Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II/Libro I/VI

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Cap. VI

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CAPITOLO SESTO.

Descrizione del Meidan, e Palagio Reale, col

racconto di alcune cose accadute.


I
L Meidan o Piazza, che andai a vedere il Sabato 17. è la miglior fabbrica, che sia in Ispahan, dirizzata dal Re Scia-Abas; essendo fatto a simiglianza d’un’altro (che si vede oggidì rovinato presso il Convento, dove io stava) in cui abitava un Principe della stirpe de’ Re di Persia. Da Settentrione a Mezzo dì è lungo un quarto dì miglio; e largo da Oriente ad Occidente per la metà di sua lunghezza. Per [p. 109 modifica]la vaga proporzione, e simmetria fra le arcate, botteghe, finestre del secondo piano, e di tutte le altre sue parti, può contendere con le migliori piazze d’Europa, e forsi superarle. Questa differenza saprei trovarvi da quella di S. Marco di Vinegia, che l’arcate del Meidan sono chiuse con mura, e portici in convenevoli spazj, per dar l’ingresso; ed in Vinegia aperte: in questa la facciata è adorna di marmi, e statue; in quella di mattoni. Però all’incontro è assai più grande il Meidan, che la piazza di S. Marco.

Le botteghe di sotto servono a’ mercanti per negoziare, e le camere di sopra (tutte a volta) per abitazione. Evvi all’intorno un canale di pietre, che non sempre, nè in ogni luogo porta acqua; ed alle volte ne rimane stagnante in alcune parti, che cagiona pessimo odore. Di tutti gli alberi, che vi fece porre Scia-Abas, oggidì pochi ne stanno in piedi; e con gran negligenza si è lasciato di porne nuovi in luogo de’ già secchi.

Il Palagio Reale ha le due porte principali (una detta Ala-Capì, l’altra Daulet-Cunà) presso al Meidan, dalla parte Occidentale del medesimo. Quella di Ala-Capì dà l’ingresso in una lunga strada, [p. 110 modifica]ove sono picciole camere per gli delinquenti, che vi si ritirano come in luogo di sicurissimo rifugio. Non può il Re negare di udir le lamentanze di costoro, per gli aggravi forse ricevuti da’ Ministri, perche essendo ivi, si riputano ricorsi alla sua clemenza.

In fine di questa strada si truova una porta detta d’Alì, sulla soglia della quale è una pietra rotonda, tenuta da’ Persiani in grandissima venerazione. Al di sopra si vede una gran loggia quadrata, col Cielo superbamente dipinto, e dorato, che vien sostenuto da 20. colonne di legno, ornate nella stessa guisa. All’intorno pendeano varj ritratti d’Europei, con tazze nelle mani, per adulare al genio del Principe. Nel mezzo è un bel fonte, al quale con gran fatica, ed ingegni si fa montar l’acqua. Da tre de’ lati questa loggia è aperta, e nel quarto vi è il Trono del Re; imperciocchè questi suol venirvi a vedere tutte le feste pubbliche, che si fanno nella Piazza. La più dilettevole è quella della freccia; facendo il Re appendere a un’albero una sottocoppa d’oro, e dandola in premio a colui, che correndo a cavallo a briglia sciolta, passato l’albero, si volta indietro, e fa [p. 111 modifica]caderla con una freccia.

