quella degli accidenti che cagionano la malattia; ma non tocca comunemente il suo ultimo periodo che al terminare di tre, sei o nove mesi, ed alle volte anche dopo uno o più anni3». [p. 142 modifica]

Lo spurgo alle gambe manifestasi dapprima ad una sola estrenuità; ma non tarda a comparire al piede opposto, in modo che attacca quasi nel medesimo tempo i due membri, tanto anteriori che posteriori: questi ultimi sono più di frequente affetti, perchè trovansi più esposti alle cause produttrici questa specie d’alterazione, sempre più ostinata,più difficile a guarire che nei membri anteriori. Alle volte tiene un decorso così ribelle, che resiste alle cure le meglio combinate; ad onta di tutto persiste e finisce col formare un esutorio naturale, la cui soppressione non sarebbe senza pericolo.

Le cause di questa malattia sono interne od esterne, accidentali o costituzionali: devonsi considerare siccome cause esterne, 1” il troppo prolungato soggiorno dei piedi nell’umidità, soprattutto nel fimo, nei fanghi acri e corrosivi; 2º la natura delle acque nelle quali si fanno passare abitualmente i cavalli, o colle quali si lavano loro le gambe4. Le cause interne, che si [p. 143 modifica]possono risguardare come costituzionali, dipendono da uno stato particolare dei tessuti, da una tendenza inna ta od acquisita per questa affezione, allo sviluppamento della quale contribuisce la minima circostanza. Così i cavalli Olandesi, Belgi, ec. sono molto soggetti e di frequente attaccati dalla paronichia erpetica. Le stesse disposizioni si fanno rimarcare in tutti quelli, i quali come i precedenti, hanno piedi sfiancati, membra grosse e cariche di peli, cutegrossa, densa, temperamento torpido. Alle volte la paronichia erpetica mostrasi periodica; sparisce per così dire da sè stessa e si ristabilisce ad epoche più o meno regolari. Questi periodi, suscettibili di rendere la malattia persitente, persino incurabile, spettano a cause accidentali, che la non curanza ed inavvedutezza lascia sussitere. Le stagioni umide e fredde favoriscono lo sviluppo dell’affezione, la quale diviene conseguentemente più comune nel verno, soprattutto nelle grandi città, nelle quali il fango delle strade è molto irritante.

In quanto al trattamento, varia secondo la natura e lo stadio della malattia, secondo l’età ed il temperamento dell’individuo ammalato. Ogni qual volta l’affezione, puramente accidentale ed indipendente dalla costituzione del soggetto, non ha una data antica, e che mostrasi per la prima volta, la guarigione ne è pronta e facile; può anzi essere spontanea, e non reclamare in ogni caso che leggeri cure, consistenti nel calmare l’infiammazione e mantenere la parte pulita, ed al coperto dell’umidità. Gli spurghi alle gambe inveterati, tutti quelli che sono complicati [p. 144 modifica]da pori, da fichi, ec., possono generalmente essere considerati siccome incurabili: se si giunge per avventura a farli sparire, si ristabiliscono poco dopo e per sempre. I bagni ed i cataplasmi emollienti, le lozioni ed unzioni astringenti, i vescicanti, il miscuglio di sublimato colla trementina, il fuoco, i derivativi esterni ed interni, sono i mezzi comunemente impiegati per combattere questa malattia. Questi diversi rimedi, giudiziosamente combinati, procurano di sovente una guarigione radicale, e lo spurgo alle gambe sparisce senza recidiva.

