Faust/Parte prima/La cantina di Auerbach in Lipsia

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La cantina di Auerbach in Lipsia

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Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
La cantina di Auerbach in Lipsia
Parte prima - Studio (II) Parte prima - La cucina di una strega
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LA CANTINA DI AUERBACH IN LIPSIA.


allegra brigata di bevitori.

Frosch. Nessun bee? nessun ride? V’insegnerò io a stare ingrugnati a quel modo. Voi solete pigliar fuoco come zolfanelli, ed oggi mi somigliate paglia fradicia.

Brander. Ne hai la colpa tu; non intavoli nulla; non sai dire una goffaggine, non una porcheria!

Frosch, versandogli un bicchier di vino sul capo. Eccoti l’uno o l’altro.

Brander. Porco rifatto!

Frosch. Chi così vuole, così abbia.

Siebel. Via di qua gli accattabrighe. Su, canti, e bicchieri in ronda. Beete! Strillale quanto ne avete nella gola! Oh! uhi! oh!

Altmayer. Ohimè, io sono spacciato! Qua cotone! Quel gaglioffo m’ha squarciate le orecchie.

Siebel. Sol dall’eco della volta si apprezza la forza del contrabbasso.

Frosch. Senz’altro; e via col diavolo i permalosi. Ah! tara lara là!

Altmayer. Ah! tara lara là! [p. 103 modifica]

Frosch. Le strozze sono accordate. (Canta.)

       Sacro romano impero
       Che mai sarà di te?

Brander. Poh! che brutta canzone! oibò! una canzone politica! una noiosissima canzone. Ringraziate ogni mattina il Signore che non avete a darvi briga del sacro romano impero. Per me non mi reputo poco fortunato ch’io non sia nè imperatore nè cancelliere. E nullameno noi pure non possiamo far senza un capo, e ci bisogna eleggerci un papa. Voi sapete quale specialità dia il tratto alla bilancia, e balzi l’uomo su la santa sede.

Frosch canta.

   Ser rosignuolo, vola e di al mio bene
   Ch’io lo saluto; digli le mie pene.

Siebel. Al tuo bene non un sol saluto; non vo’ udirne parlare.

Frosch. Al mio bene saluti e baci; tu non me ne impedirai. (Canta.)

   Su ’l chiavistello! è buio d’ogni intorno!
   Su ’l chiavistello! veglia l’amoroso.
   Giù ’l chiavistello! allo spuntar del giorno.

Siebel. Sì, canta canta a tua voglia, ed amala e lodala! chè tu non tarderai a darmi di che ridere. Ell’ha uccellato me, e farà a te quel medesimo. Io le desidero per amante un folletto; il quale può sollazzarsi seco sur un crocicchio. Un vecchio caprone, quando vien giù dal Blochsberga, può nel suo galoppo darle incontro di cozzo e belarle la buona notte. Un bello e ben creato giovane è troppo buon boccone per simile zitella; io non ho altro saluto da darle, fuorchè sassate nei vetri. [p. 104 modifica]

Brander percuotendo la tavola. Zitti, zitti, signori! date retta a me, e poi dite s’io non sono un uomo. Egli è qui alcuno che patisce d’amore, ed è giusto che io gli dia la buona notte come si convien meglio al suo stato. Attenti! chè la è una canzone nuova di zecca! E cantate di gran lena il ritornello. (Egli canta.)

           Fu un topo che vivea
        Di lardo e di farina
        Senza affanni in cantina,
        E una pancetta avea
        Tonda e lustra che in vero
        Parea ’l dottor Lutero.
        Or la cuoca ribalda
        Gli appiatto in una cialda
        Un velen traditore,
        Che gli diè tal tormento,
        Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Coro giubbilando.

           Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Brander. Di qua, di là egli corse;

        Dell’acqua, ovunque n’ebbe,
        E bebbe e bebbe e bebbe;
        E graffiò e rose e morse,
        Menando l’ugna e il dente,
        Ma non giovò nïente.
        Fe capriole molte,
        Diè cento giravolte;
        Era un foco, un furore,
        Un rimescolamento,

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        Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Coro. Come se avesse drento

        La rabbia dell’amore.