La porta di Daulet Cunà (cioè a dire porta di Giustizia) per cui s’entra ordinariamente, è custodita da molte compagnie così a piedi, come a cavallo. Lungo amendue queste porte stanno con buon’ordine situati 110. pezzi di artiglieria, portativi da Ormuz, quando ne furono scacciati gli Spagnuoli: toltone però nove pezzi mezzani, gli altri sono tutti falconetti. Passato questo inutile apparecchio di cannoni, si vede un portico, che conduce alla porta falsa del palagio, detta Der-mod-bach, overo porta della cucina, donde entrano tutte le provvisioni necessarie. Quivi da presso è l’appartamento del G. Tesoriere (ch’era allora un’Eunuco bianco) in poter di cui sono le chiavi del Gran Tesoro, che non si tocca se non in gravissimi bisogni della Corona; essendovene un’altro apparte per lo soldo ordinario delle soldatesche. Entrano nel grande solamente le rendite de’ giardini, Karvanserà, ed altre fabbriche appartenenti al Re. E qui si è da notare, ch’essendo state dal loro falso Profeta vietate le imposizioni, e gabelle; i Principi Maomettani riputano ingiustamente acquistato il danajo, che si cava [p. 112 modifica]dalle medesime, non ne spendono un quadrino per la loro tavola, ma si servono delle rendite de’ giardini, e case. Tanto scrupoloso si è su questo punto il Gran Mogol oggi regnante, che neanche delle sue rendite vuole sostentarsi; ma in età di più di 80. anni lavora di sua mano berrette, e poi le presenta a’ Kan, i quali bisogna, che volendo o no, le paghino 20. e 30. mila scudi l’una. All’incontro questa porta di Der-mod-bach è una fabbrica chiusa, dove sono varie sorti di artefici, spezialmente Franchi, che faticano per servigio del Re. Varie altre porte sono nel circuito, e spezialmente una secreta, donde suol passare il Re nella Moschea di Mascit-Scia.

Dalla banda di Settentrione pende inutilmente la campana dell’orologio d’Ormuz, donata da’ PP. Agostiniani al Grande Scia-Abas. Da Oriente è la Moschea di Scech-lotf-alla, che consiste in una sola cupola, coperta di piccioli mattoni diversamente coloriti.

Da Mezzo dì è la Moschea del Re, detta Mascit-Scia. Ella ha una bella facciata dello stesso lavoro, con due Torri allato, che terminano a guisa di turbante. Dalla prima porta s’entra in un [p. 113 modifica]cortile, o chiostro di figura alquanto irregolare, le di cui arcate sono abbellite degli stessi mattoni. La seconda portale, ch’è coperta di lastre d’argento dà l’adito nel Tempio, che si vede tutto dipinto al di dentro d’arabeschi in oro, ed azurro; sicchè gareggiano le volte col pavimento, ornato de’ più ricchi tappeti del paese.

Dall’Albero della Freccia sino a questa Moschea, si vedono in mezzo la piazza carboni, e legna: dall’istesso sino alla campana, ferri vecchi, arnesi di cavalli, tappeti, e altre cose pur vecchie: sino alla Moschea di Scech-lotf-allah si vendono polli, piccioni, e carne cotta. Il rimanente della piazza verso il palagio è sgombro affatto, e senza botteghe; perche il Re suol venirvi di quando in quando a vedere la caccia de’ Tori, e d’altri feroci animali. Vi vanno nondimeno i Saltimbanchi, ed altri cantafavole a vendere all’ignorante plebe le lor fanfaluche, e a dare il passatempo de’ bambocci: come anche i villani nel Venerdì (loro giorno festivo) a vendere le loro frutta, e le fatiche degli altri giorni. Dalla parte di dentro, lungo il Bazar, sono botteghe, ove si vende cojame rosso, utri per portar l’acqua sotto il ventre de’ cammelli, ed [p. 114 modifica]altri vasi di pelle. Appresso sono botteghe, ove si vendono archi, e freccie; ed altre di droghe, e spezierie.

Ne’ Karvanserà poi, che sono in questa gran piazza, si vendono dalla parte di Mezzo di (cioè dalla Moschea sino all’angolo di Levante) selle, briglie, ed ogni altro arnese per fornire un cavallo: dalla Moschea sino all’angolo d’Occidente sono botteghe di librari, e ligatori di libri. Il lato d’Occidente, dall’angolo di Settentrione sino al palagio, è occupato da venditori di bagattelle di vetro di Norimberga, e Vinegia: fra le due porte d’Aga capì, e Daulet-cunà da miserabili Armeni, che fanno annelli, e intagliano suggelli sopra pietre ordinarie: dal palagio sino all’angolo di mezzo di tutte le volte servono di botteghe, per pigliar caffè, e fumare; perche oltre la lor bella veduta, come d’un Anfiteatro, evvi nel mezzo una gran conserva di acqua viva, di cui i Persiani riempiono le ampolle delle pippe, acciò in bocca venga fresco il fumo. Essendo il luogo maravigliosamente frequentato, vi vanno mattina e sera i Dervis a schiamazzare, sino a far la spuma in bocca; per aver poi qualche tenue ricompensa dagli ascoltanti. [p. 115 modifica]