Finchè l’affezione è recente e nello stato infiammatorio, devesi limitare all’uso dei calmanti sulla parte, se il male non cede ed aumenta sensibilmente, conviene somministrare nel medesimo tempo i diuretici. Allorchè l’infiammazione è calmata, bisogna ricorrere agli astringenti, l’attività dei quali deve sempre essere proporzionata all’ostinazione della malattia. L’estratto e la pomata di saturno (acetato di piombo), l’allume (solfato acido d’allumina) sciolto nel bianco d’uovo, sono le sostanze le più proprieper soddisfare l’indicazione di cui trattasi. Alcuni pratici mescolano l’acetato di piombo liquido, od estratto di saturno, all’olio di piede di bue, nella proporzione di un terzo d’estratto sopra due d’olio. Questo miscuglio ammorbida la cute, diminuisce lo scolo, determina la cicatrizzazione delle crepacce e produce una compiuta guarigione, basta abbiasi l’attenzione di favorirne gli effetti col mezzo degli esutori, diuretici e purganti. Dopo essersi interamente dissipato [p. 145 modifica]lo spurgo, rimane di sovente un intumidimento cronico, spiacevole alla vista e suscettibile d'impedire i movimenti dell'animale; verrà questo combattuto col fuoco, coi vescicanti, o meglio ancora con un miscuglio di sublimato corrosivo in polvere (deuto cloruro di mercurio) e trementina,5 il quale miscuglio irrita meno la cute che le cantaridi, ed agisce più efficacemente sugli intumidimenti indolenti. Tutte le volte che questa affezione è di vecchia data, bisogna cominciare collo stabilire un punto di derivazione col mezzo di setoni; dopo che combinasi l'impiego dei topici astringenti coll'uso interno di sostanze diuretiche, siccome sal nitro (nitrato di potassa) e resina in polvere6. È anzi necessario, se l'affezione è grave e ribelle, amministrare polveri amare coi diuretici, come pure somministrare di tempo in tempo dei purganti, i quali devono sempre compiere la cura. Le preparazioni antimoniali, marziali, solfuree, mercuriali ed altre, sono egualmente preconizzate per combattere lo spurgo alle gambe; si possono combinare od alternare colle polveri diuretiche ed amare. [p. 146 modifica]La cura insomma della paronichia erpetica deve variare, secondo il decorso della malattia, lo stato in cui trovasi allorchè se ne intraprende la cura, secondo il temperamento e l’età del soggetto: in tutti i casi è necessario non perdere di vista che i diuretici ed i purganti devono quasi sempre secondare l’azione dei topici; che questi ultimi, applicati senza il soccorso dei primi, diverrebbero il più delle volte infruttuosi, che la cura radicale delle paronichie erpetiche è molto difficile e che riesce alle volte pericoloso il farle cessare.

§ 4° fichi (fics).

Con questa espressione derivata dal latino ficus, devonsi comprendere le diverse escrescenze carnose, la forma delle quali, avvicinasi a quella del fico. Queste granulazioni arrotondate, più o meno grosse, prominenti e moltiplicate, e delle quali alcune sono strette alla base, si manifestano alla superficie della pastoja e della corona, in una parte sola, od in tutta l’estensione di queste regioni: i fichi sono alle volte disposti in cumoli, e formano una massa carnosa bernoccoluta, che chiamasi comunemente grappolo (grappe); molti di questi bernoccoli sono ricorperti da una pellicola grigiastra7: alcuni lasciano trapelare un umore sieroso, acre e fetente.

I fichi sono molto frequenti nell’asino e nel mulo; [p. 147 modifica]indicano costantemente una più o meno innoltrata disorganizzione della cute, e sono ordinariamente esito dello spurgo alle gambe, al quale s'accompagnano più di sovente; in quest'ultimo caso costituiscono un'affezio me molto ribelle e di rado curabile. Richiedono le stesse attenzioni, lo stesso metodo curativo della paronichia erpetica, ed esigono quasi sempre l'amputazione, la cauterizzazione, o la legatura. In ogni caso, questi mezzi non divengono efficaci se non se quando sono saviamente combinati coi diuretici e coi purganti amari.

§ 5° pori o bitorzoli (poireaux ou porreaux).

Propriamente della medesima natura dei fichi, non ne differiscono che per la forma, che è loro propria. Nel poro, le escrescenze, o bernoccoli carnosi portano alla loro superficie, o solamente alla loro sommità, filamenti, brani diversi, piccoli tubercoli più o meno numerosi; e le filandre che vi si rimarcano danno a questi corpi carnosi una certa somiglianza col bulbo o stelo d'un porro8.

Al paro dei fichi, i pori mostransi alla pastoja ed alla corona, sono esiti o complicazioni della paronichia erpetica, e reclamano i medesimi mezzi curativi. [p. 148 modifica]

§ 6.° ragadi, crepacce o mule traversine (crevasses ou mules traversines).

Queste lesioni cutanee, più o meno numerose e profonde, sono per l’ordinario trasversali; mostransi alla cute della piegatura della pastoja, come pure a quella del nodello, ed indicano costantemente uno stato ulceroso.

