Discorsi, e lettere/Discorso intorno alla precedenza conceduta alle Donne
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DISCORSO
Intorno alla Precedenza conceduta alle Donne:
Il P. Santinelli in quella sua erudita Dissertazione intitolata, Della educazione, e de’ costumi delle Femmine Romane, dice: Benchè vi fosse il costume di giacere sopra i letti, quando si avea da cenare, con tutto ciò le Donne non cominciarono nello stesso tempo, che gli uomini a giacere a mensa; anzi solo gli uomini giacevano sul letto alle mense, ed esse Donne sedute solamente. Lo stesso dice: Bellissima testimonianza di ciò ci fa Valerio Massimo scrivendo: Le Femmine sedute cenavano di frequente cogli uomini che giacevano sopra i letti, il qual costume degli uomini passò a quello dei Dei, giacchè nel pubblico convito di Giove, egli giacque in letto, e Giunone, e Minerva vennero invitate a sedersi a cena. La qual spezie di gravità la nostra età l’osserva benissimo nel Campidoglio; ma nelle case no. Alcuni credono, che Apulejo abbia espresso questo antico costume, ove dice: Che la moglie di Milone, giacendo egli sul letto alla mensa, ella sedeva accanto ai piedi di lui. Questo lodevol costume si mantenne appresso la Repubblica infino che non cessò il buon ordine, e l’ottima disciplina, e sola col tratto del tempo, siccome di tutte le cose avvenir suole, o per variazion di dominio, o per mancanza di chi appuntino esigeva un’accurata osservanza delle leggi, venne manco. Qui mi sembra non iscostarmi punto dal vero, s’io vi pongo sotto gli occhi, che dai disordini della Repubblica si può contar l’epoca d’una qualunque siasi picciola precedenza delle Signore Donne sopra degli uomini, imperciocchè le veggo da’ duri scanni passate a’ molli letti discubitorj. Il Conte Camillo Silvestri nelle Note alla Satira seconda di Giuvenale scrive: Introdottosi dunque lo starsene anche le Donne a mensa coricate, solevano collocarsi appresso i loro mariti; in maniera però, che stando essi dalla parte superiore, e sia capo del letto, esse immediatamente a quello susseguitavano, stando con la parte superiore della vita sollevata per mezzo il loro petto, e come fossero in seno de’ medesimi adagiate: la qual positura chiamavasi INTERIOREM JACERE. Un bellissimo passo di Valerio Massimo, riportato dal nostro illustre Accademico Sig. Clemente Baroni nell’egregia sua Lettera intorno alle cirimonie e complimenti degli antichi Romani, ci fa vedere oltre all’esser le Donne state ammesse a coricarsi sovra dei letti alle mense, come furono per ordine del Senato vie più onorate a cagioni de’ meriti loro. Dice dunque il nostro Socio: Valerio Massimo certamente racconta, che fra gli onori decretati dal Senato alle Matrone Romane per l’importante servigio prestato da alcuna di esse alla Repubblica, quando uscite incontro a Coriolano, che tutto pieno di mal talento se ne veniva con un poderoso esercito alla volta di Roma, venne lor fatto di placarlo, e raddolcirlo, si fu questo di ordinare, che gli uomini da lì innanzi ceder dovessero la strada alle Donne: “In quarum honorem Senatus matronarum ordinem benignissimis decretis ornavit: sanxit namque, ut Fœminis semita viri cederent, confessus plus salutis in stola, quam in armis fuisse.„ E a questo proposito rammenterò qui, giacchè mi cade in acconcio, che, come narra l’Abate Pacichelli nella sua Hieroliturgia (Capo IV. p. 22. sulla fede di Uberto Foglietta Hist. Gen. lib. 4.), anche l’invitto Imperadore Carlo V. avendo ridotta Genova in sua podestà, comandò in pena ai Genovesi, che diano sempre alle mogli la mano destra; anzi uditene propriamente il passo: Ut Fœminæ viros præcedant, cristatisque vestibus virgines, et variegatis coloribus utantur: viri contra pulli, et atrati incedant, dexteram semper uxoribus relinquentes. Ora come siasi introdotto quest’uso del dare la mano alle Donne, chiaramente lo veggiamo. Come acquistasse tanto piede, mi sembra ravvisarlo nella decadenza della Repubblica. Incominciavano gli uomini a condurre le Donne loro alle cene non solo de’ parenti, ma degli estranei ancora, e qui mettendole in mostra si compiacevano vederle favorite, ed onorate, o fossero le mogli, o le congiunte, per mezzo de’ quali nuovi onori esse Donne ardirono alquanto allargarli facendo, secondo loro tornava in conto, de’ brogli, o maneggi appresso i più potenti per ottenere maggiori cariche a’ mariti, od a’ fratelli, ovvero per fargli assolvere da que’ supplicj, o pene, che alle mancanze loro ed ai delitti erano destinate. Io trovo a’ tempi di Cicerone, essersi la moglie Terenzia non poco adoperata per restituire alla patria l’esule marito. Veggo altresì le Donne