Dal Trentino al Carso/Sul Carso/La Battaglia di Novembre/La conquista

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La conquista

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La Battaglia di Novembre - Il bombardamento La Battaglia di Novembre - La manovra vittoriosa
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LA CONQUISTA.

Zona di guerra, 1.° novembre.

Le fanterie italiane si sono lanciate all’assalto, su tutta la linea, alle 11,10 precise del mattino.

L’ora è stata fissata all’alba e diramata ai comandi. Ma fin da ieri la decisione era presa di anticipare l’azione risolutiva.

Bisognava anticiparla, non soltanto per tentare di sorprendere il nemico assalendolo in un’ora insolita, ma anche per avere un tempo più largo allo sviluppo della prima fase dell’attacco, la più importante, quella che delinea il risultato. Le giornate si raccorciano, la sera porta una sosta inevitabile e la notte è favorevole al nemico. Ma non è un problema lieve anticipare l’istante fatale dell’assalto, che deve essere preceduto da una calcolata preparazione di artiglieria, lunga e intensa, la cui durata è inalterabile, e che la notte ordinariamente sospende. Non meno di otto o nove ore consecutive di bombardamento sono necessarie per aprire definitivamente la strada alla fanteria. Il sereno di ieri, così limpido, ci ha aiutati. Ha permesso di aggiustare i tiri delle artiglierie con tanta precisione, da poter continuare il bombardamento nella notte, con tutti i calibri, [p. 293 modifica] servendosi dei dati che l’osservazione aveva stabilito durante il giorno. Così la fanteria è potuta uscire dalle trincee quattro ore prima.

Gli austriaci aspettavano l’assalto ieri. Alle tre e mezzo del pomeriggio le nostre pattuglie uscirono per la prima esplorazione: dovevano verificare i risultati del bombardamento su certi tratti delle difese nemiche. Le batterie nostre allungarono i tiri. I nemici credettero che fosse il momento dell’attacco e misero in azione tutto l’organismo della difesa: fuochi di interdizione, fuochi di controbatteria, fucilate, raffiche di mitragliatrici. Le pattuglie furono ricevute come fossero degli eserciti. Mai l’esplorazione aveva incontrato una resistenza più pronta, più vasta e più violenta. Il lavoro dei nostri drappelli fu lungo e penoso. Per un momento la reazione nemica all’avanzata di pochi uomini parve assumere i caratteri di un vero contrattacco, tanto appariva sproporzionata. Rivelava l’allarme, l’ansia, la concitazione, ma diceva anche la preparazione e la decisione della difesa.

Le forze austriache, infatti, sono andate continuamente aumentando sulla fronte carsica. Dal Vippacco al mare il nemico ha schierato non meno di otto divisioni. Ne ha inviate dalla Transilvania, ne ha inviate dalla Galizia, ne ha inviate dal Trentino, dove le nevi cominciano qua e là ad imporre la grande tregua [p. 294 modifica] dell’inverno. Vi sono nuovi reggimenti magiari, e reggimenti rumeni e reggimenti ruteni e reggimenti bosniaci dal fez color fango. Fra prigionieri, morti e feriti, il logoramento di uomini nelle ultime battaglie del Carso è stato così grande per l’Austria, che tutti i superstiti delle lotte passate costituirebbero appena la quinta parte delle forze attuali, e sarebbero relegati alla riserva. Certo è che lo schieramento di prima linea è tutto di truppe giunte in queste settimane e sottratte ad altre fronti.

Ogni giorno, durante le piccole azioni di sistemamento, cadevano nelle nostre mani prigionieri appartenenti a nuove unità. La potenzialità delle reti ferroviarie austriache e la loro organizzazione permette all’Austria degli spostamenti assai rapidi di forze. Alcune brigate sono arrivate dai Carpazi alle stazioni terminali del Carso in quaranta ore; altre in tre giorni hanno compiuto la traversata dalla Volinia alla fronte italiana. La insolita energia manifestata dal nemico nell’allarme, sotto il bombardamento, durante la prima esplorazione delle nostre pattuglie, dava la misura delle difficoltà che la nostra azione doveva vincere.