Le crepacce precedono alle volte la paronichia erpetica la complicano sempre, ed esigono una cura particolare, suscettibile di condurle allo stato di piaga semplice e di produrne la guarigione radicale. I cataplasmi emollienti, le lozioni ed i bagni debbono dapprima essere messi in uso e continuati per qualche tempo, avendo cura di tenere l’animale in riposo, soprattutto al coperto d’ogni umidità. Se questi mezzi calmanti non bastano, si ricorrerà agli astringenti, ai vescicanti; la cauterizzazione è alle volte necessaria per determinare la cicatrizzazione delle ulcere ribelli. Nello stesso modo che nello spurgo alle gambe, importa favorire l’effetto dei topici, col somministrare internamente polveri diuretiche, amare e purgative.

§ 7° ulcera alla parte anteriore della corona (CRAPAUDINE).

Consiste in un intumidimento cronico, avente sede alla parte anteriore della corona, accompagnato da rabbuffamento dei peli, e sovente dal distacco [p. 149 modifica]dell’ugnatura dal cercine (cutidura). Vi ha trapela mento più o meno abbondante di un umore acre e fetido, il quale dà luogo alla formazione di una materia disseccata, crostacea ed accumulata alla base dei peli9.

L’affezione di cui trattasi può esistere con o senza spurgo alle gambe, essere complicata da fichi, da pori; è anche suscettibile di cagionare setole, formicaj, chiovardi cartilaginosi, e persino la completa deteriorazione del piede; esige le medesime attenzioni e presso a poco l’eguale metodo curativo della paronichia erpetica, colla quale ha moltissima analogia, e della quale non è che una varietà o dipendenza.

§ 8.° mollette, idrarti al nodello (MOLETTES).

Questo termine è impiegato nel commercio degli animali per indicare piccoli tumori sinoviali, che si sviluppano all’intorno del nodello e dipendono dalla forzata distensione della capsula sinoviale, tanto della guaina falangea, che dell’articolazione della pastoja collo stinco, ed alle volte delle due borse nel medesimo tempo; questi tumori, dei quali gli uni laterali, ed altri anteriori, annunciano costantemente la fatica [p. 150 modifica]delle articolazioni, la rovina del cavallo, soprattutto se questo ha passata l’età di sei a sette anni. Le mollette laterali, dette semplici quando non si mostrano che da un lato, ed incavigliate allorchè esistono tanto all’indentro che all’infuori, sono molto più frequenti ed acquistano anche maggior volume delle mollette anteriori, generalmente rare.

La formazione di queste vescicole accidentali è costantemente dovuta alla sinovia. Nelle violenti estensioni, questo umore trovasi compresso, improvvisamente cacciato e ricalcato in massa contro le pareti della cavità che lo contiene. Questo ricalcamento rinnovato, finisce col produrre l’allontamento, la dilatazione del le parti della capsula che non hanno alcuna difesa e sono sprovviste di sostegni capaci di comunicare loro la necessaria forza di resistenza. Così, le mollette non si stabiliscono che nei luoghi in cui la capsula sinoviale non trovasi brigliata, solamente nei punti in cui havvi libertà d’estensione e dove forma delle specie di varici. L’accrescimento di questi tunori è in generale più lento nei cavalli avanzati in età che nei puledri, pei quali diventano gravi solo quando questi animali non sono bene governati.

Le mollette laterali si mostrano dapprima al disopra del nodello, tra le corde tendinose e l’osso del lo stinco, dipendono dalla capsula articolare, la quale può acquistare in questo luogo una dilatazione considerabile: aumentando in ampiezza ed in estensione, si complicano dell’espansione della sinoviale tendinosa; e quando compaiono al basso del [p. 151 modifica]nodello, sono dovute a quest’ultima capsula, che forma intumidimento tra le due briglie laterali della guaina falangea. Le mollette anteriori, sempre formate dalla capsula articolare, manifestansi o nel mezzo della faccia anteriore del nodello, tra i due tendini estensori, oppure a lato di questi stessi tendini in avanti dei legamenti laterali.

Il trattamento di questi tumori deve variare secondo il grado dell’alterazione e secondo l’età del soggetto. Le mollette dei cavalli vecchi devono essere attaccate col fuoco, coi vescicanti, e se ne può effettuare la punzione, la quale non deve però praticarsi che all’ultima estremità, atteso che l’apertura diviene quasi sempre fistolosa. La cauterizzazione sarà secondata dagli empiastri vescicanti, o dal miscuglio di sublimato corrosivo e di trementina già indicato per risolvere gli ingorghi indolenti che sussistono dopo lo spurgo alle gambe.