Brander. Miser! non trova loco,

        E di bel dì in cucina
        Ecco viene, e ruina
        Capovolto nel foco.
        Oh, pietå! sulle brace
        Mette un sibilo, e giace.
        E la cuoca, che tratto
        L’ha a quel partito matto,
        Pur rise; ed: Oh romore!
        Disse; egli manda un vento,
        Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Coro. Come se avesse drento

        La rabbia dell’amore.

Siebel. Ve’ come que’ ghiottoni se la godono! Bell’onore veramente attossicare i poveri topi.

Brander. Son tanto nella tua grazia?

Siebel. Oh, il pancione! la zucca pelata! Il malanno lo fa dolce e manoso, ch’egli vede nel topo sgonfiato il suo ritratto al naturale.

FAUSTO e MEFISTOFELE.

Mefistofele. Prima di ogni altra cosa bisogna ch’io li faccia entrare in una sollazzevole brigata, affinchè tu veggia quanto sia facile il darsi lieta vita. Per costoro ogni dì è festa: e con poco cervello e grande [p. 106 modifica]ilarità ballano in giro entro un piccolo cerchio, come gattini che giuocano con la lor coda; e se non hanno il mal di capo, e l’oste fa loro credenza, ei sono senza fastidi.

Brander. Son giunti di poco in città; te ne avvedi subito a quella loro strana maniera. Non è un’ora che son qui, scommetto.

Frosch. Tu di’ bene il vero. Viva la mia Lipsia! Ell’è un piccolo Parigi, e dà l’ultima mano all’uomo.

Siebel. Che pensi tu che sieno que’ forestieri?

Frosch. Lasciane la cura a me, che con un bicchiere di vino io tiro lor di bocca ogni cosa, come cavare un ragno d’un buco. Penso che sien nobili, giacchè hanno l’aria di scontenti e di superbi.

Brandet. Ed io giocherei che son ciarlatani.

Altmayer. Fors’anche.

Frosch. Bada, bada com’io li burlo.

Mefistofele. Queste genterelle non hanno mai alcun sospetto del diavolo; ei le terrebbe pel collare che non se n’avviserebbero.

Fausto. Ben trovati, signori.

Siebel. Grazie; e voi siate i ben venuti. (Fra sè guardando di traverso Mefistofele.) Che ha costui che zoppica d’un piede?

Mefistofele. Siete contenti che ci mettiamo a sedere con voi? In cambio di buon vino, che qui certo non è da sperare, noi godremo della buona compagnia.

Altmayer. Siete molto dilicato, pare.

Frosch. Voi venite por ora da Rippach; non è vero? Siete forse rimasi a cena dal signor Giannotto? [p. 107 modifica]

Mefistofele. Non oggi; chè volevam tirare innanzi. Ma l’abbiam veduto non ha guari, e ci parló a lungo de’ suoi cugini e molto ci raccomando di salutarli in suo nome. (S’inchina verso Frosch.)

Altmayer (piano). Ci sei colto! Tanto sa altri quant’altri.

Siebel. È una volpe vecchia.

Frosch. Sta a vedere com’io gliela fo.

Mefistofele. S’io non m’inganno, noi abbiamo poc’anzi udito cantare in coro molto maestrevolmente. E in vero sotto questa volta la voce dee fare un bel rimbombo.

Frosch. Sareste a fortuna un virtuoso?

Mefistofele. Oh, no! la virtú è poca, ma grande il diletto.

Altmayer. Cantateci una canzone.

Mefistofele. Mille, se vi è in grado.

Siebel. Qualcosa di non mai più udito.

Mefistofele. Noi veniamo di Spagna, che è il bel paese del vino e delle canzoni. (Canta.)

        V’era un re che aveva in corte
     Una pulce1 molto rara;

Frosch. Date ascolto! una pulce! Avete voi ben afferrato ciò? Per me una pulce è tanto o quanto una seccaggine.

Mefistofele canta.