Il terreno della battaglia, tante volte descritto, è ormai così conosciuto che bastano pochi tratti perchè il lettore possa immaginare con esattezza lo sviluppo degli eventi. Egli vede [p. 295 modifica] col pensiero questa nostra fronte che taglia la concava distesa dell’Altipiano Carsico, bassa al centro, alta ai bordi, una specie di ampia vallata formatasi sul massiccio del monte, irregolare, rocciosa, tutta butterata di doline, piena di gradini, di rialzi, di gibbosità sassose, di forre, coperta qua e là da boscaglie. Gli austriaci hanno sempre concentrato tenacemente i loro sforzi alla difesa delle due estremità della linea. Non hanno risparmiato sacrifici per mantenersi padroni degli alti bordi dominanti.

La presa di San Grado di Merna, sul Vippacco, e la presa della Quota 144, al sud, verso il settore di Monfalcone, la conquista di queste due alture che fiancheggiano simmetricamente la fronte carsica, non è riuscita a spezzare definitivamente i nodi laterali ed estremi ai quali si attacca la linea di resistenza nemica sull’altipiano. Le nostre successive spallate ci hanno dato larghe estensioni di territorio fra questi punti fissi. Il limite delle nostre avanzate traccia degli archi irregolari, sempre più profondi, sopra una corda unica. Sui declivi settentrionali del Veliki Hribach e sui declivi meridionali della Quota 208 sud, il nemico ha fatto resistenze disperate. Le lotte più accanite, le oscillazioni più profonde, si sono avute ai fianchi. Non potendo arginare per tutto l’impeto del nostro attacco simultaneo e generale, gli austriaci hanno adottato il sistema di [p. 296 modifica] convergere subito tutta la possanza della difesa sopra una delle due ali, quella che ritengono più minacciata o più debole, e di tentare poi la riconquista del terreno perduto altrove con insistenti e formidabili contrattacchi.

Nell’offensiva di settembre fu sul massiccio di Nova Villa che concentrarono immediatamente tutti i mezzi della resistenza. Nova Villa fu presa, perduta, ripresa, riperduta. La battaglia passava e ripassava furibonda sulle Quote 208, finché riuscimmo ad aggrapparci ad una vetta, la 208 sud; ma il massiccio, enorme groviglio di trincee, rimase al nemico. Nell’offensiva di ottobre, invece, al momento dell’assalto, tutte le batterie austriache tempestarono a sinistra, verso il Veliki Hribach. Fu un inferno. L’assalto sparì nel fumo. Dietro la prima ondata d’attacco il terreno pareva bollire sotto al fuoco di interdizione. I plotoni che giunsero alla vetta del Veliki vi piantarono i segnali per le artiglierie, che sono rimasti lassù, isolati in una sanguinosa solitudine. Ma intanto alla destra espugnavamo Nova Villa e avanzavamo verso Lucatic e su Hudilog. In ogni offensiva possiamo quasi prevedere la resistenza massima ad un fianco e la controffensiva al fianco opposto.

Le linee dei trinceramenti nemici rivelano l’importanza che gli austriaci annettono alla [p. 297 modifica] lotta sulle ali. Al centro la barriera è semplice: una profonda trincea, che in molti punti non ha nessuna opera avanzata. Ma dove i declivi risalgono, a destra e a sinistra, i solchi si annodano in complicate ridotte, girano, si intrecciano, si diramano. Non è più un trinceramento, sono due, sono tre, serpeggianti sul terreno come bizzarre venature, come le barbe di una radice. Alcune trincee sono nuove, ogni giorno se ne è scoperta qualcuna che non esisteva alla vigilia. Dove era un semplice camminamento, si sviluppava un sistema di fortificazione, un labirinto di fenditure.