Gli astringenti, il riposo bastano il più delle volte per dissipare le mollette nei puledri. Una soluzione d’allume nel bianco d’uovo, col guscio schiacciato, il tutto fortemente battuto insieme, è il topico più efficace, quello che devesi impiegare di preferenza. Se due o tre applicazioni di questo medicamento non fanno dissipare i tumori, bisogna ricorrere al miscuglio di sublimato corrosivo e di trementina10. Questo mezzo non riesce sempre; allora trovasi obbligato, [p. 152 modifica]per fare sparir le mollette, usar sulla parte la cauterizzazione trascorrente.

§ 9.° distorsione al nodello (effort de boulet).

La distorsione al nodello, che chiamasi anche stortilatura, storta, risiede nell’articolazione del pastorale col canone, i legamenti laterali della quale subirono improvvisi stiramenti, distensioni più o meno forti, di sovente accompagnati da rottura di qualche fibra. In quest’ultimo caso il dolore è eccessivo, il cavallo zoppica considerevolmente, non si appoggia che debolmente sul membro e dimora lungo tempo ammalato. Lo sforzo è alle volte così violento, che una parte dei legamenti tendinosi, laterali e capsulari trovansi lacerati nel medesimo tempo. Esiste in allora una specie di lussazione, o meglio, apparenza di lussazione; il nodello sembra rovesciato in avanti, e l’animale non può servirsi del membro. L’accidente portato a questo grado, deve essere considerato come incurabile, e l’animale fuori d’ogni servizio.

Le cause le più ordinarie delle distorsioni sono i passi falsi, i falsi appiombi,gli sdrucciolamenti, le cadute che fa il cavallo, gli sforzi violenti per voltare ad un tratto senza cangiare andatura, per sbarazzarsi dai lacci che lo contengano, per ritirare il piede affondato in una cavità qualunque o preso tra sassi. Le distorsioni al nodello sono frequenti nei corpi di cavalleria, soprattutto in seguito alle grandi manovre; sonovi anche molto esposti i cavalli da caccia e da carrozza. [p. 153 modifica]

Le distorsioni sono accidenti comunemente gravi, tanto più se hanno sede nei tessuti bianchi, nei quali l’infiammazione è sempre lenta, e che una volta distesi, questi tessuti riprendono difficilmente la loro forma primitiva e la loro tonicità. Queste sorta di lesioni imprimono dolori profondi, cagionano claudicazioni che si manifestano immediatamente o solo dopo dodici, ventiquattro, o quarantotto ore, divengono continue od intermittenti, e persistono più o meno lungo tempo. Il più delle volte la parte ammalata è calda e tumida; alle volte non esiste nè calore, nè dolore, nè intumidimento, e la storta non si fa rimarcare che per la claudicazione. Quest’ultima circostanza, indicata da Lafosse, non è rara, ed è costante che distorsioni al nodello, la cui esistenza non potrebbe revocarsi in dubbio,fanno zoppicare il cavallo, senz’altra apparenza che l’irregolarità dei movimenti.

Le storte leggeri guariscono, per così dire, da loro stesse, e non esigono che riposo; quelle che sono gravi, persistono molto tempo e cagionano claudicazioni difficili a fare sparire. L’immersione della parte ammalata nell’acqua molto fredda può riescire vantaggiosa, durante le prime ventiquatt’ore dell’accidente; ma sarebbe nociva, se venisse continuata più a lungo. Dopo le ventiquattro ore, l’infiammazione è già stabilita, più o meno avvanzata, ed un astringente, come l’acqua fredda, irriterebbe ed aumenterebbe la malattia. La sola indicazione da soddisfare a quest’epoca, si è calmare il dolore, far tacere l’infiammazione, ciò che si otterrà coll’impiego di bagni caldi, [p. 154 modifica]di cataplasmi emollienti, di unzioni con unguento populeo, e col riposo sopra un buon strame, soprattutto se l’animale è molto sofferente. Importa continuare questi mezzi calmanti fintanto che l’infiammazione sia dissipata. In questi casi si possono impiegare i salassi locali in punta, i quali sgorgano i vasi e possono produrre ottimi cambiamenti. Allorchè più non rimane che la claudicazione, senza dolore apparente, bisogna ricorrere alle frizioni spiritose, al fuoco, ai vescicanti, come pure al miscuglio di sublimato corrosivo colla trementina, mezzi che verranno rinnovati e combinati secondo l’ostinatezza della malattia e la sua resistenza alla guarigione.