Gli Armeni hanno le botteghe nel loro picciolo Karvanserà vicino al Meidan, non lunge dal famoso karvanserà fondato dalla Madre di Scia-Abas II. Questo si è a due piani; tiene una gran peschiera nel mezzo, ed a’ quattro angoli quattro porte, per cui s’entrava per l’addietro a quattro altri Karvanserà; però di presente non ve ne sono che due.

Egli si dee sapere, che quantunque questi Karvanserà di fondazione Regia non siano gratuiti; sono però da anteporsi a gli altri per la sicurezza delle mercatanzie: imperciocchè se pure avvien che si perda alcuna cosa, è tenuto l’Intendente, o Custode de’ medesimi a renderne conto; come anche delle merci, che si danno a credito, scritte nel suo libro, co’ nomi de’ venditori, e compratori. Pagano perciò i venditori il due per cento, e’l Custode è tenuto ricuperare l’intero prezzo. Oltreacciò il Meidan è ben guardato la notte (come tutti gli altri Bazar della Città) da persone stipendiate; perche quantunque le botteghe, e caffe de’ mercati siano ben chiuse, le cose nondimeno di poco valore, e grossolane si lasciano nella piazza, coperte con qualche tenda.

Dall’angolo formato da’ lati [p. 116 modifica]Occidentale, e Settentrionale s’entra in un gran Bazar, dove si vendono panni lini, e scarpe di zegrino. Indi si passa in un’altro più grande, dove si fanno stovigli di rame, e seghe; e vi abitano i Tintori: nell’estremo si truova un buonissimo karvanserà, ove si vende muschio, e pelli rosse.

Nel lato di Settentrione si vendono scimitarre, forbici, ed altri lavori di ferro, e di rame; ed avanti la porta del medesimo varie sorti di pietre preziose. Sopra queste botteghe è una lunga loggia, sostenuta da colonne, dove ogni sera s’ode un dispiacevole concerto di flauti, tamburri, ed altri strumenti, come s’è narrato d’altre Città: al di dentro vi sono camere per gli principali sonatori. All’incontro di questo luogo sono due colonne alte sette palmi, ed altrettanto lontane una dall’altra, per lo giuoco del maglio a cavallo, che si fà percotendo la palla nell’atto del correre, per farla passare fra le due colonne.

Dalla porta di sopra mentovata s’entra ad alcune volte, dove si vendono ricchi drappi d’oro, argento, e di seta, come anche tele fine d’India. Il lato di Oriente dalla Moschea sino all’angolo di Settentrione è occupato da botteghe di minuti lavori di seta. [p. 117 modifica]

Dalla Moschea all’angolo di Mezzo dì si lavorano legni al torno, e si batte il cottone; e ne’ portici sono ferrari, che fanno chiodi, ferri di cavalli, ed altro.

Nel ritorno passai per lo Castello, ch’è vicino la casa de’ Padri Capuccini Francesi, e contiguo alle mura della Città verso Mezzodì. Tiene due miglia di circuito, perche dentro vi sono Bazar, e abitazioni degli schiavi del Re; che sono volontari rinegati, per aver questo onore, e’l vitto cotidiano. La sua figura e irregolare, due volte più lunga, che larga, senza niuna difesa; essendo le sue pessime Torri di terra, come tutto il rimanente delle mura. Quivi tiene il Re tutte le rarità, che compra, o gli sono mandate in dono da’ Governadori delle Provincie, e da’ forestieri.