La linea delle difese che abbiamo attaccato oggi sale dal valloncello di San Grado, protegge gli approcci del Veliki, difende Locvizza, taglia la strada di Castagnavizza, passa a ponente di Hudilog e di Lucatic, poi bruscamente fa gomito, si riavvicina, volge a occidente e si attacca al declivio scosceso della 208 sud. Una seconda e una terza linea si allacciano alle rive del Vippacco e si congiungono presso la vetta del Veliki; da qui dei trinceramenti formidabili scendono alla difesa del Pecinka e vanno ad annodarsi alla linea indicata prima, fra Locvizza e Hudilog. Nelle vicinanze di Lucatic il serpeggiamento delle trincee si sdoppia ancora. Una seconda linea costeggia il bordo del ciglione e va sopra Jamiano. Ogni altura che le difese toccano è trasformata in fortino. [p. 298 modifica]Il bombardamento ha cominciato con l’aprire dei varchi all’assalto in certi punti determinati. Anche un attacco frontale ha le sue manovre. Sopra un terreno così aspro e così vario lo sforzo si sperderebbe se fosse distribuito egualmente su tutta la linea; bisogna guidare l’irruzione irresistibile delle masse sopra speciali settori, secondo meditati piani di movimento, e, valicate le difese, eseguire conversioni prestabilite, raggiungere le posizioni più forti del nemico da direzioni per lui inaspettate. Si prendono dei rovesci, si avvolgono delle ridotte, si piomba sui centri di comunicazione.

Quando si assiste ad un assalto ben disposto, si vedono i nuclei urlanti delle fanterie volgere la loro corsa veloce a destra o a sinistra in subitanei mutamenti di fronte, slanciarsi in evoluzioni strane il cui senso sfugge. È la manovra per investire un cocuzzolo, per prendere una dolina, per accerchiare un groviglio. L’avanzata ha dei mulinelli, dei gorghi, dei risucchi da ondata, ha qualche cosa di fluido nell’atmosfera fumosa, è uno scorrere vivente, un turbinare grigio. Passano e ripassano degli affollamenti confusi in un pagliettìo di lame luccicanti, spariscono, si rivedono, girano.

I varchi principali erano già aperti ieri quando le pattuglie sono uscite. Da quei punti la distruzione si è andata allargando. Alla sera [p. 299 modifica] tutta la prima linea nemica era demolita. Le bombarde nostre tacevano a destra ma imperversavano a sinistra, contro al Veliki e al Pecinka. Questa notte il bombardamento si è concentrato sulla seconda linea. Era uno spettacolo di maestoso orrore. Il divampare vivido e incessante delle esplosioni non illuminava che delle nubi. La terra era scomparsa. Il campo di battaglia appariva come un cielo di tempesta solcato dai fulmini. Era un paesaggio di vapori, tutto acceso, balenante, infiammato, tuonante, favoloso.

Questa mattina l’artiglieria è tornata a battere la prima linea. Le bombarde si sono messe in azione su tutta la fronte. Non si scorgeva più niente ad un chilometro di distanza. Non un alito di vento disperdeva il fumo. Il Carso era tutto una nube agitata, multicolore. Le truppe che si andavano concentrando per l’assalto marciavano nella caligine, in penombre crepuscolari. Il sole appariva pallido come nei tramonti invernali.

Improvvisamente i piccoli calibri hanno accelerato il fuoco. I cannoni maggiori hanno portato il tiro sulle batterie nemiche per paralizzarle, per impedire le loro concentrazioni sulle nostre truppe al momento dell’avanzata, o per diminuirne la efficacia. L’istante fissato sì avvicinava. Ancora dieci minuti. Ancora cinque. Negli osservatori dei comandi si è fatto [p. 300 modifica] un silenzio profondo. Gli stati maggiori attendevano in una immobilità di pietra. È l’ora.

Subito si è compreso che gli austriaci concentravano questa volta lo sforzo immediato della resistenza alla nostra destra. Nell’attimo stesso in cui le nostre truppe saltavano fuori dalle loro trincee, si è levato da quella parte 1o strepito della fucileria e delle mitragliatrici. Il fragore della battaglia cresceva laggiù. Verso Hudilog, verso Lucatic, l’avanzata avveniva sotto raffiche di piombo, tempestata dalle artiglierie dell’Hermada, meno sensibili al nostro tiro di controbatteria. I tentacoli dell’assalto arrivavano qua e là alle trincee nemiche, acciuffavano centinaia di prigionieri, si ritraevano sotto i contrattacchi, si slanciavano di nuovo a far preda. Il nemico ha forse supposto che noi volessimo profittare del grande saliente di Hudilog per incunearci maggiormente, ha creduto che il nostro massimo sforzo fosse a destra, dove i grandi vantaggi ottenuti nell’ultima offensiva potevano allettarci ad un tentativo di sfondamento in grande stile. Si è ingannato.