§ 10.° formella, esostosi in corona(forme) .

La formella ha sede sulle parti laterali della co rona, in vicinanza di sua articolazione col piede; si manifesta indistintamente al lato esterno od interno, o mostrasi alle volte ai due lati nel medesimo tempo. Questo tumore osseo, che può essere spontaneo od accidentale, anche ereditario, acquista insensibilmente maggiore durezza e grossezza; impedisce i movimenti, determina la claudicazione, è origine di diverse altre alterazioni, come l’ossificazione della fibro-cartilagine laterale del piede;e siccome va sempre facendo nuovi progressi, produce prontamente la rovina delle estremità. Aumentando in volume ed in estensione guadagna la faccia anteriore della corona, irrita i tendini dei muscoli estensori, e [p. 155 modifica]mantiene dolori vivi, i quali pregiudicano vieppiù ai movimenti del cavallo. I colpi portati alla corona, certe distensioni forzate dei legamenti articolari, sono accidenti ai quali si attribuisce comunemente lo sviluppo della formella, ma queste cause non sono per la maggior parte che supposte.

Fino ad ora non conosciamo alcun mezzo proprio a guarire la formella passata allo stato osseo; la cauterizzazione comunemente impiegata, non fa che rallentarne i progressi11. Quando il tumore è ancora molle, se ne può sperare la guarigione, soprattutto se si fa uso ben ragionato e saviamente combinato di frizioni spiritose o mercuriali, del fuoco, dei vescicanti, del miscuglio di sublimato colla trementina. La cauterizzazione inerente e penetrante può bensì produrre in certi casi la fusione di questa esostosi; ma ha l’inconveniente di determinare spesse fiate la caduta d’una porzione d’integumento assai estesa, la carie della fibro-cartilagine dell’osso del piede, persino l’a pertura dell’articolazione dell’osso del piede colla corona. [p. 156 modifica]

§ 11.° fratture del primto e secondo falangeo.

Non entreremo in nessuna particolatà sopra queste specie d’accidenti, comuni a tutte le ossa; diremo soltanto che non è sempre possibile ottenere una guarigione perfetta e che la loro cura può bene spesso cagionare spese molto superiori al valore del l’animale. Allorchè la frattura è semplice, se ne può sperare la guarigione, e se il cavallo è di qualche valore, bisogna tentarla con speranza di successo, a meno che l’animale troppo vivo, troppo impaziente, o cattivo, non permetta l’applicazione dei bendaggi convenienti in simili casi. Tutte le volte che l’accidente trovasi complicato e che l’osso sia fratturato in più parti (frattura comminutiva), ciò che si riconosce mediante un esame severo, la cura non può essere che incerta, lunga, dispendiosa ed incompleta, il trattamento non farebbe in allora che aumentare le perdite, ed è meglio far uccidere l’animale. Le belle cavalle suscettibili d’essere impiegate alla riproduzione meritano però qualche sagrificio, e non dovrebbero venire abbandonate che quando la soluzione di continuità non lasciasse veruna speranza di guarigione, benchè incompleta.

Mettere le estremità della frattura in contatto immediato, mantenerle così avvicinate ed impedire ogni qualsiasi movimento delle une sopra o contro le altre, tali sono le indicazioni da soddisfare per giungere a guarire la frattura di cui intraprendesi il [p. 157 modifica]trattamento. Così dopo avere messe tutte le parti nella loro posizione naturale, bisogna ricorrere all’apparecchio proprio a contenerle: si applicano dapprima delle faldelle di filacce, bene graduate ed inzuppate in un liquore fortificante o stimolante12; tutte le cavità essendo riempiute e le stoppe sufficientemente spesse per prevenire le compressioni parziali, si applicano le stecche a ciò disposte, e che vengono ricoperte con altre faldelle inzuppate nell’albume. Si può dispensarsi dall’uso delle stecche: in allora lo strato formato dalla stoppa carica di bianco d’uovo avrà un certo spessore. L’albume aglutina le fibre della stoppa, le quali, disseccandosi, acquistano una consitenza considerabile e formano un involto compatto e molto solido13. Questa specie di guaina, d’astuccio modellato sulla parte,s’ottiene anche col mezzo del gesso, preparato ed adoperato convenientemente. Alcuni pratici consolidano l’apparecchio con uno strato di pece, al disopra del quale applicano nuova stoppa; ma questa sostanza resinosa non raggiunge lo scopo come il bianco d’uovo fresco ed il gesso. Ci limitiamo a queste considerazioni; ommettiamo conseguentemente tutte le precauzioni necessarie onde l’apparecchio non si smuova, o per [p. 158 modifica]mantenere in posizioue l’ammalato e sospenderlo se il caso l’esige; non parleremo pure dell’epoca in cui si dovrà le vare l’apparecchio, come delle attenzioni che necessiterà la parte dopo la saldatura dei pezzi ossei, queste particolarità essendo le stesse come per tutte le altre fratture, sarebbe superfluo il qui riprodurle.