La Domenica 18. andai a udir la Messa nella Chiesa de’ Padri Carmelitani Scalzi, per render la visita al Padre Elia eletto Vescovo d’Ispahan. Il Lunedì 19. andai di nuovo al Meidan, per veder correre uno Sciatter (o Lacchè) del Divan-Bey, che volea essere ammesso a quel mestiere. Avea egli un picciolo calzone aperto, come costumano i nostri Lacche, con tre sonagli pendenti dalla [p. 118 modifica]cintola. Le coscie, e gambe erano nude, ed unte di un certo grasso valevole a non farlo straccare: siccome appreso gli antichi, coloro che si esercitavano ne’ Ginnasij, s’ungevano d’olio. Cominciò a correre dalla porta d’Ala-capì, sino ad una pietra lontana dalla Città tre miglia, sulla montagna. Dovea fare sette volte tal carriera, senza cibarsi, ma solamente bere; prendendo in fine di ciascheduna una banderuola, posta vicino la meta: e dopo di ciò, conosciuto abile da’ Sciatter del Re, era ammesso all’ufficio. Costumano i Signori Persiani di aver molti di costoro, giusta il loro potere, per essere tenuti in maggior estimazione.

Fra questo mentre, non essendo ancora Stefano il Vert-abiet, in compagnia di quattro altri Vescovi suffraganei (essendo egli independente dal Patriarca) di macchinare contro il rimanente de’ Missionarj Cattolici di Zulfa; volle il Cielo, che un’altro Vert-abiet, per per nome Giovanni, gli destasse una fiera persecuzione. Costui era stato altresì Arcivescovo di Zulfa, ma Spogliato della dignità da Stefano, s’era fatto Cattolico; e postosi in Alacapì con un suo Religioso (fidato nella protezione del [p. 119 modifica]passato Kalanter di Zulfa divenuto Maomettano) accusollo di tener libri contro Maometto. Fattasi la dovuta diligenza in casa di colui, furono ritrovati due libri, uno de’ quali era stampato 50. anni prima in lingua Armena da un’ altro Stefano Vert-abiet, contenente varie ignominie contra la legge Maomettana.

Presa di ciò informazione, ed interpretato il libro da un rinegato Armeno in presenza del Nabab, e del Sceik-leslon, o Axond, trascrivendolo due persone in lingua Persiana; fu condannato Stefano ad esser bruciato vivo: non ostante, che in giudicio avesse allegato, essere quel libro stato composto da un’altro Stefano Polacco Vert-abiet in Ismaizen; e l’altro manuscritto essere stato viziato dagli accusatori. Ma il Re, che non mirava, di buon’occhio quei Giudici Ecclesiastici, non permise l’esecuzione della sentenza; quando tutta la Città aspettava con impazienza, di veder la morte di quello scellerato. Io sapendo la ricchezza dell’Arcivescovo, fui sempre di parere, che coll’ajuto de’ grandi suoi amici, avrebbe scampata la vita: e non solo s’avverò la mia opinione, ma di più in vece del supplicio, ebbe dalla Regina Madre la Calaat, [p. 120 modifica]o veste d’onore; con ordine a gli accusatori di tornare in Zulfa sotto la sua giuridizione, o pure, s’erano Cattolici, ad abitar co’ Franchi.

La sera del Martedì 20. vidi le cerimonie nuziali, che s’usano in Persia; essendosi congiunti in matrimonio uno schiavo, ed una schiava abitanti non lungi dal nostro Ospizio. Dopo aversi ben piena la pancia di pilao in casa dello sposo, andò una gran compagnia d’uomini, e donne, la maggior parte con candele accese in mano (essendo di notte) a prender la sposa. Indi a mezza ora si vide venire in mezzo a due donne, coperte con un lenzuolo bianco da capo a piedi, che parevano fantasime. Venivano appresso molte altre femmine, e poscia uomini, un de’ quali portava in dosso un cereo che colava dieci scudi. Lo sposo poco cortese non uscì che quattro passi fuor di casa, ad incontrare la sposa. In cotal maniera si pratica fra la povera gente; ma fra’ nobili si fanno queste cerimonie a cavallo, con gran pompa, e gran quantità di lumi disposti per le strade, onde si ha da passare.