La nostra vera manovra era a sinistra. Il piano italiano tendeva alla conquista del Veliki Hribach. Volevamo il possesso di questo secondo San Michele, al quale la linea della difesa si appoggia. E l’abbiamo. La paurosa montagna, coperta in parte da foltissimi boschi dei [p. 301 modifica] quali ogni albero serviva da palo di reticolato, è stata espugnata, è stata sorpassata, e i nostri avamposti fronteggiano i selvosi ed oscuri declivi del Dosso Fajti, che parevano così lontani.

Il Veliki è stato preso con uno di quei movimenti avvolgenti dei quali abbiamo cercato di dare un’idea. L’assalto ha sfondato le linee nemiche nella zona di Locvizza, ha aggirato le posizioni del Pecinka dal sud, ne ha circondati i difensori che ha mandato giù a grandi mandrie, poi è salito dal Pecinka al Veliki, del quale è un contrafforte. Mentre una pressione frontale tratteneva le forze austriache sulla vetta, i nostri battaglioni, con velocità fantastica, inerpicandosi in un’ascesa esultante, piombavano sul fianco e alle spalle del nemico. Nelle prime ore del pomeriggio, tutte le formidabili posizioni della destra nemica erano crollate. La vittoria era prevista, ma nessuno la sperava così rapida. La resistenza si è letteralmente sfasciata.

I prigionieri non sanno ancora rendersi conto del come noi siamo arrivati lassù. Credevano di difendere validamente le trincee, quando hanno udito l’urlo immenso dell’assalto dietro di loro: Savoia! Erano circondati. L’assalto ha dilagato come l’acqua da una chiusa. È stata una manovra grandiosa eseguita con una [p. 302 modifica] regolarità da piazza d’armi. Ogni unità ha svolto il suo programma, con fulminea arditezza.

La sorpresa del nemico è stata tanto grande che ne è seguita la disorganizzazione. Per alcune ore esso non ha potuto reagire. Impegnato a fondo sulla sinistra non ha trovato un rimedio alla imprevedibile catastrofe della destra. I contrattacchi sono arrivati tardi, ed erano snodati; violenti ma senza seguire un piano chiaro di azione. Si capiva che delle truppe, raccolte in fretta, erano gettate avanti a caso. Forse non si tratta ancora che di ricognizioni.

Anche l’artiglieria nemica ha taciuto dopo la conquista. Alla sera da quel lato della fronte era un silenzio lugubre, strano. Il nemico non è riuscito ad appurare la nostra nuova fronte, oppure ha ritirato le sue batterie minacciate. L’assalto è già arrivato su dei cannoni di medio calibro. Sei pezzi da 105 sono stati presi in una dolina ampia e profonda oltre al Pecinka.

Certe trincee conquistate erano piene di feriti e di morti nemici. Sembrano frane di sassi e di corpi. Le perdite austriache debbono essere enormi. Pochi sono i superstiti della linea avanzata, composta in alcuni punti di una catena di buchi da tiratore. I camminamenti sono crollati, le ridotte hanno l’aspetto di cave di pietra. La devastazione fatta dal nostro fuoco è indescrivibile. Le colonne di rincalzo [p. 303 modifica] marciano con entusiasmo sulla terra conquistata, in un paesaggio di orrore.

La nostra avanzata sulle vette ha percorso oltre due chilometri. La nostra estrema sinistra gravita ora al nord di Castagnavizza. La lotta continua alla destra. È scesa la sera. Centinaia di razzi salgono laggiù fra le nubi di fumo. L’oscurità è piena di balenìi. Nel Vallone buio echeggiano confusi gridi di esultanza. Si respira come una vampa di vittoria.