  1. Incapestratura, espressione derivata da capestro, cavezza, ed in, dentro. Cavallo incapestrato, quello che è preso nella sua cavezza.
  2. Bisogna rimarcare che il laccio della cavezza non è sempre una corda; di sovente è una coreggia di cuoio, alle volte una catena di ferro. In quest’ultimo caso, il cavallo di rado s’incapestra, perchè la catena, in ragione del suo peso non resta mai molle; produce piaghe poco profonde o non fa che escoriare la pelle. Non è lo stesso del laccio di corda, nel cui tessuto, entranvi dei crini; le lesioni da questo cagionate sono più o meno profonde, sempre micidiali, avvelenate, seguite da considerevole intumidimento, e di difficile guarigione.
  3. Essais sur les eaux aux jambes des chevaux, di Huzard, veerinario a Parigi, in 8° 1784, pag. 11,
  4. L’acqua selinitosa dei pozzi, che viene impiegata fredda per lavare i piedi, siccome praticasi comunemente in Parigi, produce sovente tali effetti. A Niort, l’acqua delle riviere delle Deux Sévres, dalle quali il dipartimento prende nome, benchè buona per abbeverare cavalli, fa nascere durante il verno lo spurgo alle gambe in quasi tutti i cavalli che si ha l’imprudenza di farvi passare molti giorni di seguito. Perciò, durante tutto il corso dell’inverno, i corpi di cavalleria di guarnigione in questa città sono obbligati, per evitare questi accidenti, di non condurre i cavalli alla riviera, e di farli bere in caserma, in bacini a tale effetto disposti. Era così nel 1812, epoca nella quale feci un lungo soggiorno a Niort.
  5. La proporzione ordinaria è di un grosso per un'oncia e mezza di trementina fina. Il miscuglio si opera in un vaso con una spatola di legno, e l'applicazione deve aver luogo immediatamente. Se si vuole rendere questo miscuglio più attivo, basta aumentare la dose del sublimato; ma si arrischierà produrre la caduta dei peli.
  6. Si può ogni giorno, essendo digiuno l'animale, somministrar gli due once di ciascuna di queste sostanze, colle quali si compongono degli oppiati. Le proporzioni devono però variare a seconda della grandezza e forza del soggetto.
  7. Lafosse.
  8. Quasi tutti gli autori confondono i fichi coi pori; alcuni chiamano fico la malattia del piede distinta col nome di cancro (crapaud). Ho creduto dovere distinguere queste due affezioni, anche secondo il senso dell'espressione propria a ciascheduna, seguendo in ciò l'esempio di Ruini.
  9. Dietro una distinzione volgare, che crediano qui rapportare, quest’ulcera costituisce la tigna, allorchè i peli sono irregolarmente arricciati, e portano una rogna, secca od umida; forma pettini tutte le volte che i peli si raddrizzano come i denti di un pettine; e questi dividonsi, al pari dclla rogna, in pettini secchi ed umidi.
  10. Lasciando soggiornare per qualche tempo i piedi nell’orina dell’uomo, giungesi a fare sparire le mollette, ma riproduconsi tosto.
  11. Un pezzo di sublimato corrosivo applicato e mantenuto sull’esostosi messa a nudo potrebbe bensì determinarne la fusione; ma sarebbe impossibile limitare l’azione di questa sostanza, i cui guasti sarebbero più pericolosi della malattia stessa.
  12. Le prescrizioni indicate non devono applicarsi che alla frat tura dell’osso del pastorale; il secondo falangeo fratturato trovasi abbastanza contenuto dallo zoccolo, nel quale è rinchiuso in maggior parte.
  13. Per dare a questo strato esterno una durezza molto rimarchevole, basta sciogliere un poco di calce viva nell’albume ed impiegare il miscuglio.