        V’era un re che aveva in corte
     Una pulce molto rara;
     E quel re l’amava forte;
     Come un figlio ei l’avea cara.

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        Il re disse: Olà, il sartore!
     Il sartor venne a gran fretta.
     Fa una vesta a monsignore,
     Fagli brache e mantelletta.

Brander. Dite al sartore che guardi bene quel ch’egli si fa; badi specialmente che le brache non facciano una piega, chè ne va il collo!

Mefistofele canta.

        E su avvolto in seta e in belli
     Drappi ad oro ed in broccato;
     Pien di nastri ebbe gli occhielli,
     E una croce sul costato.
        Fu ministro immantinente,
     E lo sprone ebbe e il tosone;
     Trasse in corte ogni parente,
     Qual fu conte e qual barone.
        Ed in corte pelle pelle
     Cavalier mordeano e donne;
     La regina e le sue ancelle
     N’avean sempre pien le gonne.
        E nessun per buon rispetto
     Ardia pur grallarsi; noi,
     Noi mettiam l’ugne di netto
     Su ogni pulce che ci annoi.

Coro.

   Noi mettiam l’ugne di netto
     Su ogni pulce che ci annoi.

Frosch. Bravo! bravo! è graziosissima.

Siebel. Tal sia d’ogni pulce.

Brander. Appunta le dita, e ghermiscile bellamente.

Altmayer. Viva la libertà! Viva il vino!

Mefistofele. Berrei volentieri in onore della [p. 109 modifica]libertà se i vostri vini fossero un po’ migliori.

Siebel. Non più, avete a ridircelo ancora?

Mefistofele. S’io non temessi che l’oste l’avesse per male, esibirei a questa onorevole compagnia del migliore della nostra cantina.

Siebel. Eh, date pur qua, ch’io tolgo sopra di me la stizza dell’oste.

Frosch. Porgetecene un bicchiere del prelibato, e diremo gran bene di voi. Solo non vogliate darcene una misera mostra, chè s’io ho a giudicare, bisogna che me n’empia ben bene la bocca.

Altmayer (a parte). Son del Reno, cred’io.

Mefistofele. Procurate un succhiello.

Brander. Che ha a fare il succhiello? Voi non avete già le botti alla porta?

Altmayer. Là dietro l’oste tiene una sporta di stromenti.

Mefistofele prende il succhiello a Frosch. Dite su: che vino desiderate voi?

Frosch. Che intendete di dire? Ne avete una gran varietà?

Mefistofele. Ognuno può scegliere a suo talento.

Altmayer a Frosch. Ah, ah, tu te ne lecchi giả le labbra.

Frosch. Or bene, poichè ho a scegliere, voglio vin del Reno io; chè i migliori doni son quelli che ne vengono dalla patria.

Mefistofele, forando l’orlo della tavola al posto di Frosch. Date qua un po’ di cera per farne tosto de’ turaccioli.

Altmayer. Uh, le son arti da ciurmadori.

Mefistofele a Brander. E voi? [p. 110 modifica]

Brander. Io voglio Sciampagna, e che salti e spumeggi.

Mefistofele segue a forare, e uno di essi vien turando i fori con turaccioli di cera. Non sempre si possono evitare le cose forestiere; chè il buono ne sta spesso assai discosto! Un pretto Tedesco non può patire alcun Francese, ma bee di buon grado i lor vini.

Siebel mentre Mefistofele gli si accosta. Se ho a dire il vero l’agro non mi conferisce; datemene un bicchiere del dolce.

Mefistofele, forando. Per voi scorrerà tosto Tocai.

Altmayer. Ehi, galantuomo, miratemi in viso. Siete sul burlare, non è vero?

Mefistofele. Oh, oh! sarebbe troppo arrischiare con signori di simil fatta! Su via, dite: di che vino posso servirvi?

Altmayer. Di tutti! e speditevi.