affaccendate brogliar nelle pubbliche piazze, perchè si abolisca la legge, che proibiva lo smoderato uso degli ori; e sento Catone sgridare severamente i magistrati, perchè non ostavano a tanto disordine facendo loro osservare le male conseguenze, che da tanta libertà alle medesime conceduta potevano derivare. Verranno, diceva egli, se non si porrà argine, o freno, verranno nel Senato, ove vorranno esser a parte de’ più importanti, e segreti arcani. Lucio Seneca non meno parlando di sua zia, Quella, dice egli, per crearmi Questore adoperò ogni sua possa, ed essendo per altro schiva del conversare, e nuova in queste pratiche, fecesi ardita, e fu superata la verecondia dell’amore, e della condiscendenza. E Tacito ne fa sapere, che Agrippina per non far conoscere la sua autorità solamente nel male, impetrò dal marito la remissione del bando, e la Pretura per Anneo Seneca, pensando, che ciò fosse grato al popolo per lo splendore della sua dottrina, e perchè Domizio crescesse sotto l’educazione di tal maestro, e si servisse de’ suoi consigli nelle speranze dell’Impero. In appresso la corruttela de’ costumi andossi avanzando, e la miglior disciplina, e l’ordine venne manco per modo, che gli uomini, modestamente parlando, furono astretti ricorrer alle Donne, per mezzo de’ maneggi delle quali essi ottennero quanto loro facea di mestieri, ed esse allargarono il dominio sovra i medesimi, e di mano in mano la loro precedenza acquistò maggior piede. Di qui nacque col tratto del tempo, che gli uomini per gratitudine assegnarono loro la propria mano. Nè per avventura mi si opponga con quel dotto, che sopra mentovai, che, come le agevolezze, che s’usano verso gl’infermi, così le cortesie verso le Donne, non significano riverenza, ma compassione. In quanto alla riverenza dice egli ottimamente, imperciocchè io ancora non istimo atto di riverenza quell’aura di precedere, che loro danno, ma puramente interesse, avvegnachè per mezzo loro aumentano il proprio onore, ed ingrandiscono le loro fortune. Circa poi alla compassione m’è forza dipartire dal suo bizzarro pensamento. Veggo un ferito giacer supino prostrato di forze in sul terreno, passo oltre mostrando sol pietà del suo infelice stato. Che giova al misero abbandonato la sola compassione, dove abbisogna sollievo coll’opera, e colla mano? Da qual legge stabilita anticamente, o di fresco ordinata questa compassione traluce? Forse che per riguardo alla debolezza del sesso i patrimonj, i maggioraschi furono, o sono per le Donne costituiti? Signori no; imperocchè per ricchi padri che sieno, testano vantaggiosamente a favor de’ maschi in primo luogo, e quando si arriva alle femmine (bella compassione per vero dire!) una tenue porzione di patrimonio si destina a queste, ed il più delle volte co’ rimprocci, e forzatamente. Il perchè, Accademici valorosi, crederei poter conchiudere, che quella, la qual si addomanda compassione da’ Signori Uomini, altro in sostanza non sia che interesse proprio; ed eccomi alle prove. Honor est honorantis, dice l’Assioma: ed io pure dico, che siccome a colui, il quale fa l’ingiuria, torna in capo lo scorno, così chi altrui onora ne ritrae onore, e da questo onore vantaggio sommo ne ricava. Avendo dunque gli uomini per interesse assegnato alle Donne la mano diritta, queste per gratitudine operarono, ed operano al presente per l’ingrandimento delle fortune, e cariche de’ medesimi. E quantunque cotesta precedenza origine traesse puramente dall’interesse, le medesime l’accolsero come per atto di buona grazia, e con ciò proccurarono mostrar loro gratitudine, e insieme grandissima compiacenza. Veramente confesso conoscere, che alcun severo custode del proprio onore mi si potrebbe opporre col dire: Non potevano forse gli uomini ottenere co’ loro proprj maneggi senza l’opera delle Donne quanto essi desideravano? Potevano; ma poichè avveduti, e accorti sono, conobbero nelle Donne una certa inclinazion naturale alla compassione, ed all’amore; per la qual cosa stabilirono valersi di loro, giudicando a buona ragione, che per mezzo di queste mozioni connaturali all’arrendevol loro animo, e delle dolci maniere lusinghevoli, con cui sanno presentarsi, potevano ogni cosa ottenere, che al loro uopo fosse necessaria.
- Testi in cui è citato Stanislao Santinelli
- Testi in cui è citato Valerio Massimo
- Testi in cui è citato Apuleio
- Testi in cui è citato Camillo Silvestri
- Testi in cui è citato il testo Satire (Giovenale)
- Testi in cui è citato Decimo Giunio Giovenale
- Testi in cui è citato Clemente Baroni Cavalcabò
- Testi in cui è citato Giovan Battista Pacichelli
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