Poichè ogni foro è fatto e turato, Mefistofele con gesti strani:

        La vite aspra di stecchi
     Mette l’uve gradite;
     Metton le corna i becchi;
     Mostoso è il vino, ed è legno la vite;
     E questo duro desco a chi lo fora
     Ben può dar vino ancora.
     Molto può al mondo
     Chi nel profondo
     Sen di natura vede:
     Un miracolo è questo: abbiate fede!

Ora traete i turaccioli, e sguazzate. [p. 111 modifica]

Tutti, traendo i turaccioli e raccogliendo i vini ne’ bicchieri. Oh, che bella fontana ci scorre qui!

Mefistofele. Sol badate di non versarne gocciola.

Bevono e ribevono tutti cantando.

   Quand’io sguazzo qual porco nel brago,
   È quel bene in che tutto m’appago.

Mefistofele. Ora han la briglia sul collo, i mariuoli. Vedi come trionfano.

Fausto. Io me n’andrei volentieri ora.

Mefistofele. Rimani ancora un poco, e vedrai il pieno scoppio della loro bestialità.

Siebel. (Beve sbadalamente, il vino si sparge sullo spazzo e si muta in fiamma.) Salva, salva! fuoco! L’inferno leva la fiamma!

Mefistofele scongiurando la fiamma. Sta cheto, amico elemento. (A Siebel. Questa volta non fu che una goccia del fuoco di purgatorio.

Siebel. Che è questo? Prendete guardia, o vi costerà caro! Egli pare che non ci conosciate.

Frosch. Fa ch’ei vi si provi un’altra volta!

Altmayer. Per me, direi d’invitarlo con le dolci ad andarsene.

Siebel. E che, signore? avete tanta faccia da venir qui a farci il vostro Hocuspocus?

Mefistofele. Sta zitto, vecchio barile di vino.

Siebel. Gambo di segala! Ora ti fai anche villano!

Brander. Guarda quel che tu di’, pezzo di gaglioffo, che pioveranno legnate, sai?

Altmayer. (Trae dalla tavola un turacciolo e ne zampilla fuoco contro di lui.) Ohimė, abbrucio! Io abbrucio! [p. 112 modifica]

Siebel. Stregoneria! Dàgli addosso! Egli è un bandito che ha una taglia sulla testa. (Traggono le coltella e si gettano sopra Mefistofele.)

Mefistofele con atto grave.

           Fallaci immagini,
        Fallaci accenti,
        I lochi mutino,
        Mutin le menti;
           Siale qua e là.

(Essi slanno sbalordili e si guardano in viso l’un l’altro.)

Altmayer. Dove son io? O, bellissima campagna!

Frosch. Un vigneto! Veggo io diritto?

Siebel. E grappoli alla mano!

Brander. Qui sotto questi verdi pampini vedi che ceppo! vedi che grappolone! (Prende Siebel pel naso. Gli altri fanno scambievolmente lo stesso, ed alzano le coltella.)

Mefistofele come sopra.

     Fugga l’errore, cada il vel dagli occhi!
     Così il diavol si burla degli sciocchi.

(Sparisce con Fausto, i tavernieri tornano in sè.)

Siebel. Che fu?

Altmayer. Come?

Frosch. Era il tuo naso?

Brander a Siebel. Ed io ho in mano il tuo!

Altmayer. Che tiro ne ha fatto! io ne ho rotte tutte l’ossa. Deh! una seggiola ch’io svengo.

Frosch. Eh via! Su dimmi, che avvenne?

Siebel. Dov’è quel mascalzone? S’io lo trovo mai, ti so dire che non m’uscirà vivo delle mani.

Altmayer. Io l’ho veduto con quest’occhi [p. 113 modifica]andarsene per la porta della cantina, a cavallo a un barile. Io ho i piè gravi come fosser di piombo. (Volgendosi verso la tavola.) Cappita! non colerebbe forse ancor vino?

Siebel. Ogni cosa fu inganno, bugia e barbaglio.

Frosch. A me parve nullameno ber vino veramente.

Brander. Ma come la fu con quell’uve?

Altmayer. Or venga qualcuno a dirmi che non si dee credere ne’ miracoli!


Note

  1. Pulce in tedesco è mascolino.